Il Capo 1 - No, non me ne frega un cazzo
di
Browserfast
genere
etero
Ciao, sono Annalisa. Qualcuno di voi mi conoscerà. Quelli che seguono sono alcuni capitoli di un racconto che si chiama “L’estate di una cattiva ragazza” e che è l’ideale continuazione di un racconto intitolato “Bad girl”. Che fantasia, eh? Beh, che vi devo dire, è arrivata l’estate. E d’estate succede sempre qualcosa, no? Non chiedetemi cosa, dai. Non è che non voglio dirvelo, è che non ho la palla di vetro, tutto qua.
Tenete però conto di una cosa: non prometto cose sfolgoranti. Non ho proprio il tempo di fare cose sfolgoranti. Ho deciso di dare quattro appelli nella sessione estiva e, per quanto sia a mio agio negli studi, insomma toccherà farmi un discreto culo.
Per il prossimo mese dovrò tapparmi in casa e serate come queste saranno abbastanza rare. Serate nulla di che, intendiamoci, a bere qualcosa con le amiche. In posti nemmeno tanto speciali. Il bar davanti alla vecchia scuola, che adesso apre anche la sera. Mio dio quanti pompini ci ho fatto qua dentro. A pensarci bene era solo dodici mesi fa, nel pieno del mio delirio erotico. C’è tutto nel mio primo racconto, “Diversamente vergine”, leggetelo se vi va.
- Non capisco perché ti sei sbroccata con questa storia di fare gli esami a raffica – mi dice Trilli mentre arriva da bere.
- Perché mi sento pronta per farli – le rispondo – e poi preferisco farmi il culo per un mese e riposarmi dopo, preferisco concentrare lo sforzo...
- D’accordo, ma quattro appelli in venti giorni... io la prenderei con più calma. E se devo farmi il culo sinceramente preferisco farlo divertendomi, almeno.
All’inizio non capisco la battuta, poi le lancio un’occhiata di finto rimprovero. Oddio, non tanto finto. So che Serena, che ascolta il nostro scambio di battute, da questo punto di vista è abbastanza sportiva, ma in fondo è la prima volta che si incontrano, non ho idea di come la possa prendere.
- Oh, finalmente una con cui si può parlare di sesso anale – ride Serena prima di dare una sorsata al suo Mojito.
Ok, l’ha presa bene.
- Se volete vado al bagno così potete continuare la discussione – le dico – visto che siete autorità in materia...
- Tanto i bagni di questo posto li conosci bene, no? – replica un po’ piccata Trilli, prima di rivolgersi a Serena – non hai idea di cosa combinava là sotto...
- Qualche idea ce la posso avere – risponde Serena – una sera che siamo uscite ha aspettato che me ne andassi per fare un pompino a un tipo che avevamo appena conosciuto...
- Ahò, a pettegole, ma la smettete di mettermi in mezzo? – protesto – e poi non è che aspettavo che te ne andassi, è successo...
- Secondo me la cosa più spettacolare che hai fatto – mi dice Trilli ignorando le mie rimostranze – è stata quando hai chiesto a Angelucci di portarti in piscina dicendogli che in cambio gliel’avresti succhiato.
Serena scoppia a ridere e mi chiede se davvero in cambio di un invito in piscina ho fatto un pompino a un ragazzo.
- Per la precisione due, negli spogliatoi. Uno quando siamo arrivati e uno prima di andar via. Il secondo sapeva un po’ di cloro, devo dire... Ma comunque che cazzo volete? Ero curiosa di vedere il circolo dove andava, ne parlava sempre... ma mica è solo per quello. Mi andava di farglielo, tutto qui.
- Che ne parlava sempre è vero – conferma Trilli – ci ha preparato gli esami, in piscina...
- Infatti ha fatto una maturità di merda. Perfettamente abbronzato, ma di merda – le rispondo – io vorrei evitare di fare degli esami di merda, ecco perché mi tappo in casa. Che poi, non esageriamo, mica butto la chiave...
