Un metro 17 - Desiderio, euforia e sensi di colpa
di
Browserfast
genere
orge
Desiderio, sensi di colpa e una illogica euforia. Sono le tre cose che, oltre a Giovanna, ieri notte mi sono portata via da quella stanza d’albergo. Tutte e tre insieme, tre stati d’animo che mi opprimono e al tempo stesso mi esaltano. Ma di cui non riesco a parlare con Serena. Anche perché lei è sintonizzata su una frequenza completamente diversa.
Siamo sedute all’aperto, ai tavolini del solito bar fighetto dove ci vediamo per l’aperitivo e nel quale una volta ho fatto un pompino a un cameriere. Vestite bene, anche troppo. Due brave ragazze di Roma Nord che fanno due chiacchiere da amiche, parlando del più e del meno prima di tornarsene ognuna a casa sua per il pranzo domenicale. Eleganti e con i Ray-ban sulla faccia per nascondere i segni sotto agli occhi. Fa freddo, ma ci siamo sedute sotto a un fungo perché dentro c’è troppa gente. E certi discorsi è bene farli stando un po’ per cazzi nostri.
I numeri sono chiari, mi sono stati chiari sin da subito, appena mi è arrivata la foto della sua conquista di ieri sera. Faccio quasi a mente le equazioni scomponibili, quanto volete che ci metta a fare una somma? E’ 103 a 103, amica mia, pareggio. In una settimana abbiamo preso cazzi per un totale di 103 centimetri, tutte e due, capita.
Lei ha passato il sabato sera a farsi sbattere da un fuorisede conosciuto alla ex Dogana, un perfetto deficiente. Talmente deficiente che si vergogna persino un po’ di avergliela data.
– Un idiota, e pure parecchio cafone, faccio persino fatica a definirlo un ragazzo… più che altro un enorme flacone pieno di sperma, anche nel cervello. Pensa che la cosa più carina che mi ha detto è stata “fammi svuotare un po’ con la bocca che sono troppo carico”… cazzo, pensavo di annegare… dovevi vedere la faccia che ha fatto quando gli ho detto che se voleva scoparmi doveva prima farselo misurare… non voleva, non voleva che vedessi che ce l’ha di quindici centimetri… che cretini che sono i maschi…
Ciò a cui non vuole credere, però, è che a 103 centimetri ci sia arrivata anche io. Già non credeva che venerdì fossi stata con Sven e Rami, anche se quei due secondi di video che le ho inviato l’hanno tacitata. “Ma tre in una sera no, Annalì, e daje, e chi cazzo sei…”.
Mi piace esasperare la sua incredulità, mi diverte. Lo sapevo che l’avrebbe presa così e ho già preparato il colpo, la mia piccola vendetta. Le dico che se guarda bene le foto si potrà accorgere del fatto che la luce è la stessa e che anche alcuni particolari, sia pure minimi, sono gli stessi. Il colore della sovracoperta che spunta sotto i coglioni di Pino e del parà, per esempio. Lei continua a non crederci e dice che quelle foto le ho prese chissà dove su internet.
– Se non ci credi, chiedi a Giovanna – le rispondo.
Ora, non dico che sbianca, ma quasi. Dietro le lenti scure non posso vedere i suoi occhi, ma l’espressione la immagino. Le faccio “uh-uh”, annuendo. Mi domanda come l’ho saputo e le rispondo che è stata lei a dirlo a Lapo e che Lapo si è tradito. Il segreto di Giovanna che fa le gang bang non è più un segreto, almeno per me.
– Scusa… scusa – mi dice dopo un bel po’ di secondi di silenzio – non potevo dirtelo, lo so che… ma lei non vuole… cioè, non voleva…
Sì, lo so che Giovanna non voleva. E’ vero, un po’ mi sono incazzata quando ho saputo di essere stata esclusa dalle loro confidenze inconfessabili. Ma capisco bene che una non voglia che certe cose si sappiano in giro.
E dopo ieri sera lo capisco meglio.
Così come adesso capisco meglio le sensazioni che mi sento addosso. Come se avere detto a Serena cosa ho fatto con Giovanna mi avesse reso chiaro tutto, come se mi fossi tolta un peso. Desiderio, senso di colpa, illogica euforia. Mescolati insieme e quasi inestricabili fino a poco fa. Adesso invece li distinguo, li vedo bene, li razionalizzo. Razionalizzo tutto, persino le contraddizioni, che adesso mi sembrano persino normali. Non lo siamo un po’ tutti, a volte, contraddittori?
