Vincenzo io t'ammazzerò.

di
genere
etero

“Vincenzo io t’ammazzerò…” cantava negli anni 70 Alberto Fortis.
Ebbene, io Vincenzo l’avrei volentieri trucidato, possibilmente in maniera brutale, efferata; venivo da un pessimo periodo, da un naufragio esistenziale, di siccità, di aridità della mia anima e con la scusa di tirarmi su, mi aveva trascinato con assertiva insistenza a una settimana bianca - per dividere le spese, l’avevo capito poi - e in breve tempo ero assurto al ruolo più eminente in quel gruppo di ragazzi e ragazze che a stento conoscevo.
La mia collocazione al vertice del gruppo era determinata da motivi tutt’altro che invidiabili dato che, sciatore a dir poco imbarazzante, mi trovavo circondato da provetti divoratori di piste innevate. L’essere goffo, l’incrociare le punte, fare capitomboli ridicoli suscitava l’ilarità dei miei compagni di vacanza, Vincenzo compreso, ovviamente. Ero il bersaglio preferito e i lazzi continuavano la sera in albergo ed io bonariamente abbozzavo - ero anche moderatamente depresso e quindi apatico, poco reattivo. -
L’ultimo giorno, “more solito”, non riuscivo a tener il passo di quegli scatenati che si divertivano a sfrecciarmi accanto, sbilanciandomi e mettendo in evidenza il mio impaccio. Mi ritrovai solo con sollievo - devo dire finalmente - e allora scivolai a bordo pista indugiando a gustarmi l’abbacinante e candida bellezza delle montagne innevate, il cobalto del cielo e la luce blu delle zone in ombra.
Era già sera quando tornai a valle utilizzando una vecchia seggiovia monoposto. Scendevo in un fantastico volo in silenzio assoluto, rotto solo dal periodico stridore metallico delle carrucole, fra le pareti della vallata, boscose e scure di un buio fitto che facevano risaltare, oltre il profilo delle montagne, l’azzurro della luce del tramonto che si diluiva fino ad annullarsi nel velluto nero della volta celeste. Sul fondo valle le luci scintillanti e tremolanti facevano di fiaba il paesaggio nell’aria tersa. Sopraffatto da quella bellezza armoniosa mi rasserenai e considerai con sollievo che l’indomani sarei ripartito e finalmente tornato a casa. Inopinatamente mi sentii cambiato e anche più sicuro di me: se del soffritto ero stato fino a quel momento la carota, divenni cipolla.
La sera a cena misi da parte la mia pregressa bonomia e mitezza riuscendo a tirar fuori il peggio di me: sgradevole, pungente e sarcastico, polemicamente irritante, misi in bella mostra tutti i difetti degli astanti che avevo meticolosamente annotato mentalmente - sia pur inconsciamente - nel corso della settimana. In tal maniera riuscii a rendermi così antipatico - persino a me stesso devo dire - che i ragazzi appresero molto favorevolmente, anzi con vero senso di liberazione, la mia decisione di rinunciare alla discoteca e rimanere in albergo.
Una volta uscita la compagnia, ancora irritato - Che se ne andassero tutti a…. -, mi sprofondai in una poltrona accanto all’ampio camino a focolare aperto, al centro del bar; stavo leggendo il libro -“Memorie di un cacciatore” di Turgenev, lo ricordo bene - rapito dal testo e indifferente a quanto mi accadeva accanto.
“Turgenev, lettura insolita…”
Mi trillò accanto una vocetta fresca con una lieve blesità che la rendeva più interessante. Alzai gli occhi dalle pagine: era Emma la ragazza piuttosto carina a cui Vincenzo faceva una corte insistente; anche lei era rimasta in albergo - che brillante constatazione! -
La scandagliai minuziosamente come non avevo mai fatto prima: minuta, bionda con i capelli lunghi oltre le scapole, occhi verdi - un must su ER, - labbra sottili che scoprivano una dentatura perfetta dal bianco smagliante.
“Colpa di Nero Wolfe.”
“Prego?”
“Archie Goodwin ci informa che quando il grande investigatore, suo principale, è di cattivo umore prende in mano un libro già letto.
