Racconto S14: “il gioco proibito”

di
genere
feticismo

Capitolo 1 - La Partita del Desiderio*
La nostra casa a Roma si affacciava sul Tevere, un nastro d’argento che scorreva lento sotto un cielo nero punteggiato di stelle. Le finestre, prive di tende, erano spalancate alla notte, lasciando entrare il riflesso della luna e una brezza fresca che accarezzava la stanza come un respiro leggero. Era una di quelle sere in cui il tempo sembrava sospeso, il silenzio interrotto solo dal fruscio delle acque lontane e dal battito dei nostri cuori, che già pulsavano di un’aspettativa che non sapevamo ancora nominare. La luce soffusa di un lampadario antico danzava sulle pareti bianche, dipingendo ombre morbide che sembravano seguire i nostri movimenti, come testimoni silenziosi di ciò che sarebbe accaduto.
Mi ero seduto sul divano, una chaise longue di pelle nera che dominava il salotto, con un mazzo di carte in mano e un’idea che mi frullava in testa da ore. “Alina,” dissi, la voce bassa ma carica di una promessa, “stasera ti insegno a giocare a poker.” Lei era dall’altra parte della stanza, appoggiata al tavolo di vetro con una posa che trasudava sensualità, una figura che sembrava scolpita per provocare. Indossava autoreggenti di pizzo nero che le avvolgevano le cosce come una seconda pelle, tacchi alti che ticchettavano sul parquet con ogni passo, e una camicetta scollata che precipitava sul suo seno in una cascata di seta, senza reggiseno a frenare la curva perfetta dei suoi capezzoli, già visibili sotto il tessuto leggero. Sapevo che era senza mutandine—lo era sempre—e quel pensiero mi accendeva come un fiammifero sfregato su una superficie ruvida, pronto a divampare.
Alina si voltò verso di me, un sorriso malizioso che le illuminava il viso, i capelli castani che cadevano mossi sulle spalle come un’onda scura. “Poker, eh?” disse, la voce un sussurro caldo che mi sfiorava anche a distanza. “Vediamo se riesci a insegnarmi qualcosa… o se sarò io a distrarti.” Si avvicinò con un’andatura lenta, ogni passo un’oscillazione dei fianchi che faceva ondeggiare la camicetta, rivelando scorci di pelle che mi mandavano il sangue in ebollizione. Si sedette accanto a me sulla chaise longue, le gambe accavallate che scoprivano la carne sopra le autoreggenti, un invito che non potevo ignorare.
“Cominciamo dalle basi,” dissi, cercando di mantenere un tono fermo mentre mescolavo le carte, il mazzo che scivolava tra le mie dita con un fruscio secco. “Ci sono coppie, tris, scale… devi combinare le carte per vincere.” Le mostrai un paio di assi, ma prima che potessi finire la spiegazione, Alina si sporse verso di me, la camicetta che si apriva ancora di più, e fece scivolare il tacco della scarpa sul mio inguine, un tocco lento e deliberato che mi fece trattenere il fiato. “Interessante,” mormorò, le sue labbra che si curvavano in un sorriso provocante, “ma sai che preferisco giocare con altro…” Si chinò, il seno che premeva contro il tessuto, e mi baciò il collo, un bacio caldo e umido, la lingua che sfiorava la pelle con una dolcezza che mi fece pulsare sotto i pantaloni.
“Alina… sto cercando di insegnarti,” protestai debolmente, ma lei rise, un suono basso e roco che mi vibrò dentro. “Oh, ma io sto imparando… a farti impazzire,” rispose, e mentre prendevo un’altra carta per mostrarle un tris, lei lasciò cadere una dal tavolo, un gesto casuale ma calcolato. Si chinò a raccoglierla, la scollatura che si spalancava, e il suo seno uscì del tutto dalla camicetta, libero e perfetto, i capezzoli duri che sembravano implorare il mio tocco. “Ops,” disse con voce maliziosa, restando chinata un attimo di troppo, le sue mani che scivolavano sotto il tavolo per sfiorarmi i testicoli attraverso i pantaloni, una carezza lenta e provocatoria che mi fece gemere. “Cazzo, sono già gonfi… mi sa che vuoi scoparmi più che giocare,” sussurrò, le sue parole sconce che mi accendevano come benzina su un fuoco.
Capitolo 2 - Il Gioco si Accende*
Tornò a sedersi, il seno ancora scoperto, e io cercai di riprendere il controllo, spiegandole la scala con una voce che tremava di desiderio. “Se hai cinque carte in sequenza…” iniziai, ma lei mi interruppe, sporgendosi verso di me e afferrando il mio pene sopra i pantaloni, una stretta decisa che mi fece sussultare. “Sai che preferisco contare i tuoi colpi dentro di me… non le carte,” disse, la voce carica di sesso, e si leccò le labbra, gli occhi che brillavano di una voglia che non nascondeva più. Le diedi le carte, e lei le prese con una finta innocenza, ma ogni gesto era un’arma: quando le mescolava, si chinava quel tanto da far oscillare i seni davanti a me, e quando una carta cadeva di nuovo, si abbassava con una lentezza provocatoria, la mano che tornava a sfiorarmi i testicoli, accarezzandoli con le dita mentre sussurrava, “Voglio succhiartelo… proprio ora.”
Nonostante le provocazioni, Alina imparò in fretta—troppo in fretta—e ogni mano vinta la rendeva più audace. Alla prima vittoria, un tris di re, si lanciò su di me, il seno nudo che premeva contro il mio petto mentre infilava le mani sotto la mia camicia, accarezzandomi il torace con una fame che mi fece gemere. “Ho vinto… guarda che brava,” disse, slacciandomi la cintura e abbassandomi i pantaloni, il mio sesso che svettava nudo mentre lei lo sfiorava con le dita, “Cazzo, sei già duro… lo vuoi infilare dentro, vero?” Vinse la seconda mano con una coppia di donne, e si alzò in piedi, aprendo le gambe per mostrarmi la sua vagina lucida di umori, un bagliore che mi ipnotizzò. “Baciamela… ho vinto,” ordinò, e io mi chinai, le labbra che sfioravano la sua carne bagnata, la lingua che la leccava con una dolcezza che la fece gemere, “Sì… succhiami lì, bravo…”
Quando perse una mano, richiuse le gambe con un sorriso provocatorio. “Niente da vedere… per ora,” disse, ma mentre tirava una carta dalla pila, si chinò verso di me, il seno che oscillava libero, e sussurrò, “Mi viene voglia di leccartelo… proprio mentre gioco.” La sua lingua sfiorò la punta del mio pene, un tocco rapido che mi fece tremare, e io cercai di concentrarmi sulle carte, ma il suo desiderio era un fuoco che bruciava ogni regola.
Capitolo 3 - La Scommessa Sessuale*
La partita continuava, il mio corpo sempre più nudo sotto i suoi assalti, e Alina mi fissava con occhi che trasudavano sesso. “Facciamo una scommessa,” disse, la voce un sussurro roco, “vediamo chi tra noi è buono e chi è cattivo.” “Che intendi?” chiesi, incuriosito, il desiderio che mi pulsava nelle vene. “Se vinco io, sarò la buona e ti punirò ogni volta che sbagli… se vinci tu, sarai il buono e mi punirai,” rispose, le sue parole che sapevano di sfida e di cazzo. Avevamo 40 fiches da 1 euro ciascuno, con una puntata massima di 5 euro, e il gioco iniziò, un duello che era già una guerra di piacere.
A ogni mano vinta, Alina si faceva più sfacciata. Vinse la prima con un full di jack, e si sporse sul tavolo, aprendo le gambe per mostrarmi la sua vagina che brillava di umori, lucida e invitante. “Baciamela… ho vinto, no?” disse, e io mi chinai, le labbra che la sfioravano, la lingua che scivolava dentro di lei, assaporando il suo sapore dolce mentre gemeva, “Cazzo, sì… leccami forte.” Vinse la seconda con una scala, e si alzò, la camicetta ormai inutile che lasciava il seno nudo, afferrandomi il pene con entrambe le mani e massaggiandolo con una stretta che mi fece gemere. “Lo vuoi infilare nella mia figa bagnata, vero?” sussurrò, le sue parole sconce che mi mandavano in tilt.
