Le mutandine dell’amica di mia figlia (cap 5)

di
genere
prime esperienze

Seduta sulla tazza del water, Veronica si allarga ancora un po’ l’accappatoio, lasciando bene in vista i miei boxer, indossati (dice lei) per non prendere freddo… Eppure la stanza da bagno è ancora satura del calore della doccia! Più che di freddo parlerei di brividi, lungo l’intero arco della schiena. La causa? Quel suo gesto fuori dalle regole. A cui ne seguiranno molti altri.

Il gioco è cominciato e i personaggi recitati in precedenza

>> lei, la diciottenne ingenua, rimasta chiusa fuori di casa e senza un tetto per i prossimi cinque giorni
>> io, il manager serioso che cerca di aiutare un’amica della figlia

vengono spazzati via dalla reciproca voglia di lasciarsi andare.

Scricchiolano le assi di chi calpesta inesplorati palcoscenici.

Veronica capisce che tocca a lei tirare la volata, ma è ovvio che non ne ha nessuna fretta. Ormai calata nella parte, assapora nuove eccitazioni.

Con la stessa grazia usata poco prima per infilarsi - più volte - il mio spazzolino da denti all’interno della sua stretta cavità bollente (sapendo di essere spiata dal buco della serratura), allo stesso modo allunga una mano tra le cosce, guardandomi fissa con un’espressione inedita.

— Ti va di giocare? — sussurra, socchiudendo le palpebre.
— A questo punto direi proprio di sì… — rispondo con un leggero affanno.

Le sue dita laccate e affusolate iniziano allora a titillare la vagina dall’esterno dei boxer, con movimenti rotatori e ipnotici. Stanchi del contatto col cotone, indice e medio decidono di esplorare la fenditura frontale tipica dell’indumento maschile. Non è un cazzo stavolta ad attraversare l’apertura, ma una coppia di dita desiderose di immergersi in un oceano morbido, vischioso e tentatore.

Per restare lucido, sdrammatizzo mentalmente. E mi ripeto (ça va sans dire) che le mie mutande finiranno nella teca di reliquie, insieme a spazzolino e accappatoio..!! Lei percepisce questa mia distrazione e affina la voce in tono perentorio:
— Devi fare quello che ti dico, sennò me ne vado su due piedi! Hai capito?

Faccio sì a scatti con la testa, ma lei non mi dà tregua:
— Prendi il tuo spazzolino e toccagli le setole… Come le senti?
— Umide, mi sembra…
— Bravo! Sono ancora umide e tu sai bene perché, brutto porco. Ora làvati i denti a secco, senza acqua e senza dentifricio. Chiaro?

L’intensità dei suoi umori mi pervade in un secondo e sbatte sotto la base del cervello. Come una granita aspirata troppo in fretta che ti perfora l’osso delle sopracciglia. Lei sorride e torna seria nel giro di 2-3 secondi:
— Dammi qua, buono a nulla! Il meglio non l’hai ancora assaggiato…

Riprende lo spazzolino con la destra, mentre con la sinistra mi spinge sul torace per farmi distanziare. Si sfila con fastidio il mio accappatoio e lo lascia scivolare sul pavimento bagnato. Poi si volta dandomi le spalle e un panorama fatto di capelli ancora umidi, gambe toniche e slanciate, natiche che premono sul cotone dei miei boxer. Ruota, beffarda, la testa per guardarmi: non vuole perdersi quell’esordio contro una squadra in lotta per non retrocedere.

Quando si cala le mutande maschili a mezza coscia, non sono più così sicuro di esser parte del pianeta. Per darmene una prova (come quando ci si pizzica di fronte a un sogno a occhi aperti), Veronica sa bene cosa fare: completare il tour dell’inerme spazzolino.

Prima se lo strofina un po’ tra le cosce all’altezza del sedere. Poi con abilità imprevista lo spinge piano piano dentro il buchino del culo. Affondandolo e ruotandolo a scatti, come immerso in un ruvido temperamatite.
— Chiudi la bocca, stronzo! Anzi, aprila.

Più veloce lei dei miei riflessi, lo estrae dall’orifizio con gesto unico e lo avvicina alla mia bocca. Veronica inizia a strofinarmi ritmicamente le gengive e il palato con l’intriso oggetto del desiderio. Come una maestrina leziosa rimasta sola con l’ultimo bimbo dell’asilo.

Chiudo gli occhi per non soffocare. Mi concentro solo su tatto, gusto e olfatto. Che detto così sembra riduttivo, ma il fungo atomico al confronto è una miccetta.

Nel buio della mente scorrono parole a caso come miele, eucalipto, pulsatilla, zenzero. E altre decine, in frazioni di secondo. Il cervello pesca a caso in una grande ruota universale dai tratti lussuriosi. Il risveglio è brusco come il gesto del dentista con un dente del giudizio.
— Ora esci, basta! Mi devo asciugare i capelli. Che fai lì così? Vammi a prendere le mutandine bianche.

Faccio per muovermi, ma gli ordini non sono finiti:
— Poi aspetta immobile fuori dalla porta: ti dico io quando passarmele.

Con le ginocchia svirgolate, mi ritrovo di fronte alla busta di Intimissimi. Ma decido, senza fare testamento, di ignorare la bustina e di puntare dritto all’interno della borsa. Quelle bianche, mi dico, fanno parte dell’era precedente: quella dell’innocenza. Ora è il rosso il colore più adeguato alla nuova situazione. Guardo le mutandine rosse nella mano, poso il reggiseno e mi avvio - diligente - a pochi centimetri dalla porta del bagno.

Il rumore del phon è diventato un suono d’arpa, ma cinque minuti sembrano cinquanta quando non vedi l’ora che il tempo ti divori. Il concerto per archi si interrompe, una mano fa capolino dalla porta. Le porgo con terrore l’indumento incriminato: lo afferra lentamente. La porta resta socchiusa. Il quartiere smette di respirare. Il mio cuore è l’unico strumento nel raggio di chilometri.
— Ahahah non mi dire, non ci credo… — dice lei da dentro, divertita.

Vengo avanti e decido di piantarmi sulla soglia del tunnel. Mi guarda con stupore e ammirazione. Non si aspettava questo gol in contropiede.
— E bravo il mio manager… Allora vuoi proprio giocare. Ti faccio una domanda — dice ancora più lentamente.
— Dimmi, Veronica.
— Sai cosa succede ai ladruncoli? — dice con espressione di sfida.

Riesco solo a deglutire.
— Anzi. Sai cosa succede ai ladruncoli che decidono di disobbedire alla padrona…?

[CONTINUA]
scritto il
2018-11-27
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