Una tragedia greca

di
genere
etero

Panayotis e Spiridulla si erano sposati nel 1977, lei era di Leucade, la capitale dell’isola, lui invece era nato e cresciuto a Sivota, quattro casupole disposte quasi a casaccio lungo la mezzaluna della minuscola baia.
Lui non era molto alto, corpo asciutto e muscoloso, pelle scura, occhi nocciola, un bel baio di baffi neri scendevano ai lati della bocca carnosa.
Aveva cominciato a lavorare fin da bambino, aiutando il padre a gettare le reti da pesca dalla piccola barca di famiglia, poi tornato dal militare aveva sposato Spiridulla, anche se i suoi non erano particolarmente contenti, del resto lei veniva dalla città, ed era considerata un po’ una forestiera, anche se la città era distante solo quaranta chilometri e contava al massimo 750 abitanti.
Lei era un bel donnone, alta almeno dieci centimetri più di lui, gambe forti e muscolose, un seno prorompente, sempre malamente costretto dentro corpetti neri allacciati stretti stretti, lunghi capelli corvini, occhi neri, sguardo fiero e indomito, un neo molto sexy sulla guancia destra.
Si era innamorata subito di quel piccolo ragazzo, del suo corpo minuto ma dalla muscolatura tenace, del bel paio di baffi spioventi, del pacco messo in evidenza dai pantaloni attillati che andavano di moda in quegli anni, dello sguardo rapace con cui l'aveva guardata durante la processione per il patrono della città.
Lei sfilava dietro il pope, reggendo il cero votivo insieme alle altre ragazze, mentre ai lati della strada, tra i fedeli assiepati sul marciapiede i maschi dell’isola lanciavano occhiate rapaci come fossero branzini affamati che puntino un branco di sardine.
Spiridulla, per restare in tema ittico, si era lasciata catturare come una triglia nelle fitte maglie della rete da pesca di Panayotis.
Per la luna di miele avevano preso una corriera fino a Patrasso e poi un’altra fino ad Atene, dove si erano fermati per cinque giorni.
Gli ospiti del piccolo alberghetto dove passarono la prima notte di nozze si ricordarono per anni delle loro urla e dei tremendi colpi che la testiera del letto dava contro la parete della camera.
Lei era vergine mentre lui, durante i due anni di militare obbligatorio, aveva avuto qualche esperienza con le prostitute delle case chiuse.
Durante i tre giorni passati nella capitale non misero il naso fuori da quella stanza, se non per fare una rapida scappata e andare a vedere velocemente il Partenone, non avrebbero potuto tornare a casa senza aver visto almeno quello.
Tra un round di sesso e l’altro, il neo sposo usciva frettolosamente per comprare qualcosa da mangiare, pane e olive, dolmadakia o ancora meglio, i loukoumades o i baklavas i nutrienti dolci coperti di miele, che in pochi bocconi potevano far recuperare le tante energie perse in quelle infinite cavalcate.
Lui la fotteva grugnendo, indossando i calzini, le grosse gocce di sudore colavano dalla sua fronte gocciolandole sul ventre, e lei urlava e lo invitava a fotterla ancora più forte, aggrappandosi con le mani alla spalliera del letto, che a furia di sbattere contro la parete aveva lasciato dei profondi solchi nell’intonaco.
Quando lui era troppo stanco per fotterla era lei a fottere lui, non ne aveva mai abbastanza.
Lui giaceva esausto sperando di poter riposare un poco, ma lei resisteva solo pochi minuti, poi cominciava a fargli dei grattini sul petto o gli attorcigliava i ciuffi di peli che aveva intorno all’ombelico e dopo un po’ gli si metteva a cavalcioni, glielo faceva rizzare a furia di strisciargli sopra il bacino, poi presolo con la mano mentre era ancora mezzo molle se lo ficcava tra le labbra della fica, facendoselo scivolare dentro, approfittando del fatto che fosse ancora lubrificata dall’ultima sborrata.
Anche una volta tornati a Sivota continuarono a scopare come indemoniati per mesi, poi naturalmente la frequenza si dilatò, fino a diventare quella di una normale coppia di marito e moglie e poi via via sempre meno sesso, andavano aletto quasi solo per dormire ormai.
Le cose stavano cambiano non solo tra loro, ma anche intorno a loro.