Quando perdeva, richiudeva le gambe con un sorrisetto. “Niente da vedere… prova a vincere,” diceva, ma poi si chinava a raccogliere una carta caduta, la bocca che si avvicinava al mio pene, la lingua che lo leccava rapido mentre tirava dal mazzo, “Mi viene voglia di succhiartelo tutto… ora.” Il mio sesso svettava nudo, duro e pulsante, e io cercavo di giocare, ma ogni sua mossa era un’arma che mi disarmava.
Capitolo 4 - La Mano Decisiva*
La partita si avvicinava alla fine, il mio corpo nudo e il desiderio che mi consumava. Ero rimasto con solo 5 euro, il respiro corto mentre Alina mi guardava con occhi affamati. “Punto tutto,” dissi, la voce tremante, e lei sorrise, un sorriso che prometteva guai. Prima di rispondere, aprì le gambe ancora di più, la sua vagina lucida che brillava sotto la luce della luna, un’esca per distrarmi mentre cambiava una sola carta con una calma provocatoria. Io ne cambiai tre, il cuore che batteva forte, e scoprimmo le carte: un full di donne per lei, un tris di jack per me. “Ho vinto… di nuovo,” annunciò, la voce carica di trionfo e sesso.
“Sei stato cattivo,” disse, alzandosi con un movimento lento, i tacchi che battevano sul parquet mentre si avvicinava. “Hai le palle gonfie… non va bene, amore. Alzati e mettiti contro il muro, gambe aperte.” Obbedii, il mio sesso duro che svettava mentre mi posizionavo, il corpo che tremava di anticipazione. Sentii il rumore dei suoi tacchi dietro di me, un suono che mi accendeva, e poi la sua mano mi afferrò le palle, stringendole forte con una pressione che mi tolse il fiato. “Per tutta la settimana ti punirò in ogni modo,” sussurrò al mio orecchio, la voce un misto di dolcezza e comando, e strinse ancora, un dolore che si trasformava in un piacere perverso.
“Apri bene le gambe… devo continuare,” ordinò, e io obbedii, il respiro corto mentre lei lasciava la presa. Pensavo fosse finita, ma un istante dopo un calcio mi colpì proprio sulle palle, un dolore acuto che mi piegò in avanti, un gemito che mi sfuggì mentre mi tenevo al muro. “Rimettiti in piedi, non fare la femminuccia,” disse da dietro, la voce ferma, e io mi rialzai, il corpo tremante. Appena fui in posizione, un altro calcio mi raggiunse, più deciso, un’esplosione di dolore che si mescolava a un’erezione ancora più forte, il mio sesso che pulsava mentre lei si allontanava.
“Se vuoi, ora puoi toccarti mentre mi guardi tra le gambe,” disse, sedendosi sul divano e aprendo le cosce, la sua vagina lucida che brillava come un invito. Le sue dita scivolarono tra le grandi labbra, sfregandosi il clitoride con una sensualità selvaggia, e io mi toccai, la mia mano che massaggiava il mio pene mentre la guardavo, i nostri gemiti che si intrecciavano nell’aria. “Voglio scoparti tutta la notte,” ansimò, e venimmo insieme, un orgasmo che mi fece schizzare sul pavimento mentre lei si contorceva sul divano, il suo squirting che bagnava il tessuto, un’esplosione di piacere che era solo l’introduzione a una settimana che prometteva di essere splosiva.




Capitolo 2 - La Punizione Mattutina*
Il mattino filtrava dalle finestre senza tende della nostra casa affacciata sul Tevere, i raggi del sole che si insinuavano nella stanza come dita dorate, accendendo le pareti bianche e il parquet lucido. La città si risvegliava lenta sotto di noi, un mosaico di tetti che emergeva dalla foschia, mentre il fiume scorreva placido, un nastro d’argento che rifletteva la luce nascente. Come ogni mattina, mi alzai dal letto, il corpo nudo ancora caldo dal sonno, e mi diressi in cucina per preparare il caffè. L’aroma intenso si diffuse nell’aria mentre versavo due tazze, una per me e una per Alina, un rituale che amavo ripetere per iniziare la giornata con lei.
Tornai in camera, la tazza fumante tra le mani, e la trovai ancora sdraiata, avvolta nelle lenzuola bianche che si erano aggrovigliate intorno alle sue gambe durante la notte. “Alina, amore, buongiorno… ti ho portato il caffè,” dissi dolcemente, posando la tazza sul comodino. Lei si stiracchiò lentamente, un movimento felino che fece scivolare via le lenzuola, rivelando il suo corpo nudo, perfetto nella sua sensualità selvaggia. La pelle liscia brillava sotto la luce del sole, i seni pieni si alzavano con ogni respiro, i capezzoli rosei che si indurivano al contatto con l’aria fresca. Dormivamo sempre nudi, un’abitudine che ci univa nella nostra intimità più profonda, e vederla così mi accendeva ogni volta come la prima.
Alina prese la tazza, sorseggiando il caffè con un sorriso pigro, i suoi occhi scuri che mi osservavano sopra il bordo. “Hai ancora le palle gonfie?” chiese, la voce roca di sonno ma già carica di provocazione, un sorriso malizioso che le curvava le labbra. Io risi piano, avvicinandomi al letto. “No, amore, stanno bene… se vuoi controlla,” risposi, un misto di gioco e desiderio nella voce. Lei posò la tazza con un gesto lento, quasi cerimonioso, e allungò la mano verso di me, le sue dita che si chiudevano intorno ai miei testicoli con una stretta forte e decisa, un contatto che mi fece sussultare mentre il calore del suo tocco mi travolgeva.
“Mmm… hai ragione, sono a posto,” mormorò, sorseggiando ancora il caffè, poi mi fissò con occhi che brillavano di una dolce crudeltà. “Ma meriti comunque di essere punito… mi hai portato il caffè senza zucchero, e lo sai che io lo prendo dolce.” La sua voce era un mix di rimprovero e seduzione, e io abbassai lo sguardo, timoroso ma eccitato dalla promessa della sua punizione. “Hai ragione, amore, ho sbagliato,” dissi, la voce che tremava leggermente mentre anticipavo ciò che sarebbe venuto.
Alina si alzò dal letto, la tazza abbandonata sul comodino, e mantenne la presa sulle mie palle, stringendole con una forza che mi fece gemere mentre mi baciava dolcemente sulle labbra. Quel contrasto tra la dolcezza del bacio e la durezza della sua mano era un gioco che mi mandava in tilt, un’ondata di desiderio che mi travolgeva. “Vieni con me,” ordinò, e mi condusse in bagno, tirandomi per i testicoli con una guida ferma ma sensuale, i suoi tacchi che ticchettavano sul parquet come un ritmo che scandiva il mio destino.
Capitolo 3 - La Doccia della Punizione*
Entrammo nel bagno, la luce del mattino che filtrava dalla finestra aperta, illuminando le piastrelle bianche e il piatto della doccia. Alina mi spinse con dolce fermezza verso il pavimento, e io mi adagiai con la schiena contro il freddo della ceramica, la testa posata sul piatto della doccia mentre lei mi guardava dall’alto, il suo corpo nudo che torreggiava su di me come una dea pronta a impartire la sua giustizia. “Sdraiati bene,” disse, la voce un sussurro carico di comando, e io obbedii, le gambe leggermente aperte, il mio sesso che già pulsava sotto il suo sguardo.
Si inginocchiò sopra di me, le sue cosce che si aprivano mentre si sedeva sulla mia faccia, la sua vagina calda e bagnata che si posava sulle mie labbra. Con le mani, tenne aperte le grandi labbra, esponendo la sua carne rosa e lucida, un profumo dolce e muschiato che mi avvolgeva mentre mi ordinava, “Leccami… ora.” La mia lingua scivolò su di lei, accarezzandola con una dolcezza famelica, succhiando il suo clitoride mentre lei gemeva piano, “Sì… così, leccami tutta…” Il suo sapore mi riempiva la bocca, un nettare che mi faceva girare la testa, e lei si muoveva sopra di me, sfregandosi contro la mia lingua con un ritmo che la faceva godere.
