Un metro 11- Una rivelazione
di
Browserfast
genere
etero
Ci ho pensato per tutto il tempo in cui sono stata in autobus. Miracolosamente seduta, per fortuna. Oddio, per la verità è da quando mi sono svegliata che ci penso. E’ inutile fare finta di niente. La gara con Serena non c’entra un cazzo, siamo oneste. Altrimenti non starei, alle dieci di mattina, andando da Lapo.
Non solo perché, ai fini della gara, Lapo è inutile, in fuorigioco. Ma perché ho voglia di una cosa precisa, che mi porto appresso… boh, da ieri sera. Voglia di scopare, d’accordo. Ma non la fate così facile. Più che altro ho voglia di essere sistemata per bene, conciata per le feste. Non so nemmeno come, per la verità, ma ho quella voglia lì. Anche con una certa brutalità, lo ammetto. Ho voglia di quel tipo di sesso lì. Non so se Lapo sia proprio quello giusto, però che volete, sarà stata pure la sfiga, ma è l’unico che ho a disposizione e non ce la faccio più ad aspettare. E’ come una febbre e me la sento tutta addosso. Ne ho bisogno, non so se mi capite. Altrimenti non starei, alle dieci di mattina, andando da Lapo.
Mentre entro nel portone incrocio una sventola che spinge una carrozzina con un neonato. Io non sono bassa, eh?, ma mi supera di almeno mezza testa. Ha i lineamenti metà europei e metà boh, sembrerebbe peruviani. I capelli neri e lisci che spuntano fuori da un cappello di feltro a tese larghe, una salopette di pelle nera sotto un pellicciotto. Una figa galattica, datemi retta. E questa è la baby sitter. La madre del neonato non sarà altrettanto bella ma addosso avrà cinquantamila euro di roba, pelliccia compresa. Ve lo dico per darvi un’idea del condominio in cui sto entrando.
Lui mi apre in jeans e felpa Nike, mi sorride. Io ho indosso lo stesso cardigan blu, corto come un maglione corto, che indossavo domenica pomeriggio, quando sono uscita con Giampaolo, mister dieci centimetri. Gli stessi jeans di ieri, le adidas. Mi sono vestita volutamente così, da studentessa, come quando vado all’università, anche se oggi non ho neanche lezione perché la prof è malata e quindi niente sensi di colpa. Solo l’intimo l’ho curato di più: un coordinato prugna nemmeno tanto ridotto, ma assolutamente trasparente nei punti giusti. Per il resto, un po’ di rimmel e un filo di rossetto.
“E’ sexy quella scollatura”, mi dice dopo che mi sono tolta il giaccone e ci siamo scambiati un bacio sottile. “Ma se non c’è niente!”, gli replico vezzosa e cinguettante. E lui dice e fa esattamente ciò che voglio che dica o faccia. “C’è, c’è…”, sorride. Mi bacia ancora, stavolta lingua in bocca, infila la mano nello scollo e sotto il reggiseno, si impossessa della mia tettina, la stringe. Penso “dio quanto sei figo” e gli mugolo in bocca per la prima volta nella giornata.
Domanda se voglio qualcosa da bere e senza aspettare la risposta dice “torno subito”, si allontana dalle parti della cucina. Io vado ad aspettarlo in salone. L’altra sera era buio e si vedeva poco, ma oltre la finestra e l’ampia terrazza, anche da dietro ai vetri, c’è lo spettacolo del Tevere in pieno sole. Mi sorprendo a pensare che se non facesse così freddo mi piacerebbe scopare sulla balaustra di quel terrazzo, presa da dietro mentre guardo il fiume e i colori dei tetti.
Non c’è niente da fare, stamattina. Ogni mio pensiero finisce sempre lì. Mi chiedo cosa dovrei fare. Potrei spogliarmi completamente e farmi trovare nuda al suo ritorno. Potrei restare protetta, per modo di dire, dalle trasparenze del mio reggiseno e delle mutandine. Potrei lasciarmi andare a frasi oscene di approccio, tipo “chiavami per ore” o “imbottiscimi di cazzo”, “sbattimi, fammi urlare”, cose così. Delirio.
Ma in realtà non faccio nulla e lui riappare con un vassoietto sopra il quale ci sono due mug di caffè solubile, una canna e un accendino. Organizzato ed efficiente, il ragazzo. Mentre beviamo il caffè sul divano mi tolgo le scarpe e i fantasmini facendo volare tutto un po’ qua e un po’ là. Alla fine si accende la canna e mi dice “togliti i pantaloni”. Mi sfilo i jeans facendo la scema, ondeggiando e dicendogli “agli ordini, macho man”. Mi volto e gli sculetto davanti. Lui ride, dà un altro tiro e me la passa, facendomi segno di salirgli sopra. Lo faccio, poso le ginocchia ormai nude sul cuscino del divano e mi accomodo sulle sue gambe. Mi prende per le cosce e mi sistema come vuole lui, ovvero con la fica a diretto contatto del suo pacco. Mi domanda ironicamente a cosa mi servano delle mutandine così trasparenti che mi si vede perfettamente tutto. Gli rispondo ridendo che ci sono dei motivi di igiene che con le trasparenze non c’entrano nulla ma che comunque, nella fattispecie, lo scopo di quelle mutandine sarebbe quello di fargli ingrossare il cazzo. E inoltre, visto come siamo messi in questo momento, semmai sarebbe lui che mi dovrebbe dire a cosa gli servano quegli stupidi pantaloni. Mi va di essere così, oscena e sfacciata. Non tanto perché la situazione è quella che è, ma perché voglio eccitarmi ed eccitarlo. Nelle nostre teste, prima che nei nostri sessi.
Non risponde alla mia provocazione ma sorride, mi prende la canna e prima di dare un’altra tirata mi sussurra “dai, strusciati”. Gli metto le mani sul petto e inizio a muovere il culo avanti e indietro, a rotearlo. Sento il pacco che si ingrossa. E più si ingrossa più mi muovo. Mi mette la canna in bocca e io aspiro, gli soffio il fumo in faccia, guardo in basso per vedere il suo ingombro adesso ben delineato e solo parzialmente nascosto tra le mie gambe. Mi sale la voglia e mi sale l’effetto dell’hashish. Ansimo pesantemente mentre mi muovo. E sempre ansimando gli dico “fammi godere”.
