Greg Barison e l'Odore del Piacere. cap.4
di
Joe Cabot
genere
trio
NELLE PUNTATE PRECEDENTI Greg Barison, oltretutto alle prese con la nuova segretaria Giulia, è incaricato da Antonella Librandis di indagare sui tradimenti del marito, Giorgio, con tale Sonia Orici. Poco dopo scopre, con suo sommo stupore, che la sua cliente e questa Sonia Orici sono amanti. Barison allora interroga la Librandis e lei confessa che la Orici, oltr che ex compagna di appartamento era anche la sua amante ai tempi dell'università. Ma non solo, perchè era stata lei a farle conoscere Giorgio Librandis...
Cap. 4
Che la signora Librandis fosse un tipo particolare l’avevo già intuito vedendola mangiare la fica a Sonia Orici per ingannare il tempo in attesa dell’arrivo della figlioletta da scuola. Tuttavia il racconto delle sue prime esperienze sessuali mi aveva lasciato piuttosto interdetto. Non tanto per i particolari intrecci sessuali, sia chiaro. Dopo i primi tempi, a fare questo mestiere, si finisce per non stupirsi più di nulla. Il fatto è che dopo due ore di racconto, annusavo ancora odore di mezza verità: la signora non mi aveva detto tutto. Così ho girato un po’ con la macchina fino ad incappare nell'insegna di questo bar. E mi ci sono fermato per finire appollaiato al bancone a bere white russian senza ghiaccio (sono convinto che con la scusa del ghiaccio, risparmiano in vodka) e a ripensare al racconto della mia cliente.
Sonia Orici aveva dunque iniziato ai piaceri saffici la giovane Antonella ma, sebbene sinceramente innamorata di lei, continuava a non disdegnare di tanto in tanto i piaceri che poteva darle un bel pezzo di carne ben irrobustita da un rigoglioso afflusso di vigoroso sangue (secondo il processo pneumatico comunemente chiamato “erezione”). Dopo aver tentato di convincere Antonella delle sue ragioni, si era rassegnata ad uscire da sola, di tanto in tanto, tornando tardi o non tornando affatto. Antonella passò certe penose serate in sua attesa finché si rese conto che se non voleva perdere la sua amante, doveva seguirla anche in quella avventura.
Finalmente accennò a Sonia che era disponibile a provare e lei gli disse che conosceva l’uomo che faceva per loro. Una sera si misero in tiro e si avviarono verso il ristorante in cui avrebbero cenato assieme all’amico di Sonia. Per strada, camminando mano nella mano, oppure al braccio rassicurante di Sonia, Antonella si era accorta di quanto gli uomini restassero turbati dal vederle passare, quasi indovinassero tutto il programma della serata. Giorgio si era presentato porgendo una rosa rossa ad ognuna, e si era rivelato una persona cortese e amabile, oltre che un bell’uomo. Alla fine, anche la timida Antonella si era divertita e, quando Sonia propose un salto in discoteca, si era accorta di essere un po’ brilla.
In discoteca si erano sciolti di molto. Nella pista affollata si era buttata addosso a Sonia senza starci troppo a pensare, eccitata tanto dalla presenza di tutti quei corpi attorno a lei che si strusciavano come in un’unica grande orgia simulata, quanto dal fatto che tra poche luci e molta gente, si sentiva riparata e nascosta. Giò, così si faceva chiamare allora il futuro signor Librandis, si era unito a loro senza quasi che lei se ne accorgesse e si era trovata a flirtare con lui in mezzo alla pista in un modo che non si sarebbe mai aspettata. Sonia le aveva sussurrato in un orecchio che quella sera era una “gran figa” e a lei piaceva tantissimo essere chiamata a quel modo tanto più che si sentiva davvero “figa” quella sera, e pronta a tutto. Alla fine si era ritrovata la lingua di Giorgio in bocca, le sue mani sul sedere e aveva sentito il suo cazzo duro premere contro il suo inguine nonostante i pantaloni. Quando si era aperta la porta dell’ascensore ed erano scesi al piano dell’appartamento dell’uomo, lui si era staccato da lei per cercare le chiavi e solo allora lei si era resa conto di essere venuta lì in taxi senza mai smettere di baciarlo e stringerlo a sé. Ma mentre lui armeggiava le chiavi fu Sonia ad appiccicarglisi addosso. “Sono eccitatissima”, le disse Sonia, e lei non seppe che risponderle.