Poi, senza preavviso, alzò leggermente il bacino, tenendomi il viso fermo con una mano mentre con l’altra mi tappava il naso. “Amore, sei stato monello… lo sai,” disse, la voce un misto di dolcezza e autorità, “questa è la tua punizione, non ti lamentare.” E iniziò a svuotare la sua vescica, un flusso caldo e dorato che mi colpì la bocca, un gusto salato e intenso che mi costringeva a bere mentre lei mi teneva fermo, il naso chiuso che mi obbligava a ingoiare ogni goccia. “Bevi tutto… è per il tuo bene,” sussurrò, e io obbedii, il calore della sua piscia che mi scivolava in gola, un atto di sottomissione che mi eccitava oltre ogni limite, il mio pene che si induriva dolorosamente mentre lei godeva del mio asservimento.
Quando finì, si rialzò, la sua vagina ancora lucida sopra di me, e mi guardò con occhi brucianti di desiderio. “Cazzo, ho una voglia matta di scoparti,” disse, la voce cruda e diretta, “voglio quel tuo bel cazzo duro dentro di me… ora.” Si chinò a prendermi per il pene, stringendolo con una mano mentre mi tirava verso di lei, “Voglio sentirlo che mi spacca la figa… e poi il culo… scopami fino a farmi urlare.”
Capitolo 4 - L’Amplesso Selvaggio*
Non ci fu tempo per pensare: Alina mi spinse sul pavimento del bagno, il freddo della ceramica contro la mia schiena mentre lei si metteva a cavalcioni sopra di me, le sue cosce aperte che incorniciavano il mio corpo. Afferrò il mio pene, massaggiandolo con una furia che mi fece gemere, poi lo guidò dentro la sua vagina, scendendo con un movimento deciso che mi fece entrare tutto, fino in fondo. “Cazzo… sì,” urlò, la voce rotta dal piacere mentre iniziava a muoversi, un ritmo selvaggio che mi travolgeva, il suo sesso caldo e bagnato che mi stringeva come una morsa.
Le sue mani scesero sul mio petto, mordendomi i capezzoli con i denti, un morso acuto che mi strappò un gemito mentre il dolore si trasformava in piacere, il mio pene che pulsava dentro di lei. “Ti piace, eh?” ringhiò, tirandomi le orecchie con le dita, una tortura sensuale che mi faceva impazzire mentre lei cavalcava il mio sesso con una forza che mi scuoteva. “Voglio sentirti… voglio che mi fai venire,” ansimava, le sue cosce che tremavano mentre si muoveva, il suo clitoride che sfregava contro di me ad ogni colpo.
La guardavo, ipnotizzato dal suo corpo che si contorceva sopra di me, i seni che ondeggiavano liberi, i capezzoli duri come pietre mentre lei si abbandonava al piacere. Le mie mani le afferrarono i fianchi, spingendola giù con più forza, e lei urlò, “Sì… scopami così… sto venendo!” Il suo orgasmo esplose, un fiotto caldo che mi bagnò il ventre mentre la vagina si stringeva intorno al mio pene, un piacere che mi portò al confine. “Vieni con me… riempimi la figa,” implorò, e io cedetti, schizzi di sperma caldo che le inondavano la vagina, colpendole l’utero con una forza che ci fece tremare insieme, i nostri gemiti che si intrecciavano in un coro selvaggio mentre ci univamo in un’estasi profonda.
Capitolo 5 - La Pulizia Sensuale*
Alina si fermò, il mio sperma che colava lento dalla sua vagina, un rivolo caldo che le scivolava lungo le cosce mentre mi guardava con occhi ancora affamati. “Non ho finito con te,” disse, scendendo dal mio corpo e inginocchiandosi sopra di me. “Leccami… ripuliscimi tutto,” ordinò, spingendo la sua vagina sulla mia bocca, il suo sapore che si mescolava al mio sperma, un gusto intenso e salato che mi riempiva mentre la mia lingua scivolava dentro di lei, succhiando ogni goccia. “Cazzo… sì, leccami la figa sporca,” gemette, le mani che mi tiravano i capelli mentre si sfregava contro di me, un ultimo fremito di piacere che la scuoteva mentre io la ripulivo con una dedizione che mi eccitava ancora.
Epilogo - La Promessa del Giorno*
Ci alzammo, i nostri corpi nudi e sudati che brillavano sotto la luce del mattino. Prima di uscire di casa per andare al lavoro, Alina si fermò sulla soglia, infilandosi un paio di jeans aderenti e una camicetta leggera che lasciava intravedere i capezzoli. Mi guardò con un sorriso malizioso, gli occhi che brillavano di una promessa oscura. “Oggi andrò a comprare un po’ di strumenti per punirti in questi giorni,” disse, la voce carica di provocazione. “Preparati, amore… questa settimana sarà lunga e dura… per te.” Mi lasciò lì, il corpo ancora tremante dal piacere e dal dolore, sapendo che ogni giorno sarebbe stato un nuovo capitolo della sua punizione, un gioco che mi avrebbe fatto desiderare ogni suo tocco, ogni sua tortura.

Capitolo 3 - La Tortura del Controllo*
La mattina si era dissolta in un ricordo di passione e punizione, il sapore della sua piscia ancora un’eco nella mia bocca mentre Alina si preparava per uscire. Si era infilata un paio di jeans aderenti che le modellavano il sedere come una seconda pelle, una camicetta leggera che lasciava intravedere i capezzoli duri, e i tacchi alti che ticchettavano sul parquet con ogni passo. Prima di varcare la soglia, si fermò, tirando fuori dalla borsetta una lista scribacchiata su un foglio. “Tieni,” disse, porgendomela con un sorriso che nascondeva una dolce minaccia, “oggi hai da fare: lavanderia, spesa, e paga il condominio. Non farmi arrabbiare, amore.”
Mi avvicinò, le sue labbra che sfioravano le mie in un bacio caldo e profondo, e mentre la mia lingua cercava la sua, mi colpì con una ginocchiata inaspettata ai testicoli, un colpo rapido e deciso che mi fece piegare in avanti, il fiato mozzato in gola. “Amore, non fare il monello che ti punisco,” sussurrò, la voce un misto di dolcezza e autorità, e mi accarezzò il viso con una tenerezza crudele prima di uscire, lasciandomi lì, dolorante ma eccitato, con la lista che mi tremava tra le mani.
La giornata scivolò via veloce: dopo il lavoro, corsi al supermercato, le buste della spesa che mi pesavano sulle braccia mentre il sole calava su Roma, tingendo il Tevere di rosso. Poi passai dall’amministratore per pagare il condominio, il pensiero di Alina che mi puniva se avessi fallito a spingermi con un misto di ansia e desiderio. Rientrato a casa, posai le buste in cucina e decisi di avviare qualcosa da mangiare—un risotto semplice, per non farla stancare troppo dopo la giornata. Il profumo del brodo riempiva l’aria mentre il sole spariva oltre le finestre senza tende, lasciando spazio alle stelle che brillavano sopra il fiume.
Capitolo 4 - Il Massaggio ai Piedi*
Quando Alina rientrò, il cielo era ormai nero, e la luce della luna filtrava nella stanza, accendendo il suo profilo mentre posava la borsetta sul tavolo. Era stanca, lo vedevo dal modo in cui si lasciò cadere sul divano, sospirando mentre si toglieva le scarpe con un gesto lento, i tacchi che cadevano sul parquet con un tonfo leggero. “Amore, i piedi mi fanno male,” disse, la voce morbida ma carica di un’aspettativa che mi fece accelerare il battito. Si sdraiò sulla chaise longue, le gambe distese davanti a sé, e mi guardò con occhi che brillavano di desiderio. “Massaggiameli… dai.”
Mi inginocchiai ai suoi piedi, le sue autoreggenti ancora infilate sotto i jeans, e presi il suo piede destro tra le mani, le dita che premevano sulla pianta con una dolcezza che la fece sospirare. “Mmm… sì, così,” mormorò, ma poi il suo sorriso si fece malizioso. “Usa la lingua… leccameli, sai quanto mi piace.” La sua voce era un comando velato di sesso, e io mi chinai, posando le labbra sul suo piede, la lingua che scivolava sulla pelle liscia sopra le autoreggenti, un sapore salato e caldo che mi accendeva mentre lei gemeva piano. “Cazzo, mi fai bagnare solo a leccarmi i piedi… succhiali bene, amore, voglio sentirti,” disse, le parole sconce che mi mandavano il sangue in ebollizione, il mio pene che premeva duro contro i pantaloni mentre leccavo ogni dito, succhiandoli con una dedizione che la faceva contorcere di piacere.
