Z79
di
fabrizio
genere
esibizionismo
Lei lo fece girare sulla pancia e si inginocchiò fra le sue gambe inguainate dalle calze nere; le sue natiche puntavano verso l’alto mentre il busto appoggiava sulla superficie del letto, rilassato, in attesa; il pene, semiflaccido, penzolava inerte.
Lei si aggiustò nervosamente il fallo di gomma che portava allacciato al ventre e si dedicò alla preparazione finale: gli divaricò leggermente le natiche, gli umettò ancora una volta l’orifizio che aveva esposto, lubrificò la turgidità artificiale dell’attrezzo e ne infine appoggiò la punta alla rima.
Poi gli afferrò i tacchi delle scarpe che lui indossava e gravandolo del peso del suo corpo, con un profondo respiro lo penetrò fino alla massima profondità. Lui gemette leggermente, per un istante irrigidì i muscoli della schiena, poi si lasciò cadere in una nuova e più profonda rilassatezza che contrastava con l’improvvisa erezione che là sotto lo stava gonfiando.
Da tempo leggevo quei racconti erotici sull’omonimo sito web, ma sotto lo stesso nick, fin dalle prime righe, riconoscevo due differenti cifre stilistiche.
Alcuni storie erano affilate fotografie in bianco e nero, dove il bagliore dei bianchi rivelava spietatamente vizi e virtù dei personaggi, e dove l’impenetrabilità dei neri lasciava intendere celati nell’oscurità inconfessabili segreti personali. I personaggi si incontravano nella piccola zona di penombra fra luce e buio, e in quella zona di ambiguità intrecciavano i loro corpi in brevi momenti di sincerità, spesso brutali e disperati come chi non vede altro futuro che il presente da vivere spietatamente prima di tornare, per un attimo placati dall’orgasmo, ognuno ai propri demoni. Racconti impressionistici, dove l’energia dei protagonisti li avvitava in un vortice di perversioni mai così terribili come la vita fuori dall’incontro.
Altra racconti, invece, erano storie a tinte pastello, ricche di dolcezza e tenerezza, emozioni perlopiù raccontate in una soggettiva partecipe e maliziosa e che si sviluppavano in un tripudio vaporoso di calze a rete, tacchi alti, gonne e crinoline, e in descrizioni accurate delle anatomie dei corpi e delle sensazioni che li guidavano. Qui l’incalzare della narrazione era lento e delicato eppure inevitabile e micidiale come un destino che presosi il suo tempo per realizzarsi non può fare altro che portarsi a compimento abbattendosi sul protagonista.
Ovviamente i due erano complici in questa ambiguità, una specie di gioco che proponevano nelle narrazioni in attesa che qualche lettore più smaliziato si accorgesse del trucco.
E così, con l’inevitabile vanità di chi scrive, una volta smascherati avevano reagito con assoluta cordialità, rendendo omaggio alla attenta perspicacia dello scopritore dell’inganno e proponendo, anzi, insistendo a che partecipassi ad una sessione del loro processo creativo.
Lusingato, avevo accettato ed ora sono entrambi qui, nel mio letto, l’uomo coi tacchi e la donna col nick maschile, ad elaborare il loro prossimo racconto e a dimostrare la loro riconoscenza offrendo solo per me lo spettacolo di questo loro grottesco amplesso.
Lei si ritrae, sguaina il fallo di gomma dalle sue profondità, e mentre si accarezza torna ad immergersi in lui.
Io, z79, sento la mia eccitazione unirsi alla loro, e partecipo al loro racconto ricercando il mio piacere: accelero le carezze quando sento la loro frenesia avvolgermi, rallento quando li sento ricercare una maggiore lentezza e profondità nei colpi, infine li accompagno quando, gemito dopo gemito, oltrepassiamo contemporaneamente la soglia dell’orgasmo, urlato al cielo dalle nostre tre voci in sincrono.
La sfinitezza mi fa assopire, e quando pochi minuti dopo riapro gli occhi il letto giace intonso, e vuoto. Sopra, un foglietto di carta piegato in quattro e ricoperto da una fitta scrittura.