Il desiderio. Lo chiamo così, ma dovrei chiamarla pazza idea, come la canzone. Giuro che non ho mai avuto questa voglia, nemmeno guardando le clip porno su internet. Sì, è chiaro, un pensierino ce l’ho fatto anche io, mi sono anche io chiesta com’è. Ma mi ha sempre fatto molta paura e, francamente, mi fa paura anche adesso che ve ne parlo. Ma dal momento in cui Ermanno, Pino e Sergio hanno iniziato a divertirsi tutti tre insieme con Giovanna l’idea si è intrufolata nel mio cervello e lì è rimasta. Forse il fatto che li osservassi mentre mi sgrillettavo, seduta nuda sulla moquette e con la schiena appoggiata a una poltrona, c’entra qualche cosa, non lo so. Mi sembrava davvero di rivivere una mia masturbazione davanti a un laptop. Ma in realtà il fatto che mi stessi toccando il clitoride c’entra fino a un certo punto. E’ stata una immagine a farmi sbroccare. L’immagine del volto di Giovanna. Impalata sul cazzo di Sergio, il parà, e presa da dietro dal suo Ermanno. Dovete sapere che il novantanove per cento delle volte il viso di Giovanna lo trovo completamente inespressivo. Al massimo, ogni tanto affiora sulle sue labbra un sorrisino ironico. E invece in quel momento, passate le contrazioni di dolore e i suoi sbuffi, la sua faccia esprimeva solo devastante ed intenso piacere. La sua faccia era Il Piacere, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Il respiro profondo sotto le spinte dei suoi stalloni. Una faccia così perfetta che mi è parso persino offensivo e volgare il cazzo che quel flaccido di Pino le ha portato alla bocca, e che lei ha accolto. Una faccia che mi ha fatto pensare, un attimo prima di affondarmi due dita dentro e regalarmi un orgasmo solitario, “lo voglio anch’io”. Sì, lo voglio anche io, lo voglio provare. E voglio essere ripresa mentre lo faccio, perché voglio rivedere sul mio volto quel piacere. Voglio vedere se travolge anche me. Non con loro, naturalmente, li voglio scegliere e scegliere bene, come piacciono a me. E non devono nemmeno essere in tre, credo che due bastino e avanzino. Deve essere stata questa idea, però, a rompere ogni mio freno. Fino a quel momento mi ero limitata a succhiare i loro cazzi e a farmi sditalinare. Sapevo di essere lì per essere scopata, e sapevo che avrei dovuto chiederlo esplicitamente. Ma fino a quel momento non ci ero riuscita. Tuttavia, dopo avere visto quei tre fottersi e scambiarsi ogni buco di Giovanna, e dopo essermi immaginata a farmi prendere da due maschi insieme (cui però non sapevo dare né un volto né un nome), sono sbottata. Ho quasi urlato “ok, fatelo”. Ricordo che Ermanno si è fermato e mi ha guardata. Mi ha domandato “fatelo cosa, ragazzina?”. “Scopatemi”, ho risposto. “Tutti e tre insieme?”, ha domandato lui. “No, insieme no… bendatemi e fottetemi”. Sì, la benda che Ermanno aveva portato l’ho voluta per me. Non per fare chissà quale gioco, eh? Sono stata bendata una volta e lasciata in balia di tre stronzi. Non mi hanno fatto pressoché nulla perché era stato ordinato loro di non farlo, ma non è che mi sia piaciuto molto. A Ermanno ho chiesto di bendarmi perché, semplicemente, non mi andava di vederli. Sono stata presa, bendata e scaraventata a pancia in giù sul letto. E scopata, a turno. Uno dopo l’altro. Sopportando la gelatina di Pino sulla schiena, respingendo le insistenze del parà che voleva farmi il culo, godendo del cazzo di Ermanno, un po’ più grosso degli altri due e più caldo, che quando è entrato mi ha strappato un rantolo di piacere assoluto. L’unico che poteva scoparsi Giovanna senza preservativo e che senza preservativo ha scopato anche me. Ho goduto, sì. Il suo seme caldo nella mia vagina mi ha fatto godere.
I sensi di colpa. E’ inutile fingere con me stessa, li ho, me li sento addosso. Per avere contribuito all’umiliazione di Giovanna, per averle fatto ciò che la disgusta, credo, più di ogni altra cosa, ovvero essere baciata e leccata da una ragazza. Per avere raccolto con un dito lo sperma che le avevano riversato addosso e averlo fatto colare dentro un bicchiere e, dopo che Pino ci aveva versato dentro un po’ di tequila, bere tutto davanti a lei. E per avere risposto “non c’è male” a Ermanno, che diceva rivolto a Giovanna “guarda la tua amica che si beve la sborra destinata a te… com’è ragazzina, ti piace?”. Ma soprattutto, il senso di colpa per non avere fatto nulla, ma proprio nulla, per evitare lo scempio del corpo di Giovanna. Perché scempio è stato. Sì, lo so che accade ben di peggio, ma per me quello che ho visto e sentito è più che sufficiente, vi assicuro. L’ho sentita piangere e urlare “no, vi prego, questo no, questo no, Ermanno ti prego”, ho sentito gli altri due insultarla e dirsi l’un l’altro di tenerla ferma mentre lei continuava ad invocare Ermanno. Solo che Ermanno non poteva intervenire, perché era seduto su una poltrona a gambe aperte a farsi succhiare il cazzo dalla sottoscritta. Ho anche provato a fermarmi e a togliere la benda, ma sono stata bloccata dalla sua mano e dalla sua voce che mi diceva “stai ferma e succhia, che a quella vacca piace”. Se le piaccia non lo so, ma la visione di Giovanna a faccia in giù sul letto, scossa dai tremori e con una bottiglia di tequila infilata per metà nel culo non credo che la dimenticherò così presto. Ma che cazzo di gente siete? Che piacere ci trovate? Cosa vi fa godere tanto nel prendere in tre una ragazza e portarla al bagno, pisciarle addosso, pisciarle nel sedere, lavarla con l’acqua gelata mentre lei piange? Ma perché? Quale assurdo prolungamento dei vostri cazzi è mai questo? Non ho visto, ma ho sentito