Capitolo 5 - La Scoperta del Fallimento*
Alina mi guardava, il piede ancora nella mia bocca, e notò l’eccitazione che spingeva nei miei pantaloni, un rigonfiamento evidente che non potevo nascondere. “Sei già duro, eh?” disse, ridendo con una voce roca che grondava sesso. “Hai fatto tutte le commissioni come ti ho chiesto?” Io annuii, la lingua ancora impegnata sul suo alluce, ma poi mi fermai, un’ombra di dubbio che mi attraversava la mente. “Sì… spesa e condominio,” risposi, ma la mia voce tremò leggermente, e lei si irrigidì, gli occhi che si stringevano in una furia improvvisa.
“Cavolo, ti sei dimenticato della lavanderia?!” urlò, il tono che passava da dolce a feroce in un istante, e prima che potessi giustificarmi si alzò di scatto dal divano, spingendomi a terra con una forza che mi colse di sorpresa. Caddi sul parquet, inerme sotto di lei, e Alina torreggiò sopra di me, il piede ancora scalzo che si posava sul mio petto. “Sei proprio un monello schifoso,” disse, la voce carica di rabbia e desiderio, e senza preavviso mi assestò un calcio tra le palle, un colpo secco che mi fece piegare in due, il dolore che esplodeva caldo e acuto mentre un gemito mi sfuggiva dalla gola. “Ecco, così ti passa pure l’eccitazione,” ringhiò, e poi posò il piede con il tacco sul mio sesso, schiacciandolo sotto la scarpa con una pressione lenta e deliberata che mi fece tremare, un mix di dolore e piacere che mi mandava in tilt.
Capitolo 6 - La Gabbietta della Punizione*
“Ti sei comportato male… di nuovo,” disse, la voce che si abbassava in un sussurro minaccioso mentre tirava fuori dalla borsetta una gabbietta per il pene, un oggetto di plastica nera e acciaio, lucido e freddo, con un anello alla base e una serie di sbarre che formavano una prigione per il mio sesso. Era lunga circa 7 centimetri, con un foro sulla punta per lasciare uscire l’urina, e un lucchetto minuscolo che pendeva da un lato, pronto a sigillare il mio destino. “Tirati giù i pantaloni,” ordinò, il tacco ancora premuto sul mio pene, e io obbedii, le mani che tremavano mentre slacciavo la cintura e abbassavo i jeans, esponendo il mio sesso duro e pulsante alla sua mercé.
Alina si inginocchiò accanto a me, il suo respiro caldo che mi sfiorava mentre prendeva la gabbietta tra le mani. “Adesso ti metto questa… così non ti potrai più eccitare per stasera,” disse, la voce un ringhio di piacere mentre mi guardava negli occhi. Con una mano afferrò il mio pene, ancora teso dall’eccitazione, e lo strinse forte, facendomi gemere mentre lo forzava a rilassarsi quel tanto che bastava per infilare l’anello di base intorno ai testicoli. L’anello era freddo e stretto, una morsa che mi avvolgeva le palle, e lei lo fece scivolare con una lentezza crudele, tirandolo fino a che non fu ben fermo alla radice. “Cazzo, non potrai più fartelo duro… e se ci provi, sentirai che dolore,” disse, ridendo mentre infilava il mio pene nella gabbia, le sbarre che lo imprigionavano, comprimendolo in uno spazio angusto che mi faceva pulsare di un piacere frustrato.
Con un gesto rapido, chiuse il lucchetto, un clic secco che echeggiò nella stanza, sigillando il mio sesso in una prigione che mi lasciava vulnerabile e desideroso. “Niente fica per te stasera… solo il mio piacere,” sussurrò, le sue parole forti e crude che mi colpivano come schiaffi, “non potrai godere, e se osi pensarci ti farò male fino a farti urlare.” Si rialzò, il tacco che sfiorava ancora il mio inguine, e io sentii il dolore della gabbietta stringersi mentre il mio desiderio cresceva, un tormento che mi faceva impazzire.
Capitolo 7 - Il Guinzaglio della Schiavitù*
“Non ho finito,” disse, tornando alla borsetta e tirando fuori un guinzaglio di pelle nera, lungo e sottile, con un moschettone metallico che brillava sotto la luce. Mi guardò con un sorriso trionfante, poi si chinò di nuovo su di me, le sue mani che afferravano i miei testicoli, ancora sensibili dal calcio di prima. “Queste palle sono mie,” disse, e con una mossa rapida legò il guinzaglio intorno alla base dei testicoli, stringendo il nodo con una pressione che mi fece gemere, il moschettone che si agganciava saldamente, un peso freddo che tirava la mia carne. “Alzati,” ordinò, e io mi sollevai, il guinzaglio che pendeva tra le mie gambe, un simbolo del suo controllo.
Alina prese l’estremità del guinzaglio, tirandolo con un gesto secco che mi fece sussultare, il dolore che si irradiava dai testicoli mentre lei rideva, un suono caldo e crudele. “Vieni con me,” disse, e iniziò a camminare per la casa, trascinandomi dietro di sé come un trofeo, il guinzaglio che mi guidava con ogni passo. Mi portò in salotto, tirando forte mentre si sedeva sul divano, il mio corpo che si piegava al suo volere. “Siediti lì,” ordinò, indicando il pavimento ai suoi piedi, e io obbedii, il guinzaglio teso tra noi mentre lei si rilassava, le gambe accavallate che mostravano la curva perfetta delle cosce sotto i jeans.
Capitolo 8 - Il Piacere di Alina*
“Guardami,” disse, slacciandosi lentamente i jeans e abbassandoli quel tanto che bastava per rivelare la sua vagina, lucida di umori che colavano già sulle cosce. “Non puoi toccarmi… non puoi scoparmi… ma io sì,” sussurrò, le sue dita che scivolavano tra le grandi labbra, sfregandosi il clitoride con una sensualità che mi faceva impazzire. La gabbietta stringeva il mio pene, un dolore acuto che cresceva con ogni pulsazione di eccitazione mentre la guardavo, il guinzaglio che tirava i miei testicoli ogni volta che cercavo di muovermi. “Cazzo, mi piace vederti così… prigioniero del tuo stesso desiderio,” disse, ridendo mentre si masturbava, i gemiti che le sfuggivano dalle labbra come una melodia crudele.
Si alzò di nuovo, tirando il guinzaglio per portarmi in cucina, il mio corpo che seguiva ogni suo comando mentre i tacchi battevano sul pavimento. “Controlliamo la cena,” disse, ma mentre si chinava sul piano di lavoro, si sfregò la vagina con una mano, lasciandomi a guardare, impotente e desideroso. “Voglio scoparmi e masturbarmi per tutta la casa stasera… e tu starai lì, con quel cazzo chiuso in gabbia, a pregarmi di liberarti,” disse, le parole che mi colpivano come frustate, il piacere di Alina che cresceva mentre il mio veniva negato.

Capitolo 4 - La Doccia del Tormento*
La cena era pronta, il risotto che avevo cucinato fumava ancora sul tavolo mentre la luce della luna filtrava dalle finestre senza tende, illuminando il salotto con un bagliore argentato. Alina si era seduta di fronte a me, i jeans aderenti che le modellavano le cosce e la camicetta che lasciava intravedere i capezzoli, un’immagine di sensualità che mi faceva pulsare di desiderio nonostante la gabbietta che imprigionava il mio pene. Il guinzaglio di pelle nera pendeva dalle sue mani, l’estremità legata ai miei testicoli con un nodo stretto che mi teneva sotto il suo controllo, una tensione costante che mi ricordava ogni secondo chi comandava.