Lui, boh. In realtà sembra fottersene, anzi mi sa proprio che se ne fotte perché dopo avere spento il cannone mi fa “dai Annalisa, succhiamelo”. Si libera dei pantaloni e degli slip mentre mi inginocchio tra le sue gambe. Il suo cazzo svetta, è slurposo, già umido, invitante. Ma avverto che c’è qualcosa da correggere, da mettere in chiaro subito. Senza tanti pudori. Anche perché mi sento più spudorata del solito. Glielo lecco, lo lucido, lo faccio diventare bello duro prima di raccogliere in bocca mezzo litro di saliva e fargliela colare sulla cappella. Lo impugno alla base e mi fermo, guardandolo negli occhi. “Ti ricordi l’altra sera, macho man?”, gli domando. Mi esce una voce roca, involontariamente sensuale. “Avrei l’alzheimer se non ricordassi”, risponde cercando di mantenere l’atteggiamento distaccato. “Ti ricordi cosa era Serena per noi?”, chiedo prima di far colare altra saliva sul suo uccello e spalmargliela con la lingua lungo tutta l’asta. “La nostra schiava”, dice. “E io cosa ero per te?”. “La mia puttana”. “Ecco, oggi non chiamarmi più Annalisa, mai, nemmeno una volta. Oggi chiamami solo puttana”. Detto questo, gli imbocco tutti i suoi diciassette centimetri lubrificati di bava fino alle tonsille. Lo so fare, l’ho fatto con cazzi ben più grandi. So che è una cosa che li fa impazzire, tutti. Lui rantola, mi mette una mano sulla nuca e inizia subito a imporre il suo ritmo. Mi dice affannato “fatti sborrare in bocca che poi ti divertirai di più”. Io sbottono il cardigan e mi sfilo il reggiseno, provo l’estremo piacere di rimanere con le sole mutandine indosso. Mentre lo sento arrivare, di impulso, mi stacco, il filo di saliva si rompe rapidamente e resto lì, con la bocca aperta come un bersaglio del tiro a segno mentre mi sposto indietro i capelli. Lui però il bersaglio non lo centra e due grossi schizzi mi si spiaccicano in faccia, mi infila di nuovo il cazzo in bocca e mi disseta con altri tre spruzzi. Bello carico, penso. Ma non glielo dico, anche perché sono impegnata ad ingoiare e a raccogliere con un dito e succhiare lo sperma sul viso. Mi guarda come se si aspetti che lo pulisca, e io lo faccio. Quando il respiro di entrambi ritorna regolare gli sfioro i coglioni con la punta delle dita e alzo lo sguardo verso di lui.
– Avrei un’altra richiesta – gli mormoro.
– Il cazzo me l’avete misurato già l’altro giorno – ride.
Io però non è che abbia tutta sta voglia di ridere. Ho il ventre in calore e devastato dalle contrazioni.
– Sbattimi, macho man… scopami forte, più forte che puoi.
Mi lascio portare in braccio in giro per la casa, mentre rido e cerco di pulirmi la faccia inzaccherata dal suo seme. Non andiamo nella stanza dei suoi, quella in cui abbiamo scopato e dormito insieme con Serena, mi deposita nel suo letto a una piazza e mezza. Mi ci lascia cadere sopra facendomi lanciare un urletto. Mi sfilo le mutandine e gli spalanco le cosce davanti, non vedo l’ora. Gli dico anche “dai, lascia perdere” quando fa per prendere i preservativi dal cassetto. Lui chiede ridendo se la mia è fiducia o troppa voglia, che è poi un modo per dirmi che sono in calore come una cagna. Io in verità vorrei che me lo dicesse esplicitamente. Gli rispondo “voglio sentire tutto il tuo cazzo”. E mentre glielo dico sento la vagina che si schiude.
E invece no, deve decidere ancora una volta lui. Posa la testa tra le mie gambe e me la lecca. Non credo che lo faccia per tenermi sulla graticola. Magari gli piace proprio leccare prima di infilarlo dentro, dato che l’aveva fatto anche a Serena. Magari ha bisogno di un altro po’ di tempo per riprendersi. In ogni caso, usa la lingua come le dita, cioè da dio. Un talento naturale. Cosa è che gli avevo chiesto, fammi godere? Beh, missione compiuta, visto che vengo molto presto, sia pure imprecando e maledicendolo perché voglio essere riempita. Non è uno di quelli che mi fa svenire, ma è un orgasmo.
Gli sorrido, e sorridendo anche lui mi sale sopra, con il muso tutto impiastricciato di me. Finalmente, cazzo. O, se preferite, finalmente cazzo. Mi schiaccia con quel peso che ogni ragazza impara ad apprezzare come il peso più bello del mondo, si sistema un pochino poi spinge forte, mi sfonda. Strillo, come ogni volta. Lui si ferma, affondato nel mio ventre. Ancora ansimante gli sorrido un’altra volta e gli sussurro “macho man…”, lui sussurra “mi piace quando strilli”. E qui accade una cosa che proprio non mi aspetto: mi dà altre due botte di cazzo, due di numero, io gli miagolo “ah sì, così, tutto dentro” e poi bum. L’esplosione, intendo. La scossa che mi sale dall’inguine al cervello e poi si impossessa di ogni cellula, la fica che gli stringe quell’appendice di carne dura, nuovi strilli, il corpo che scatta, il buio.
Mi scopa implacabile per un’ora, diciamo anche un’ora e mezza. Viene tre volte in tutto, due volte dentro e una in bocca perché glielo chiedo io. Cioè, mi sembra di averglielo chiesto io, non sono tanto presente a me stessa. Le pause sono poche. Una di queste impiegata a farci un’altra canna. I miei orgasmi sono invece tantissimi. Non li conto mai perché non me ne frega un cazzo, ma stavolta anche volendo non ci riuscirei.
Poi, durante un sessantanove che definirei in souplesse, ha la brillante idea di cominciare a leccarmi il buchino. E’ inconcepibile, è una vergogna che mi faccia questo effetto ogni volta. Dopo un minuto sono completamente fuori di testa, non capisco più niente e non so nemmeno come mi chiamo. So solo che mi contorco tanto da non riuscire quasi più a succhiarglielo e che lui deve tenermi ferma. Ogni tanto però riesco a conficcarmelo in gola e a sentire il suo istinto di maschio che gli fa muovere il bacino per spingermelo ancora più dentro. Non è possibile, macho man, l’ho già preso tutto. Per la maggior parte del tempo, però, non riesco a fare nulla, il piacere è letteralmente insostenibile. Cioè, oddio, insostenibile fino a un certo punto perché quando lui mi fa ironico “ti piace proprio, eh?” io per nulla ironica lo supplico di non smettere. E anche in questo caso, come se lo facesse per dispetto, invece no, lui smette. Mi si sfila da sotto e mi lascia con la faccia sul materasso. Dice “resta così che adesso ti sfondo il culo”, la mia unica reazione è quella di cominciare a piagnucolare di paura.
Lo sento armeggiare dietro di me, dopo di che mi si stende sopra e, effettivamente, mi sfonda il culo. Lo sapevo, Serena me l’aveva detto. Uno fissato con la psicanalisi potrebbe dire che in fondo ci sono tornata proprio per questo e, chissà, potrebbe anche avere ragione. A differenza di quanto ha fatto con la mia amica, stavolta mi usa la cortesia di lubrificarsi il cazzo, ma non è che cambi poi molto, almeno per me. Anche se entra abbastanza piano, stavolta il mio strillo è cento per cento dolore, ve lo giuro. Così come vi giuro che a un certo punto penso che tanto valeva che me lo mettesse dentro tutto e subito, in una botta. E, perdonatemi ma è proprio il caso di dirlo, vaffanculo a tutto. Se oltraggio deve essere, io lo concepisco solo così. Probabilmente perché penso che quell’oltraggio me lo merito.
Lui, in compenso, a passare dalla delicatezza alla brutalità ci mette davvero poco. Non gliene frega un cazzo delle mie urla e delle mie gambe che scalciano e martellano il materasso. Continua a scoparmi sempre più forte, ancora più forte. E in fondo non è quello che gli avevo chiesto sin dall’inizio? Sfondami, scopami più forte che puoi. E lui lo fa, come se volesse aprirmi in due a forza di cazzo.