Arrivarono in camera da letto in un turbine. Lei e Sonia si spogliarono con lunghi baci, riempiendosi l’una le mani delle curve dell’altra. Sonia la svestì completamente e solo allora Giorgio, che aveva fatto altrettanto in disparte, si era avvicinato con il membro già bello eretto. Le due ragazze si sedettero sul bordo del letto e Sonia le sorrise, mise una mano alla base del bel cazzo che aveva davanti, e poi se lo portò alla bocca. “Prova tu ora” le disse dopo un po’. Antonella aveva aperto la sua bocca e si era messa a succhiare meglio che poteva, sentendo i gemiti di piacere di Giorgio, mentre Sonia le aveva messo una mano fra le cosce iniziando a masturbarla. “Ora basta,” le disse Sonia, “altrimenti lo farai venire così”.
Ad Antonella non sarebbe dispiaciuto ma i suoi due amanti volevano altro da lei quella sera. Sonia la fece stendere sul letto e si accovacciò tra le sue gambe per un’ultima leccata. Quindi le si distese al fianco, tenendole una mano. A quel punto aveva sentito il corpo vigoroso di Giorgio che la copriva, e di nuovo la sua bocca che la baciava. Sonia gli condusse il membro tra le labbra della sua vagina, lui spinse piano e, senza quasi accorgersene, la sua verginità era uno stupido ricordo. Lui la prese con delicatezza, lasciando alla sua fica il tempo di adattarsi a quel nuovo corpo che si faceva strada dentro di lei, e solo lentamente iniziò ad incalzarla, facendole un po’ male verso la fine, ma subito dopo si era tolto per inondarle il ventre di sperma.
Giorgio rotolò pancia all’aria su un fianco e lei rimase a guardare il soffitto. Poi vide che Sonia le era accanto, distesa languidamente su un fianco, con il busto sorretto da un gomito.
“Ti brucia?” le chiese apprensiva. “Solo un po’” rispose. Sonia le disse che era normale, poi le posò una mano sulla coscia, risalì accarezzandole il pube, le toccò con le dita le ondate di sperma che le ornavano il ventre e con esso le disegnò delle strade curve fin sui capezzoli, e poi dei cerchi tutto attorno. Quindi le fece sentire l’odore dello sperma e le disse che quello era l’odore del piacere maschile.
– E poi? – le avevo chiesto dondolando sulla sedia dell’ufficio.
E poi tra loro era finito tutto. Giorgio e Antonella avevano finito per innamorarsi e alcuni anni dopo si erano sposati. Sonia Orici era lentamente uscita dalla loro vita, tanto più che Antonella si era trasferita nell’appartamento di lui.
– Ma ora lei è tornata per riprenderselo – mi aveva detto con angoscia rinnovata – lei dice che è tornata per me. Ma so che si vedono di nascosto, lo sento.
E questo era stato tutto il suo racconto. O meglio: era tutto quanto mi aveva raccontato. Perché io non le credo e chiedo consiglio ad un altro white russian.
– Un white russian. Senza ghiaccio.
Ordino senza nemmeno alzare la testa ma dalle mani capisco che l’oste è cambiato. Belle mani, attaccate a belle braccia, tenute lontano da due bei seni. Seni di ragazza di colore.
– Ehi, ma tu non sei quello brutto di prima? – le faccio.
– Però!, la sai lunga tu! – mi sfotte la tipa ridacchiando.
“Ok, non è giornata”, penso. “Finisco questo e me ne vado”. Poi sento uno che grida incazzato e isterico.
– SENTI BRUTTA ZOCCOLA NEGRA! Ti avevo detto di asciugare i cucchiaini o di metterli via alla cazzo come saltan fuori dalla lavastoviglie?
Ogni barista ha le sue paranoie. C’è chi riutilizza le cannucce, chi gli stuzzicadenti. C’è chi non dorme se questa settimana non ha lucidato le coppe vinte al torneo dei bar e chi è capace di ucciderti se non usi un sottobicchiere. Questo sta facendo il culo alla cameriera perché non ha asciugato i suoi cazzo di cucchiaini.
– È pieno di gente, non ne ho avuto il tempo.
– NO! È che stai a fare la ZOCCOLA con i clienti e non COMBINI UN CAZZO!