Cenammo in silenzio, o almeno ci provammo. Ogni volta che portavo una forchettata di risotto alla bocca, Alina tirava il guinzaglio con un gesto secco, un movimento rapido che mi faceva sobbalzare, il dolore che si irradiava dai testicoli mentre un gemito mi sfuggiva dalle labbra. “Mangia piano, amore,” diceva, la voce carica di un divertimento crudele, ridendo mentre mi guardava in difficoltà, il cucchiaio che tremava nella mia mano. “Mi piace vederti così… tutto teso per me,” sussurrava, tirando ancora, un altro strattone che mi faceva piegare in avanti, il viso contratto mentre cercavo di mantenere la compostezza. Il suo piacere era evidente, un gioco che la eccitava mentre io lottavo tra il dolore e un’erezione frustrata che premeva contro le sbarre della gabbietta.
Terminata la cena, Alina posò il piatto con un gesto lento, leccandosi le labbra con una sensualità che mi mandava in tilt. “Ho bisogno di una doccia,” disse, alzandosi dal tavolo, il guinzaglio ancora stretto nella sua mano. “Seguimi in bagno… mi laverai la schiena.” La sua voce era un ordine avvolto in seta, e io mi alzai, il guinzaglio che tirava i miei testicoli mentre la seguivo, ogni passo un misto di tormento e desiderio che mi faceva tremare.
Capitolo 5 - Lo Spogliarello Sensuale*
Entrammo nel bagno, la luce soffusa che si rifletteva sulle piastrelle bianche mentre Alina si fermava davanti alla cabina della doccia. Mi guardò con un sorriso malizioso, posando il guinzaglio sul bordo del lavandino senza scioglierlo, lasciandomi legato mentre si spogliava con una lentezza che era pura provocazione. “Guardami,” sussurrò, e io restai fermo, ipnotizzato, mentre le sue mani si muovevano sul suo corpo.
Si slacciò la camicetta, un bottone alla volta, il tessuto che si apriva come un sipario sul suo seno perfetto, i capezzoli duri che svettavano nell’aria, un rosa scuro che brillava sotto la luce. “Ti piace il mio corpo, vero?” disse, lasciando cadere la camicetta a terra con un fruscio leggero, le sue dita che accarezzavano i seni, pizzicandosi i capezzoli con una dolcezza che la fece gemere piano. Poi passò ai jeans, abbassandoli con un movimento lento dei fianchi, la stoffa che scivolava lungo le cosce, rivelando la sua vagina nuda, lucida di umori che colavano già sulla pelle interna, un bagliore che mi faceva pulsare dentro la gabbietta.
Si chinò per togliere le autoreggenti, una per una, il pizzo nero che si staccava dalle sue gambe come una carezza, e ogni gesto era studiato per farmi eccitare, per farmi soffrire. Si rialzò, completamente nuda, i tacchi ancora ai piedi che ticchettavano sul pavimento mentre si avvicinava alla doccia. “Cazzo, mi sento già bagnata solo a guardarti lì, tutto chiuso,” disse, ridendo, e con una mano mi accarezzò il pene intrappolato nella gabbietta, un tocco leggero che mi fece gemere di frustrazione, il dolore che cresceva mentre il mio sesso cercava invano di liberarsi. Aprì il getto della doccia, l’acqua che iniziava a scorrere con un suono caldo e invitante, e mi fece cenno di seguirla. “Vieni… lavami,” ordinò, entrando sotto il flusso, il suo corpo che si bagnava mentre io la seguivo, il guinzaglio che pendeva ancora tra noi.
Capitolo 6 - La Doccia del Piacere*
L’acqua cadeva su di lei come una cascata, scivolando sui suoi seni, lungo il ventre, fino alle cosce, un velo lucente che la rendeva ancora più irresistibile. Si voltò verso di me, i capelli che le aderivano al viso, e mi porse una spugna. “Lavami la schiena,” disse, ma ogni suo movimento era sensuale, il bacino che si inclinava leggermente per mostrarmi il suo sedere perfetto, le gocce che le scivolavano tra le natiche come lacrime di desiderio. Presi la spugna, le mani che tremavano mentre la passavo sulla sua pelle, accarezzandola con una dolcezza che la faceva sospirare, ma lei non era soddisfatta.
“Non così,” disse, girandosi verso di me, l’acqua che le colava sul seno mentre mi guardava con occhi affamati. Aprì le cosce, le mani che scivolavano sulla sua vagina, tenendola aperta con le dita per mostrarmi la sua carne rosa e lucida, grondante di umori. “Leccamela… puliscila bene, non voglio che la spugna mi faccia allergia,” ordinò, la voce un comando che grondava sesso. Mi inginocchiai sotto il getto, l’acqua che mi bagnava i capelli mentre avvicinavo la bocca alla sua vagina, la lingua che sfiorava le grandi labbra con una dolcezza famelica, succhiando il suo clitoride mentre lei gemeva forte, “Cazzo… sì, leccami la fica… puliscimi tutta!”
Il suo sapore mi riempiva la bocca, un misto di dolcezza e calore che mi mandava in estasi, ma il mio pene intrappolato nella gabbietta pulsava dolorosamente, ogni leccata che aumentava la mia eccitazione, un tormento che mi faceva gemere contro di lei. L’acqua mi scorreva sul viso, mescolandosi ai suoi umori, e improvvisamente Alina alzò il bacino, tenendomi fermo con una mano sul mento. “Bevi ancora, amore,” disse, e lasciò andare la sua vescica, un flusso caldo e dorato che mi colpì la bocca, un gusto salato che mi costringeva a ingoiare mentre lei tappava il mio naso con l’altra mano, ridendo, “Succhiami tutto… ti piace la mia piscia, vero?”
Capitolo 7 - L’Orgasmo di Alina*
Ero super eccitato, il mio pene che premeva contro le sbarre della gabbietta, un dolore acuto che si mescolava al piacere di servirla, ma non potevo fare nulla per liberarmi. Alina insisteva, spingendo la sua vagina sulla mia bocca, “Leccami più forte… voglio venire sulla tua lingua,” diceva, le parole crude che mi accendevano mentre l’acqua continuava a scorrere, bagnandomi i capelli e il viso. La mia lingua danzava dentro di lei, penetrandola con movimenti rapidi, succhiando il clitoride mentre le sue cosce tremavano, un gemito che cresceva in un urlo, “Cazzo… mi fai schizzare… continua, leccami la fica!”
Le sue mani mi tirarono i capelli, tenendomi fermo mentre infilavo due dita nella sua vagina, allargandola con una dolcezza feroce, la lingua che sfregava il clitoride con una furia che la mandava in estasi. “Voglio il tuo cazzo… ma non puoi darmelo… leccami fino a farmi urlare,” gridò, e il suo orgasmo esplose, un’onda violenta che la fece contorcere sotto l’acqua, lo squirting che schizzava caldo sulla mia bocca, un fiotto abbondante che mi bagnava il viso, il petto, mentre lei tremava, le cosce che si stringevano intorno alla mia testa. “Sì… sì… cazzo, sto venendo… bevi tutto!” urlava, il suo piacere che mi travolgeva, un’esplosione liquida che mi riempiva la bocca, il sapore dolce e selvaggio che mi faceva impazzire di desiderio.
Il mio pene pulsava nella gabbietta, un dolore lancinante che cresceva con ogni gemito di Alina, le sbarre di plastica e acciaio che lo comprimivano mentre cercava di indurirsi, un tormento che mi faceva gemere contro di lei, il viso bagnato del suo squirting e della sua piscia. Alina si alzò, guardandomi dall’alto con occhi trionfanti, l’acqua che le scorreva sul corpo come un velo lucente. “Non ti libero… non stasera,” disse, la voce un ringhio di piacere, “il tuo cazzo resta chiuso… ma io continuerò a godere… e tu soffrirai per me.”
Capitolo 8 - La Tortura Continua*
Si chinò su di me, le sue mani che accarezzavano la gabbietta, sfiorando il mio pene intrappolato con una dolcezza crudele che mi faceva tremare. “Guarda come sei eccitato… e non puoi farci niente,” disse, ridendo mentre l’acqua continuava a scorrere, il suo corpo nudo che brillava sotto il getto. “Voglio scoparmi tutta la notte… ma tu resterai lì, con le palle legate e il cazzo in gabbia, a pregarmi di liberarti… e non lo farò.” Le sue parole erano un coltello che affondava nel mio desiderio, un piacere negato che mi torturava mentre lei si godeva ogni istante del suo potere.