tutto. Ho sentito anche i tonfi, il suo corpo sbattuto dentro la vasca da bagno. A occhi chiusi e con i brividi addosso, ma non ho fatto nulla per impedirlo, se non sussurrare qualche “no” pieno di paura. Forse non avrei potuto fare nulla di più, d’accordo, ma non è che questo mi consoli. Il peggio però è venuto dopo, quando quei tre si sono rivestiti per andarsene. Mi guardavano mentre lo facevano e io guardavo loro. Rannicchiata sul letto, coprendomi i seni, come se d’improvviso mi vergognassi. Sono usciti senza un saluto, ridendo tra di loro. Sono corsa in bagno e l’ho trovata lì, ancora nella vasca. Tutta bagnata, che tremava e singhiozzava in silenzio, i capelli appiccicati sul viso e sulle spalle, i segni sulle cosce che erano già pronti a diventare lividi, il mascara colato e il rossetto impiastricciato. Il suo “lasciami sola” è stato come una rasoiata. Per un’ora non ci siamo scambiate una parola, mentre tutte e due cercavamo di rimetterci un po’ in sesto. Quando non ce l’ho fatta più ho fatto appena in tempo a dire “Gio, scu…”, ma lei mi ha fermata. Mi ha detto che la cosa di cui godono di più è umiliarla: “C’è una parola in codice, ma non l’ho usata… piace anche a me. Non giudicarmi, per favore”. Non ho risposto nulla, ho abbassato lo sguardo e sono rimasta in silenzio. Forse il senso di colpa maggiore è proprio questo, non essere riuscita a trovare nemmeno una parola.
L’euforia illogica. So perfettamente che non ci capirete un cazzo in quello che sto per dirvi. Perché in fondo non lo capisco bene nemmeno io, tanto è contraddittorio. Ma vi prego, fate lo sforzo di seguirmi. C’è stata una cosa che Ermanno, l’amante di Giovanna, ha fatto prima di bendarmi e sbattermi sul letto. E’ andato a prendere dalla sua giacca la benda e insieme a questa ha tirato fuori una busta bianca. Me l’ha data dicendomi “tieni, è per te”. L’ho aperta, c’erano dentro dei soldi. Una mazzetta di banconote da cinquanta euro. Forse sono state le sue parole, “sono cinquecento euro”, o forse il contatto delle mie dita con la filigrana. Sta di fatto che mi è venuta la pelle d’oca. Gli ho detto d’istinto “non faccio la mignotta”, lui mi ha risposto “magari no, ma lo sei”. Gli ho restituito la busta senza pensarci un attimo. Tuttavia qualcosa, nel mio cervello, si è messo in moto. Essere pagate per fare sesso non credo sia una fantasia solo mia, ma di molte ragazze. Se ci penso, la cosa mi eccita. Una volta mi è capitato di conoscere un tipo in un autogrill, di notte. Mi chiese se ero una di quelle ragazzine che di tanto in tanto fanno le escort il sabato sera, per pagarsi la coca o il motorino. Gli dissi di no, sorpresa, confusa, e finii a fargli un pompino – gratis, beninteso – nel parcheggio dell’autogrill. Mamma mia che cazzo spropositato che aveva. Da allora mi sono spesso masturbata immaginando la scena di avvicinarmi ad un uomo molto più grande, uno di quelli che ti capita di incrociare per strada e che ti sbranano con gli occhi, di quelli ben vestiti e che si vede che se lo possono permettere. Mi avvicino e gli dico “mi servono duecento euro, mi vuoi chiavare? per la metà posso farti un pompino, ma se mi dai cinquecento euro mi puoi anche sverginare il culo”. Pensavo queste cose mentre mi masturbavo, giuro. Figuriamoci se le avrei fatte, allora ero pure vergine, pompini a parte. Però le immaginavo. Un’altra volta che ero a Nizza con Edoardo, il cognato di Giovanna di cui sono stata amante, lui disse a un ragazzo che per cinquanta euro gli avrei potuto fare un pompino. No, non ero più vergine quella volta, e in ogni caso il ragazzo i cinquanta euro non ce li aveva e la cosa finì lì. Ma la scossa di calore al ventre me la ricordo ancora. Solo che una cosa è immaginarle, certe situazioni, o persino andarci molto vicini. Una cosa è trovarcisi dentro. E quando ieri notte ho rifiutato l’offerta di Ermanno, intendo dire proprio in quel momento, mi sono anche compiaciuta con me stessa di averlo fatto. Le cose però sono cambiate quando abbiamo lasciato la stanza e siamo scese. Non eravamo conciate particolarmente male, anche se a tratti Giovanna barcollava. Avevo però l’impressione che tutti, tra clienti e impiegati dell’hotel, ci guardassero. Magari era una cosa che sentivo solo io, ma per me era evidente che eravamo state sino a quel momento parte del servizio in camera di qualcuno. Nessuno, secondo me, poteva ragionevolmente pensare che fossimo qualcosa di diverso da due puttane. I nostri cappotti al bar non c’erano più, li abbiamo ritrovati al guardaroba, come ci aveva detto Ermanno. Ci siamo fatte chiamare un taxi. Il receptionist ci guardava con una espressione neutra, ma era ovvio che anche lui aveva capito tutto. Avevo detto a Giovanna che avrei preferito aspettare in strada, pure se faceva freddo. Ero stata previdente, non lo faccio mai ma stavolta avevo comprato le sigarette. Sapevo che, dopo, avrei avuto voglia di fumare e non volevo correre rischi. Mentre cercavo il pacchetto con la mano ho sentito che nella borsa c’era qualcosa che prima non c’era. Una busta, la busta. Ci ho infilato la mano e ho sentito un’altra volta il contatto con le banconote. Ho avvertito un crampetto, tra qualche secondo sarei stata di nuovo bagnata. Mi sono accesa una sigaretta sentendomi addosso due brividi. Il primo veniva dall’euforia, illogica, di avere realizzato la più oscena delle mie fantasie, quella di essere stata una puttana a pagamento per una sera. Il secondo dal sapere che una nuova fantasia, ancora più oscena, aveva preso il posto della prima: essere scopata contemporaneamente da due uomini.