Forse la scena avrebbe anche potuto divertirmi ma quando lo vedo alzare la mano ho come un riflesso incondizionato. Lui è di spalle dietro il bancone e sta per colpirla, io allungo la mano e gli blocco il polso.
– Checcazz! – il tizio mi guarda furioso e sorpreso. Mi accorgo che ha la faccia da maiale. Ho già visto quella espressione in altre circostanze, e non c’è da ragionarci. Inizio a torcergli il polso e l’oste inizia a urlare in proporzione. L’altro cameriere mi si avvicina da sinistra e mi urla di lasciarlo. Poi cerca di colpirmi al fianco ma per fortuna trova il mio gomito. Fa male anche quello ma almeno non toglie il respiro. Allora mi volto verso di lui, lo guardo, gli rifilo una testata. Lo vedo allontanarsi barcollando con molto sangue che gli esce dal naso rotto. Quindi finisco di torcere il braccio dell’oste e con l’altra mano lo colpisco di taglio dal basso verso l’alto, proprio sotto la spalla, o sopra l’ascella. Ora ha sempre la bocca aperta ma il grosso delle grida gli è già uscito. Emette un grido secco, non si è mai lussato una spalla e lo shock non gli fa identificare il dolore disarticolato. La cameriera ne approfitta per pigliare al volo la borsetta e un maglioncino da sotto la cassa. Mentre lei aggira il bancone mi infilo la mano in tasca, vuoto il bicchiere e mi volto per controllare la situazione. Il cameriere con il naso rotto è sostenuto da due tizi con la faccia di due che non mi lasceranno uscire gratis dal locale. Guardo la cameriera intimorita. Per raggiungere la porta deve passare tra me i due tipi che reggono il cameriere dal naso rotto.
– Sei in macchina?
Lei fa cenno di no. Dalla tasca estraggo le chiavi della Fiesta e gliele lancio, faccio un passo in avanti e lei si fionda fuori passandomi alle spalle. Subito riesco ad intercettare un diretto con lo zigomo e vado a finire contro al bancone. Il campione mi si avvicina ancora e ci riprova. Stavolta mi manca e, sbilanciato, va a finire addosso al mio ginocchio alzato all’improvviso verso il suo sterno. Piegato in due non può proteggersi dal pugno che gli cala dietro l’orecchio mandandolo a mordere il pavimento, svenuto.
L’altro mi guarda furioso, devo aver sistemato il suo amichetto di body building. Io gli mostro un dito indice imperioso come se chiedessi la parola per dirgli qualcosa di importante. Mi viene solo in mente di spiegargli che chi si costruisce in palestra muscoli particolarmente gonfi non riesce poi a stendere le braccia abbastanza da dare pugni decenti, ma il ragionamento è troppo lungo e tutto sommato opinabile e intanto l’incantesimo finisce. Lui avanza e io non trovo di meglio che tirare un calcio ad uno sgabello caduto a terra davanti a me che va a schiantarsi sul suo ginocchio. Non gli fa granché ma mi dà il tempo di buttarmi fuori dal locale, dove lei, bontà sua, mi aspetta con il motore acceso e la portiera aperta. Parte come una scheggia, motore di Ford permettendo, e poi bestemmia.
– Figlio di puttana! – mi fa, – ti rendi conto che mi hai fatto licenziare?-
Io non rispondo. Lucette bianche e blu mi si accendono dentro agli occhi.
Mi sveglio disteso su un letto. Non ho idea di chi e dove sia quel letto. Ma profuma di pulito, quindi è di una donna. Ho mal di testa. Tanto mal di testa. E un po’ di tagli in bocca, dove i denti sono entrati nella carne grazie all’eroe del bar. Mi tocco uno zigomo e c’è ancora. Bene. Mi è capitato di peggio, quindi anche questa è andata. Arriverò a domani. Forse.
– Oh. Ti sei svegliato?
Mi tiro su a sedere e la guardo. Si è fatta la doccia e ora gira in un morbido accappatoio. Ha una voce cordiale, un forte accento locale. È una dritta e l’ha dimostrato. Forse davvero se la sarebbe cavata da sola.
– Oh. Io mi chiamo Cinzia. E scusa per prima, ero agitata. Sei stato carino ad aiutarmi. È che esco da un periodaccio e quel lavoro mi serviva. E poi se lasci un lavoro a quel modo, sei fottuta, non ti cerca più nessuno. E qua finisce che devo tornare a battere– e ride.