Mi tirò il guinzaglio, un altro strattone che mi fece gemere di dolore, e mi ordinò di alzarmi. “Seguimi,” disse, uscendo dalla doccia, l’acqua che gocciolava dal suo corpo mentre io la seguivo, il guinzaglio che tirava i miei testicoli, il pene che pulsava inutilmente nella gabbietta. La guardavo, il suo sedere che oscillava davanti a me, la vagina ancora lucida del suo orgasmo, e il dolore della mia eccitazione frustrata era una tortura grande, un piacere che non potevo afferrare, un tormento che mi faceva desiderare ogni suo tocco, ogni sua punizione.
Epilogo - La Notte del Potere*
Ci sdraiammo sul letto, il guinzaglio ancora teso tra noi, e Alina si accoccolò accanto a me, la sua mano che sfiorava la gabbietta con una carezza leggera. “Questa settimana sarà il mio piacere… e la tua sofferenza,” sussurrò, le sue parole forti e crude che mi colpivano come schiaffi.

Capitolo 5 - La Compassione Crudele*
La notte ci aveva avvolti nel suo abbraccio scuro, le stelle che brillavano oltre le finestre senza tende, un cielo che sembrava riflettere il tumulto dei nostri desideri. Eravamo sdraiati sul letto, nudi e accoccolati l’uno contro l’altra, il calore dei nostri corpi che si intrecciava sotto le lenzuola stropicciate. Alina mi abbracciò forte, il suo seno che premeva contro il mio petto, i capezzoli duri che sfregavano sulla mia pelle mentre le sue braccia mi stringevano con una dolcezza che contrastava con la giornata di punizioni. Il guinzaglio di pelle nera pendeva ancora dai miei testicoli, un peso che mi ricordava il suo controllo, e la gabbietta stringeva il mio pene, un tormento che pulsava con ogni battito del mio cuore.
Mi guardò negli occhi, il suo viso illuminato dalla luce argentata della luna, e un’ombra di compassione le attraversò lo sguardo. “Amore… forse sono stata troppo dura,” sussurrò, la voce morbida ma carica di una sensualità che mi fece tremare. Con una mano scivolò lungo il mio corpo, le dita che sfioravano la pelle sudata fino a raggiungere i testicoli, ancora legati al guinzaglio. “Ti libero… ma solo un po’,” disse, un sorriso malizioso che le curvava le labbra mentre scioglieva il nodo con una lentezza deliberata, il cuoio che si staccava dalla mia carne arrossata, lasciandomi un sollievo misto a un desiderio ancora più bruciante. Il guinzaglio cadde sul letto, ma la gabbietta restò al suo posto, una prigione di plastica e acciaio che continuava a tenere il mio pene intrappolato, duro e dolorante sotto il suo sguardo.
Alina si mosse accanto a me, il suo corpo che si strusciava contro il mio mentre si allungava verso il cassetto del comodino. “Ho troppa voglia di essere riempita,” disse, la voce un sussurro roco che grondava sesso, e tirò fuori il suo vibratore rosa, quello che usava spesso da sola, un fallo di silicone lungo e leggermente curvo, con una superficie liscia che brillava sotto la luce della luna. “Ma tu non puoi… povero amore,” aggiunse, ridendo piano mentre mi accarezzava il viso, un gesto dolce che nascondeva la sua crudeltà sensuale.
Capitolo 6 - La Masturbazione Sensuale*
Si sdraiò sulla schiena, le gambe che si aprivano lente davanti a me, la sua vagina che luccicava di umori, un bagliore che mi ipnotizzava mentre lei faceva scivolare il vibratore tra le sue cosce. “Guardami,” ordinò, e io mi sollevai sui gomiti, gli occhi fissi su di lei, il mio pene che premeva contro la gabbietta, un dolore acuto che cresceva con ogni movimento della mia eccitazione. Alina prese il vibratore con una mano, accendendolo a una vibrazione bassa, un ronzio sommesso che riempì la stanza mentre lo sfiorava contro le grandi labbra, un gemito leggero che le sfuggì dalle labbra mentre lo faceva scivolare dentro, centimetro dopo centimetro, la sua vagina che lo accoglieva con una dolcezza famelica.
“Cazzo… mi piace così tanto,” sussurrò, la voce spezzata dal piacere mentre il vibratore scivolava tutto dentro, riempiendola fino alla base. Si mosse con una sensualità selvaggia, il bacino che si sollevava per spingere il fallo più a fondo, le sue cosce che tremavano mentre lo faceva entrare e uscire, un ritmo lento e profondo che la faceva gemere, “Voglio scoparmi tutta la notte… guardami, amore, guarda quanto mi piace.” I suoi seni ondeggiavano con ogni movimento, i capezzoli duri che spiccavano contro la pelle chiara, e lei mi prese una mano, guidandola sul suo petto. “Succhiamele… leccami i capezzoli mentre mi riempio,” implorò, e io mi chinai su di lei, la bocca che si chiudeva su un capezzolo, succhiandolo con una passione che la fece urlare piano, “Sì… cazzo, succhiami forte!”
La mia lingua danzava sulla sua pelle, accarezzando il capezzolo mentre lo succhiavo, mordicchiandolo appena con i denti, un gesto che la faceva contorcere di piacere sotto di me. Alina accelerò il ritmo del vibratore, spingendolo dentro con forza, la sua vagina che lo stringeva mentre i gemiti si trasformavano in urla leggere, “Mi fa venire… mi piace sentirmi piena… leccami ancora!” Io passai all’altro capezzolo, succhiandolo con una fame disperata, la mia eccitazione che cresceva mentre il mio pene pulsava nella gabbietta, un dolore lancinante che si mescolava a una gioia perversa nel darle piacere, nel vedere il suo corpo tremare sotto la mia bocca.
Capitolo 7 - L’Orgasmo Squirting*
Alina continuava a masturbarsi, il vibratore che scivolava dentro e fuori con un ritmo forsennato, la sua mano libera che pizzicava un capezzolo mentre io succhiavo l’altro, un coro di gemiti che riempiva la stanza. “Sto per venire… cazzo, sto per squirtare,” ansimò, la voce rotta dal piacere, e improvvisamente tirò fuori il vibratore, posandolo sul letto con un gesto rapido. “Metti la bocca davanti alla mia fica… ora,” ordinò, le sue mani che mi spingevano verso il basso, il viso che si avvicinava alla sua vagina lucida e aperta, grondante di umori che colavano sulle lenzuola.
Obbedii, la bocca che si posava sulla sua carne calda, la lingua che sfiorava il clitoride mentre lei si sfregava contro di me, “Leccami… bevi tutto, amore… voglio squirtarti in bocca!” Il suo corpo si tese, le cosce che si stringevano intorno alla mia testa mentre un orgasmo potente la travolgeva, un’esplosione che la fece urlare, “Cazzo… sì… sto venendo… prendilo tutto!” Un fiotto caldo e abbondante schizzò dalla sua vagina, colpendomi la bocca con una forza che mi fece tremare, un liquido dolce e selvaggio che mi riempiva, scivolandomi sulla lingua e sul mento mentre io succhiavo avidamente, bevendo ogni goccia del suo piacere.
Il suo squirting era un torrente, un’esplosione che mi bagnava il viso, il collo, il petto, mentre lei si contorceva sul letto, le mani che mi tiravano i capelli per tenermi fermo, “Sì… bevi la mia fica… cazzo, mi fai morire!” Il suo orgasmo sembrava non finire mai, ogni spasmo che la scuoteva, un altro fiotto che mi colpiva, e io lo accoglievo, la lingua che scivolava dentro di lei per prolungare il suo piacere, il suo sapore che mi mandava in estasi mentre il mio pene pulsava dolorosamente nella gabbietta, un tormento che mi faceva gemere contro la sua carne.
Capitolo 8 - La Tortura del Desiderio*
Ero eccitato oltre ogni limite, il mio pene che premeva contro le sbarre della gabbietta, un dolore acuto che cresceva con ogni battito, la plastica che lo comprimeva mentre cercava inutilmente di indurirsi ancora di più. Alina mi guardò, il viso arrossato dal piacere, gli occhi che brillavano di una soddisfazione crudele. “Guarda come sei… tutto duro e chiuso,” disse, ridendo piano mentre si accarezzava la vagina ancora pulsante, le dita che scivolavano sui suoi umori. “Ti piace leccarmi, vero? Ti piace farmi venire… ma il tuo cazzo resta lì, prigioniero… non ti libero, amore.”