E’ una sensazione che mi è realmente difficile descrivere. Mi sta facendo sua nel più lurido dei modi, ma non mi sento davvero “sua”. E’ come essere sotto una macchina, sotto uno scopatore fantastico che non si ferma mai, una di quelle fucking machine che si vedono su Youporn. Con la differenza, che però non è poca, del calore. E non mi riferisco al fuoco che ho nelle viscere ma al calore del suo corpo, del suo cazzo. E tuttavia no, non mi sento davvero “sua”. Non mi sento soggiogata. Semmai, che vi devo dire, mi piace da matti dal punto di vista fisico. E’ come con Davìd a Londra, quella mattina prima di partire. Solo che quella volta avevo creduto che mi piacesse perché ce l’aveva piccolo, ma credevo male. Persino ogni lampo di dolore è come un lampo di piacere. Urlo, strepito, vado via di cervello e non so quello che dico. Ma mi piace da matti. E mi sa che si vede pure, perché con una cosa a metà tra un ringhio e un sussurro Lapo mi fa “lo vedi che ti piace? piace a tutte”. Boh, non so se questo è vero ma sticazzi. Gli strillo “vieni, vieni” perché a volte mi sembra davvero di non farcela più, e un attimo dopo vorrei che durasse il più a lungo possibile. Ma ad un certo punto, quando accelera e accelera, capisco che anche per lui il tempo sta per finire. Tutto ha una fine prima o poi.
“Macho man”, gli dico con un filo di voce dopo un po’. Ovvero quando riesco a parlare. Gli ribalto addosso il suo “ti piace proprio, eh?” precedente. “Non dire nulla, è piaciuto a te quanto a me”, mi fa per ribadire il concetto. Ma non ce n’è bisogno, anzi è un passo falso, il suo. Perché giustificarsi? Lo penso e glielo dico: “Non devi giustificarti, lo volevi fare e l’hai fatto”. Ride e mi dice che la prendo sportivamente, visto che sa perfettamente che il sesso anale non è tra le mie pratiche preferite.
– E chi lo sa? – replico – magari lo diventa… solo una cosa non devi fare mai…
– E sarebbe? – domanda lui.
– Chiederlo… se me lo chiedi ti dico di no, è matematico.
– Non solo mi piace quando strilli, mi piacciono anche le porcate che dici… – fa lui cambiando discorso. Mi abbraccia come se volesse coccolarmi, e un po’ ne ho bisogno, adesso. Sento del bagnato in mezzo alle natiche, ma non voglio pensarci.
– Non me ne rendo tanto conto, sai? – gli dico con la voce di una che, improvvisamente, prova vergogna.
– Davvero?
– Davvero, non me lo ricordare, ti prego – rispondo.
Lui naturalmente tira fuori il catalogo quasi completo, che è esattamente ciò che volevo. Un catalogo fatto di “riempimi di cazzo”, “tutto dentro”, “sfondami”, “sbatti la tua troia”, “più forte, più forte”. E tante altre oscenità ancora. Cazzo, che memoria.
– Quando dici “finiscimi” sei così bella, sembri in agonia…
Vorrei dirgli che invece è lui così arrapante a dirmi queste cose, che se ce la facessi ricomincerei anche subito.
– E’ che hai davvero questo coso allucinante – gli dico sfiorandolo con le dita.
– Se lo fai ancora ritorna duro, già lo sento…
– No, ti prego, sono distrutta… mi hai ammazzata, ma come fai?
Lui si schermisce, forse non è abituato a una ragazza tanto esplicita, o forse ci è sin troppo abituato. Io non vorrei che fraintendesse, ma la mia è una pura curiosità, perché mi sembra strano che un ragazzo che in fondo ha la mia età abbia questa disinvoltura, a letto. Voglio dire, così mi hanno scopata uomini ben più grandi, in fondo. Come stanno le cose, macho man, te ne scopi tante? Lo fai a tutte? E’ la tua fidanzata di Copenaghen, la Sirenetta, che ti ha aperto le strade della perversione? Come cazzo l’hai conosciuta? E come cazzo fai a dire che è la tua ragazza se vi vedete non so quante volte l’anno, di sicuro poche, e nel frattempo tu ti fai qualsiasi fica ti tiri il cazzo? Lapo risponde che in realtà lui la Sirenetta la ama, che si sono conosciuti in un campus in Francia quando avevano sedici anni e che stanno insieme da allora. E che lei sarà qui per le vacanze di Natale. E, inoltre, che a letto è anche abbastanza imbranata. “Per esempio, quello che fai tu con la bocca lei se lo sogna”, aggiunge, “però la amo”.
Credo che nemmeno si renda conto che, così dicendo, ha frustato a sangue la mia sensibilità. Non sei una che fa innamorare la gente, sei già brava a succhiare cazzi, accontentati. In pratica, è ciò che mi ha detto. Glielo faccio notare e lui appare sinceramente rammaricato, dice che non intendeva minimamente questo, ma insomma sì, dai, un po’ lo intendeva. Mi abbraccia più forte e mi chiede scusa, ma sapeste a me quanto mi stanno sul cazzo le scuse, faccio finta di non sentirle. Per fortuna dopo un po’ ritorna il bastardo che è e riprende in mano la situazione, mi gira e mi rigira, mi passa la lingua su ogni centimetro del corpo, fa lo stronzo chiedendomi – per gioco ma solo fino a un certo punto – se per caso non mi va un’altra dose di sculaccioni come l’altro giorno, e magari qualche cinghiata in più.
“No, ti prego, non ho voglia delle tue mani e nemmeno del cuoio, oggi ho voglia del tuo cazzo”, gli rispondo. Non so con che tono glielo dico, ma mi sento il gelo dentro. Voglio dirgli che ok, te l’ho detto io di trattarmi come una puttana e di chiamarmi così. Sì, d’accordo, va bene, ho introdotto io l’argomento della Sirenetta, è stato un errore. Ma magari mi aspettavo qualcosa di più nei miei riguardi, anche se non so bene cosa. Magari potevi essere un po’ più delicato. E comunque, se io sono solo una bocca da pompini e un culo da rompere, ok, allora tu sei davvero una fucking machine e basta. Non siamo umani, non siamo nemmeno bestie, siamo macchine per scopare. Mica mi spaventa, eh? Solo che vorrei dire a tutti quelli che mi scopano o mi infilano il cazzo in bocca, una volta per tutte, smettetela di fare paragoni con le vostre donne. Se sono io a chiedervi qualcosa basta che mi diciate che le amate tanto. Contenti voi contenti tutti, a me fa tanto piacere, ve lo giuro. Ma non fate paragoni, non c’è bisogno che mi lasciate intendere che io, invece, sono solo una troia da sbattere. Sì, cioè, sono una che potete mettere a novanta su un tavolo e chiavarmi quanto vi pare, oppure portarmi nel cesso di un locale e farvelo succhiare. D’accordo, se mi piacete lo potete fare, mando il cervello in vacanza per un po’ e ve lo lascio fare. Basta che poi non ci ritorniate tanto sopra con i paragoni. E’ da quando al liceo feci un pompino a un ragazzo che mi piaceva e lui mi disse “sei bravissima, la mia ragazza non fa così” che non sopporto i paragoni. Meglio Tommy, allora, che mi sborrava in bocca e un’ora dopo era a scoparsi quella vacca di Benedetta, la sua ragazza, da qualche parte. Lui al massimo mi chiedeva “ma non ti dà fastidio che tutti ti considerino una troia?”, io gli rispondevo “no” e lui, placidamente, mi diceva “ah, ok, allora succhia”.
Comunque, chiudiamo l’argomento che è meglio, anche perché ora devo dirvi una cosa che apparentemente non c’entra un cazzo, ma vedrete che alla fine i conti tornano: io credo fermamente nella potenza del caso. Con la esse, eh?, non fate gli stupidi. Ci credo soprattutto quando il caso non è poi così tanto casuale. No, non sono matta, vi faccio un esempio: gli esseri umani scopano, no? Lo fanno perché gli piace immensamente, il nostro corpo è fatto per farselo piacere. Io e le mie sorelle, per esempio, abbiamo un grilletto che non serve assolutamente a niente se non a farci divertire. Ma in realtà noi siamo fatti così e scopiamo perché è in questo modo che la natura ha programmato il suo scopo principale, la riproduzione. Si chiama eterogenesi dei fini. Ecco, da questo momento in poi va in scena l’eterogenesi dei fini, cioè fare una cosa ottenendo un risultato che, all’inizio, non avreste proprio messo in preventivo.