Dopo questo scambio di battute la situazione, gradualmente, si calma. Molto gradualmente. Trilli e Serena cominciano a parlare di ragazzi. Trilli perché si è già stufata del suo dopo appena quattro giorni che stanno insieme (per i suoi standard, già una durata notevole). Serena perché si è rotta anche lei i coglioni di uno che, a suo dire, la scopa benissimo ma che a parte questo è poco più di una zucca vuota. "Almeno scopa bene", commenta Trilli. Dal che capisco che il suo nemmeno in quello è particolarmente portato. Serena, invece... Il suo manzo la porta spessissimo la sera nello studio da avvocato del padre e la scopa sul tavolo della sala riunioni. Questo, ci dice, la fa sentire un po’ troia, anche perché lui non fa mistero di averci portato diverse altre ragazze. “Che c’è di male a sentirsi troia?”, obietto. Lei fa una faccia un po’ così e chiarisce: “Non in quel senso”. Io continuo a non capire e le confesso che, per la verità, anche che il solo fatto di essere portata in uno scannatoio così particolare mi procurerebbe probabilmente un orgasmo già nell’ascensore. Alla parola “scannatoio” fa una smorfia e esclama “che parola orribile!”. “A me diverte”, le rispondo.
Dopo i ragazzi, è il turno di un argomento contiguo, i cani. Il cucciolo che i genitori di Serena hanno portato a casa, per la precisione. Poi le scarpe, poi spettegolate varie e progetti per le vacanze.
Solo un paio d’ore più tardi, quando sono scesa dal suo motorino e sto cercando nella borsa le chiavi del portone, Serena si ricorda di dirmi di Giovanna. Che cioè vorrebbe iscriversi in palestra e vorrebbe provare la mia. Le rispondo che non c’è problema. Non è che abbia tutta sta confidenza con Giovanna ma mi è simpatica. Le domando se è la prima volta che cerca una palestra e Serena mi risponde “ma che, scherzi? fino a due anni fa faceva judo a livello agonistico ed era pure brava, tipo che vinceva le selezioni regionali e cose del genere”. Ora mi spiego quelle spalle, rispondo, pensavo fosse il nuoto...
- Mi preoccupa un po’ – dice Serena facendosi improvvisamente seria.
- Perché?
- Ma che cazzo ne so, sta sempre in casa o a fare la crocerossina della sorella... che è vero che ha un pancione così, ma è incinta, mica malata. Si sta richiudendo.... non che sia mai stata una compagnona, eh? Però cazzo, così è troppo...
- Facciamole conoscere qualcuno! – dico.
- Eh, non è così semplice, un’altra volta ti dico – ribatte Serena lasciandomi un po’ incuriosita, un po’ preoccupata e anche un po’ di merda.
A me fa anche comodo avere un appuntamento con Giovanna. Ho bisogno che qualcuno mi accompagni a consegnare il mio lavoro di traduzione. Da sola mi vergogno ad andarci. L'ultima volta in quell'ufficio l'ho combinata un po' grossa. Ho praticamente sventolato le tette davanti al Capo. Che poi "sventolare" non è proprio il verbo appropriato. Che cosa volete che sventoli con le meline che mi ritrovo? Diciamo che gliele ho piazzate davanti alla faccia, piegandomi verso di lui, lasciando che il suo sguardo indugiasse nella mia scollatura. Me ne sono accorta quando l'ha fatto. E lui se ne è accorto che io me ne sono accorta. E che non mi sono tirata su. Spudorata.
A conti fatti, però, avrei potuto essere completamente nuda e sarebbe stato lo stesso. Avrei potuto indossare una tuta della Nasa e non sarebbe cambiato nulla. Aiutatemi a dire quanto non mi si è cagata nemmeno di striscio. E non è che non dessi spettacolo neanche quando mi sono rialzata, eh? Le guance mi andavano a fuoco, mica solo la fica. Dovevo essere rossa come un peperone e sicuramente lui ha visto i miei capezzoli che spingevano sotto il tessuto della camicetta. Reazioni da parte di lui? Niente, nada, null. Avrei voluto sprofondare.
