Una signora perbene
di
fabrizio
genere
dominazione
Quando finalmente la ribaltai sulla pancia, fu chiaro ad entrambi che l’ultimo diaframma della sua rispettabilità era in procinto di cadere.
Osservai con compassione quel corpo prono davanti a me: i capelli arruffati, le gote paonazze per l’asfissia cui l’avevo costretta, utilizzando il filo di perle come cavezza. I seni pesanti erano sgusciati dal reggiseno e giacevano appiattiti ai lati del corpo come molli meringhe, a destra la larga areola contornava un capezzolo violaceo puntato sul lenzuolo. La gonna era sollevata e stropicciata in vita. Una calza color carne era smagliata e arrotolata al ginocchio, l’altra ancora inspiegabilmente appesa ad una delle giarrettiere del reggicalze. Da ultimo, un particolare per il tutto, la casta mutanda di cotone bianco si attorcigliava alla caviglia.
Di tutta l’altezzosità che mi aveva riservato quando, incontrandola, avevo deciso che sarebbe stata mia, non ne era rimasto nulla. Solo macerie, che mi apprestavo a togliere di mezzo per sempre.
Come rabdomante avevo percepito la corrente sotterranea di pulsione repressa, prima la separazione, poi l’accudimento dei figli e poi quella dei genitori, anni durante i quali quel corpo matronale non era stato accarezzato da alcuna mano, nè arato da alcuna verga e si era irrigidito nell’astinenza, forse saltuariamente interrotta dal solitario toccarsi. E come un medico pietoso mi ero assunto il compito di incidere senza pietà quel bubbone e farlo spurgare, risanandolo e riportandolo al piacere, ed ora ero li, a curare e godere di quella rinascente vitalità.
Mi inginocchiai fra le cosce generose e le allargai le natiche, esponendo lo sfintere più osceno ed inviolabile. In un soprassalto di pudicizia fece scivolare la mano sotto il corpo, e con le dita grassocce divaricò le labbra del sesso ancora umide della mia saliva, offrendomele in dono nel tentativo di deviare la mia attenzione.
Declinai cortesemente l’offerta, e la sua mano si rassegnò alla solitaria piacevolezza in attesa dell’inevitabile; umettai la rima ed appoggia il glande sulla soglia vergine. Respirai a fondo e con fredda determinazione la penetrai senza esitazione fino al fondo.
Urlò come un demonio esorcizzato, e sgroppò selvaggiamente cercando di sottrarsi alla mia penetrazione; ma non mi lasciai sfilare e cominciai a montarla soverchiando con il mio vigore i suoi tentativi di sottrarsi.
Poco alla volta le mie spinte la dilatarono a sufficienza per permettere al piacere di irrorare quel corpo maestoso e di avventurarsi fra le sue viscere inesplorate, ed accompagnandosi con il suo accarezzarsi in breve tempo gridò il suo orgasmo.
Mi staccai, mi portai davanti a lei e afferrandandola per lo scalpo le sollevai il viso; ancora una volta mi tentò, offrendomi le labbra protese e la bocca dischiusa; ma decisi di spingerla ancora un passo avanti in quella degradante rinascita, così mi afferrai il pene, mi masturbai e schizzai il mio piacere sul suo volto, bagnandole gli occhi, il naso, la bocca.
Finita l’estasi, e ripulitole il volto con teneri baci, ci assopimmo distesi; mi risvegliai quando, non ancora sazia, inginocchiata sulla mie gambe stava accogliendo con gli occhi chiusi il sesso teso fra le sue labbra, accarezzandone il glande con leggeri colpi di lingua. Non visto, la osservai un attimo, e vidi la piacevolezza che tornando a scorrere nel.suo corpo la stava portando a procurarsi il piacere della libera dedizione. Richiusi gli occhi e ascoltai i gemiti della sua liberazione mescolarsi ai miei.
Osservai con compassione quel corpo prono davanti a me: i capelli arruffati, le gote paonazze per l’asfissia cui l’avevo costretta, utilizzando il filo di perle come cavezza. I seni pesanti erano sgusciati dal reggiseno e giacevano appiattiti ai lati del corpo come molli meringhe, a destra la larga areola contornava un capezzolo violaceo puntato sul lenzuolo. La gonna era sollevata e stropicciata in vita. Una calza color carne era smagliata e arrotolata al ginocchio, l’altra ancora inspiegabilmente appesa ad una delle giarrettiere del reggicalze. Da ultimo, un particolare per il tutto, la casta mutanda di cotone bianco si attorcigliava alla caviglia.
Di tutta l’altezzosità che mi aveva riservato quando, incontrandola, avevo deciso che sarebbe stata mia, non ne era rimasto nulla. Solo macerie, che mi apprestavo a togliere di mezzo per sempre.
Come rabdomante avevo percepito la corrente sotterranea di pulsione repressa, prima la separazione, poi l’accudimento dei figli e poi quella dei genitori, anni durante i quali quel corpo matronale non era stato accarezzato da alcuna mano, nè arato da alcuna verga e si era irrigidito nell’astinenza, forse saltuariamente interrotta dal solitario toccarsi. E come un medico pietoso mi ero assunto il compito di incidere senza pietà quel bubbone e farlo spurgare, risanandolo e riportandolo al piacere, ed ora ero li, a curare e godere di quella rinascente vitalità.
Mi inginocchiai fra le cosce generose e le allargai le natiche, esponendo lo sfintere più osceno ed inviolabile. In un soprassalto di pudicizia fece scivolare la mano sotto il corpo, e con le dita grassocce divaricò le labbra del sesso ancora umide della mia saliva, offrendomele in dono nel tentativo di deviare la mia attenzione.
Declinai cortesemente l’offerta, e la sua mano si rassegnò alla solitaria piacevolezza in attesa dell’inevitabile; umettai la rima ed appoggia il glande sulla soglia vergine. Respirai a fondo e con fredda determinazione la penetrai senza esitazione fino al fondo.
Urlò come un demonio esorcizzato, e sgroppò selvaggiamente cercando di sottrarsi alla mia penetrazione; ma non mi lasciai sfilare e cominciai a montarla soverchiando con il mio vigore i suoi tentativi di sottrarsi.
Poco alla volta le mie spinte la dilatarono a sufficienza per permettere al piacere di irrorare quel corpo maestoso e di avventurarsi fra le sue viscere inesplorate, ed accompagnandosi con il suo accarezzarsi in breve tempo gridò il suo orgasmo.
Mi staccai, mi portai davanti a lei e afferrandandola per lo scalpo le sollevai il viso; ancora una volta mi tentò, offrendomi le labbra protese e la bocca dischiusa; ma decisi di spingerla ancora un passo avanti in quella degradante rinascita, così mi afferrai il pene, mi masturbai e schizzai il mio piacere sul suo volto, bagnandole gli occhi, il naso, la bocca.
Finita l’estasi, e ripulitole il volto con teneri baci, ci assopimmo distesi; mi risvegliai quando, non ancora sazia, inginocchiata sulla mie gambe stava accogliendo con gli occhi chiusi il sesso teso fra le sue labbra, accarezzandone il glande con leggeri colpi di lingua. Non visto, la osservai un attimo, e vidi la piacevolezza che tornando a scorrere nel.suo corpo la stava portando a procurarsi il piacere della libera dedizione. Richiusi gli occhi e ascoltai i gemiti della sua liberazione mescolarsi ai miei.
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