Si sdraiò accanto a me, il suo corpo caldo che si strusciava contro il mio, e mi accarezzò il viso con una dolcezza che contrastava con le sue parole. “Mi fa eccitare da morire saperti così… voglioso e impotente,” sussurrò, la voce un ringhio di desiderio, “posso scoparmi tutta la notte… venire mille volte… e tu starai lì, a guardarmi, a leccarmi, senza poterti toccare.” Il mio pene pulsava nella gabbietta, un dolore che era quasi piacere, una felicità perversa nel darle tutto ciò che voleva, nel vedere il suo corpo tremare sotto la mia lingua, nel bere il suo squirting mentre la mia eccitazione restava intrappolata, un tormento che mi legava a lei ancora di più.
Epilogo - La Notte del Piacere Negato*
Alina si accoccolò contro di me, il suo respiro caldo sul mio collo, le sue mani che sfioravano la gabbietta con una carezza leggera. “Stanotte dormirai così… chiuso e voglioso,” disse, le sue parole forti che mi colpivano come schiaffi, “e domani… domani sarà ancora peggio.” Mi baciò dolcemente, un contrasto con la tortura che mi infliggeva, e io chiusi gli occhi, il corpo tremante di desiderio e dolore, sapendo che il suo piacere sarebbe stato il mio tormento, un gioco che mi avrebbe fatto implorare ogni suo tocco, ogni suo orgasmo, mentre il mio restava negato.

Capitolo 6 - La Mattina del Tormento e del Piacere*
La mattina si insinuò nella stanza come un ladro silenzioso, i primi raggi del sole che filtravano dalle finestre senza tende, accendendo il Tevere di riflessi dorati mentre la città si stiracchiava lenta sotto di noi. Mi svegliai prima del solito, il corpo ancora avvolto dal calore delle lenzuola, ma un dolore acuto mi colpì come un coltello: l’erezione mattutina premeva contro la gabbietta di plastica e acciaio, un tormento che mi fece gemere mentre cercavo di muovermi senza peggiorare la situazione. Ogni pulsazione era una fitta, il mio pene che si tendeva contro le sbarre, un desiderio frustrato che mi faceva sudare freddo. Non riuscivo a resistere: scivolai fuori dal letto, attento a non svegliare Alina, e mi diressi in bagno, il pavimento freddo sotto i piedi nudi mentre aprivo il rubinetto, lasciando che un getto d’acqua gelida mi scorresse sul sesso intrappolato, un sollievo momentaneo che alleviava il dolore ma non spegneva il fuoco che mi bruciava dentro.
Il rumore dell’acqua, però, ruppe il silenzio, e Alina si svegliò. Sentii i suoi passi leggeri sul parquet, un fruscio di lenzuola mentre si avvicinava, e quando tornai a letto, la trovai lì, sdraiata con un sorriso sensuale che le illuminava il viso. “Buongiorno, amore,” disse, la voce un sussurro roco che grondava desiderio, e scostò le lenzuola con le gambe, rivelando il suo corpo nudo, la pelle liscia che brillava sotto la luce del mattino. Con le mani aprì la sua vagina, tenendola spalancata davanti a me, un bagliore di umori che colava già sulle cosce, un invito che mi fece tremare. “Vuoi che ti lasci sfogare?” chiese, le sue parole un’istigazione che mi accendeva, e io annuii, la voce che mi usciva in un gemito strozzato, “Sì, amore… ti supplico.”
“Guardami,” disse, la sua voce carica di sesso, “voglio quel tuo cazzo duro dentro di me… cazzo, mi fai bagnare solo a pensarlo… ti voglio che mi spacchi la fica fino a farmi urlare.” Le sue mani scivolavano sulla vagina, le dita che sfregavano il clitoride con una sensualità selvaggia, un gemito che le sfuggiva mentre si masturbava davanti a me, il suo corpo che si contorceva sotto il mio sguardo. “Mi voglio scopare tutta la mattina… voglio sentirti… ma non ora,” aggiunse, ridendo piano mentre il suo piacere cresceva, un contrasto crudele con la mia frustrazione.
Capitolo 7 - La Punizione Liquida*
Alina si toccava con una furia dolce, le dita che entravano e uscivano dalla sua vagina, ma poi si fermò, un’ombra di insoddisfazione sul viso. “No… non sto venendo bene così,” disse, la voce un lamento sensuale, “devo prima pisciare.” Si alzò dal letto, il suo corpo nudo che si muoveva con una grazia che mi ipnotizzava, e mi prese per i testicoli, tirandoli con una stretta leggera ma decisa. “Vieni con me,” ordinò, e mi condusse in bagno, il pavimento freddo sotto i miei piedi mentre la seguivo, il mio pene che pulsava dolorosamente nella gabbietta.
Entrammo nella stanza da bagno, la luce del mattino che filtrava dalla finestra, e Alina si fermò davanti al piatto della doccia. “Inginocchiati,” disse, la voce un comando che non ammetteva repliche, e io obbedii, posandomi sul pavimento mentre lei si metteva sopra di me, le cosce aperte che incorniciavano il mio viso. Con le mani tenne aperta la sua vagina, la carne rosa e lucida che brillava di umori, e mi guardò con occhi affamati. “Leccami… puliscimi bene prima,” ordinò, e io avvicinai la bocca, la lingua che sfiorava il suo clitoride con una dolcezza che la fece gemere, “Cazzo… sì, leccami la fica… succhiami tutto.”
La mia lingua danzava su di lei, accarezzandola con una passione disperata, succhiando i suoi umori mentre lei si contorceva sopra di me, ma poi alzò il bacino, tenendomi fermo con una mano sul mento. “Apri la bocca… bevi,” disse, e lasciò andare la sua vescica, un flusso caldo e dorato che mi colpì le labbra, un gusto salato e intenso che mi riempiva mentre lei tappava il mio naso con l’altra mano, costringendomi a ingoiare ogni goccia. “Bevi la mia piscia… cazzo, mi eccita da morire fartela bere,” gemette, il suo piacere che cresceva mentre io obbedivo, il calore che mi scivolava in gola, un atto di sottomissione che mi faceva eccitare oltre ogni limite, il mio pene che premeva contro la gabbietta, un dolore acuto che mi strappava gemiti soffocati.
Capitolo 8 - Il Preludio dell’Orgasmo*
Terminata la sua liberazione, Alina si abbassò di nuovo, spingendo la sua vagina sulla mia bocca. “Leccami ancora… puliscimi tutta,” ordinò, e io ripresi, la lingua che scivolava tra le grandi labbra, succhiando il clitoride con una furia che la faceva tremare. “Cazzo… sì, leccami la fica… voglio venire sulla tua lingua,” urlava, le sue mani che mi tiravano i capelli mentre si sfregava contro di me, il suo piacere che montava con ogni colpo della mia lingua. “Puliscimi anche il culo… voglio la mia rosellina bella pulita,” aggiunse, la voce carica di desiderio, e io mi spostai, la lingua che sfiorava il suo ano, un cerchio stretto e morbido che leccai con una dedizione che la fece gemere forte, “Sì… leccami il culo… cazzo, mi fai bagnare tutta!”
Il mio pene pulsava nella gabbietta, un dolore insopportabile che si mescolava a un’eccitazione felice, una gioia perversa nel darle piacere, nel sentire il suo corpo tremare sotto la mia lingua mentre l’acqua della doccia della sera prima era un ricordo lontano. Alina si toccava il clitoride con le dita, masturbandosi mentre io le leccavo il culo e la vagina, un coro di gemiti che riempiva il bagno. “Voglio scoparti con la lingua… cazzo, sto per venire… preparati!” urlò, e io posizionai la bocca davanti alla sua vagina, pronto a ricevere il suo piacere.