Una minchiata del genere l'ho fatta solo perché ho perso la testa per lui. Edoardo, il Capo. A tutti gli effetti il prototipo di un sogno erotico. Sui trentacinque anni, alto direi sull'uno e novanta, forse più, un fisico che si intuisce statuario sotto i vestiti. Sarebbe anche riduttivo dire che è bello come il sole. Una divinità greca, la statua del dio Apollo. Con in più uno sguardo penetrante, che promette ben altre penetrazioni. Io, che cazzo vi devo dire?, mi eccito solo a guardarlo, divento scema, vado in confusione, balbetto. E faccio appunto stronzate come questa.
Magari l'avete già letto, ma ve lo ridico. Ha anche una moglie che è uno spettacolo. Uno spettacolo pure adesso che è molto ma molto incinta. E' la sorella di Giovanna. E' Giovanna che me li ha presentati. Per questo la porterò con me in palestra e poi le chiederò se mi accompagna in ufficio.
Ovviamente tutti i miei piani vanno a puttane, così come i miei timori. Tanto per cominciare, non c'è un buco per parcheggiare il suv di mio padre e devo pregarla di restare in macchina, in doppia fila. Salgo le scale con il cuore in gola ma in ufficio del Capo non c'è traccia. Non so se essere sollevata o dispiaciuta. Lascio il mio lavoro alla segretaria e praticamente scappo via. Mentre scendo le scale penso a Giovanna e alla sua soddisfazione per la palestra. Sono contenta di avere un'amica con cui andarci anche se, obiettivamente, io dopo cinque minuti di step sono già agonizzante e lei è come se non avesse nemmeno iniziato. Si vede che è abituata. Ho anche notato che, spalle a parte, ha davvero un bel fisico, l'ho vista nuda sotto la doccia. Secondo me non lo valorizza. Ha un viso un po' anonimo ma ragazze, uaooo, ad avercelo un fisico così.
Mi gela però quando mi chiede di accompagnarla dalla sorella. Io mi sento in imbarazzo. Tra l'altro ho anche paura che il Capo abbia raccontato alla moglie il mio show con le tette. E' improbabile, d'accordo, ma se lo avesse fatto? Sai le risate che si sarebbero sprecate sulla sottoscritta, cretina che non sono altro? D'altro canto cosa posso fare? Non posso mica dire di no a Giovanna...
Eleonora, la sorella di Giò, è come la prima volta che l’ho vista: bellissima, affascinante, radiosa. Dolce, soprattutto dolce. Con me, con Giovanna, con il mondo intero. Credo che sarebbe dolce anche con le zanzare tigre che infestano la città. Il pancione è enorme, appare chiaramente stanca, affaticata. La gravidanza deve essere una prova durissima per lei. Mi vengono i brividi solo a pensare che razza di ingombro debba portarsi appresso, mi vengono i brividi a immaginarmi al suo posto. Allo stesso tempo il fatto che non sappia nulla della mia, chiamiamola così, provocazione nei confronti del marito me la rende, di colpo, cara.
- Sei bellissima oggi, Annalisa – mi dice sorridendo e quasi con un filo di voce.
Io in realtà non mi sento nulla di che. Ho un vestitino castigatissimo, nero e costellato di fiorellini, abbottonato davanti e che mi arriva un po' sopra il ginocchio. Da questo punto di vista sembro mia nonna.
- Anche tu sei sempre più bella – dico con un filo di voce.
Ci spariamo un paio di tè freddi mentre io e Giovanna ci prendiamo cura di Eleonorai e la ascoltiamo mentre ci racconta delle turbolenze del nascituro, che a quanto pare deve avere deciso che da grande farà il calciatore, visto le pedate che le sferra dall'interno. Le chiedo dov'è il bagno e lei dice a Giovanna di accompagnarmi. Le rispondo di non disturbarsi e mi indica un corridoio che gira intorno a una chiostrina, la zona notte della casa. Svolto un angolo e resto di sasso.