Solo che a Serena tutto questo groviglio di desideri e di emozioni non riesco a raccontarglielo. La gara tra di noi è passata in secondo piano, vuole sapere di Giovanna. Senza morbosità, non è come quando mi chiede di raccontarle le mie scopate per farsi un ditalino o farselo fare da me.
– Come è stato? – mi chiede con la faccia preoccupata.
– Così, non spettacolare – rispondo – almeno per me… Non è che quei tre mi piacessero molto. Erano chiaramente impasticcati. Ma a lei sì, almeno uno decisamente sì.
– Sì, lo so… quell’Ermanno – mi dice senza nascondere un tono di disapprovazione – ed è… è stata… sì, insomma, è stata dura?
– Giovanna non ti ha mai raccontato nulla? – domando.
– Senza tanti particolari, e mai con molto trasporto. Credo che se ne vergogni anche con me… le hanno fatto male? L’hanno picchiata? Frustata? A volte torna con certi segni addosso…
– No… no – le assicuro – nulla di tutto questo… Forse perché c’ero io, non saprei…
Non va nemmeno a me di raccontarle molto. Probabilmente perché un po’ mi vergogno anche io.
– E a te? – chiede ancora Serena.
– No, nemmeno a me.
– Che ne pensi?
– Non so che pensare – rispondo – non capisco, non mi piace… Ma se a lei piace, significa che ci trova qualche cosa che io non vedo.
– Non potrei mai… – dice Serena in un soffio.
– Non hai mai pensato nemmeno a farlo con due o tre insieme? Normale… cioè, voglio dire, senza botte, frustate, e altre cazzate del genere…
– Ah, beh, per pensarci… un sacco di volte – sorride Serena – che c’è… ti è piaciuto? Non ieri sera, intendo, con quei due dell’altra sera.
– Sì, quello sì… – le rispondo dopo un attimo di silenzio – quello sì…
– Più che farlo con me e Lapo?
– No, di più non direi… non lo so, è diverso…
– Ma ti hanno… cioè, sì, insomma, ti hanno… presa insieme? – domanda abbassando istintivamente la voce.
– Ma sei scema? No, dico, le hai viste le foto? L’hai visto cosa ha tra le gambe quell’olandese?
– Sì, santo cielo… – commenta Serena – ma non ti è venuta nemmeno la voglia di provare?
– Con Sven e Rami no, sinceramente… ma vedendo ieri sera Giovanna… Beh, ho giurato a me stessa che prima o poi lo farò. Ma adesso, a mente fredda, non ne sono poi tanto sicura… Tu vorresti provare?
– Non lo so – risponde – no, non credo.
– Sai cosa mi dà fastidio? – le dico – Lo so che è una cazzata e che semmai dovrebbe dare più fastidio a loro che a me, è…. è vedere quei cazzi così vicini tra loro… Non si sentono, che ne so… non si sentono un po’ froci?
– Che c’è, ti danno fastidio i froci? – ride Serena.
– Ma no… non ho detto questo, non ho nulla contro… non lo so, è una sensazione strana, non te la so spiegare bene… non ho detto questo.
Lei non commenta e io non insisto. Perché in realtà sto già pensando ad altro. Perché è da quando le ho parlato di Sven e ho detto “quell’olandese” che la mia mente per associazione di idee ha cominciato a correre a Debbie, l’olandesina. Ci ho pensato parecchio, in questi giorni, dopo avere conosciuto Sven. E in questo momento ci penso ancora. Avrei voglia di sentirla, o perlomeno di scriverle. Non so nemmeno io per quale motivo, forse solo per dirle che l’ho pensata. Ci penso così intensamente che quando Serena mi domanda una cosa devo chiederle di ripetere, perché mi ero distratta.
– Ho detto: e tra noi come la mettiamo? – dice.
– In che senso, scusa?
– Nel senso della gara, siamo in pareggio. La finiamo qui?
– No, perché? Sei matta?