Negli anni ottanta i turisti avevano cominciato ad apprezzare la calma di quella baia, la sua forma a mezzaluna, le sue acque placide e, in estate, le loro tende colorate punteggiavano il brullo terreno tra gli ulivi, le barche si ancoravano per godere del riparo offerto dalle sue acque sempre chete.
Panayotis e sua moglie aprirono un ristorantino proprio sul piccolo molo.
Otto tavoli coperti da una tettoia di canne e i classici piatti della semplice cucina ellenica, tzatziki, moussaka, insalata greca, souvlaki e poco altro.
Era lei che gestiva il locale, aiutata dalla cognata e dalla suocera, che col tempo avevano cominciato ad apprezzarla.
Lui, al mattino presto, usciva in mare con la piccola barca del padre a gettare le sue reti, quando rientrava, dopo aver sistemato le reti se ne andava a dormire, da tempo ormai non scopavano più come i primi tempi.
Durante la stagione morta, quando lei non era sfiancata dal gran lavoro del ristorante, si curava un po’ di più, ma partorire tre figli, uno dietro l’altro, l’avevano imbolsita, e la routine di sicuro non aiutava a riaccendere la vecchia libidine.
Certo, ogni tanto, lui le dava una ripassata, ma era come se si dovesse svuotare i testicoli e nulla era rimasto della passione di 15 anni prima.
In estate poi ... lei era troppo distrutta per avere tempo e voglia di farsi scopare, non si curava per niente, ciocche di capelli grigi, malamente nascoste sotto il foulard nero, il gran petto ormai cascante, una maglietta nera scolorita, chiazzata di sudore e di macchie di cibo, pallida, invecchiata precocemente, peli sulle gambe peggio di certi uomini.
Lui invece, tutto sommato era rimasto il bel tipo di un tempo.
La sera, dopo aver dormito per buona parte del pomeriggio, faceva tardi sotto la tettoia di canne del ristorante, ballava il Sirtaki con i clienti, lanciava morbide occhiate di concupiscenza alle turiste.
Mentre lui faceva gli occhi dolci con loro, Spiridulla in genere era a letto da almeno due ore, schiantata sul materasso senza aver nemmeno la voglia di lavarsi e cambiarsi per andare a dormire.
Quella notte di fine agosto la donna si svegliò nel cuore della notte, il letto di fianco a lei era vuoto e freddo, fu presa da uno strano presentimento, si alzò e si mise a cercare il marito, non era in casa, si diresse quindi verso le due casette che avevano costruito un anno prima per ospitare i turisti.
Nel silenzio della notte si udiva solo il frinire delle cicale, ma ascoltando meglio Spiridulla sentì con orrore un altro verso animalesco che ricordava assai bene.
Non poteva sbagliarsi, erano chiaramente i grugniti di suo marito quelli che sentiva provenire dalla finestra aperta di una delle camere.
La occupava una coppia di amiche tedesche, aveva pensato fossero due lesbiche, ma forse si era sbagliata.
Scosciate, maledette puttane bionde!
Il sangue le si ghiacciò nelle vene, la vista le si annebbiò per un attimo, ma fu veramente un attimo e ritornò immediatamente lucida, lucida e determinata.
Raggiunse silenziosamente la cucina del ristorante, prese un lungo coltello dal lavello e ritornò sui suoi passi.
Spalancò violentemente la porta della camera, i grugniti di Panayotis si mischiavano alle stridule grida femminili e il suo culo bianco si alzava e abbassava in mezzo alle gambe aperte di una di quelle due puttane, mentre l’altra si masturbava guardandoli dal lettino di fianco.
Saltò sul letto come una furia e prima che lui potesse accorgersi di quello che stava succedendo gli tirò indietro la testa prendendolo per i capelli e gli tagliò la gola con un solo fendente!
Il getto di sangue raggiunse la parete di fronte, lasciando una serie di strisce come fosse un quadro di Pollock e in pochi secondi la vita abbandonò quel porco di suo marito mentre le turiste urlavano terrorizzate pensando di fare la stessa fine dell’uomo.
Tre ore dopo una scalcagnata macchina della polizia portava via la donna in manette mentre gli abitanti di Sivota guardavano curiosi ed esterrefatti.
Tutti erano sconvolti e stupiti, tutti meno le vecchie donne del posto, che commentavano di averlo sempre detto che quella era una testa calda di città...
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scritto il
2019-04-26
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