Davanti a me c'è Edoardo, il Capo, il dio Apollo. Ha la faccia un po' assonnata e i capelli scompigliati, indossa un paio di pantaloncini da tennis bianchi e una t-shirt, bianca anch'essa. Nel vedermi ha un'espressione meravigliata, la mia deve esserlo anche di più. Cazzo, Eleonora me lo poteva pure dire che c'era il marito di là che dormiva.
Restiamo qualche secondo a guardarci, in silenzio. Mi sento già nel pallone, mi manca persino il coraggio di dire "ciao". Come una scema, ho la bocca spalancata per la sorpresa. Alzo una mano per salutare e sto per balbettare qualcosa tipo "buongiorno Capo" oppure "scusa se ti ho disturbato". Lui mi fa cenno di tacere portandosi l'indice alla bocca. Afferra proprio la mano che tenevo sollevata e mi trascina dentro una stanza. Prima che richiuda la porta e tutto piombi nella penombra faccio in tempo a vedere che si tratta di una cabina armadio. Adatta direi, in quanto a grandezza, a un'intera squadra di pallavolo.
- Che cazzo ci fai qui? - sussurra.
- Io... io - dico abbassando il tono di voce perché lui mi fa cenno di non fare rumore - io sono con Giovanna... ho... ho portato il lavoro in ufficio...
- Ah sì, eh? - dice con tono irridente - e oltre al lavoro non avevi niente altro da farmi vedere?
- Ma.. n-non... - balbetto.
- Queste? - chiede abbrancandomi le tette, stavolta protette dal reggiseno e spingendomi verso il muro.
- Capo... io... - biascico. Ma in realtà non so cosa cazzo dire, sono quasi paralizzata.
Mi schiaccia addosso alla parete. Che in realtà non è una parete ma uno specchio che va dal pavimento al soffitto. Sento il freddo del vetro sulla schiena e il caldo del suo corpo davanti. Mi bacia. O per meglio dire, si impossessa delle mie labbra, della mia lingua, della mia bocca. E’ con quel bacio che mi rende sua. E’ una sensazione difficile da descrivervi, ma la parola è quella. L’unica parola possibile: sua.
- Lo sapevo, che cazzo ti credevi? – mi sussurra interrompendo il bacio e palpandomi di nuovo le tette. In un istante i miei capezzoli si sono già induriti a bestia, mi fa quasi male e reprimo un gemito. Vorrei non avere messo il reggiseno. Lo accarezzo sulle spalle e ansimo. Mi sento già bagnata e so che tempo pochi secondi inizierò a colare.
Sono pazza. Quando mi prende così ci vorrebbero degli infermieri per portarmi via, lo so. Non riesco a frenarmi, il bacio non mi basta, le sue mani sulle tette non mi bastano, anche se alzo le braccia sopra la testa per offrirgliele. In realtà gli sto offrendo tutto quello che vorrà prendersi e, nonostante la situazione, in questo momento spero proprio che voglia prendersi tutto. Dalle tette le mani passano sui fianchi e io penso che adesso si impossesseranno delle mie cosce e della mia fregna e che si accorgerà di quanto lo voglio. Ma evidentemente qualcosa deve essere scattato anche in lui, qualcosa di folle, perché ci ripensa e mi impone le mani sulle spalle, mi spinge giù.
E' lui che se lo tira fuori, svelandomi il segreto di quel gonfiore che sentivo premermi addosso insieme a tutto il suo corpo. Un segreto, adesso che lo impugno, un po' liscio e un po' rugoso, con un paio di vene in rilievo, un po' penzolante, morbido... No, aspettate. Un momento. Come morbido? Se è morbido adesso che è più o meno grande come, diciamo, quello di Tommy (che non è un superdotato ma che vi assicuro non sta per nulla messo male) se è morbido adesso, dicevo, cosa diventa quando diventa... Quando insomma succede questo, che faccio sempre più fatica a stringerlo con una mano?