– Vuoi fare uno spareggio? Non so se ne ho tanta voglia – si lamenta Serena – abbiamo un po’ esagerato, dai…
– Ahahahahah… paura, eh? Sì, l’ho pensato pure io a un certo punto che stavamo esagerando, ma ora ci ho preso gusto… Mi sa che ti toccano i tempi supplementari, tesoro.
CONTINUA
Siamo sedute all’aperto, ai tavolini del solito bar fighetto dove ci vediamo per l’aperitivo e nel quale una volta ho fatto un pompino a un cameriere. Vestite bene, anche troppo. Due brave ragazze di Roma Nord che fanno due chiacchiere da amiche, parlando del più e del meno prima di tornarsene ognuna a casa sua per il pranzo domenicale. Eleganti e con i Ray-ban sulla faccia per nascondere i segni sotto agli occhi. Fa freddo, ma ci siamo sedute sotto a un fungo perché dentro c’è troppa gente. E certi discorsi è bene farli stando un po’ per cazzi nostri.
I numeri sono chiari, mi sono stati chiari sin da subito, appena mi è arrivata la foto della sua conquista di ieri sera. Faccio quasi a mente le equazioni scomponibili, quanto volete che ci metta a fare una somma? E’ 103 a 103, amica mia, pareggio. In una settimana abbiamo preso cazzi per un totale di 103 centimetri, tutte e due, capita.
Lei ha passato il sabato sera a farsi sbattere da un fuorisede conosciuto alla ex Dogana, un perfetto deficiente. Talmente deficiente che si vergogna persino un po’ di avergliela data.
– Un idiota, e pure parecchio cafone, faccio persino fatica a definirlo un ragazzo… più che altro un enorme flacone pieno di sperma, anche nel cervello. Pensa che la cosa più carina che mi ha detto è stata “fammi svuotare un po’ con la bocca che sono troppo carico”… cazzo, pensavo di annegare… dovevi vedere la faccia che ha fatto quando gli ho detto che se voleva scoparmi doveva prima farselo misurare… non voleva, non voleva che vedessi che ce l’ha di quindici centimetri… che cretini che sono i maschi…
Ciò a cui non vuole credere, però, è che a 103 centimetri ci sia arrivata anche io. Già non credeva che venerdì fossi stata con Sven e Rami, anche se quei due secondi di video che le ho inviato l’hanno tacitata. “Ma tre in una sera no, Annalì, e daje, e chi cazzo sei…”.
Mi piace esasperare la sua incredulità, mi diverte. Lo sapevo che l’avrebbe presa così e ho già preparato il colpo, la mia piccola vendetta. Le dico che se guarda bene le foto si potrà accorgere del fatto che la luce è la stessa e che anche alcuni particolari, sia pure minimi, sono gli stessi. Il colore della sovracoperta che spunta sotto i coglioni di Pino e del parà, per esempio. Lei continua a non crederci e dice che quelle foto le ho prese chissà dove su internet.
– Se non ci credi, chiedi a Giovanna – le rispondo.
Ora, non dico che sbianca, ma quasi. Dietro le lenti scure non posso vedere i suoi occhi, ma l’espressione la immagino. Le faccio “uh-uh”, annuendo. Mi domanda come l’ho saputo e le rispondo che è stata lei a dirlo a Lapo e che Lapo si è tradito. Il segreto di Giovanna che fa le gang bang non è più un segreto, almeno per me.
– Scusa… scusa – mi dice dopo un bel po’ di secondi di silenzio – non potevo dirtelo, lo so che… ma lei non vuole… cioè, non voleva…
Sì, lo so che Giovanna non voleva. E’ vero, un po’ mi sono incazzata quando ho saputo di essere stata esclusa dalle loro confidenze inconfessabili. Ma capisco bene che una non voglia che certe cose si sappiano in giro.
E dopo ieri sera lo capisco meglio.
Così come adesso capisco meglio le sensazioni che mi sento addosso. Come se avere detto a Serena cosa ho fatto con Giovanna mi avesse reso chiaro tutto, come se mi fossi tolta un peso. Desiderio, senso di colpa, illogica euforia. Mescolati insieme e quasi inestricabili fino a poco fa. Adesso invece li distinguo, li vedo bene, li razionalizzo. Razionalizzo tutto, persino le contraddizioni, che adesso mi sembrano persino normali. Non lo siamo un po’ tutti, a volte, contraddittori?