Quando gli dico “mangiamo qualcosa?” glielo dico più che altro per tirarci fuori da questo momento un po’ deludente, più che per fame vera e propria. Perché il mio intento è proprio quello di chiudere il capitolo riguardante questa cazzo di Sirenetta di Copenaghen, che a letto è un disastro ma che comunque merita chissà per quale motivo di essere amata da un figo come Lapo. Finiamo in cucina, nudi e con i fornelli accesi per non sentire freddo, anche se comunque mi faccio dare una maglietta che mi fa quasi da minigonna. E mentre si mangia si parla. Succede spesso, no? Soprattutto tra due ragazzi che sono stati per un paio d’ore uno nel corpo dell’altra. Mica pretenderete che stiano lì muti, a tavola, a consumare un veloce spuntino senza dire una parola prima di rimettersi a scopare. Io, poi, in questo momento, proprio perché voglio lasciarmi alle spalle la storia della sua ragazza e dei paragoni con la sottoscritta, mi sento anche troppo ciarliera.
Gli domando un po’ di cose sui ragazzi e sulle ragazze che c’erano qualche giorno fa alla festa, e non gli nascondo nemmeno di essere rimasta parecchio incuriosita da quella che ho definito la Principessa e da Federica, la schizzata con i capelli viola. La simpatica pazzoide.
La Principessa, che poi si chiamerebbe Cristiana ma io per i nomi sono proprio un disastro, secondo Lapo è molto meglio di come la dipingo. Sì, è vero, all’inizio può sembrare che faccia un po’ la sostenuta. E probabilmente ha davvero qualche complesso di superiorità, ma tutto sommato è una ragazza leale e trasparente. Anche molto ironica, intelligente. A lui piacerebbe molto, da quel punto di vista. Molto meno da quello fisico, anche se – debbo essere onesta – a me non sembra tutto sto disastro.
Federica invece, sempre a detta di Lapo, è proprio un caso clinico. Gli sorrido un “sì, un po’ me ne ero accorta”. Lui risponde che non dice tanto per dire. “Non è scema, eh? Ma manco per niente, però è una cui manca, oltre a qualche rotella, qualcosa nella vita… non so, non ci capisco un cazzo, ma mi hanno detto che la madre è al terzo o quarto matrimonio e lei è stata praticamente cresciuta da tate se non addirittura da donne di servizio, che cazzo ne so, sarà sindrome di abbandono, boh… però, hai visto anche tu come è, no?”. Dico a Lapo che la cosa che mi ha maggiormente colpita è che certe volte quella ragazza ti parla come se tu fossi il centro dell’universo e poi è come se all’improvviso si stancasse e se ne va, o comincia a fare un’altra cosa, a parlare di altro. “E poi”, aggiungo, “non ti guarda mai in faccia, gira gli occhi continuamente da una parte all’altra e si arriccia le ciocche”.
– Sì, questo è l’aspetto più evidente – commenta Lapo incerto, come se cercasse il modo di descriverla meglio ma non ci riuscisse.
– Comunque è davvero una bella ragazza, a me sta simpaticissima, di istinto. E i capelli viola erano una figata… – faccio io anche per tagliare un po’ corto.
– …mmm, magari oggi sono azzurri… No, ecco, sai una cosa? Tu l’hai vista comportarsi in quel modo, ma a volte è esattamente il contrario, ti si appiccica addosso in modo morboso, o fa di tutto perché qualcuno le si appiccichi addosso…
– Non ho capito, in che senso? – domando.
– In ogni senso possibile – risponde Lapo – anche in quello…
– Ah!
– Beh, l’hai sentita pure tu, no? L’hai vista…
– Sì, ma… boh, sai, quando non conosci una persona…
Gli domando “tu te la sei fatta?”, ma la mia curiosità è completamente diversa da quella di poco fa. Il centro del mio interesse è la ragazza, non lui. “Me la sono fatta? Facciamo prima a elencare quelli che non se la sono fatta! E magari in questi cinque giorni l’elenco si è assottigliato…”.
– E’ davvero così troia? – domando stupidamente, pentendomene un attimo dopo.
– Ma non è tanto quello… la cosa che ti spiazza di lei è che sembra inconsapevole, in fondo. Certe volte ti guarda con odio se le dai un bacetto di saluto, altre si concede subito. Ma anche a gente appena conosciuta, eh? Anche davanti a tutti. Anche a due o tre insieme, un po’ come la tua amica. Qualche volta mi hanno detto che ha pure chiesto dei soldi, e non ne ha bisogno proprio, guarda, i soldi le escono…
– No, scusa un secondo – lo interrompo – non mi risulta che Serena sia mai andata con due o tre insieme, come dici tu…
– Serena? – fa lui guardandomi sorpreso – che cazzo c’entra Serena?
– Di quale amica parli, scusa?
– Ma non Serena, quella di cui tu e Serena parlavate.
– Uh?
– Ti ricordi quando Serena ti ha detto che avevi il segno della cinghiata e che le ricordavi questa qui? Ora il nome non me lo ricordo, aspetta…
Mi fermo un attimo mentre sto per mettermi in bocca un cracker burro e salmone, cerco di ricordare quel momento lì. La frase di Serena, la mia domanda…
– Giovanna? – chiedo a Lapo.
– Sì, brava, Giovanna.
– E che cazzo c’entra Giovanna? – gli faccio ridendo con il cracker ancora in mano.
– Ma scusa – domanda Lapo con l’aria di uno che più che parlare delle abitudini sessuali di una ragazza sta verificando la correttezza di un numero del telefono – non è sta Giovanna quella che va solo con due, tre o anche quattro uomini insieme? E comunque mai con uno solo?
– Lapo, ma che cazzo dici? – domando mentre qualcosa nella testa comincia a frullarmi.
– Ah, senti, non lo so, me l’ha detto Serena, magari mi ha detto una cazzata, ma perché poi avrebbe dovuto… mi ha detto pure che aveva pensato di portarla ma che lei sabato scorso doveva vedersi con un tipo con cui fa ste cose… Ma mi sa che ho fatto una cazzata, non te lo dovevo raccontare, vero?
– Quale tipo? Quali cose?- gli faccio sempre più esterrefatta e ignorando la sua domanda.
– Boh, chi lo conosce, non lo conosce manco Serena, l’ha visto una volta… E’ uno grande, sposato, che si porta appresso altra gente… ma scusa, tu non sapevi un cazzo?
– Io? N-no, mi pare impossibile… – gli dico un po’ sotto shock – ma sarà vero?
– E che ne so? Boh sì, qualcuno che farà ste cose ci sarà, io non ne conosco… che tipo è questa qui?
Già, che tipo è Giovanna? mi domando ancora incredula. Sicuramente non mi ha mai dato l’impressione… Però no, un attimo, c’è stata una sera in cui… quella discoteca all’aperto, c’era anche Serena, il giorno prima di partire per Londra… quando l’ho vista seduta su una panchina a chiacchierare con due tipi… mi è sembrata imbarazzata nel vedermi, o no? E poi è sparita, ci ha mollate… Sì, ok, però… Giovanna, dai, ci sono cose che non tornano…
– Che tipo è? – rispondo a Lapo – Mah, normale, anche un po’… Senti, mi passi un po’ di Philadelphia per favore?