Me ne sto ansimante a osservare quella trasformazione. Un po' perché mi manca ancora il respiro dal bacio di prima, un po' perché fatico a respirare per l'emozione. Avete presente quando si dice "mozzafiato"? Ecco, quella cosa lì. E se proprio devo essere onesta, non è che sono emozionata perché sono inginocchiata e soggiogata davanti all'oggetto del desiderio di, immagino, tutte le creature femminili che lo conoscono (non è possibile che chi lo conosce non lo desideri). In un altro momento, penso, sarei un’esplosione di vanità. Avete presente questo tipo di vanità tutta femminile, no? E’ qualcosa di ancestrale, credo. Il sesso di un maschio che diventa così per me perché mi ha scelta, perché sono la femmina da inseminare che viene dalla notte dei tempi. E invece no. Sono proprio emozionata dalla visione di quel tubo di carne. Emozionata, non eccitata. Eccitata lo sono già tanto e per tanti versi, ma sto parlando di un'altra cosa. Cerco di spiegarvelo, ma non sono proprio sicura di riuscirci.
Ora, tenete conto che io da questa prospettiva di cazzi ne ho visti parecchi, anche considerando la mia giovane età. Ma a parte quello del tizio dell’autogrill, che sta su una dimensione spazio-tempo parallela e che a questo punto penso proprio di essermelo sognato (si fa per dire), non ne ho mai visto uno più grosso di questo. Nemmeno quello del coattello di piazza Cavour. Nemmeno quello di quel barista, Stefano. Quanto diceva di avercelo lungo? Ventiquattro centimetri e mezzo? Be’ qui forse mancheranno un paio di centimetri, e mancherà anche quel mezzo, ma ce ne vorrebbero due legati insieme uno accanto all’altro per eguagliarlo in larghezza. E non so nemmeno se basterebbero, adesso che si è fatto duro. E' dritto, è lungo, è largo, un tubo.
Tuttavia cercate di seguirmi un attimo. Uno abituato a racconti di questo tipo potrebbe pensare una cosa tipo: “e a questo punto la protagonista non riuscì a fare a meno di avventarsi su quel cazzo enorme non vedendo l’ora di farsi riempire in ogni buco”. Ecco, no, non è esattamente così. E nemmeno una cosa tipo: “a questo punto la povera ragazza si ritrasse terrorizzata di fronte a quell’erezione così poderosa e al tempo stesso minacciosa”. Non è nemmeno così.
Cioè, voglio dire, in quell’attimo lì il sesso non c’entra niente, pur avendo davanti un sesso (e che sesso!). Sto parlando dei miei occhi che fissano questo glande gonfio e inverosimile con questo taglietto in punta già mezzo aperto e umidiccio. Sto parlando delle mie dita che hanno messo da parte la presunzione di volerla stringere, questa asta dritta e un po' nodosa, e che adesso la percorrono sfiorandola dalla punta alla base e non arrivano mai, mai, mai. Sto parlando della base piatta e nascosta dalla peluria folta e riccia. Sto parlando di un ventre e di un apparato di addominali altrettanto piatti e sodi. Sto parlando di quello che mi appare il naturale prolungamento della persona che se lo porta appresso tutti i giorni. Come se anche quel cazzo fosse un Capo. Sto parlando di qualcosa che comanda, punto. Non sto parlando di sesso. Sto parlando di gerarchia.
Solo che a lui tutto questo non lo dico. Non ci riuscirei nemmeno, credo. A lui riesco a dire solo, in un soffio, qualcosa che per lui deve suonare, invece, solo come un'esplosione di sesso.
- Che cazzo che hai, Capo.