– È per quello che ti chiamava zoccola, quel maiale?
– Bah, può darsi. Che se lo fotta il diavolo a quello.
Mi alzo dal letto e mi avvicino, le porgo la mano.
– Io mi chiamo Greg.
– Certo, Gregorio Barisòn – mette l’accento alla veneta, sulla “o” come mio padre e tutti gli altri prima di lui. – L’ho letto sul tuo tesserino. – E ride.
– Non mi piace che mi frughino nei vestiti- mi avvicino ancora di più.
– Permetterai che controlli prima di portarmi in casa uno sconosciuto! – mi fa con i pugni puntati ai fianchi. Io allungo una mano, prendo un capo della corda di panno che le chiude l’accappatoio. Il nodo si scioglie, l’accappatoio si apre. Lei mi guarda divertita mentre ne studio le nudità (stupende, tra l’altro).
– Ti vado bene? – mi dice.
– Ne ho viste altre di queste – faccio allungando una mano sul suo colle.
– Questa però vedrai che ti lascerà un bel ricordo di sé.
– Non ne dubito.
Ci baciamo senza fretta. Ha i capelli appena lavati. Profuma di buono senza usare saponi con troppa chimica addosso.
– E dimmi – le sussurro, – hai frugato solo la giacca o hai controllato tutte le mie credenziali….
– No. Ho lasciato qualche sorpresa per dopo.
È strano trovare della tenerezza nel bar di un posto che non saprei nemmeno ritrovare. Ci baciamo con metodo, studiandoci piano, evitando di dare pretesti al mio mal di testa. Lei mi spoglia con delicatezza, mi lascia adagiare sul letto e poi mi sale a cavalcioni. Si guida dentro la bestia con mosse sapienti del bacino, poi mi carezza. Si mette dritta e mi guarda con il suo sguardo sereno, con i suoi occhi nocciola allungati e placidi, mi prende dentro fino in fondo e poi si abbassa offrendo i suoi seni alle mie labbra, oppure mi bacia e si porta le mie mani con le sue sulla schiena, sul sedere. Le piace essere accarezzata, ma piano. Le piace essere lasciata libera di muoversi e lo fa bene, trovando curvature davvero interessanti con cui spremere la bestia. Si china e sussurra nell’orecchio:
– Vieni pure, stasera hai già fatto abbastanza per me.
E allora io vengo, piano, senza grossi sussulti, coerentemente. Lei si abbandona su di me, mi posa la testa sul petto. È così che mi addormento.
CONTINUA...
Cap. 4
Che la signora Librandis fosse un tipo particolare l’avevo già intuito vedendola mangiare la fica a Sonia Orici per ingannare il tempo in attesa dell’arrivo della figlioletta da scuola. Tuttavia il racconto delle sue prime esperienze sessuali mi aveva lasciato piuttosto interdetto. Non tanto per i particolari intrecci sessuali, sia chiaro. Dopo i primi tempi, a fare questo mestiere, si finisce per non stupirsi più di nulla. Il fatto è che dopo due ore di racconto, annusavo ancora odore di mezza verità: la signora non mi aveva detto tutto. Così ho girato un po’ con la macchina fino ad incappare nell'insegna di questo bar. E mi ci sono fermato per finire appollaiato al bancone a bere white russian senza ghiaccio (sono convinto che con la scusa del ghiaccio, risparmiano in vodka) e a ripensare al racconto della mia cliente.
Sonia Orici aveva dunque iniziato ai piaceri saffici la giovane Antonella ma, sebbene sinceramente innamorata di lei, continuava a non disdegnare di tanto in tanto i piaceri che poteva darle un bel pezzo di carne ben irrobustita da un rigoglioso afflusso di vigoroso sangue (secondo il processo pneumatico comunemente chiamato “erezione”). Dopo aver tentato di convincere Antonella delle sue ragioni, si era rassegnata ad uscire da sola, di tanto in tanto, tornando tardi o non tornando affatto. Antonella passò certe penose serate in sua attesa finché si rese conto che se non voleva perdere la sua amante, doveva seguirla anche in quella avventura.