Il desiderio. Lo chiamo così, ma dovrei chiamarla pazza idea, come la canzone. Giuro che non ho mai avuto questa voglia, nemmeno guardando le clip porno su internet. Sì, è chiaro, un pensierino ce l’ho fatto anche io, mi sono anche io chiesta com’è. Ma mi ha sempre fatto molta paura e, francamente, mi fa paura anche adesso che ve ne parlo. Ma dal momento in cui Ermanno, Pino e Sergio hanno iniziato a divertirsi tutti tre insieme con Giovanna l’idea si è intrufolata nel mio cervello e lì è rimasta. Forse il fatto che li osservassi mentre mi sgrillettavo, seduta nuda sulla moquette e con la schiena appoggiata a una poltrona, c’entra qualche cosa, non lo so. Mi sembrava davvero di rivivere una mia masturbazione davanti a un laptop. Ma in realtà il fatto che mi stessi toccando il clitoride c’entra fino a un certo punto. E’ stata una immagine a farmi sbroccare. L’immagine del volto di Giovanna. Impalata sul cazzo di Sergio, il parà, e presa da dietro dal suo Ermanno. Dovete sapere che il novantanove per cento delle volte il viso di Giovanna lo trovo completamente inespressivo. Al massimo, ogni tanto affiora sulle sue labbra un sorrisino ironico. E invece in quel momento, passate le contrazioni di dolore e i suoi sbuffi, la sua faccia esprimeva solo devastante ed intenso piacere. La sua faccia era Il Piacere, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Il respiro profondo sotto le spinte dei suoi stalloni. Una faccia così perfetta che mi è parso persino offensivo e volgare il cazzo che quel flaccido di Pino le ha portato alla bocca, e che lei ha accolto. Una faccia che mi ha fatto pensare, un attimo prima di affondarmi due dita dentro e regalarmi un orgasmo solitario, “lo voglio anch’io”. Sì, lo voglio anche io, lo voglio provare. E voglio essere ripresa mentre lo faccio, perché voglio rivedere sul mio volto quel piacere. Voglio vedere se travolge anche me. Non con loro, naturalmente, li voglio scegliere e scegliere bene, come piacciono a me. E non devono nemmeno essere in tre, credo che due bastino e avanzino. Deve essere stata questa idea, però, a rompere ogni mio freno. Fino a quel momento mi ero limitata a succhiare i loro cazzi e a farmi sditalinare. Sapevo di essere lì per essere scopata, e sapevo che avrei dovuto chiederlo esplicitamente. Ma fino a quel momento non ci ero riuscita. Tuttavia, dopo avere visto quei tre fottersi e scambiarsi ogni buco di Giovanna, e dopo essermi immaginata a farmi prendere da due maschi insieme (cui però non sapevo dare né un volto né un nome), sono sbottata. Ho quasi urlato “ok, fatelo”. Ricordo che Ermanno si è fermato e mi ha guardata. Mi ha domandato “fatelo cosa, ragazzina?”. “Scopatemi”, ho risposto. “Tutti e tre insieme?”, ha domandato lui. “No, insieme no… bendatemi e fottetemi”. Sì, la benda che Ermanno aveva portato l’ho voluta per me. Non per fare chissà quale gioco, eh? Sono stata bendata una volta e lasciata in balia di tre stronzi. Non mi hanno fatto pressoché nulla perché era stato ordinato loro di non farlo, ma non è che mi sia piaciuto molto. A Ermanno ho chiesto di bendarmi perché, semplicemente, non mi andava di vederli. Sono stata presa, bendata e scaraventata a pancia in giù sul letto. E scopata, a turno. Uno dopo l’altro. Sopportando la gelatina di Pino sulla schiena, respingendo le insistenze del parà che voleva farmi il culo, godendo del cazzo di Ermanno, un po’ più grosso degli altri due e più caldo, che quando è entrato mi ha strappato un rantolo di piacere assoluto. L’unico che poteva scoparsi Giovanna senza preservativo e che senza preservativo ha scopato anche me. Ho goduto, sì. Il suo seme caldo nella mia vagina mi ha fatto godere.
I sensi di colpa. E’ inutile fingere con me stessa, li ho, me li sento addosso. Per avere contribuito all’umiliazione di Giovanna, per averle fatto ciò che la disgusta, credo, più di ogni altra cosa, ovvero essere baciata e leccata da una ragazza. Per avere raccolto con un dito lo sperma che le avevano riversato addosso e averlo fatto colare dentro un bicchiere e, dopo che Pino ci aveva versato dentro un po’ di tequila, bere tutto davanti a lei. E per avere risposto “non c’è male” a Ermanno, che diceva rivolto a Giovanna “guarda la tua amica che si beve la sborra destinata a te… com’è ragazzina, ti piace?”. Ma soprattutto, il senso di colpa per non avere fatto nulla, ma proprio nulla, per evitare lo scempio del corpo di Giovanna. Perché scempio è stato. Sì, lo so che accade ben di peggio, ma per me quello che ho visto e sentito è più che sufficiente, vi assicuro. L’ho sentita piangere e urlare “no, vi prego, questo no, questo no, Ermanno ti prego”, ho sentito gli altri due insultarla e dirsi l’un l’altro di tenerla ferma mentre lei continuava ad invocare Ermanno. Solo che Ermanno non poteva intervenire, perché era seduto su una poltrona a gambe aperte a farsi succhiare il cazzo dalla sottoscritta. Ho anche provato a fermarmi e a togliere la benda, ma sono stata bloccata dalla sua mano e dalla sua voce che mi diceva “stai ferma e succhia, che a quella vacca piace”. Se le piaccia non lo so, ma la visione di Giovanna a faccia in giù sul letto, scossa dai tremori e con una bottiglia di tequila infilata per metà nel culo non credo che la dimenticherò così presto. Ma che cazzo di gente siete? Che piacere ci trovate? Cosa vi fa godere tanto nel prendere in tre una ragazza e portarla al bagno, pisciarle addosso, pisciarle nel sedere, lavarla con l’acqua gelata mentre lei piange? Ma perché? Quale assurdo prolungamento dei vostri cazzi è mai questo? Non ho visto, ma ho sentito