Senza particolare concitazione, la sua mano si poggia sulla mia nuca e attira la mia testa verso di sé. Apro la bocca in automatico, quasi senza rendermi conto che la contemplazione è finita e che adesso si tratta di respirare. Uno spasmo mi devasta il ventre. E’ così duro, già sfoderato e umido in punta, l’odore mi stordisce. Non lo lecco nemmeno, comincio proprio a spompinare come un’assatanata. Ha un sapore di maschio pazzesco, mi sembra di sentire distintamente il mio succo che cola giù dalla fica. E’ difficile anche impormi il silenzio, reprimere la voglia di farmelo sbattere con violenza in fondo alla gola, gemere, gorgogliare. Difficile non portarmi una mano in mezzo alle gambe, sono così eccitata che al primo contatto delle mie dita con il grilletto mi lascerei andare a un mugolio di piacere sin troppo sonoro. Eppure voglio che si renda conto che sono brava, che sono qualcosa di speciale, non la puttanella da quattro soldi che gli ha squadernato le tette davanti. Mi fermo un attimo e poi gli deposito una colata di saliva spaventosa su tutto il cazzo e dopo avergli inviato un’occhiata oscena e sorridente lo prendo in bocca. So che sarà impegnativo e so che non ho nemmeno molto tempo, ma sono decisa a prenderglielo tutto, a stupirlo. In questo momento potrei anche venire se solo mi dicesse “nessuna me l’ha mai succhiato così”.
. Non fare rumore – sussurra – c’è mia moglie di là...
Già, sua moglie di là, a pochi metri. La bella e dolce Eleonora. Che porta addosso giorno dopo giorno la fatica di dargli un figlio, che è piena di amore per lui. Che mi ha accolta in casa con un sorriso radioso. Che è la sorella di una mia amica.
E io gli sto spompinando il marito, con l’unica preoccupazione di non fare troppo rumore.
E’ indecente. E’ immorale, lo so. Ma le troie come me sono immorali. E indecenti.
Ve l’ho detto mille volte quanto mi piace succhiare. Quanto mi piace farli godere così, i maschi. Illuderli di essere loro a comandare mentre invece sono io a decidere il loro destino. Persino quando mi afferrano la testa e me la scopano con rabbia. E’ mio il piacere, incommensurabilmente superiore al loro, quando lo senti pulsare in bocca, quando senti i muscoli contrarsi, quando lo ascolti rantolare.
Eppure in questo momento ho voglia di altro. Voglio che mi schizzi il suo disprezzo sul mio bel viso. Perché il suo disprezzo è mio, me lo merito, lo pretendo.
Ma lui la pensa diversamente, vuole diversamente. Mi sussurra “alzati” e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovo in piedi davanti a lui. Mi appoggio ansimante al cristallo. Ancora il freddo del vetro sulla schiena. Lo guardo ma non so che cazzo pensare. Ho paura, sostanzialmente sono un concentrato di paura. Ho paura della situazione, ho paura che ci scoprano. Ma al tempo stesso ho paura che sia tutto finito qui, che lui non voglia più andare avanti. Ho paura che lui mi scaraventi fuori di casa dicendomi che sono solo una troietta in calore. Ci guardiamo così, per un paio di secondi, separati soltanto dalla sua stanga tesa e lucida della mia saliva. Non riesco a sostenere il suo sguardo, ma se abbasso gli occhi vedo solo il suo cazzo. Me lo sento ancora in bocca, ne sento ancora il sapore. La fica mi pulsa come impazzita.
Poi capisco. Lo voglio terribilmente ma allo stesso tempo vorrei dirgli che non si può. In realtà non ho quasi tempo di dire e fare nulla perché mi gira faccia al vetro e mi solleva la gonna del vestitino. Nella penombra vedo la mia faccia stravolta e le labbra e il mento bagnate. Vedo lui che guarda verso il basso e nello stesso istante sento le sue mani sulle chiappe che mi abbassano le mutandine.
Ho ancora paura, sempre di più. Ho obiettivamente paura del suo cazzo, paura che mi sventri. Ma ho anche un desiderio pazzesco che lo faccia. Non riesco a prendere nemmeno in considerazione che un affare del genere non mi possa squarciare. Ho paura di gridare e contemporaneamente ho paura di starmi zitta. Non lo so fare, non ci riesco. Ho sempre accolto gridando i cazzi che mi hanno violata.