Finalmente accennò a Sonia che era disponibile a provare e lei gli disse che conosceva l’uomo che faceva per loro. Una sera si misero in tiro e si avviarono verso il ristorante in cui avrebbero cenato assieme all’amico di Sonia. Per strada, camminando mano nella mano, oppure al braccio rassicurante di Sonia, Antonella si era accorta di quanto gli uomini restassero turbati dal vederle passare, quasi indovinassero tutto il programma della serata. Giorgio si era presentato porgendo una rosa rossa ad ognuna, e si era rivelato una persona cortese e amabile, oltre che un bell’uomo. Alla fine, anche la timida Antonella si era divertita e, quando Sonia propose un salto in discoteca, si era accorta di essere un po’ brilla.
In discoteca si erano sciolti di molto. Nella pista affollata si era buttata addosso a Sonia senza starci troppo a pensare, eccitata tanto dalla presenza di tutti quei corpi attorno a lei che si strusciavano come in un’unica grande orgia simulata, quanto dal fatto che tra poche luci e molta gente, si sentiva riparata e nascosta. Giò, così si faceva chiamare allora il futuro signor Librandis, si era unito a loro senza quasi che lei se ne accorgesse e si era trovata a flirtare con lui in mezzo alla pista in un modo che non si sarebbe mai aspettata. Sonia le aveva sussurrato in un orecchio che quella sera era una “gran figa” e a lei piaceva tantissimo essere chiamata a quel modo tanto più che si sentiva davvero “figa” quella sera, e pronta a tutto. Alla fine si era ritrovata la lingua di Giorgio in bocca, le sue mani sul sedere e aveva sentito il suo cazzo duro premere contro il suo inguine nonostante i pantaloni. Quando si era aperta la porta dell’ascensore ed erano scesi al piano dell’appartamento dell’uomo, lui si era staccato da lei per cercare le chiavi e solo allora lei si era resa conto di essere venuta lì in taxi senza mai smettere di baciarlo e stringerlo a sé. Ma mentre lui armeggiava le chiavi fu Sonia ad appiccicarglisi addosso. “Sono eccitatissima”, le disse Sonia, e lei non seppe che risponderle.
Arrivarono in camera da letto in un turbine. Lei e Sonia si spogliarono con lunghi baci, riempiendosi l’una le mani delle curve dell’altra. Sonia la svestì completamente e solo allora Giorgio, che aveva fatto altrettanto in disparte, si era avvicinato con il membro già bello eretto. Le due ragazze si sedettero sul bordo del letto e Sonia le sorrise, mise una mano alla base del bel cazzo che aveva davanti, e poi se lo portò alla bocca. “Prova tu ora” le disse dopo un po’. Antonella aveva aperto la sua bocca e si era messa a succhiare meglio che poteva, sentendo i gemiti di piacere di Giorgio, mentre Sonia le aveva messo una mano fra le cosce iniziando a masturbarla. “Ora basta,” le disse Sonia, “altrimenti lo farai venire così”.
Ad Antonella non sarebbe dispiaciuto ma i suoi due amanti volevano altro da lei quella sera. Sonia la fece stendere sul letto e si accovacciò tra le sue gambe per un’ultima leccata. Quindi le si distese al fianco, tenendole una mano. A quel punto aveva sentito il corpo vigoroso di Giorgio che la copriva, e di nuovo la sua bocca che la baciava. Sonia gli condusse il membro tra le labbra della sua vagina, lui spinse piano e, senza quasi accorgersene, la sua verginità era uno stupido ricordo. Lui la prese con delicatezza, lasciando alla sua fica il tempo di adattarsi a quel nuovo corpo che si faceva strada dentro di lei, e solo lentamente iniziò ad incalzarla, facendole un po’ male verso la fine, ma subito dopo si era tolto per inondarle il ventre di sperma.
Giorgio rotolò pancia all’aria su un fianco e lei rimase a guardare il soffitto. Poi vide che Sonia le era accanto, distesa languidamente su un fianco, con il busto sorretto da un gomito.
“Ti brucia?” le chiese apprensiva. “Solo un po’” rispose. Sonia le disse che era normale, poi le posò una mano sulla coscia, risalì accarezzandole il pube, le toccò con le dita le ondate di sperma che le ornavano il ventre e con esso le disegnò delle strade curve fin sui capezzoli, e poi dei cerchi tutto attorno. Quindi le fece sentire l’odore dello sperma e le disse che quello era l’odore del piacere maschile.
– E poi? – le avevo chiesto dondolando sulla sedia dell’ufficio.
