In quel torrido pomeriggio estivo
di
fabrizio
genere
gay
In quel torrido pomeriggio estivo, con poche e lente spinte, egli raggiunse l’orgasmo, sversando il suo sperma nelle mie viscere. Come un’onda che, raggiunta la battigia, anziché arretrare, prosegua spinta dal vento a lambire la spiaggia, il liquido del suo piacere, anzichè soddisfarmi, innescò il mio, e allora anche io, con pochi colpi di mano, eiaculai.
Schiacciato dal peso del suo corpo appagato scivolai sulla pancia mentre egli si addormentava sulla mia schiena fradicia dei sudori del nostro amplesso.
Lentamente, cercando di tenerlo dentro di me, mi voltai di tre quarti ad osservarlo; come tutte le cose più belle, anche questo incontro era giunto inaspettato e non ricercato. Ci conoscevamo da tempo, ed i suoi racconti e le fotografie di gruppi di familiari sorridenti davano l’idea di una eterosessualità piena, tranquilla, completa; idea che si era infranta quando in ascensore mi aveva afferrato una mano e, con la massima naturalezza, senza neppure interrompere l’argomento di lavoro di cui si stava discorrendo, l’aveva portata alla sua erezione. Così, mentre osservavo la chioma bianca, le rughe sul volto maturo e il ventre dilatato, l’avevo masturbato mentre la cabina raggiungeva il nostro piano.
I nostri primi amplessi erano stati disordinatamente esplorativi, euristici; poi, alla schiettezza dei nostri corpi aveva fatto seguito quella delle nostre anime e così, dopo i reciproci eccitanti preliminari, il mio dispormi prono e il suo penetrarmi da dietro mentre mi afferrava i fianchi risultava appagante per entrambi, come se la scontatezza degli atti lasciasse libero il piacere di fluire senza resistenze.
L’unico suo difetto era, dopo il godimento, quel ricomporsi frettolosamente e andarsene bofonchiando qualche giustificazione, come se le nostre maturità avessero necessità di queste parole vuote per comprendere ed accettare il distacco; ma in questo torrido pomeriggio estivo, il calore e la sfinitezza hanno vinto i suoi sensi di colpa, e così riesco a tenerlo ancora per un po’ dentro, e sopra, e assieme a me, aspettando che un po’ di fresco ci raggiunga.
Poi, quando mi allungo ad afferrare la bottiglietta dell’acqua, l’incanto termina, e mentre mi lascia continuo a restare con lui col pensiero, guidato dai rumori che l’aria tremula di caldo ovatta: l’ascensore che si ferma al piano terra, il portone che sbatte, la portiera della macchina che si chiude, il motore che si avvia e si allontana.
Torno a stendermi sul letto ancora bagnato dei nostri sudori e sento l’odore dei nostri corpi che aleggia immobile nella calura estiva; mi accorgo di un ritorno di erezione che, mentre dalla finestra non passa un filo d’aria, e una voce lontana di un bambino e di un motore che passa rombando fanno da contrappunto al mio ansimare solitario, soddisfo immaginando di tornare indietro nel tempo in quell’ascensore, mentre accarezzo il suo sesso ed il suo volto si trasfigura nell’orgasmo furtivo; finalmente la freschezza dello sperma che mi bagna il ventre mi procura un po’ di ristoro in quel torrido pomeriggio estivo.
Schiacciato dal peso del suo corpo appagato scivolai sulla pancia mentre egli si addormentava sulla mia schiena fradicia dei sudori del nostro amplesso.
Lentamente, cercando di tenerlo dentro di me, mi voltai di tre quarti ad osservarlo; come tutte le cose più belle, anche questo incontro era giunto inaspettato e non ricercato. Ci conoscevamo da tempo, ed i suoi racconti e le fotografie di gruppi di familiari sorridenti davano l’idea di una eterosessualità piena, tranquilla, completa; idea che si era infranta quando in ascensore mi aveva afferrato una mano e, con la massima naturalezza, senza neppure interrompere l’argomento di lavoro di cui si stava discorrendo, l’aveva portata alla sua erezione. Così, mentre osservavo la chioma bianca, le rughe sul volto maturo e il ventre dilatato, l’avevo masturbato mentre la cabina raggiungeva il nostro piano.
I nostri primi amplessi erano stati disordinatamente esplorativi, euristici; poi, alla schiettezza dei nostri corpi aveva fatto seguito quella delle nostre anime e così, dopo i reciproci eccitanti preliminari, il mio dispormi prono e il suo penetrarmi da dietro mentre mi afferrava i fianchi risultava appagante per entrambi, come se la scontatezza degli atti lasciasse libero il piacere di fluire senza resistenze.
L’unico suo difetto era, dopo il godimento, quel ricomporsi frettolosamente e andarsene bofonchiando qualche giustificazione, come se le nostre maturità avessero necessità di queste parole vuote per comprendere ed accettare il distacco; ma in questo torrido pomeriggio estivo, il calore e la sfinitezza hanno vinto i suoi sensi di colpa, e così riesco a tenerlo ancora per un po’ dentro, e sopra, e assieme a me, aspettando che un po’ di fresco ci raggiunga.
Poi, quando mi allungo ad afferrare la bottiglietta dell’acqua, l’incanto termina, e mentre mi lascia continuo a restare con lui col pensiero, guidato dai rumori che l’aria tremula di caldo ovatta: l’ascensore che si ferma al piano terra, il portone che sbatte, la portiera della macchina che si chiude, il motore che si avvia e si allontana.
Torno a stendermi sul letto ancora bagnato dei nostri sudori e sento l’odore dei nostri corpi che aleggia immobile nella calura estiva; mi accorgo di un ritorno di erezione che, mentre dalla finestra non passa un filo d’aria, e una voce lontana di un bambino e di un motore che passa rombando fanno da contrappunto al mio ansimare solitario, soddisfo immaginando di tornare indietro nel tempo in quell’ascensore, mentre accarezzo il suo sesso ed il suo volto si trasfigura nell’orgasmo furtivo; finalmente la freschezza dello sperma che mi bagna il ventre mi procura un po’ di ristoro in quel torrido pomeriggio estivo.
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