Racconto S15 Ombre di Gelosia e Desiderio
di
Efabilandia
genere
feticismo
Capitolo 1 - L’Esplosione della Gelosia
La stanza era immersa in una penombra soffusa, il riflesso del Tevere che danzava sulle pareti bianche attraverso le finestre senza tende, mentre il silenzio della notte veniva spezzato solo dal ticchettio dell’orologio. Ero seduto sul divano di pelle nera, un bicchiere di whisky in mano, il liquido ambrato che tremolava leggermente mentre cercavo di calmare i nervi. Alina era in piedi dall’altra parte della stanza, i capelli castani scompigliati che cadevano sulle spalle come una tempesta oscura, gli occhi verdi che brillavano di rabbia e sospetto. Indossava una camicia di seta nera, aperta quel tanto da rivelare la curva dei seni, i capezzoli appena visibili sotto il tessuto, e un paio di mutandine di pizzo che aderivano ai fianchi come una seconda pelle. Era bellissima, ma la sua bellezza era avvelenata da una furia che mi tagliava come un coltello.
“Dimmi la verità, cazzo!” esplose Alina, la voce roca e tremante, mentre stringeva il telefono con entrambe le mani. “Chi è quella puttana che ti scrive alle due di notte? ‘Ti penso, mi manchi, quando ci vediamo?’ Non prendermi per il culo, ho visto tutto!” Mi lanciò il telefono sul divano, e lo schermo si illuminò, mostrando un messaggio da un numero non salvato: “Non resisto più, ho bisogno di te. Quando possiamo incontrarci di nuovo?”. Il mio stomaco si strinse, ma cercai di mantenere la calma.
“Alina, calmati,” dissi, alzando una mano in un gesto di difesa. “Non so di cosa parli. Probabilmente è uno scherzo, un errore. Non ho nessuna relazione, lo sai!” La mia voce era ferma, ma dentro di me un’ombra di incertezza si agitava. Era vero che negli ultimi mesi avevo ricevuto messaggi ambigui da una collega, ma non avevo mai risposto, o almeno così mi dicevo.
“Uno scherzo? Uno scherzo?!” urlò, avvicinandosi con passi decisi, i tacchi che battevano sul parquet come colpi di tamburo. “Ho trovato anche le foto, sai? Quelle che hai cancellato dal telefono, ma non abbastanza bene. C’è una donna con i capelli rossi, nuda sul tuo letto! Non negarlo, ho controllato la cronologia delle app di recupero dati!” Mi mostrò un’immagine sfocata sul suo telefono, una figura indistinta che poteva essere chiunque, ma il dubbio mi trafisse come una lama. Era una foto che non ricordavo, forse un ricordo di una serata ubriaca con amici, ma Alina lo interpretava come prova inconfutabile.
“Alina, ti giuro, non è come pensi!” protestai, alzandomi in piedi, il whisky che oscillava pericolosamente nel bicchiere. “Potrebbe essere un montaggio, o magari una foto vecchia che qualcuno ha mandato per scherzo. Non ti tradirei mai, lo sai quanto ti amo!” Ma le mie parole sembravano cadere nel vuoto. Lei mi fissò, gli occhi pieni di lacrime di rabbia, e si avvicinò ancora, il suo profumo dolce e muschiato che mi avvolgeva nonostante la tensione.
“Mi ami? Mi ami?!” sibilò, puntandomi un dito contro il petto. “Allora perché ho trovato quel messaggio di Mara l’altra notte? ‘Grazie per l’altra sera, è stato incredibile, quando torni?’ Cosa cazzo significa, eh? Pensi che sia stupida? So che sei stato con lei, forse con Elisa, magari tutti e due insieme, mentre io ero a casa a pensare a te!” La sua voce si spezzò, e un singhiozzo le sfuggì mentre si passava una mano sul viso, sfregando via una lacrima.
“Mara? Elisa? Ma sei pazza!” ribattei, la mia pazienza che cominciava a vacillare. “Quella sera eravamo insieme, ricordi? La cena in Abruzzo, la notte con loro… è stata un’esperienza che abbiamo vissuto insieme! Quel messaggio potrebbe essere un riferimento a quello, non a un tradimento!” Ma Alina scosse la testa, il sospetto che le annebbiava la mente.
