Il mio primo fidanzatino (quarta parte)
di
beast
genere
zoofilia
Non c'era nulla da fare, era evidente che mi ero presa una bella cotta.
Sarà stata la mancanza di un soddisfacente rapporto con un ragazzo, sarà stato il fatto che qualcosa in me non doveva girare dal verso giusto, ma trovavo i ragazzi della mia età veramente insignificanti, infantili se non idioti.
Presi esclusivamente dal giocare alla Play-Station o ancora peggio persi in futili litigi sulle loro squadre di calcio preferite.
Il risultato era che non riuscissi a pensare ad altri che a lui.
Il problema era che lui non fosse un essere umano ma un cane.
Per la precisione il bellissimo pastore tedesco dei nostri vicini di casa.
Si chiamava Bleck, ed era un bellissimo (l'ho già detto?) ed enorme pastore tedesco. il pelo era lungo ma ruvido, di uno splendido mix di color nero, marrone e caramello.
Aveva una grossa testa, una bocca enorme, irta di forti denti bianchissimi e di una lunghissima e bollente lingua, spalle massicce e zampe muscolose, ma fianchi stretti.
Purtroppo lo potevo vedere e accarezzare solo attraverso le sbarre della recinzione che divideva il nostro giardino da quello dei vicini, ma quando si ergeva sulle zampe posteriori per appoggiarsi alle mie spalle e leccarmi la faccia, la sua testa superava abbondantemente la mia, non ero certo particolarmente alta, ma nemmeno una nana...
Torniamo alla mia cotta di adolescente, raramente, anzi forse mai prima di ora mi ero invaghita così di qualcuno.
Ogni giorno prima di andare a prendere il pullman per la scuola passavo in giardino per salutarlo, ed ogni pomeriggio al ritorno a casa la stessa cosa.
Entravo dal cancello e nel tragitto verso il portoncino d'ingresso passavo dalla recinzione, lui era già lì, scodinzolante e eccitato, felicissimo di vedermi e di prendersi quelle poche carezze innocenti che potevo concedergli in quei momenti.
Il massimo che osavo fare, era fargli delle carezze sulla schiena o qualche grattino sulla pancia.
A volte avvicinavo la testa alle sbarre e mi facevo dare due rapide leccate alla faccia.
Certo avrei voluto far scorrere la mia mano lungo la sua pancia ed arrivare a toccare il suo pene o le sue grosse palle, ma la paura di essere vista dai miei o da qualche vicino era troppa, così lo salutavo e correvo in casa.
Se potevo mi andavo a chiudere nella mia cameretta o in bagno e mi accarezzavo la patatina, che in genere era già abbondantemente bagnata.
Ogni notte, prima di addormentarmi nel mio lettino pensavo a lui.
A quanto era bello quando certe notti, sicura di non essere beccata, sgattaiolavo in giardino e mi avvicinavo alla recinzione.
Lui era già lì, il suo istinto di cane doveva avergli preannunciato che stavo per raggiungerlo.
Purtroppo queste fughe d'amore erano assai rare, e come dicevo, nella maggior parte delle altre notti, a me non restava che accontentarmi di pensare a lui e di ricordare i nostri incontri, mentre mi toccavo sotto le coperte.
Pensavo alla sua lingua bollente che mi leccava vogliosa, alla sua saliva vischiosa che si mischiava con la mia colandomi sul petto e bagnando la mia canottierina, i piccoli capezzoli inturgiditi dall'eccitazione risaltavano ancora di più, attraverso il leggero tessuto di cotone ormai fradicio.
Pensavo alla mia piccola mano che raggiungeva il suo pene e lo masturbava attraverso l'astuccio di pelliccia.
Alla sua punta rossa che usciva e cominciava a schizzare il liquido lubrificante, trasparente e aromatico il cui gusto un po' acre cominciava a piacermi sempre di più.
Eccitata mi masturbavo ogni notte, le mie dita affusolate si infilavano sotto le coperte e sotto le mutandine e si muovevano sulle mie labbra e sul mio clitoride in giri sempre più veloci e più intensi, finché non raggiungevo l'orgasmo, poi, una volta che il respiro tornava ad essere più regolare, potevo cercare di prendere sonno, soddisfatta ed esausta.
Ero evidentemente innamorata...
Facevo colazione, mangiando i miei cereali con lo sguardo che ai miei genitori sembrava perso nel vuoto, ma che in realtà stava guardando un film proiettato (per fortuna) solo nella mia testa.
Tornavo a casa e, seduta nel pullman, in mezzo ad un sacco di gente orrenda, rivivevo le stesse scene, io e Bleck che ci baciavamo o che facevamo l'amore.
Mi bagnavo per l'eccitazione e quando arrivavo a casa, lui sentiva gli inconfondibili odori dei miei umori ed eccitato mi aspettava scodinzolando e sperando che gli facessi qualche carezza e che gli facessi annusare meglio la mia fichetta bagnata. (continua)
Sarà stata la mancanza di un soddisfacente rapporto con un ragazzo, sarà stato il fatto che qualcosa in me non doveva girare dal verso giusto, ma trovavo i ragazzi della mia età veramente insignificanti, infantili se non idioti.