Emma non badare alle mie stranezze, ma dimmi piuttosto perché anche tu hai rinunciato alla serata?”
“Francamente mi sono stancata del gruppo con cui non esiste alcuna affinità. Poi, in confidenza, il tuo amico Vincenzo non lo sopporto più, appiccicoso com’è. Infine ci sarebbe un altro motivo per cui non sono andata…ma non importa.”
Dovetti reprimere il ghigno di soddisfazione che sarebbe stato così naturale sfoggiare al giudizio sul mio “amico” e con ipocrita espressione triste, con l’occhio patetico:
“Ma se è un così bravo ragazzo.”
“Sarà anche un bravo ragazzo, ma assolutamente insopportabile!”
Non ce la facevo più ed esplosi in una risata fragorosa. Posai il libro e mi alzai di scatto al rimorchio di un’idea balenata all’improvviso.
“Mettiti la giacca, copriti bene, andiamo fuori.”
“Con questo freddo?”
“Vieni ne varrà la pena.”
Sul retro dell’albergo in una zona priva di luci lo spettacolo, nella limpidissima notte, del cielo stellato ai nostri occhi incantati: lo sfavillare della via Lattea, la costellazione di Orione con Betelgeuse, Rigel, e poi Cassiopea, l’Orsa…
Le indicavo col dito le stelle e istintivamente posi il mio braccio sulle sue spalle; non si ritrasse ma si strinse a me.
“Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea tornar ancor per uso a rimirarvi….”
“Leopardi, Le Ricordanze…quanto mi è cara! E poi sai, io son nata a Recanati.”
Ci guardammo, i visi si accostarono, il vapore della condensazione dei nostri respiri si confondeva, si fondeva, si faceva tutt’uno.
I miei occhi ridotti a fessura mentre la guardavo: era bellissima, nei suoi occhi brillio di astri, di frammenti di spazio immenso. Solo noi al mondo nella gelida notte stellata.
“L’altro motivo per cui ho rinunciato alla discoteca…. sei tu.”
La baciai; il gelo che ci avvolgeva non affievoliva il fuoco che mi, ci ardeva dentro.
Rientrammo in albergo e tenendoci per mano bruciammo le scale volando, felici ed eccitati. Ci spogliammo tenendoci fissi gli occhi addosso: la vidi sfilarsi gli indumenti ed esporre tutta la superficie della sua pelle meravigliosa. Si volse mostrandomi una silouette a forma d’armoniosa clessidra. L’abbracciai da dietro: sentivo il suo respiro affannoso e i gemiti di piacere mentre le baciavo il collo e le miei mani giocavano con i piccoli seni e i graziosi capezzoli, delizia di carne turgida, il mio membro eretto appoggiato nel solco di pesca del suo tonico culo.
La adagiai sul letto, le accarezzai le cosce e lei dischiudendole mi diede accesso alla sua figa gonfia e bagnata e al clitoride, suo mirabile bottone segreto che torturai libidinosamente. Col piacere che le bussava dentro accolse la mia penetrazione concedendosi in un abbandono senza condizioni. Notte di fuoco e di dolcezza, d’ansiti di piacere, le nostre bocche riunite nel condividere un unico respiro. Il sonno ci colse abbracciati, sfiniti e in pace.
Mi risvegliai nel cuore della notte incredulo di ciò che era accaduto e fissai Emma a lungo mentre riposava tranquilla, rimirando quel bel volto dal nasino perfetto e dalle dolci, piccole labbra.
Ero sicuro di aver trovato ciò che veramente cercavo e desideravo.
- Troppa fretta? -
“Soltanto quando avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre”, scriveva Chesterton e mi trovava completamente d’accordo.
Ero molto allegro mentre mi radevo la mattina ed Emma ancora indugiava sotto il tepore delle coltri odorose del nostro amore. Soprappensiero canticchiavo:
“…Vincenzo io t’ammazzerò…”
Però, senza Vincenzo non ci sarebbe stata Emma.
“Perché ucciderlo?”
Anche se un po’ figlio di puttana lo era stato, ero, in fondo, un “good man” e lo perdonavo.

https://www.youtube.com/watch?v=C81SyunWMAQ
di
scritto il
2019-04-10
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