Le mutandine dell’amica di mia figlia (cap 4)
di
PifferaioMagico
genere
prime esperienze
Ancora sconvolto dalla scoperta appena fatta, mi riavvicino a passi lenti verso la porta del bagno. L’acqua della doccia ha smesso di scrosciare. L’unico suono appena percettibile è una musica rap a basso volume. Che immagino esca dall’iPhone di Veronica.
Superata l’incertezza, prendo coraggio e mi abbasso verso il buco della serratura per spiare ciò che sta accadendo all’interno del mio bagno. Maledette ginocchia scricchiolanti (impreco mentalmente). Quel suono riempie per un attimo il vuoto d’aria che aleggia in corridoio.
Dopo qualche assestamento, chiudo un occhio e con l’altro metto a fuoco Veronica, che nella sua naturalezza di castana diciottenne, ha usato sì l’asciugamano viola, come le avevo suggerito: ma… come turbante sulla testa. Ad avvolgere il suo corpo bagnato ora c’è il mio accappatoio… Il mio azzurro e spugnoso accappatoio! Inconsapevole - beato lui - di vivere il più bel giorno della sua miserabile vita!
Non appena inizio a distrarmi con la fantasia (favoleggio di dedicare un intero armadio a quell’accappatoio, che non verrà mai più lavato, nei secoli dei secoli), ecco che il piano inclinato prende il sopravvento. Decidendo che da ora in poi la pallina rotolerà in un’altra direzione. Quello che fin lì sembrava un pallido e perverso gioco di un manager di multinazionale (io) che approfittava di una situazione di difficoltà di una ragazza (Veronica) amica di sua figlia, si sta ora trasformando in un reality acceso, vivido, ricco di energia e sensualità.
Con gesto lento e provocante, la ragazza afferra sulla mensola l’unico spazzolino da denti rimasto nel bicchiere. Il mio. Lo guarda con insolita morbosità e - dopo essersi osservata nello specchio, sorridendo maliziosa - inizia a leccarlo e a succhiarlo come fosse il più stucchevole dei lecca-lecca. La lingua risale dal manico verso le piccole e indifese setole: un su-e-giù ripetuto non meno di cinque o sei volte. Dopodiché, ancora bagnato di saliva, l’innocuo spazzolino - anche per lui questa giornata resterà indimenticabile - si ritrova a strofinare prima un capezzolo e poi un altro. Come in un gioco riflesso per andare a vedere quale dei due si indurisca per primo. Anzi dei tre.
Con sguardo laterale, Veronica punta per una frazione di secondo verso la porta del bagno. È probabile che abbia percepito la mia presenza, che abbia fiutato nell’aria la tensione di qualcuno che dietro quel battente sta scivolando verso le sabbie mobili. Invece di spaventarsi o interrompere, continua quella danza dai sapori orientali. Facendo scivolare l’oggetto di plastica tra le sue cosce presumibilmente vergini.
— Uno, due, tre, quattro
— Chiama il contatto
— Cinque, sei, sette, otto
— È già qua sotto
— Uno, due, tre, quattro
— Chiama il contatto
— Cinque, sei, sette, otto.
Con quel sottofondo rap, la giovane prima strofina la testa dello spazzolino sul suo piccolo clitoride, per almeno una trentina di infiniti secondi. Poi, con l’indice e il medio della mano libera, si allarga lentamente le labbra vaginali. Per affondare con cura artigianale lo spazzolino nella figa, morbida e scivolosa, rinvigorita dai bagnoschiuma e dai vapori. Fino a farlo scomparire per almeno tre quarti nelle profondità della sua vulva rasata.
****************
Non so quanto tempo sia passato. Un minuto, un giorno, un anno intero. A scuotermi di colpo è il rumore brusco dello spazzolino che ritorna nel bicchiere e di lei che accende il phon, decisa ad asciugarsi i capelli che le scivolano ondulati a mezza schiena.
— Scusami, ci seii..?? — dice lei dall’interno del bagno.
Mi allontano come un gatto di una decina di metri, per non darle l’idea del guardone appostato.
— Sì Veronica, dimmi. — rispondo orientato verso la parete opposta — Che ti serve?
— Hai una spazzola, per caso?
Dal cassetto di mia figlia estraggo una spazzola in ceramica.
— Eccola, te la passo?
— Entra pure, ti devo chiedere una cosa…
Guardo la mia mano tremolante che afferra la maniglia del paradiso. Apro lentamente e i vapori mi investono. Ma io sono già sudato da un pezzo.
— Vedo che hai preso il mio accappatoio… — fingo stupore, sorridendo con naturalezza posticcia.
— Oooohhh scusami, è vero! L’asciugamano era un po’ piccolo…
— Ma no, figurati… Ne ho un altro.
Vorrei isolare dal mondo quei pochi metri cubi. Staccarli come un tassello d’anguria dal resto della vita e farli scomparire con noi dentro.
Lei decide di sedersi sulla tazza chiusa del water. Mi guarda.
— Mi serve uno spazzolino da denti.
È la prima volta che si rivolge a me senza timidezze. Ora è assertiva. Mi fa capire che è iniziato il gioco. Le gambe mi tremano un po’.
— Ora guardo in questi armadietti… — rispondo, dandole le spalle per riprendere fiato.
Quando mi rigiro, una nuova sorpresa. Veronica si è aperta l’accappatoio, ha allargato le gambe e mi mostra la sua nuova conquista. I miei boxer di cotone blu.