Non è che abbia proprio voglia di spalmare il Philadelphia su un altro cracker. Ho soprattutto voglia di pensare un momento, con calma.
CONTINUA
Non solo perché, ai fini della gara, Lapo è inutile, in fuorigioco. Ma perché ho voglia di una cosa precisa, che mi porto appresso… boh, da ieri sera. Voglia di scopare, d’accordo. Ma non la fate così facile. Più che altro ho voglia di essere sistemata per bene, conciata per le feste. Non so nemmeno come, per la verità, ma ho quella voglia lì. Anche con una certa brutalità, lo ammetto. Ho voglia di quel tipo di sesso lì. Non so se Lapo sia proprio quello giusto, però che volete, sarà stata pure la sfiga, ma è l’unico che ho a disposizione e non ce la faccio più ad aspettare. E’ come una febbre e me la sento tutta addosso. Ne ho bisogno, non so se mi capite. Altrimenti non starei, alle dieci di mattina, andando da Lapo.
Mentre entro nel portone incrocio una sventola che spinge una carrozzina con un neonato. Io non sono bassa, eh?, ma mi supera di almeno mezza testa. Ha i lineamenti metà europei e metà boh, sembrerebbe peruviani. I capelli neri e lisci che spuntano fuori da un cappello di feltro a tese larghe, una salopette di pelle nera sotto un pellicciotto. Una figa galattica, datemi retta. E questa è la baby sitter. La madre del neonato non sarà altrettanto bella ma addosso avrà cinquantamila euro di roba, pelliccia compresa. Ve lo dico per darvi un’idea del condominio in cui sto entrando.
Lui mi apre in jeans e felpa Nike, mi sorride. Io ho indosso lo stesso cardigan blu, corto come un maglione corto, che indossavo domenica pomeriggio, quando sono uscita con Giampaolo, mister dieci centimetri. Gli stessi jeans di ieri, le adidas. Mi sono vestita volutamente così, da studentessa, come quando vado all’università, anche se oggi non ho neanche lezione perché la prof è malata e quindi niente sensi di colpa. Solo l’intimo l’ho curato di più: un coordinato prugna nemmeno tanto ridotto, ma assolutamente trasparente nei punti giusti. Per il resto, un po’ di rimmel e un filo di rossetto.
“E’ sexy quella scollatura”, mi dice dopo che mi sono tolta il giaccone e ci siamo scambiati un bacio sottile. “Ma se non c’è niente!”, gli replico vezzosa e cinguettante. E lui dice e fa esattamente ciò che voglio che dica o faccia. “C’è, c’è…”, sorride. Mi bacia ancora, stavolta lingua in bocca, infila la mano nello scollo e sotto il reggiseno, si impossessa della mia tettina, la stringe. Penso “dio quanto sei figo” e gli mugolo in bocca per la prima volta nella giornata.
Domanda se voglio qualcosa da bere e senza aspettare la risposta dice “torno subito”, si allontana dalle parti della cucina. Io vado ad aspettarlo in salone. L’altra sera era buio e si vedeva poco, ma oltre la finestra e l’ampia terrazza, anche da dietro ai vetri, c’è lo spettacolo del Tevere in pieno sole. Mi sorprendo a pensare che se non facesse così freddo mi piacerebbe scopare sulla balaustra di quel terrazzo, presa da dietro mentre guardo il fiume e i colori dei tetti.
Non c’è niente da fare, stamattina. Ogni mio pensiero finisce sempre lì. Mi chiedo cosa dovrei fare. Potrei spogliarmi completamente e farmi trovare nuda al suo ritorno. Potrei restare protetta, per modo di dire, dalle trasparenze del mio reggiseno e delle mutandine. Potrei lasciarmi andare a frasi oscene di approccio, tipo “chiavami per ore” o “imbottiscimi di cazzo”, “sbattimi, fammi urlare”, cose così. Delirio.
Ma in realtà non faccio nulla e lui riappare con un vassoietto sopra il quale ci sono due mug di caffè solubile, una canna e un accendino. Organizzato ed efficiente, il ragazzo. Mentre beviamo il caffè sul divano mi tolgo le scarpe e i fantasmini facendo volare tutto un po’ qua e un po’ là. Alla fine si accende la canna e mi dice “togliti i pantaloni”. Mi sfilo i jeans facendo la scema, ondeggiando e dicendogli “agli ordini, macho man”. Mi volto e gli sculetto davanti. Lui ride, dà un altro tiro e me la passa, facendomi segno di salirgli sopra. Lo faccio, poso le ginocchia ormai nude sul cuscino del divano e mi accomodo sulle sue gambe. Mi prende per le cosce e mi sistema come vuole lui, ovvero con la fica a diretto contatto del suo pacco. Mi domanda ironicamente a cosa mi servano delle mutandine così trasparenti che mi si vede perfettamente tutto. Gli rispondo ridendo che ci sono dei motivi di igiene che con le trasparenze non c’entrano nulla ma che comunque, nella fattispecie, lo scopo di quelle mutandine sarebbe quello di fargli ingrossare il cazzo. E inoltre, visto come siamo messi in questo momento, semmai sarebbe lui che mi dovrebbe dire a cosa gli servano quegli stupidi pantaloni. Mi va di essere così, oscena e sfacciata. Non tanto perché la situazione è quella che è, ma perché voglio eccitarmi ed eccitarlo. Nelle nostre teste, prima che nei nostri sessi.
Non risponde alla mia provocazione ma sorride, mi prende la canna e prima di dare un’altra tirata mi sussurra “dai, strusciati”. Gli metto le mani sul petto e inizio a muovere il culo avanti e indietro, a rotearlo. Sento il pacco che si ingrossa. E più si ingrossa più mi muovo. Mi mette la canna in bocca e io aspiro, gli soffio il fumo in faccia, guardo in basso per vedere il suo ingombro adesso ben delineato e solo parzialmente nascosto tra le mie gambe. Mi sale la voglia e mi sale l’effetto dell’hashish. Ansimo pesantemente mentre mi muovo. E sempre ansimando gli dico “fammi godere”.
Lui, boh. In realtà sembra fottersene, anzi mi sa proprio che se ne fotte perché dopo avere spento il cannone mi fa “dai Annalisa, succhiamelo”. Si libera dei pantaloni e degli slip mentre mi inginocchio tra le sue gambe. Il suo cazzo svetta, è slurposo, già umido, invitante. Ma avverto che c’è qualcosa da correggere, da mettere in chiaro subito. Senza tanti pudori. Anche perché mi sento più spudorata del solito. Glielo lecco, lo lucido, lo faccio diventare bello duro prima di raccogliere in bocca mezzo litro di saliva e fargliela colare sulla cappella. Lo impugno alla base e mi fermo, guardandolo negli occhi. “Ti ricordi l’altra sera, macho man?”, gli domando. Mi esce una voce roca, involontariamente sensuale. “Avrei l’alzheimer se non ricordassi”, risponde cercando di mantenere l’atteggiamento distaccato. “Ti ricordi cosa era Serena per noi?”, chiedo prima di far colare altra saliva sul suo uccello e spalmargliela con la lingua lungo tutta l’asta. “La nostra schiava”, dice. “E io cosa ero per te?”. “La mia puttana”. “Ecco, oggi non chiamarmi più Annalisa, mai, nemmeno una volta. Oggi chiamami solo puttana”. Detto questo, gli imbocco tutti i suoi diciassette centimetri lubrificati di bava fino alle tonsille. Lo so fare, l’ho fatto con cazzi ben più grandi. So che è una cosa che li fa impazzire, tutti. Lui rantola, mi mette una mano sulla nuca e inizia subito a imporre il suo ritmo. Mi dice affannato “fatti sborrare in bocca che poi ti divertirai di più”. Io sbottono il cardigan e mi sfilo il reggiseno, provo l’estremo piacere di rimanere con le sole mutandine indosso. Mentre lo sento arrivare, di impulso, mi stacco, il filo di saliva si rompe rapidamente e resto lì, con la bocca aperta come un bersaglio del tiro a segno mentre mi sposto indietro i capelli. Lui però il bersaglio non lo centra e due grossi schizzi mi si spiaccicano in faccia, mi infila di nuovo il cazzo in bocca e mi disseta con altri tre spruzzi. Bello carico, penso. Ma non glielo dico, anche perché sono impegnata ad ingoiare e a raccogliere con un dito e succhiare lo sperma sul viso. Mi guarda come se si aspetti che lo pulisca, e io lo faccio. Quando il respiro di entrambi ritorna regolare gli sfioro i coglioni con la punta delle dita e alzo lo sguardo verso di lui.