tutto. Ho sentito anche i tonfi, il suo corpo sbattuto dentro la vasca da bagno. A occhi chiusi e con i brividi addosso, ma non ho fatto nulla per impedirlo, se non sussurrare qualche “no” pieno di paura. Forse non avrei potuto fare nulla di più, d’accordo, ma non è che questo mi consoli. Il peggio però è venuto dopo, quando quei tre si sono rivestiti per andarsene. Mi guardavano mentre lo facevano e io guardavo loro. Rannicchiata sul letto, coprendomi i seni, come se d’improvviso mi vergognassi. Sono usciti senza un saluto, ridendo tra di loro. Sono corsa in bagno e l’ho trovata lì, ancora nella vasca. Tutta bagnata, che tremava e singhiozzava in silenzio, i capelli appiccicati sul viso e sulle spalle, i segni sulle cosce che erano già pronti a diventare lividi, il mascara colato e il rossetto impiastricciato. Il suo “lasciami sola” è stato come una rasoiata. Per un’ora non ci siamo scambiate una parola, mentre tutte e due cercavamo di rimetterci un po’ in sesto. Quando non ce l’ho fatta più ho fatto appena in tempo a dire “Gio, scu…”, ma lei mi ha fermata. Mi ha detto che la cosa di cui godono di più è umiliarla: “C’è una parola in codice, ma non l’ho usata… piace anche a me. Non giudicarmi, per favore”. Non ho risposto nulla, ho abbassato lo sguardo e sono rimasta in silenzio. Forse il senso di colpa maggiore è proprio questo, non essere riuscita a trovare nemmeno una parola.
L’euforia illogica. So perfettamente che non ci capirete un cazzo in quello che sto per dirvi. Perché in fondo non lo capisco bene nemmeno io, tanto è contraddittorio. Ma vi prego, fate lo sforzo di seguirmi. C’è stata una cosa che Ermanno, l’amante di Giovanna, ha fatto prima di bendarmi e sbattermi sul letto. E’ andato a prendere dalla sua giacca la benda e insieme a questa ha tirato fuori una busta bianca. Me l’ha data dicendomi “tieni, è per te”. L’ho aperta, c’erano dentro dei soldi. Una mazzetta di banconote da cinquanta euro. Forse sono state le sue parole, “sono cinquecento euro”, o forse il contatto delle mie dita con la filigrana. Sta di fatto che mi è venuta la pelle d’oca. Gli ho detto d’istinto “non faccio la mignotta”, lui mi ha risposto “magari no, ma lo sei”. Gli ho restituito la busta senza pensarci un attimo. Tuttavia qualcosa, nel mio cervello, si è messo in moto. Essere pagate per fare sesso non credo sia una fantasia solo mia, ma di molte ragazze. Se ci penso, la cosa mi eccita. Una volta mi è capitato di conoscere un tipo in un autogrill, di notte. Mi chiese se ero una di quelle ragazzine che di tanto in tanto fanno le escort il sabato sera, per pagarsi la coca o il motorino. Gli dissi di no, sorpresa, confusa, e finii a fargli un pompino – gratis, beninteso – nel parcheggio dell’autogrill. Mamma mia che cazzo spropositato che aveva. Da allora mi sono spesso masturbata immaginando la scena di avvicinarmi ad un uomo molto più grande, uno di quelli che ti capita di incrociare per strada e che ti sbranano con gli occhi, di quelli ben vestiti e che si vede che se lo possono permettere. Mi avvicino e gli dico “mi servono duecento euro, mi vuoi chiavare? per la metà posso farti un pompino, ma se mi dai cinquecento euro mi puoi anche sverginare il culo”. Pensavo queste cose mentre mi masturbavo, giuro. Figuriamoci se le avrei fatte, allora ero pure vergine, pompini a parte. Però le immaginavo. Un’altra volta che ero a Nizza con Edoardo, il cognato di Giovanna di cui sono stata amante, lui disse a un ragazzo che per cinquanta euro gli avrei potuto fare un pompino. No, non ero più vergine quella volta, e in ogni caso il ragazzo i cinquanta euro non ce li aveva e la cosa finì lì. Ma la scossa di calore al ventre me la ricordo ancora. Solo che una cosa è immaginarle, certe situazioni, o persino andarci molto vicini. Una cosa è trovarcisi dentro. E quando ieri notte ho rifiutato l’offerta di Ermanno, intendo dire proprio in quel momento, mi sono anche compiaciuta con me stessa di averlo fatto. Le cose però sono cambiate quando abbiamo lasciato la stanza e siamo scese. Non eravamo conciate particolarmente male, anche se a tratti Giovanna barcollava. Avevo però l’impressione che tutti, tra clienti e impiegati dell’hotel, ci guardassero. Magari era una cosa che sentivo solo io, ma per me era evidente che eravamo state sino a quel momento parte del servizio in camera di qualcuno. Nessuno, secondo me, poteva ragionevolmente pensare che fossimo qualcosa di diverso da due puttane. I nostri cappotti al bar non c’erano più, li abbiamo ritrovati al guardaroba, come ci aveva detto Ermanno. Ci siamo fatte chiamare un taxi. Il receptionist ci guardava con una espressione neutra, ma era ovvio che anche lui aveva capito tutto. Avevo detto a Giovanna che avrei preferito aspettare in strada, pure se faceva freddo. Ero stata previdente, non lo faccio mai ma stavolta avevo comprato le sigarette. Sapevo che, dopo, avrei avuto voglia di fumare e non volevo correre rischi. Mentre cercavo il pacchetto con la mano ho sentito che nella borsa c’era qualcosa che prima non c’era. Una busta, la busta. Ci ho infilato la mano e ho sentito un’altra volta il contatto con le banconote. Ho avvertito un crampetto, tra qualche secondo sarei stata di nuovo bagnata. Mi sono accesa una sigaretta sentendomi addosso due brividi. Il primo veniva dall’euforia, illogica, di avere realizzato la più oscena delle mie fantasie, quella di essere stata una puttana a pagamento per una sera. Il secondo dal sapere che una nuova fantasia, ancora più oscena, aveva preso il posto della prima: essere scopata contemporaneamente da due uomini.