Lo svolgo e leggo: Lei lo fece girare sulla pancia e si inginocchiò fra le sue gambe inguainate dalle calze nere; le sue natiche...
Lei si aggiustò nervosamente il fallo di gomma che portava allacciato al ventre e si dedicò alla preparazione finale: gli divaricò leggermente le natiche, gli umettò ancora una volta l’orifizio che aveva esposto, lubrificò la turgidità artificiale dell’attrezzo e ne infine appoggiò la punta alla rima.
Poi gli afferrò i tacchi delle scarpe che lui indossava e gravandolo del peso del suo corpo, con un profondo respiro lo penetrò fino alla massima profondità. Lui gemette leggermente, per un istante irrigidì i muscoli della schiena, poi si lasciò cadere in una nuova e più profonda rilassatezza che contrastava con l’improvvisa erezione che là sotto lo stava gonfiando.
Da tempo leggevo quei racconti erotici sull’omonimo sito web, ma sotto lo stesso nick, fin dalle prime righe, riconoscevo due differenti cifre stilistiche.
Alcuni storie erano affilate fotografie in bianco e nero, dove il bagliore dei bianchi rivelava spietatamente vizi e virtù dei personaggi, e dove l’impenetrabilità dei neri lasciava intendere celati nell’oscurità inconfessabili segreti personali. I personaggi si incontravano nella piccola zona di penombra fra luce e buio, e in quella zona di ambiguità intrecciavano i loro corpi in brevi momenti di sincerità, spesso brutali e disperati come chi non vede altro futuro che il presente da vivere spietatamente prima di tornare, per un attimo placati dall’orgasmo, ognuno ai propri demoni. Racconti impressionistici, dove l’energia dei protagonisti li avvitava in un vortice di perversioni mai così terribili come la vita fuori dall’incontro.
Altra racconti, invece, erano storie a tinte pastello, ricche di dolcezza e tenerezza, emozioni perlopiù raccontate in una soggettiva partecipe e maliziosa e che si sviluppavano in un tripudio vaporoso di calze a rete, tacchi alti, gonne e crinoline, e in descrizioni accurate delle anatomie dei corpi e delle sensazioni che li guidavano. Qui l’incalzare della narrazione era lento e delicato eppure inevitabile e micidiale come un destino che presosi il suo tempo per realizzarsi non può fare altro che portarsi a compimento abbattendosi sul protagonista.
Ovviamente i due erano complici in questa ambiguità, una specie di gioco che proponevano nelle narrazioni in attesa che qualche lettore più smaliziato si accorgesse del trucco.
E così, con l’inevitabile vanità di chi scrive, una volta smascherati avevano reagito con assoluta cordialità, rendendo omaggio alla attenta perspicacia dello scopritore dell’inganno e proponendo, anzi, insistendo a che partecipassi ad una sessione del loro processo creativo.
Lusingato, avevo accettato ed ora sono entrambi qui, nel mio letto, l’uomo coi tacchi e la donna col nick maschile, ad elaborare il loro prossimo racconto e a dimostrare la loro riconoscenza offrendo solo per me lo spettacolo di questo loro grottesco amplesso.
Lei si ritrae, sguaina il fallo di gomma dalle sue profondità, e mentre si accarezza torna ad immergersi in lui.
Io, z79, sento la mia eccitazione unirsi alla loro, e partecipo al loro racconto ricercando il mio piacere: accelero le carezze quando sento la loro frenesia avvolgermi, rallento quando li sento ricercare una maggiore lentezza e profondità nei colpi, infine li accompagno quando, gemito dopo gemito, oltrepassiamo contemporaneamente la soglia dell’orgasmo, urlato al cielo dalle nostre tre voci in sincrono.
La sfinitezza mi fa assopire, e quando pochi minuti dopo riapro gli occhi il letto giace intonso, e vuoto. Sopra, un foglietto di carta piegato in quattro e ricoperto da una fitta scrittura.
Lo svolgo e leggo: Lei lo fece girare sulla pancia e si inginocchiò fra le sue gambe inguainate dalle calze nere; le sue natiche...
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