E poi tra loro era finito tutto. Giorgio e Antonella avevano finito per innamorarsi e alcuni anni dopo si erano sposati. Sonia Orici era lentamente uscita dalla loro vita, tanto più che Antonella si era trasferita nell’appartamento di lui.
– Ma ora lei è tornata per riprenderselo – mi aveva detto con angoscia rinnovata – lei dice che è tornata per me. Ma so che si vedono di nascosto, lo sento.
E questo era stato tutto il suo racconto. O meglio: era tutto quanto mi aveva raccontato. Perché io non le credo e chiedo consiglio ad un altro white russian.
– Un white russian. Senza ghiaccio.
Ordino senza nemmeno alzare la testa ma dalle mani capisco che l’oste è cambiato. Belle mani, attaccate a belle braccia, tenute lontano da due bei seni. Seni di ragazza di colore.
– Ehi, ma tu non sei quello brutto di prima? – le faccio.
– Però!, la sai lunga tu! – mi sfotte la tipa ridacchiando.
“Ok, non è giornata”, penso. “Finisco questo e me ne vado”. Poi sento uno che grida incazzato e isterico.
– SENTI BRUTTA ZOCCOLA NEGRA! Ti avevo detto di asciugare i cucchiaini o di metterli via alla cazzo come saltan fuori dalla lavastoviglie?
Ogni barista ha le sue paranoie. C’è chi riutilizza le cannucce, chi gli stuzzicadenti. C’è chi non dorme se questa settimana non ha lucidato le coppe vinte al torneo dei bar e chi è capace di ucciderti se non usi un sottobicchiere. Questo sta facendo il culo alla cameriera perché non ha asciugato i suoi cazzo di cucchiaini.
– È pieno di gente, non ne ho avuto il tempo.
– NO! È che stai a fare la ZOCCOLA con i clienti e non COMBINI UN CAZZO!
Forse la scena avrebbe anche potuto divertirmi ma quando lo vedo alzare la mano ho come un riflesso incondizionato. Lui è di spalle dietro il bancone e sta per colpirla, io allungo la mano e gli blocco il polso.
– Checcazz! – il tizio mi guarda furioso e sorpreso. Mi accorgo che ha la faccia da maiale. Ho già visto quella espressione in altre circostanze, e non c’è da ragionarci. Inizio a torcergli il polso e l’oste inizia a urlare in proporzione. L’altro cameriere mi si avvicina da sinistra e mi urla di lasciarlo. Poi cerca di colpirmi al fianco ma per fortuna trova il mio gomito. Fa male anche quello ma almeno non toglie il respiro. Allora mi volto verso di lui, lo guardo, gli rifilo una testata. Lo vedo allontanarsi barcollando con molto sangue che gli esce dal naso rotto. Quindi finisco di torcere il braccio dell’oste e con l’altra mano lo colpisco di taglio dal basso verso l’alto, proprio sotto la spalla, o sopra l’ascella. Ora ha sempre la bocca aperta ma il grosso delle grida gli è già uscito. Emette un grido secco, non si è mai lussato una spalla e lo shock non gli fa identificare il dolore disarticolato. La cameriera ne approfitta per pigliare al volo la borsetta e un maglioncino da sotto la cassa. Mentre lei aggira il bancone mi infilo la mano in tasca, vuoto il bicchiere e mi volto per controllare la situazione. Il cameriere con il naso rotto è sostenuto da due tizi con la faccia di due che non mi lasceranno uscire gratis dal locale. Guardo la cameriera intimorita. Per raggiungere la porta deve passare tra me i due tipi che reggono il cameriere dal naso rotto.
– Sei in macchina?
Lei fa cenno di no. Dalla tasca estraggo le chiavi della Fiesta e gliele lancio, faccio un passo in avanti e lei si fionda fuori passandomi alle spalle. Subito riesco ad intercettare un diretto con lo zigomo e vado a finire contro al bancone. Il campione mi si avvicina ancora e ci riprova. Stavolta mi manca e, sbilanciato, va a finire addosso al mio ginocchio alzato all’improvviso verso il suo sterno. Piegato in due non può proteggersi dal pugno che gli cala dietro l’orecchio mandandolo a mordere il pavimento, svenuto.