– Avrei un’altra richiesta – gli mormoro.
– Il cazzo me l’avete misurato già l’altro giorno – ride.
Io però non è che abbia tutta sta voglia di ridere. Ho il ventre in calore e devastato dalle contrazioni.
– Sbattimi, macho man… scopami forte, più forte che puoi.
Mi lascio portare in braccio in giro per la casa, mentre rido e cerco di pulirmi la faccia inzaccherata dal suo seme. Non andiamo nella stanza dei suoi, quella in cui abbiamo scopato e dormito insieme con Serena, mi deposita nel suo letto a una piazza e mezza. Mi ci lascia cadere sopra facendomi lanciare un urletto. Mi sfilo le mutandine e gli spalanco le cosce davanti, non vedo l’ora. Gli dico anche “dai, lascia perdere” quando fa per prendere i preservativi dal cassetto. Lui chiede ridendo se la mia è fiducia o troppa voglia, che è poi un modo per dirmi che sono in calore come una cagna. Io in verità vorrei che me lo dicesse esplicitamente. Gli rispondo “voglio sentire tutto il tuo cazzo”. E mentre glielo dico sento la vagina che si schiude.
E invece no, deve decidere ancora una volta lui. Posa la testa tra le mie gambe e me la lecca. Non credo che lo faccia per tenermi sulla graticola. Magari gli piace proprio leccare prima di infilarlo dentro, dato che l’aveva fatto anche a Serena. Magari ha bisogno di un altro po’ di tempo per riprendersi. In ogni caso, usa la lingua come le dita, cioè da dio. Un talento naturale. Cosa è che gli avevo chiesto, fammi godere? Beh, missione compiuta, visto che vengo molto presto, sia pure imprecando e maledicendolo perché voglio essere riempita. Non è uno di quelli che mi fa svenire, ma è un orgasmo.
Gli sorrido, e sorridendo anche lui mi sale sopra, con il muso tutto impiastricciato di me. Finalmente, cazzo. O, se preferite, finalmente cazzo. Mi schiaccia con quel peso che ogni ragazza impara ad apprezzare come il peso più bello del mondo, si sistema un pochino poi spinge forte, mi sfonda. Strillo, come ogni volta. Lui si ferma, affondato nel mio ventre. Ancora ansimante gli sorrido un’altra volta e gli sussurro “macho man…”, lui sussurra “mi piace quando strilli”. E qui accade una cosa che proprio non mi aspetto: mi dà altre due botte di cazzo, due di numero, io gli miagolo “ah sì, così, tutto dentro” e poi bum. L’esplosione, intendo. La scossa che mi sale dall’inguine al cervello e poi si impossessa di ogni cellula, la fica che gli stringe quell’appendice di carne dura, nuovi strilli, il corpo che scatta, il buio.
Mi scopa implacabile per un’ora, diciamo anche un’ora e mezza. Viene tre volte in tutto, due volte dentro e una in bocca perché glielo chiedo io. Cioè, mi sembra di averglielo chiesto io, non sono tanto presente a me stessa. Le pause sono poche. Una di queste impiegata a farci un’altra canna. I miei orgasmi sono invece tantissimi. Non li conto mai perché non me ne frega un cazzo, ma stavolta anche volendo non ci riuscirei.
Poi, durante un sessantanove che definirei in souplesse, ha la brillante idea di cominciare a leccarmi il buchino. E’ inconcepibile, è una vergogna che mi faccia questo effetto ogni volta. Dopo un minuto sono completamente fuori di testa, non capisco più niente e non so nemmeno come mi chiamo. So solo che mi contorco tanto da non riuscire quasi più a succhiarglielo e che lui deve tenermi ferma. Ogni tanto però riesco a conficcarmelo in gola e a sentire il suo istinto di maschio che gli fa muovere il bacino per spingermelo ancora più dentro. Non è possibile, macho man, l’ho già preso tutto. Per la maggior parte del tempo, però, non riesco a fare nulla, il piacere è letteralmente insostenibile. Cioè, oddio, insostenibile fino a un certo punto perché quando lui mi fa ironico “ti piace proprio, eh?” io per nulla ironica lo supplico di non smettere. E anche in questo caso, come se lo facesse per dispetto, invece no, lui smette. Mi si sfila da sotto e mi lascia con la faccia sul materasso. Dice “resta così che adesso ti sfondo il culo”, la mia unica reazione è quella di cominciare a piagnucolare di paura.
Lo sento armeggiare dietro di me, dopo di che mi si stende sopra e, effettivamente, mi sfonda il culo. Lo sapevo, Serena me l’aveva detto. Uno fissato con la psicanalisi potrebbe dire che in fondo ci sono tornata proprio per questo e, chissà, potrebbe anche avere ragione. A differenza di quanto ha fatto con la mia amica, stavolta mi usa la cortesia di lubrificarsi il cazzo, ma non è che cambi poi molto, almeno per me. Anche se entra abbastanza piano, stavolta il mio strillo è cento per cento dolore, ve lo giuro. Così come vi giuro che a un certo punto penso che tanto valeva che me lo mettesse dentro tutto e subito, in una botta. E, perdonatemi ma è proprio il caso di dirlo, vaffanculo a tutto. Se oltraggio deve essere, io lo concepisco solo così. Probabilmente perché penso che quell’oltraggio me lo merito.
Lui, in compenso, a passare dalla delicatezza alla brutalità ci mette davvero poco. Non gliene frega un cazzo delle mie urla e delle mie gambe che scalciano e martellano il materasso. Continua a scoparmi sempre più forte, ancora più forte. E in fondo non è quello che gli avevo chiesto sin dall’inizio? Sfondami, scopami più forte che puoi. E lui lo fa, come se volesse aprirmi in due a forza di cazzo.
E’ una sensazione che mi è realmente difficile descrivere. Mi sta facendo sua nel più lurido dei modi, ma non mi sento davvero “sua”. E’ come essere sotto una macchina, sotto uno scopatore fantastico che non si ferma mai, una di quelle fucking machine che si vedono su Youporn. Con la differenza, che però non è poca, del calore. E non mi riferisco al fuoco che ho nelle viscere ma al calore del suo corpo, del suo cazzo. E tuttavia no, non mi sento davvero “sua”. Non mi sento soggiogata. Semmai, che vi devo dire, mi piace da matti dal punto di vista fisico. E’ come con Davìd a Londra, quella mattina prima di partire. Solo che quella volta avevo creduto che mi piacesse perché ce l’aveva piccolo, ma credevo male. Persino ogni lampo di dolore è come un lampo di piacere. Urlo, strepito, vado via di cervello e non so quello che dico. Ma mi piace da matti. E mi sa che si vede pure, perché con una cosa a metà tra un ringhio e un sussurro Lapo mi fa “lo vedi che ti piace? piace a tutte”. Boh, non so se questo è vero ma sticazzi. Gli strillo “vieni, vieni” perché a volte mi sembra davvero di non farcela più, e un attimo dopo vorrei che durasse il più a lungo possibile. Ma ad un certo punto, quando accelera e accelera, capisco che anche per lui il tempo sta per finire. Tutto ha una fine prima o poi.