— Ho scordato le mutandine di là… Li ho messi per non prendere freddo. Ti dispiace?
— No che non mi dispiace — dico finalmente io, entrato nella parte. Come se il mondo finisse tra due ore.
[CONTINUA]
Superata l’incertezza, prendo coraggio e mi abbasso verso il buco della serratura per spiare ciò che sta accadendo all’interno del mio bagno. Maledette ginocchia scricchiolanti (impreco mentalmente). Quel suono riempie per un attimo il vuoto d’aria che aleggia in corridoio.
Dopo qualche assestamento, chiudo un occhio e con l’altro metto a fuoco Veronica, che nella sua naturalezza di castana diciottenne, ha usato sì l’asciugamano viola, come le avevo suggerito: ma… come turbante sulla testa. Ad avvolgere il suo corpo bagnato ora c’è il mio accappatoio… Il mio azzurro e spugnoso accappatoio! Inconsapevole - beato lui - di vivere il più bel giorno della sua miserabile vita!
Non appena inizio a distrarmi con la fantasia (favoleggio di dedicare un intero armadio a quell’accappatoio, che non verrà mai più lavato, nei secoli dei secoli), ecco che il piano inclinato prende il sopravvento. Decidendo che da ora in poi la pallina rotolerà in un’altra direzione. Quello che fin lì sembrava un pallido e perverso gioco di un manager di multinazionale (io) che approfittava di una situazione di difficoltà di una ragazza (Veronica) amica di sua figlia, si sta ora trasformando in un reality acceso, vivido, ricco di energia e sensualità.
Con gesto lento e provocante, la ragazza afferra sulla mensola l’unico spazzolino da denti rimasto nel bicchiere. Il mio. Lo guarda con insolita morbosità e - dopo essersi osservata nello specchio, sorridendo maliziosa - inizia a leccarlo e a succhiarlo come fosse il più stucchevole dei lecca-lecca. La lingua risale dal manico verso le piccole e indifese setole: un su-e-giù ripetuto non meno di cinque o sei volte. Dopodiché, ancora bagnato di saliva, l’innocuo spazzolino - anche per lui questa giornata resterà indimenticabile - si ritrova a strofinare prima un capezzolo e poi un altro. Come in un gioco riflesso per andare a vedere quale dei due si indurisca per primo. Anzi dei tre.
Con sguardo laterale, Veronica punta per una frazione di secondo verso la porta del bagno. È probabile che abbia percepito la mia presenza, che abbia fiutato nell’aria la tensione di qualcuno che dietro quel battente sta scivolando verso le sabbie mobili. Invece di spaventarsi o interrompere, continua quella danza dai sapori orientali. Facendo scivolare l’oggetto di plastica tra le sue cosce presumibilmente vergini.
— Uno, due, tre, quattro
— Chiama il contatto
— Cinque, sei, sette, otto
— È già qua sotto
— Uno, due, tre, quattro
— Chiama il contatto
— Cinque, sei, sette, otto.
Con quel sottofondo rap, la giovane prima strofina la testa dello spazzolino sul suo piccolo clitoride, per almeno una trentina di infiniti secondi. Poi, con l’indice e il medio della mano libera, si allarga lentamente le labbra vaginali. Per affondare con cura artigianale lo spazzolino nella figa, morbida e scivolosa, rinvigorita dai bagnoschiuma e dai vapori. Fino a farlo scomparire per almeno tre quarti nelle profondità della sua vulva rasata.
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Non so quanto tempo sia passato. Un minuto, un giorno, un anno intero. A scuotermi di colpo è il rumore brusco dello spazzolino che ritorna nel bicchiere e di lei che accende il phon, decisa ad asciugarsi i capelli che le scivolano ondulati a mezza schiena.
— Scusami, ci seii..?? — dice lei dall’interno del bagno.
Mi allontano come un gatto di una decina di metri, per non darle l’idea del guardone appostato.
— Sì Veronica, dimmi. — rispondo orientato verso la parete opposta — Che ti serve?
— Hai una spazzola, per caso?
Dal cassetto di mia figlia estraggo una spazzola in ceramica.
— Eccola, te la passo?
— Entra pure, ti devo chiedere una cosa…
Guardo la mia mano tremolante che afferra la maniglia del paradiso. Apro lentamente e i vapori mi investono. Ma io sono già sudato da un pezzo.
— Vedo che hai preso il mio accappatoio… — fingo stupore, sorridendo con naturalezza posticcia.
— Oooohhh scusami, è vero! L’asciugamano era un po’ piccolo…
— Ma no, figurati… Ne ho un altro.
Vorrei isolare dal mondo quei pochi metri cubi. Staccarli come un tassello d’anguria dal resto della vita e farli scomparire con noi dentro.
Lei decide di sedersi sulla tazza chiusa del water. Mi guarda.
— Mi serve uno spazzolino da denti.
È la prima volta che si rivolge a me senza timidezze. Ora è assertiva. Mi fa capire che è iniziato il gioco. Le gambe mi tremano un po’.
— Ora guardo in questi armadietti… — rispondo, dandole le spalle per riprendere fiato.
Quando mi rigiro, una nuova sorpresa. Veronica si è aperta l’accappatoio, ha allargato le gambe e mi mostra la sua nuova conquista. I miei boxer di cotone blu.
— Ho scordato le mutandine di là… Li ho messi per non prendere freddo. Ti dispiace?
— No che non mi dispiace — dico finalmente io, entrato nella parte. Come se il mondo finisse tra due ore.
[CONTINUA]
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