Capitolo 9 - L’Orgasmo Squirting*
Il suo corpo si tese, le cosce che si stringevano intorno alla mia testa mentre un orgasmo potente la travolgeva, un’esplosione che la fece urlare, “Cazzo… sì… sto squirtando… bevi tutto!” Un fiotto caldo e abbondante schizzò dalla sua vagina, colpendomi la bocca con una forza che mi fece tremare, un liquido dolce e selvaggio che mi riempiva, scivolandomi sulla lingua e sul viso mentre io succhiavo avidamente, bevendo ogni goccia del suo piacere. “Sì… leccami la fica… succhiami tutto… cazzo, mi fai morire!” gridava, le mani che mi spingevano contro di lei mentre lo squirting continuava, un torrente che mi bagnava il mento, il collo, il petto, un piacere liquido che mi travolgeva mentre lei si contorceva, il suo orgasmo che sembrava infinito.
Ero eccitato oltre ogni limite, il mio pene che premeva contro la gabbietta, un dolore lancinante che cresceva con ogni pulsazione, le sbarre che lo comprimevano mentre cercava di indurirsi ancora di più, un tormento che mi faceva gemere contro la sua carne bagnata. Ma non potevo fare nulla, intrappolato nella prigione che lei aveva imposto, felice di leccarla, di darle piacere, anche se il mio desiderio restava negato.
Capitolo 10 - La Liberazione Parziale*
Alina si alzò, il suo corpo ancora tremante dal piacere, e mi guardò con un sorriso soddisfatto. “Va bene, amore… è ora che arrivi anche tu,” disse, la voce un sussurro sensuale che mi fece accelerare il battito. Mi afferrò per i testicoli, una stretta decisa che mi fece gemere, e mi tirò verso la camera. “Aspettami qui,” ordinò, lasciandomi sul letto mentre usciva dalla stanza, il mio corpo nudo e tremante che pulsava di un’eccitazione dolorosa.
Dopo qualche minuto, rientrò, e il mio cuore si fermò: indossava uno strap-on di generose dimensioni, un fallo nero di silicone, lungo almeno 20 centimetri e spesso, con una vibrazione che ronzava già leggermente mentre lo accarezzava con una mano. Io la guardai, impaurito e timoroso, il mio pene che pulsava nella gabbietta mentre lei si avvicinava con un sorriso crudele. “Ti piace, vero? Ora ti scopo il culo… e ti faccio venire come una troia,” disse, le sue parole forti che mi colpivano come schiaffi, e mi spinse sul letto, mettendomi a 90, le mani e le ginocchia che affondavano nel materasso mentre lei si posizionava dietro di me.
Capitolo 11 - L’Inculata Selvaggia*
Alina lubrificò lo strap-on con una generosa quantità di gel, le sue mani che lo spalmavano lungo il fallo con una sensualità che mi faceva tremare, poi lo puntò contro il mio culo, sfiorandolo con la punta fredda. “Rilassati, amore… ti rompo il culo per bene,” disse, e con un movimento lento ma deciso lo fece scivolare dentro, un’invasione che mi strappò un gemito profondo mentre il mio ano si apriva, un dolore acuto che si mescolava a un piacere strano e intenso. “Cazzo… è grosso,” ansimai, e lei rise, spingendo ancora, centimetro dopo centimetro, fino a che non fu tutto dentro, un pieno che mi faceva sentire spalancato, rotto, posseduto.
Cominciò a muoversi, spinte lente che diventavano sempre più forti, il suo bacino che sbatteva contro le mie natiche con un ritmo che mi scuoteva, “Ti piace, eh? Ti scopo il culo come una puttana… cazzo, mi eccita da morire,” urlava, la voce carica di sesso mentre attivava il vibratore dello strap-on al massimo, un ronzio potente che mi vibrava dentro, un’onda che mi mandava in tilt. Il mio culo era aperto, rotto dal suo fallo, ogni spinta che mi faceva gemere, un misto di dolore e piacere che mi travolgeva mentre il mio pene pulsava nella gabbietta, un dolore insopportabile che cresceva con ogni colpo, la plastica che mi stringeva mentre cercavo di indurirmi, un tormento che mi faceva urlare, “Alina… cazzo… mi fai male… ma mi piace!”
Capitolo 12 - L’Orgasmo Anale*
Alina accelerò, le sue mani che mi afferravano i fianchi, tirandomi verso di lei con una forza selvaggia, il fallo che mi inculava senza sosta, il vibratore che pulsava dentro di me, un piacere profondo che mi scuoteva le viscere. “Ti sto rompendo il culo… cazzo, ti faccio venire così… senza nemmeno toccarti,” ringhiava, la sua voce un comando che mi mandava oltre il confine. Il mio pene era intrappolato, un dolore lancinante che si mescolava a un’ondata di piacere che saliva dal mio culo, un fuoco che non potevo controllare mentre lei mi scopava, ogni spinta che mi portava più vicino all’abisso.
“Sto per venire… cazzo, Alina… mi fai venire!” urlai, e il mio corpo si tese, un orgasmo anale che mi travolse come un’onda, un’esplosione che non avevo mai provato prima. Il mio culo si stringeva intorno allo strap-on, il vibratore che pulsava contro la mia prostata, un piacere che mi scuoteva da dentro, profondo e selvaggio, un’onda che mi faceva tremare mentre schizzi di sperma caldo uscivano dal mio pene, intrappolato nella gabbietta, senza che lo toccassi, un fiotto abbondante che colava sul letto, sul pavimento, mentre io urlavo, “Cazzo… sì… sto sborrando… Alina!” Il dolore della gabbietta era insopportabile, un contrasto con il piacere che mi squarciava, il mio culo rotto dal suo fallo, un orgasmo che mi lasciava senza fiato, il corpo che tremava mentre lei continuava a spingere, prolungando la mia estasi.
“Sì… cazzo, ti ho fatto venire dal culo… sei la mia troia,” urlò Alina, ridendo mentre rallentava, il vibratore ancora acceso che mi scuoteva, un piacere che mi mandava in tilt mentre il mio sperma continuava a colare, un orgasmo che sembrava non finire mai, ogni spasmo che mi faceva gemere, il dolore del pene intrappolato che si mescolava alla gioia di essere suo, di darle tutto anche così. Lei si fermò, tirando fuori lo strap-on con una lentezza crudele, il mio culo che pulsava ancora mentre io collassavo sul letto, il corpo tremante, il respiro spezzato.
Capitolo 13 - La Liberazione Parziale*
Alina si sdraiò accanto a me, il suo corpo nudo che brillava di sudore, e mi guardò con un sorriso soddisfatto. “Sei stato bravo,” disse, la voce morbida ma carica di autorità, e con una mano prese la chiave della gabbietta dal comodino. “È ora che ti libero… ma non troppo.” Mi sciolse dalla gabbietta, le sue dita che slacciavano il lucchetto con una dolcezza che contrastava con la tortura appena inflitta, e il mio pene si liberò, duro e pulsante, un sollievo che mi fece gemere mentre il sangue tornava a scorrere libero. Ma prima che potessi toccarmi, lei mi afferrò il polso, stringendolo forte. “Non ti toccare… capito? È mio, e decido io quando puoi godere,” ordinò, la voce un ringhio sensuale che mi fece tremare.
Ci alzammo, e dopo una colazione veloce—il caffè stavolta dolce come voleva lei—Alina si preparò per uscire, infilandosi una gonna corta e una camicia leggera, i capezzoli che spuntavano sotto il tessuto. Prima di andare, mi porse una nuova lista di cose da fare per la giornata, la sua mano che mi sfiorava il viso con una carezza. “Non fare il monello oggi… o stasera sarà peggio,” disse, un sorriso malizioso che prometteva nuove torture mentre usciva, lasciandomi lì, nudo e desideroso, il mio pene libero ma intoccabile, un trofeo del suo potere.
Epilogo - La Promessa del Giorno*
Mi sdraiai sul letto, il corpo ancora tremante dall’orgasmo anale, il sapore della sua vagina e della sua piscia che mi danzava sulla lingua, un misto di dolore e piacere che mi legava a lei. La lista delle commissioni era sul comodino, ma il mio pensiero era fisso su Alina, sul suo strap-on, sul suo controllo, sapendo che ogni giorno di questa settimana sarebbe stato un viaggio di passione e tormento, un gioco che mi avrebbe fatto desiderare ogni suo tocco, ogni sua punizione. Ma come sono andati gli altri giorni non sarà oggetto di racconto è giusto che restino privati.

scritto il
2025-03-06
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