“Non mi convince,” disse, la voce bassa e pericolosa. “Hai passato troppo tempo al telefono ultimamente, chiuso in bagno con la porta bloccata. E ieri ho visto un rossetto sul tuo colletto, un rosso scuro che non è il mio! Chi è, dimmelo!” Si avvicinò, il suo corpo a pochi centimetri dal mio, e mi afferrò la camicia, tirandola con forza. Il tessuto si strappò leggermente, rivelando il mio petto, e il suo sguardo si fissò su di me, un misto di desiderio e furia.
“Alina, ti prego, ascoltami,” dissi, posando le mani sulle sue spalle, cercando di calmarla. “Non c’è nessun’altra. Quel rossetto potrebbe essere stato un incidente, magari al lavoro, non lo so! E i messaggi… li cancellerò, controlleremo insieme il telefono, va bene?” Ma lei mi spinse via, il suo respiro affannoso, il seno che si alzava e abbassava sotto la camicia aperta.
“No, non va bene!” urlò. “Voglio la verità, o giuro che ti lascio qui e me ne vado! Ho bisogno di sapere se mi hai scopato dietro, se hai messo il tuo cazzo in un’altra mentre io ti aspettavo! Dimmi!” Le sue parole erano crude, cariche di passione e dolore, e il suo corpo tremava mentre mi fissava, aspettando una risposta che non sapevo come darle senza alimentare ulteriormente la sua gelosia.
Capitolo 2 - La Passione che Brucia
Il silenzio che seguì fu elettrico, un’attesa carica di tensione che sembrava sul punto di esplodere. Alina mi guardava, gli occhi lucidi, le labbra socchiuse, e improvvisamente si lanciò su di me, le mani che mi afferravano il viso con una forza disperata. Mi baciò, un bacio feroce, la lingua che invadeva la mia bocca con una fame selvaggia, il sapore del vino e delle sue lacrime che si mescolavano in un vortice di emozioni. La spinsi contro il muro, il suo corpo caldo che aderiva al mio, e sentii il suo respiro accelerare mentre le mie mani scivolavano sotto la camicia, accarezzandole i seni nudi, i capezzoli duri che premevano contro i miei palmi.
“Cazzo, ti odio per farmi dubitare,” mormorò contro le mie labbra, ma le sue mani erano già sui miei pantaloni, slacciandoli con una fretta frenetica. “Se mi hai tradito, lo pagherai, ma ora ti voglio… ti voglio dentro di me!” Mi abbassò i pantaloni, il mio pene che svettava duro e pulsante, e lo strinse con una mano, massaggiandolo con una pressione che mi fece gemere. Si tolse le mutandine con un gesto rapido, lasciandole cadere sul pavimento, e aprì le cosce, rivelando la sua vagina già lucida di umori, un invito che non potevo ignorare.
La sollevai, le sue gambe che si avvolgevano intorno ai miei fianchi, e la penetrai con un colpo deciso, il suo calore che mi avvolgeva mentre urlava, “Sì… scopami, fammi dimenticare tutto!” La spinsi contro il muro, ogni colpo che la faceva sobbalzare, il suo seno che oscillava libero sotto la camicia aperta, i capezzoli che sfregavano contro il mio petto. Le sue unghie mi graffiavano la schiena, un misto di dolore e piacere che mi accendeva, e lei mi mordeva il collo, sussurrando tra i gemiti, “Dimostramelo… dimostrami che sono l’unica!”
Le afferrai i fianchi, aumentando il ritmo, il mio pene che scivolava dentro e fuori con una forza che la faceva tremare, la sua vagina che si stringeva intorno a me come una morsa. “Sei l’unica, Alina,” ansimai, il sudore che ci univa, “ti amo, cazzo, ti amo!” Le sue mani scesero sul mio culo, spingendomi più a fondo, e lei gridò, “Allora riempimi… voglio il tuo sperma, voglio sentirti mio!” Il suo orgasmo arrivò come un’onda, un fiotto caldo che mi bagnò il ventre mentre si contorceva contro di me, e io la seguii, schizzi di sperma che le inondavano la vagina, colpendo le sue pareti interne con una forza che ci fece tremare insieme.
Capitolo 3 - La Riconciliazione Sensuale
Ci lasciammo cadere sul divano, i corpi sudati e intrecciati, il respiro affannoso che riempiva la stanza. Alina mi guardò, gli occhi ancora velati di sospetto, ma anche di un desiderio che non si era spento. “Non mi fido ancora,” sussurrò, accarezzandomi il petto, “ma ti darò una possibilità. Mostrami tutto, il telefono, i messaggi… e poi ti punirò, così saprai chi comando.” Mi sorrise, un sorriso malizioso che prometteva piacere e tormento, e io annuii, pronto a cedere al suo gioco, sapendo che la nostra passione avrebbe superato ogni ombra.