“Macho man”, gli dico con un filo di voce dopo un po’. Ovvero quando riesco a parlare. Gli ribalto addosso il suo “ti piace proprio, eh?” precedente. “Non dire nulla, è piaciuto a te quanto a me”, mi fa per ribadire il concetto. Ma non ce n’è bisogno, anzi è un passo falso, il suo. Perché giustificarsi? Lo penso e glielo dico: “Non devi giustificarti, lo volevi fare e l’hai fatto”. Ride e mi dice che la prendo sportivamente, visto che sa perfettamente che il sesso anale non è tra le mie pratiche preferite.
– E chi lo sa? – replico – magari lo diventa… solo una cosa non devi fare mai…
– E sarebbe? – domanda lui.
– Chiederlo… se me lo chiedi ti dico di no, è matematico.
– Non solo mi piace quando strilli, mi piacciono anche le porcate che dici… – fa lui cambiando discorso. Mi abbraccia come se volesse coccolarmi, e un po’ ne ho bisogno, adesso. Sento del bagnato in mezzo alle natiche, ma non voglio pensarci.
– Non me ne rendo tanto conto, sai? – gli dico con la voce di una che, improvvisamente, prova vergogna.
– Davvero?
– Davvero, non me lo ricordare, ti prego – rispondo.
Lui naturalmente tira fuori il catalogo quasi completo, che è esattamente ciò che volevo. Un catalogo fatto di “riempimi di cazzo”, “tutto dentro”, “sfondami”, “sbatti la tua troia”, “più forte, più forte”. E tante altre oscenità ancora. Cazzo, che memoria.
– Quando dici “finiscimi” sei così bella, sembri in agonia…
Vorrei dirgli che invece è lui così arrapante a dirmi queste cose, che se ce la facessi ricomincerei anche subito.
– E’ che hai davvero questo coso allucinante – gli dico sfiorandolo con le dita.
– Se lo fai ancora ritorna duro, già lo sento…
– No, ti prego, sono distrutta… mi hai ammazzata, ma come fai?
Lui si schermisce, forse non è abituato a una ragazza tanto esplicita, o forse ci è sin troppo abituato. Io non vorrei che fraintendesse, ma la mia è una pura curiosità, perché mi sembra strano che un ragazzo che in fondo ha la mia età abbia questa disinvoltura, a letto. Voglio dire, così mi hanno scopata uomini ben più grandi, in fondo. Come stanno le cose, macho man, te ne scopi tante? Lo fai a tutte? E’ la tua fidanzata di Copenaghen, la Sirenetta, che ti ha aperto le strade della perversione? Come cazzo l’hai conosciuta? E come cazzo fai a dire che è la tua ragazza se vi vedete non so quante volte l’anno, di sicuro poche, e nel frattempo tu ti fai qualsiasi fica ti tiri il cazzo? Lapo risponde che in realtà lui la Sirenetta la ama, che si sono conosciuti in un campus in Francia quando avevano sedici anni e che stanno insieme da allora. E che lei sarà qui per le vacanze di Natale. E, inoltre, che a letto è anche abbastanza imbranata. “Per esempio, quello che fai tu con la bocca lei se lo sogna”, aggiunge, “però la amo”.
Credo che nemmeno si renda conto che, così dicendo, ha frustato a sangue la mia sensibilità. Non sei una che fa innamorare la gente, sei già brava a succhiare cazzi, accontentati. In pratica, è ciò che mi ha detto. Glielo faccio notare e lui appare sinceramente rammaricato, dice che non intendeva minimamente questo, ma insomma sì, dai, un po’ lo intendeva. Mi abbraccia più forte e mi chiede scusa, ma sapeste a me quanto mi stanno sul cazzo le scuse, faccio finta di non sentirle. Per fortuna dopo un po’ ritorna il bastardo che è e riprende in mano la situazione, mi gira e mi rigira, mi passa la lingua su ogni centimetro del corpo, fa lo stronzo chiedendomi – per gioco ma solo fino a un certo punto – se per caso non mi va un’altra dose di sculaccioni come l’altro giorno, e magari qualche cinghiata in più.
“No, ti prego, non ho voglia delle tue mani e nemmeno del cuoio, oggi ho voglia del tuo cazzo”, gli rispondo. Non so con che tono glielo dico, ma mi sento il gelo dentro. Voglio dirgli che ok, te l’ho detto io di trattarmi come una puttana e di chiamarmi così. Sì, d’accordo, va bene, ho introdotto io l’argomento della Sirenetta, è stato un errore. Ma magari mi aspettavo qualcosa di più nei miei riguardi, anche se non so bene cosa. Magari potevi essere un po’ più delicato. E comunque, se io sono solo una bocca da pompini e un culo da rompere, ok, allora tu sei davvero una fucking machine e basta. Non siamo umani, non siamo nemmeno bestie, siamo macchine per scopare. Mica mi spaventa, eh? Solo che vorrei dire a tutti quelli che mi scopano o mi infilano il cazzo in bocca, una volta per tutte, smettetela di fare paragoni con le vostre donne. Se sono io a chiedervi qualcosa basta che mi diciate che le amate tanto. Contenti voi contenti tutti, a me fa tanto piacere, ve lo giuro. Ma non fate paragoni, non c’è bisogno che mi lasciate intendere che io, invece, sono solo una troia da sbattere. Sì, cioè, sono una che potete mettere a novanta su un tavolo e chiavarmi quanto vi pare, oppure portarmi nel cesso di un locale e farvelo succhiare. D’accordo, se mi piacete lo potete fare, mando il cervello in vacanza per un po’ e ve lo lascio fare. Basta che poi non ci ritorniate tanto sopra con i paragoni. E’ da quando al liceo feci un pompino a un ragazzo che mi piaceva e lui mi disse “sei bravissima, la mia ragazza non fa così” che non sopporto i paragoni. Meglio Tommy, allora, che mi sborrava in bocca e un’ora dopo era a scoparsi quella vacca di Benedetta, la sua ragazza, da qualche parte. Lui al massimo mi chiedeva “ma non ti dà fastidio che tutti ti considerino una troia?”, io gli rispondevo “no” e lui, placidamente, mi diceva “ah, ok, allora succhia”.
Comunque, chiudiamo l’argomento che è meglio, anche perché ora devo dirvi una cosa che apparentemente non c’entra un cazzo, ma vedrete che alla fine i conti tornano: io credo fermamente nella potenza del caso. Con la esse, eh?, non fate gli stupidi. Ci credo soprattutto quando il caso non è poi così tanto casuale. No, non sono matta, vi faccio un esempio: gli esseri umani scopano, no? Lo fanno perché gli piace immensamente, il nostro corpo è fatto per farselo piacere. Io e le mie sorelle, per esempio, abbiamo un grilletto che non serve assolutamente a niente se non a farci divertire. Ma in realtà noi siamo fatti così e scopiamo perché è in questo modo che la natura ha programmato il suo scopo principale, la riproduzione. Si chiama eterogenesi dei fini. Ecco, da questo momento in poi va in scena l’eterogenesi dei fini, cioè fare una cosa ottenendo un risultato che, all’inizio, non avreste proprio messo in preventivo.