Solo che a Serena tutto questo groviglio di desideri e di emozioni non riesco a raccontarglielo. La gara tra di noi è passata in secondo piano, vuole sapere di Giovanna. Senza morbosità, non è come quando mi chiede di raccontarle le mie scopate per farsi un ditalino o farselo fare da me.
– Come è stato? – mi chiede con la faccia preoccupata.
– Così, non spettacolare – rispondo – almeno per me… Non è che quei tre mi piacessero molto. Erano chiaramente impasticcati. Ma a lei sì, almeno uno decisamente sì.
– Sì, lo so… quell’Ermanno – mi dice senza nascondere un tono di disapprovazione – ed è… è stata… sì, insomma, è stata dura?
– Giovanna non ti ha mai raccontato nulla? – domando.
– Senza tanti particolari, e mai con molto trasporto. Credo che se ne vergogni anche con me… le hanno fatto male? L’hanno picchiata? Frustata? A volte torna con certi segni addosso…
– No… no – le assicuro – nulla di tutto questo… Forse perché c’ero io, non saprei…
Non va nemmeno a me di raccontarle molto. Probabilmente perché un po’ mi vergogno anche io.
– E a te? – chiede ancora Serena.
– No, nemmeno a me.
– Che ne pensi?
– Non so che pensare – rispondo – non capisco, non mi piace… Ma se a lei piace, significa che ci trova qualche cosa che io non vedo.
– Non potrei mai… – dice Serena in un soffio.
– Non hai mai pensato nemmeno a farlo con due o tre insieme? Normale… cioè, voglio dire, senza botte, frustate, e altre cazzate del genere…
– Ah, beh, per pensarci… un sacco di volte – sorride Serena – che c’è… ti è piaciuto? Non ieri sera, intendo, con quei due dell’altra sera.
– Sì, quello sì… – le rispondo dopo un attimo di silenzio – quello sì…
– Più che farlo con me e Lapo?
– No, di più non direi… non lo so, è diverso…
– Ma ti hanno… cioè, sì, insomma, ti hanno… presa insieme? – domanda abbassando istintivamente la voce.
– Ma sei scema? No, dico, le hai viste le foto? L’hai visto cosa ha tra le gambe quell’olandese?
– Sì, santo cielo… – commenta Serena – ma non ti è venuta nemmeno la voglia di provare?
– Con Sven e Rami no, sinceramente… ma vedendo ieri sera Giovanna… Beh, ho giurato a me stessa che prima o poi lo farò. Ma adesso, a mente fredda, non ne sono poi tanto sicura… Tu vorresti provare?
– Non lo so – risponde – no, non credo.
– Sai cosa mi dà fastidio? – le dico – Lo so che è una cazzata e che semmai dovrebbe dare più fastidio a loro che a me, è…. è vedere quei cazzi così vicini tra loro… Non si sentono, che ne so… non si sentono un po’ froci?
– Che c’è, ti danno fastidio i froci? – ride Serena.
– Ma no… non ho detto questo, non ho nulla contro… non lo so, è una sensazione strana, non te la so spiegare bene… non ho detto questo.
Lei non commenta e io non insisto. Perché in realtà sto già pensando ad altro. Perché è da quando le ho parlato di Sven e ho detto “quell’olandese” che la mia mente per associazione di idee ha cominciato a correre a Debbie, l’olandesina. Ci ho pensato parecchio, in questi giorni, dopo avere conosciuto Sven. E in questo momento ci penso ancora. Avrei voglia di sentirla, o perlomeno di scriverle. Non so nemmeno io per quale motivo, forse solo per dirle che l’ho pensata. Ci penso così intensamente che quando Serena mi domanda una cosa devo chiederle di ripetere, perché mi ero distratta.
– Ho detto: e tra noi come la mettiamo? – dice.
– In che senso, scusa?
– Nel senso della gara, siamo in pareggio. La finiamo qui?
– No, perché? Sei matta?
– Vuoi fare uno spareggio? Non so se ne ho tanta voglia – si lamenta Serena – abbiamo un po’ esagerato, dai…
– Ahahahahah… paura, eh? Sì, l’ho pensato pure io a un certo punto che stavamo esagerando, ma ora ci ho preso gusto… Mi sa che ti toccano i tempi supplementari, tesoro.
CONTINUA
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