La stanza era immersa in una penombra soffusa, il riflesso del Tevere che danzava sulle pareti bianche attraverso le finestre senza tende, mentre il silenzio della notte veniva spezzato solo dal ticchettio dell’orologio. Ero seduto sul divano di pelle nera, un bicchiere di whisky in mano, il liquido ambrato che tremolava leggermente mentre cercavo di calmare i nervi. Alina era in piedi dall’altra parte della stanza, i capelli castani scompigliati che cadevano sulle spalle come una tempesta oscura, gli occhi verdi che brillavano di rabbia e sospetto. Indossava una camicia di seta nera, aperta quel tanto da rivelare la curva dei seni, i capezzoli appena visibili sotto il tessuto, e un paio di mutandine di pizzo che aderivano ai fianchi come una seconda pelle. Era bellissima, ma la sua bellezza era avvelenata da una furia che mi tagliava come un coltello.
“Dimmi la verità, cazzo!” esplose Alina, la voce roca e tremante, mentre stringeva il telefono con entrambe le mani. “Chi è quella puttana che ti scrive alle due di notte? ‘Ti penso, mi manchi, quando ci vediamo?’ Non prendermi per il culo, ho visto tutto!” Mi lanciò il telefono sul divano, e lo schermo si illuminò, mostrando un messaggio da un numero non salvato: “Non resisto più, ho bisogno di te. Quando possiamo incontrarci di nuovo?”. Il mio stomaco si strinse, ma cercai di mantenere la calma.
“Alina, calmati,” dissi, alzando una mano in un gesto di difesa. “Non so di cosa parli. Probabilmente è uno scherzo, un errore. Non ho nessuna relazione, lo sai!” La mia voce era ferma, ma dentro di me un’ombra di incertezza si agitava. Era vero che negli ultimi mesi avevo ricevuto messaggi ambigui da una collega, ma non avevo mai risposto, o almeno così mi dicevo.
“Uno scherzo? Uno scherzo?!” urlò, avvicinandosi con passi decisi, i tacchi che battevano sul parquet come colpi di tamburo. “Ho trovato anche le foto, sai? Quelle che hai cancellato dal telefono, ma non abbastanza bene. C’è una donna con i capelli rossi, nuda sul tuo letto! Non negarlo, ho controllato la cronologia delle app di recupero dati!” Mi mostrò un’immagine sfocata sul suo telefono, una figura indistinta che poteva essere chiunque, ma il dubbio mi trafisse come una lama. Era una foto che non ricordavo, forse un ricordo di una serata ubriaca con amici, ma Alina lo interpretava come prova inconfutabile.
“Alina, ti giuro, non è come pensi!” protestai, alzandomi in piedi, il whisky che oscillava pericolosamente nel bicchiere. “Potrebbe essere un montaggio, o magari una foto vecchia che qualcuno ha mandato per scherzo. Non ti tradirei mai, lo sai quanto ti amo!” Ma le mie parole sembravano cadere nel vuoto. Lei mi fissò, gli occhi pieni di lacrime di rabbia, e si avvicinò ancora, il suo profumo dolce e muschiato che mi avvolgeva nonostante la tensione.
“Mi ami? Mi ami?!” sibilò, puntandomi un dito contro il petto. “Allora perché ho trovato quel messaggio di Mara l’altra notte? ‘Grazie per l’altra sera, è stato incredibile, quando torni?’ Cosa cazzo significa, eh? Pensi che sia stupida? So che sei stato con lei, forse con Elisa, magari tutti e due insieme, mentre io ero a casa a pensare a te!” La sua voce si spezzò, e un singhiozzo le sfuggì mentre si passava una mano sul viso, sfregando via una lacrima.
“Mara? Elisa? Ma sei pazza!” ribattei, la mia pazienza che cominciava a vacillare. “Quella sera eravamo insieme, ricordi? La cena in Abruzzo, la notte con loro… è stata un’esperienza che abbiamo vissuto insieme! Quel messaggio potrebbe essere un riferimento a quello, non a un tradimento!” Ma Alina scosse la testa, il sospetto che le annebbiava la mente.
“Non mi convince,” disse, la voce bassa e pericolosa. “Hai passato troppo tempo al telefono ultimamente, chiuso in bagno con la porta bloccata. E ieri ho visto un rossetto sul tuo colletto, un rosso scuro che non è il mio! Chi è, dimmelo!” Si avvicinò, il suo corpo a pochi centimetri dal mio, e mi afferrò la camicia, tirandola con forza. Il tessuto si strappò leggermente, rivelando il mio petto, e il suo sguardo si fissò su di me, un misto di desiderio e furia.
