Le mutandine dell’amica di mia figlia (cap 3)

di
genere
prime esperienze

Usciti dal cancelletto della sua palazzina, ci avviamo insieme verso la mia macchina. Come temevo, la testa inizia a rimbombare, sembra un flipper. La densità erotica della situazione è così alta che tutto prende a girare vorticosamente. Sono preoccupato come un giocatore di Shangai, immobile all’idea di toccare per sbaglio un bastoncino. Ed essere eliminato dalla faccia della terra.
— C’è un negozio di Intimissimi qua vicino — mi dice Veronica con sguardo imbarazzato, trascinando per una frazione di secondo la doppia esse del nome della marca.

Mentre un frullatore di pensieri (tutti insieme) sbatte con furia suoni e campanelli a destra e a manca, cercare di restare lucido è più difficile che condurre una riunione con dieci giapponesi. Tutto è illuminato nel mio flipper mentale: gli Special si accendono, le buche risputano palline dopo pause interminabili, le sfere rotolano secondo un lieve, delicato, inesorabile, voluttuoso piano inclinato.

Quando lei scende dall’auto (— Faccio presto, arrivo subito), decido in preda al panico di lasciare un selfie-testamento. Non so affatto cosa sto facendo. Probabilmente è un gesto estremo di euforia che forse spariglierà l’ipnosi in cui sono caduto. Avvio la telecamera dell’iPhone e - come un novello Indiana Jones a pochi metri dall’Arca dell’Alleanza - inizio a sproloquiare frasi senza senso a futura memoria.
— Allora… stai calmo… è tutto sotto controllo… (manco per il cazzo, penso). Ora la porti a casa e vedrai che qualcosa succederà… Alla peggio, se la situazione si incaglia, avrai materiale per masturbarti più o meno per un paio d’anni. Magari cerca di mettere da parte un paio di mutandine, almeno quelle… Qualcosa di concreto che ti faccia ricordare che non è stato un sogno, che sta succedendo veramente..!!
— Veramente cosa?!? — dice lei con finto stupore, sbirciando dalla fessura del finestrino aperto.
— Ma no, Veronica. Niente… Stavo rispondendo a un messaggio vocale. Pensavo piuttosto che mi è venuta fame. Tu hai mangiato?

Domanda idiota, se fatta alle sette di sera. Lei però decide di tenere il gioco, forse per la fame vera. O per allontanare il momento del rientro a casa.
— Al McDonald’s non se ne parla — dico io, come per riprendere il controllo.
— No, neanche a me va di mangiare quella roba. Magari una pizza…
— E se la ordiniamo da casa, senza sbatterci per cercare un posto? — dico io, sorpreso per il coraggio di aver pronunciato una frase così assertiva.

Mentre lei pensa a come gestire questa nuova proposta, il piede mi slitta in avanti lungo la frizione e la macchina sobbalza. Lei finge di essersi spaventata con un gridolino, poi torna seria con fare accigliato.
— Va bene, dai. Questa sera comandi tu!

Ma non è facile se nel tuo campo visivo si frappone una busta di cartone con la scritta Intimissimi, distrattamente appoggiata sulle nude cosce di qualcuno al tuo fianco.
— Trovato tutto? — la butto lì, senza enfasi apparente.
— Sì sì, sono a posto. Ha delle cose molto belle quel negozio ma… costano un po’ care.
— Beh la biancheria di marca immagino non costi poco…
— Immagini bene — chiosa lei, con un sorriso malizioso.

Da casa ordino al telefono due pizze, qualche fritto di antipasto, tiramisù e macedonia. Birre e Coca-Cola a parte. Alla faccia del caldo, che però ora ha rinfrescato con il vento della sera. Veronica sistema la busta del negozio sul letto dell’amica e mi chiede, con tono ancora incerto, un asciugamano per farsi la doccia.
— Puoi prendere quello viola in bagno — dico io, cercando di non farmi accorgere mentre la guardo sculettare.

Non appena percepisco lo scroscio d’acqua nella doccia, mi avvicino furtivamente alla porta del bagno senza sapere bene cosa fare. Ascoltare i rumori provenienti dall’interno? Abbassarsi e guardare dallo spioncino della serratura? Tirare fuori il membro ormai metallico e strusciarlo contro la parete della porta? Leccare la maniglia immaginando freddi e turgidi capezzoli?

Torno per un momento nella camera di Maria Elena e mi avvicino alla busta lasciata sul letto. Attratto dal contenuto acquistato poco prima, immergo la mano sul fondo del sacchetto e la ritraggo con due paia di mutandine bianche infilzate tra le dita.
— Ottimo cotone — penso idiotamente, come se fossi sulla scena di un film porno. Giro l’etichetta come per trovare chissà quale parola magica di incoraggiamento.
E lì succede una cosa strana. La direzione cambia.
Il piano inclinato torna quasi in equilibrio.

Con la coda dell’occhio vedo infatti la sua borsa ai piedi del letto. È semi-aperta (e dunque il coro greco alle mie spalle mi dice che l’occasione fa l’uomo ladro). La allargo con fare silenzioso, accertandomi che l’acqua della doccia scorra sempre copiosa e la porta del bagno continui a restare chiusa.

In mezzo a un po’ di cose (trucchi, elastici, cavetti per il telefono) emerge un’altra busta di nylon, più piccola dell’altra. La scritta è la stessa: Intimissimi. All’interno, due completi - reggiseno e mutandine - con ancora l’etichetta agganciata. Non si tratta di semplice cotone adolescenziale. Questa è lingerie di marca: colore rosso e colore nero. Una seta che fa venire i brividi solo a pronunciarla.

Ma è un’altra la scoperta che immobilizza il mio sistema linfatico. Sollevo una strana ferraglia: un mazzo di chiavi per porta blindata. Con una targhetta attaccata e una scritta. Casa.

Casa?

“Forse è il mazzo di riserva” penso in un millesimo di secondo. Oppure addirittura il mazzo originale. L’orecchio si affina per percepire il minimo rumore. La doccia prosegue.

Perché allora questa messinscena? Perché dovevo trasformarmi in fabbro? E perché, insieme alle due mutandine bianche di cotone, Veronica ha nascosto nella borsa due completi intimi da troia raffinata? Li ha rubati? Le servivano per un incontro furtivo con il fidanzatino segreto?

Mi siedo e mi asciugo il sudore con il dorso della mano. Cerco di collegare i pezzi del puzzle come un pavido erede di Ellery Queen di fronte a una scacchiera. Poi di colpo nel mio schermo mentale si accende uno spiraglio di luce: in un secondo è un fascio accecante.

L’intero paesaggio prende forma ai miei piedi. Il gioco è cominciato. E che gioco. Deglutisco forte, almeno due o tre volte. Dai brividi alla schiena capisco che il piano si è inclinato un’altra volta. Indietro, ormai, non possiamo più tornare.

[CONTINUA]
scritto il
2018-11-22
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