Uno sguardo nella notte

di
genere
etero

Non conosco il suo nome. La chiamerò Lulu.
Lulù, non amava particolarmente il mare, ma quell’inizio di un caldo Ottobre, la vedeva nella graziosa, turistica, città litoranea, in quell’estate anacronistica che si rifiutava di morire .
Le strade animate e chiassose, i locali che inghiottivano e rigurgitavano gente. Le luci, il frastuono. Camminava, sola nella folla, che fendeva indifferente, rapita dai suoi pensieri, dai suoi sentimenti e risentimenti. Certezze che si tramutavano in dubbi e dubbi in certezze.
Un amore passionale, talvolta ruvido, che le dominava cuore e mente. Ma era quello che veramente bastava al suo indomabile desiderio?
E’ strano, forse sciocco, cercare nello sfavillio imponente delle luci della città, la luna fra gli edifici, negli spicchi di cielo oscuro, per sentire dentro di sé la notte, per ritrovarsi.
Lulù, cercava il pallido astro, come si cerca una verità spesso oscurata dalle opprimenti apparenze: voleva capire, infine.
All’improvviso senti la corazza dei suoi pensieri perforata da uno sguardo, si sentì ferire dolcemente. Cercò un volto nella notte. Invano. Non poté scorgere nessun viso, nessuna fisionomia: il flusso incessante dei corpi si era richiuso alle sue spalle, come i flutti si richiudono su una pietra che, lanciata in acqua, affonda.
Ma il fuoco del misterioso sguardo continuò a bruciarle dentro.
Tornata a casa la ferita non le diede tregua, nessuna posizione dava sollievo a questo tormento dell’anima.
Considerò la sua esistenza e la sua vita sentimentale. Un rapporto, travolgente, feroce che disintegrava la sua dignità. Il piacere di essere sbattuta sul letto, posseduta, sovrastata da un corpo possente e meraviglioso, e da una volontà spietata, di sentirsi, farsi chiamare troia e desiderarlo. Una lascivia che ringhiava nel baratro insondabile dell’inquietudine. Grande piacere, ma anche il tormento del dubbio per un amore problematico, talvolta difficile.
Pensò, sognò in quel terreno dove l’attività raziocinante e quella onirica si diluiscono, si impastano fino a confondersi.
Lo vide entrare nella sua stanza: non poteva scorgerne le sembianze, ma gli occhi si. Furono nelle braccia l’una dell’altro, lui la spogliò della camicia da notte deliziandosi della sua nudità inerme e bellissima, le accarezzava le tette, succhiava dolorosamente i suoi capezzoli, le saggiò la rotondità di quel culo sensuale spingendo la mano nella fessura di pesca. Lulù era colpita che a tratti lui si ritraesse per poterla contemplare, per ammirarla a pieno, grato per quella bellezza sorprendente e immeritata. La chiavò con dolcezza e passione. Lulù era felice, loro erano felici. Si risvegliò bagnata ed eccitata ma trafitta da una lama di malinconia.
Il pomeriggio seguente, sulla spiaggia, Lulù, procedeva schiacciando sotto le suole le microscopiche conchiglie accumulate dal flusso e riflusso della marea. Sbuffi di nuvole bianche, sospinti da una brezza ancora dolce, solcavano un cielo azzurro, luminoso. Gli scogli frangiflutti biancheggiavano come le ossa di un fantastico mostro preistorico illuminate dalla luce pomeridiana radente che allungava le ombre. Il mare era piatto, come un lago.
In direzione opposta alla sua, veniva un gruppetto di persone che conversavano, ridevano allegramente. Incontrò due occhi. Erano gli stessi responsabili dello sguardo bruciante che l’aveva sconvolta la notte precedente, ne era sicura.
Lulù, si volse, indugiando, sentendosi travolgere da una dolcezza immotivata e pure così meravigliosa. L’uomo, la fissò, rimanendo distaccato dal suo gruppo.
Il tempo era come sospeso e sotteso da una tensione palpabile. Lulù attratta, travolta, fu sul punto di rinunciare alle sicurezze della sua vita e cedere, a quello che il suo cuore le stava indicando, ma con movimento improvviso girò le spalle e con passo affrettato, riprendendo la sua strada, si allontanò.
Un’ombra triste offuscò il volto dell’uomo: fu palese la delusione per un sogno improvviso e meraviglioso, ma infranto. Così, rassegnato, raggiunse il gruppo volgendosi a guardare, di tanto in tanto, la graziosa figura femminile che rimpiccioliva nella tenue foschia.

Epilogo : sono alla stazione. La luce del sole nel tramonto, proietta violenta i suoi raggi come fari, abbagliando la vista e facendo brillare i binari come fossero incandescenti. I bagagli giacciono ai miei piedi, il fischio dissonante del treno che sembra un urlo lamentoso, tanta strada da percorrere dinanzi, un ricordo confuso, un deja vu, una sensazione bruciante alle mie spalle. Il cuore invaso da un’assenza. Un nome immaginato, Lulù, un dolce volto femminile, solo sfiorato, ma nitido nella mia mente, malinconicamente destinato all’arcano, impalpabile mondo della memoria e dei sogni.

That’s all folks. Arrivederci(?).


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scritto il
2018-09-24
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