L’altro mi guarda furioso, devo aver sistemato il suo amichetto di body building. Io gli mostro un dito indice imperioso come se chiedessi la parola per dirgli qualcosa di importante. Mi viene solo in mente di spiegargli che chi si costruisce in palestra muscoli particolarmente gonfi non riesce poi a stendere le braccia abbastanza da dare pugni decenti, ma il ragionamento è troppo lungo e tutto sommato opinabile e intanto l’incantesimo finisce. Lui avanza e io non trovo di meglio che tirare un calcio ad uno sgabello caduto a terra davanti a me che va a schiantarsi sul suo ginocchio. Non gli fa granché ma mi dà il tempo di buttarmi fuori dal locale, dove lei, bontà sua, mi aspetta con il motore acceso e la portiera aperta. Parte come una scheggia, motore di Ford permettendo, e poi bestemmia.
– Figlio di puttana! – mi fa, – ti rendi conto che mi hai fatto licenziare?-
Io non rispondo. Lucette bianche e blu mi si accendono dentro agli occhi.
Mi sveglio disteso su un letto. Non ho idea di chi e dove sia quel letto. Ma profuma di pulito, quindi è di una donna. Ho mal di testa. Tanto mal di testa. E un po’ di tagli in bocca, dove i denti sono entrati nella carne grazie all’eroe del bar. Mi tocco uno zigomo e c’è ancora. Bene. Mi è capitato di peggio, quindi anche questa è andata. Arriverò a domani. Forse.
– Oh. Ti sei svegliato?
Mi tiro su a sedere e la guardo. Si è fatta la doccia e ora gira in un morbido accappatoio. Ha una voce cordiale, un forte accento locale. È una dritta e l’ha dimostrato. Forse davvero se la sarebbe cavata da sola.
– Oh. Io mi chiamo Cinzia. E scusa per prima, ero agitata. Sei stato carino ad aiutarmi. È che esco da un periodaccio e quel lavoro mi serviva. E poi se lasci un lavoro a quel modo, sei fottuta, non ti cerca più nessuno. E qua finisce che devo tornare a battere– e ride.
– È per quello che ti chiamava zoccola, quel maiale?
– Bah, può darsi. Che se lo fotta il diavolo a quello.
Mi alzo dal letto e mi avvicino, le porgo la mano.
– Io mi chiamo Greg.
– Certo, Gregorio Barisòn – mette l’accento alla veneta, sulla “o” come mio padre e tutti gli altri prima di lui. – L’ho letto sul tuo tesserino. – E ride.
– Non mi piace che mi frughino nei vestiti- mi avvicino ancora di più.
– Permetterai che controlli prima di portarmi in casa uno sconosciuto! – mi fa con i pugni puntati ai fianchi. Io allungo una mano, prendo un capo della corda di panno che le chiude l’accappatoio. Il nodo si scioglie, l’accappatoio si apre. Lei mi guarda divertita mentre ne studio le nudità (stupende, tra l’altro).
– Ti vado bene? – mi dice.
– Ne ho viste altre di queste – faccio allungando una mano sul suo colle.
– Questa però vedrai che ti lascerà un bel ricordo di sé.
– Non ne dubito.
Ci baciamo senza fretta. Ha i capelli appena lavati. Profuma di buono senza usare saponi con troppa chimica addosso.
– E dimmi – le sussurro, – hai frugato solo la giacca o hai controllato tutte le mie credenziali….
– No. Ho lasciato qualche sorpresa per dopo.
È strano trovare della tenerezza nel bar di un posto che non saprei nemmeno ritrovare. Ci baciamo con metodo, studiandoci piano, evitando di dare pretesti al mio mal di testa. Lei mi spoglia con delicatezza, mi lascia adagiare sul letto e poi mi sale a cavalcioni. Si guida dentro la bestia con mosse sapienti del bacino, poi mi carezza. Si mette dritta e mi guarda con il suo sguardo sereno, con i suoi occhi nocciola allungati e placidi, mi prende dentro fino in fondo e poi si abbassa offrendo i suoi seni alle mie labbra, oppure mi bacia e si porta le mie mani con le sue sulla schiena, sul sedere. Le piace essere accarezzata, ma piano. Le piace essere lasciata libera di muoversi e lo fa bene, trovando curvature davvero interessanti con cui spremere la bestia. Si china e sussurra nell’orecchio:
– Vieni pure, stasera hai già fatto abbastanza per me.
E allora io vengo, piano, senza grossi sussulti, coerentemente. Lei si abbandona su di me, mi posa la testa sul petto. È così che mi addormento.
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