Presi esclusivamente dal giocare alla Play-Station o ancora peggio persi in futili litigi sulle loro squadre di calcio preferite.
Il risultato era che non riuscissi a pensare ad altri che a lui.
Il problema era che lui non fosse un essere umano ma un cane.
Per la precisione il bellissimo pastore tedesco dei nostri vicini di casa.
Si chiamava Bleck, ed era un bellissimo (l'ho già detto?) ed enorme pastore tedesco. il pelo era lungo ma ruvido, di uno splendido mix di color nero, marrone e caramello.
Aveva una grossa testa, una bocca enorme, irta di forti denti bianchissimi e di una lunghissima e bollente lingua, spalle massicce e zampe muscolose, ma fianchi stretti.
Purtroppo lo potevo vedere e accarezzare solo attraverso le sbarre della recinzione che divideva il nostro giardino da quello dei vicini, ma quando si ergeva sulle zampe posteriori per appoggiarsi alle mie spalle e leccarmi la faccia, la sua testa superava abbondantemente la mia, non ero certo particolarmente alta, ma nemmeno una nana...
Torniamo alla mia cotta di adolescente, raramente, anzi forse mai prima di ora mi ero invaghita così di qualcuno.
Ogni giorno prima di andare a prendere il pullman per la scuola passavo in giardino per salutarlo, ed ogni pomeriggio al ritorno a casa la stessa cosa.
Entravo dal cancello e nel tragitto verso il portoncino d'ingresso passavo dalla recinzione, lui era già lì, scodinzolante e eccitato, felicissimo di vedermi e di prendersi quelle poche carezze innocenti che potevo concedergli in quei momenti.
Il massimo che osavo fare, era fargli delle carezze sulla schiena o qualche grattino sulla pancia.
A volte avvicinavo la testa alle sbarre e mi facevo dare due rapide leccate alla faccia.
Certo avrei voluto far scorrere la mia mano lungo la sua pancia ed arrivare a toccare il suo pene o le sue grosse palle, ma la paura di essere vista dai miei o da qualche vicino era troppa, così lo salutavo e correvo in casa.
Se potevo mi andavo a chiudere nella mia cameretta o in bagno e mi accarezzavo la patatina, che in genere era già abbondantemente bagnata.
Ogni notte, prima di addormentarmi nel mio lettino pensavo a lui.
A quanto era bello quando certe notti, sicura di non essere beccata, sgattaiolavo in giardino e mi avvicinavo alla recinzione.
Lui era già lì, il suo istinto di cane doveva avergli preannunciato che stavo per raggiungerlo.
Purtroppo queste fughe d'amore erano assai rare, e come dicevo, nella maggior parte delle altre notti, a me non restava che accontentarmi di pensare a lui e di ricordare i nostri incontri, mentre mi toccavo sotto le coperte.
Pensavo alla sua lingua bollente che mi leccava vogliosa, alla sua saliva vischiosa che si mischiava con la mia colandomi sul petto e bagnando la mia canottierina, i piccoli capezzoli inturgiditi dall'eccitazione risaltavano ancora di più, attraverso il leggero tessuto di cotone ormai fradicio.
Pensavo alla mia piccola mano che raggiungeva il suo pene e lo masturbava attraverso l'astuccio di pelliccia.
Alla sua punta rossa che usciva e cominciava a schizzare il liquido lubrificante, trasparente e aromatico il cui gusto un po' acre cominciava a piacermi sempre di più.
Eccitata mi masturbavo ogni notte, le mie dita affusolate si infilavano sotto le coperte e sotto le mutandine e si muovevano sulle mie labbra e sul mio clitoride in giri sempre più veloci e più intensi, finché non raggiungevo l'orgasmo, poi, una volta che il respiro tornava ad essere più regolare, potevo cercare di prendere sonno, soddisfatta ed esausta.
Ero evidentemente innamorata...
Facevo colazione, mangiando i miei cereali con lo sguardo che ai miei genitori sembrava perso nel vuoto, ma che in realtà stava guardando un film proiettato (per fortuna) solo nella mia testa.
Tornavo a casa e, seduta nel pullman, in mezzo ad un sacco di gente orrenda, rivivevo le stesse scene, io e Bleck che ci baciavamo o che facevamo l'amore.
Mi bagnavo per l'eccitazione e quando arrivavo a casa, lui sentiva gli inconfondibili odori dei miei umori ed eccitato mi aspettava scodinzolando e sperando che gli facessi qualche carezza e che gli facessi annusare meglio la mia fichetta bagnata. (continua)
2
voti
voti
valutazione
5.5
5.5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Il mio primo fidanzatino (terza parte)racconto sucessivo
Argo, il mastino del guardicaccia (parte prima: il primo incontro)
Commenti dei lettori al racconto erotico