Quando gli dico “mangiamo qualcosa?” glielo dico più che altro per tirarci fuori da questo momento un po’ deludente, più che per fame vera e propria. Perché il mio intento è proprio quello di chiudere il capitolo riguardante questa cazzo di Sirenetta di Copenaghen, che a letto è un disastro ma che comunque merita chissà per quale motivo di essere amata da un figo come Lapo. Finiamo in cucina, nudi e con i fornelli accesi per non sentire freddo, anche se comunque mi faccio dare una maglietta che mi fa quasi da minigonna. E mentre si mangia si parla. Succede spesso, no? Soprattutto tra due ragazzi che sono stati per un paio d’ore uno nel corpo dell’altra. Mica pretenderete che stiano lì muti, a tavola, a consumare un veloce spuntino senza dire una parola prima di rimettersi a scopare. Io, poi, in questo momento, proprio perché voglio lasciarmi alle spalle la storia della sua ragazza e dei paragoni con la sottoscritta, mi sento anche troppo ciarliera.
Gli domando un po’ di cose sui ragazzi e sulle ragazze che c’erano qualche giorno fa alla festa, e non gli nascondo nemmeno di essere rimasta parecchio incuriosita da quella che ho definito la Principessa e da Federica, la schizzata con i capelli viola. La simpatica pazzoide.
La Principessa, che poi si chiamerebbe Cristiana ma io per i nomi sono proprio un disastro, secondo Lapo è molto meglio di come la dipingo. Sì, è vero, all’inizio può sembrare che faccia un po’ la sostenuta. E probabilmente ha davvero qualche complesso di superiorità, ma tutto sommato è una ragazza leale e trasparente. Anche molto ironica, intelligente. A lui piacerebbe molto, da quel punto di vista. Molto meno da quello fisico, anche se – debbo essere onesta – a me non sembra tutto sto disastro.
Federica invece, sempre a detta di Lapo, è proprio un caso clinico. Gli sorrido un “sì, un po’ me ne ero accorta”. Lui risponde che non dice tanto per dire. “Non è scema, eh? Ma manco per niente, però è una cui manca, oltre a qualche rotella, qualcosa nella vita… non so, non ci capisco un cazzo, ma mi hanno detto che la madre è al terzo o quarto matrimonio e lei è stata praticamente cresciuta da tate se non addirittura da donne di servizio, che cazzo ne so, sarà sindrome di abbandono, boh… però, hai visto anche tu come è, no?”. Dico a Lapo che la cosa che mi ha maggiormente colpita è che certe volte quella ragazza ti parla come se tu fossi il centro dell’universo e poi è come se all’improvviso si stancasse e se ne va, o comincia a fare un’altra cosa, a parlare di altro. “E poi”, aggiungo, “non ti guarda mai in faccia, gira gli occhi continuamente da una parte all’altra e si arriccia le ciocche”.
– Sì, questo è l’aspetto più evidente – commenta Lapo incerto, come se cercasse il modo di descriverla meglio ma non ci riuscisse.
– Comunque è davvero una bella ragazza, a me sta simpaticissima, di istinto. E i capelli viola erano una figata… – faccio io anche per tagliare un po’ corto.
– …mmm, magari oggi sono azzurri… No, ecco, sai una cosa? Tu l’hai vista comportarsi in quel modo, ma a volte è esattamente il contrario, ti si appiccica addosso in modo morboso, o fa di tutto perché qualcuno le si appiccichi addosso…
– Non ho capito, in che senso? – domando.
– In ogni senso possibile – risponde Lapo – anche in quello…
– Ah!
– Beh, l’hai sentita pure tu, no? L’hai vista…
– Sì, ma… boh, sai, quando non conosci una persona…
Gli domando “tu te la sei fatta?”, ma la mia curiosità è completamente diversa da quella di poco fa. Il centro del mio interesse è la ragazza, non lui. “Me la sono fatta? Facciamo prima a elencare quelli che non se la sono fatta! E magari in questi cinque giorni l’elenco si è assottigliato…”.
– E’ davvero così troia? – domando stupidamente, pentendomene un attimo dopo.
– Ma non è tanto quello… la cosa che ti spiazza di lei è che sembra inconsapevole, in fondo. Certe volte ti guarda con odio se le dai un bacetto di saluto, altre si concede subito. Ma anche a gente appena conosciuta, eh? Anche davanti a tutti. Anche a due o tre insieme, un po’ come la tua amica. Qualche volta mi hanno detto che ha pure chiesto dei soldi, e non ne ha bisogno proprio, guarda, i soldi le escono…
– No, scusa un secondo – lo interrompo – non mi risulta che Serena sia mai andata con due o tre insieme, come dici tu…
– Serena? – fa lui guardandomi sorpreso – che cazzo c’entra Serena?
– Di quale amica parli, scusa?
– Ma non Serena, quella di cui tu e Serena parlavate.
– Uh?
– Ti ricordi quando Serena ti ha detto che avevi il segno della cinghiata e che le ricordavi questa qui? Ora il nome non me lo ricordo, aspetta…
Mi fermo un attimo mentre sto per mettermi in bocca un cracker burro e salmone, cerco di ricordare quel momento lì. La frase di Serena, la mia domanda…
– Giovanna? – chiedo a Lapo.
– Sì, brava, Giovanna.
– E che cazzo c’entra Giovanna? – gli faccio ridendo con il cracker ancora in mano.
– Ma scusa – domanda Lapo con l’aria di uno che più che parlare delle abitudini sessuali di una ragazza sta verificando la correttezza di un numero del telefono – non è sta Giovanna quella che va solo con due, tre o anche quattro uomini insieme? E comunque mai con uno solo?
– Lapo, ma che cazzo dici? – domando mentre qualcosa nella testa comincia a frullarmi.
– Ah, senti, non lo so, me l’ha detto Serena, magari mi ha detto una cazzata, ma perché poi avrebbe dovuto… mi ha detto pure che aveva pensato di portarla ma che lei sabato scorso doveva vedersi con un tipo con cui fa ste cose… Ma mi sa che ho fatto una cazzata, non te lo dovevo raccontare, vero?
– Quale tipo? Quali cose?- gli faccio sempre più esterrefatta e ignorando la sua domanda.
– Boh, chi lo conosce, non lo conosce manco Serena, l’ha visto una volta… E’ uno grande, sposato, che si porta appresso altra gente… ma scusa, tu non sapevi un cazzo?
– Io? N-no, mi pare impossibile… – gli dico un po’ sotto shock – ma sarà vero?
– E che ne so? Boh sì, qualcuno che farà ste cose ci sarà, io non ne conosco… che tipo è questa qui?
Già, che tipo è Giovanna? mi domando ancora incredula. Sicuramente non mi ha mai dato l’impressione… Però no, un attimo, c’è stata una sera in cui… quella discoteca all’aperto, c’era anche Serena, il giorno prima di partire per Londra… quando l’ho vista seduta su una panchina a chiacchierare con due tipi… mi è sembrata imbarazzata nel vedermi, o no? E poi è sparita, ci ha mollate… Sì, ok, però… Giovanna, dai, ci sono cose che non tornano…
– Che tipo è? – rispondo a Lapo – Mah, normale, anche un po’… Senti, mi passi un po’ di Philadelphia per favore?
Non è che abbia proprio voglia di spalmare il Philadelphia su un altro cracker. Ho soprattutto voglia di pensare un momento, con calma.
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