“Alina, ti prego, ascoltami,” dissi, posando le mani sulle sue spalle, cercando di calmarla. “Non c’è nessun’altra. Quel rossetto potrebbe essere stato un incidente, magari al lavoro, non lo so! E i messaggi… li cancellerò, controlleremo insieme il telefono, va bene?” Ma lei mi spinse via, il suo respiro affannoso, il seno che si alzava e abbassava sotto la camicia aperta.
“No, non va bene!” urlò. “Voglio la verità, o giuro che ti lascio qui e me ne vado! Ho bisogno di sapere se mi hai scopato dietro, se hai messo il tuo cazzo in un’altra mentre io ti aspettavo! Dimmi!” Le sue parole erano crude, cariche di passione e dolore, e il suo corpo tremava mentre mi fissava, aspettando una risposta che non sapevo come darle senza alimentare ulteriormente la sua gelosia.
Capitolo 2 - La Passione che Brucia
Il silenzio che seguì fu elettrico, un’attesa carica di tensione che sembrava sul punto di esplodere. Alina mi guardava, gli occhi lucidi, le labbra socchiuse, e improvvisamente si lanciò su di me, le mani che mi afferravano il viso con una forza disperata. Mi baciò, un bacio feroce, la lingua che invadeva la mia bocca con una fame selvaggia, il sapore del vino e delle sue lacrime che si mescolavano in un vortice di emozioni. La spinsi contro il muro, il suo corpo caldo che aderiva al mio, e sentii il suo respiro accelerare mentre le mie mani scivolavano sotto la camicia, accarezzandole i seni nudi, i capezzoli duri che premevano contro i miei palmi.
“Cazzo, ti odio per farmi dubitare,” mormorò contro le mie labbra, ma le sue mani erano già sui miei pantaloni, slacciandoli con una fretta frenetica. “Se mi hai tradito, lo pagherai, ma ora ti voglio… ti voglio dentro di me!” Mi abbassò i pantaloni, il mio pene che svettava duro e pulsante, e lo strinse con una mano, massaggiandolo con una pressione che mi fece gemere. Si tolse le mutandine con un gesto rapido, lasciandole cadere sul pavimento, e aprì le cosce, rivelando la sua vagina già lucida di umori, un invito che non potevo ignorare.
La sollevai, le sue gambe che si avvolgevano intorno ai miei fianchi, e la penetrai con un colpo deciso, il suo calore che mi avvolgeva mentre urlava, “Sì… scopami, fammi dimenticare tutto!” La spinsi contro il muro, ogni colpo che la faceva sobbalzare, il suo seno che oscillava libero sotto la camicia aperta, i capezzoli che sfregavano contro il mio petto. Le sue unghie mi graffiavano la schiena, un misto di dolore e piacere che mi accendeva, e lei mi mordeva il collo, sussurrando tra i gemiti, “Dimostramelo… dimostrami che sono l’unica!”
Le afferrai i fianchi, aumentando il ritmo, il mio pene che scivolava dentro e fuori con una forza che la faceva tremare, la sua vagina che si stringeva intorno a me come una morsa. “Sei l’unica, Alina,” ansimai, il sudore che ci univa, “ti amo, cazzo, ti amo!” Le sue mani scesero sul mio culo, spingendomi più a fondo, e lei gridò, “Allora riempimi… voglio il tuo sperma, voglio sentirti mio!” Il suo orgasmo arrivò come un’onda, un fiotto caldo che mi bagnò il ventre mentre si contorceva contro di me, e io la seguii, schizzi di sperma che le inondavano la vagina, colpendo le sue pareti interne con una forza che ci fece tremare insieme.
Capitolo 3 - La Riconciliazione Sensuale
Ci lasciammo cadere sul divano, i corpi sudati e intrecciati, il respiro affannoso che riempiva la stanza. Alina mi guardò, gli occhi ancora velati di sospetto, ma anche di un desiderio che non si era spento. “Non mi fido ancora,” sussurrò, accarezzandomi il petto, “ma ti darò una possibilità. Mostrami tutto, il telefono, i messaggi… e poi ti punirò, così saprai chi comando.” Mi sorrise, un sorriso malizioso che prometteva piacere e tormento, e io annuii, pronto a cedere al suo gioco, sapendo che la nostra passione avrebbe superato ogni ombra.
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