- I-io... non so... se... – balbetto cercando di tenere bassa la voce.
- Adesso non fare rumore – replica ignorandomi – non gridare, capito?
Sento il suo blocco di carne dura slittarmi letteralmente tra le cosce, sento tutto il piacere osceno di quel contatto che cerca il mio ingresso. E’ una frazione di secondo in cui mi dico che non può sapere quanto io gridi ma che sa invece quanto sia impossibile non farlo. Sa quanto gridano le donne che si chiava. Perché se ne chiava altre, questo è poco ma sicuro, non può essere solo la moglie, non è statisticamente possibile. E’ il Capo che insemina le femmine del branco, non mi illudo di essere la sola. Forse sarò la più giovane, cionondimeno sono semplicemente un’altra tacca sul suo cazzo. Ne sono consapevole e mi va benissimo, non crediate. Mi eccita la cosa in sé, essere presa da questa specie di prototipo di maschio alfa. Mi sento prescelta.
E mentre penso tutto questo, lo sento che entra. E capisco che tutte le mie paure sul gridare, sul fatto che ci senta sua moglie sono, almeno per il momento, immotivate. Per il semplice fatto che resto senza fiato. Mi dico che non è possibile, che non c’entra. E invece è possibile, entra. Mi tira tutta nonostante sia un lago, mi riempie, mi annulla. Mi fa male. Resto così per altre due o tre botte di cazzo ma poi devo mordermi il labbro. E poi non basta nemmeno questo. Mi scappa una lacrima, mi sfugge un gemito. Lui si ferma e mi sussurra “non fare rumore troia” ed è una scossa, pazzesca. Vorrei urlare il dolore e il piacere, vorrei gridargli “dimmelo ancora che sono una troia, fottimi come una troia” ma l’unica cosa che faccio è voltarmi verso di lui e sibilare "oddio..." prima di mordermi il labbro ancora più forte. Vedo i suoi occhi stravolti dal desiderio, i muscoli del viso contratti. Chissà come deve essere il mio, di viso, in questo incrocio di sguardi. Chissà come devono essere i miei occhi. Vorrei che non finisse mai e vorrei che finisse adesso, perché non ce la faccio più, perché stiamo rischiando troppo. Lui mi dà un’altra botta di cazzo pazzesca e allo stesso tempo mi mette la mano sulla bocca. Preme forte e fa bene perché gli mugolo invereconda sul palmo. Sono completamente schiacciata contro lo specchio, incastrata tra il suo corpo e il vetro. Sono piena all’inverosimile. Ogni suo colpo è come se mi sfondasse la cervice per quanto ce l’ha lungo. E’ come se mi tirasse e mi strappasse i tessuti del mio fodero per quanto è grosso. Lo sento ben oltre la pancia, vado a fuoco, praticamente non respiro più. A ogni affondo mi tappa la bocca con forza sempre maggiore ma mi chiude anche il naso. Dicono che l’apnea esalti il piacere sessuale ma in realtà l’unica cosa che posso dire è che mi gira la testa, sono in un vortice, ancorata al mondo solo dal suo tronco conficcato dentro di me. Ho bisogno di aria, ho bisogno di cazzo. In che ordine non saprei.
Poi la fine, repentina. Mi trema addosso e mi trema dentro, avverto la contrazione dei suoi muscoli dietro di me, quella del suo bastone dentro di me. Un suo sbuffo coincide con la mia inondazione. Il seme bollente arriva a ondate, non capisco più niente. Non è un orgasmo, conosco il mio orgasmo, ma è comunque un piacere assoluto, devastante. Sono ancora completamente spalmata contro il vetro. Percepisco i suoi sussulti, i suoi ultimi getti. Non respiro più da troppo tempo. Mi contorco, incastrata tra lui e il vetro, senza avere la forza di liberarmi.
Toglie la mano e cerco di incamerare più aria che posso, ma dura poco. Mi prende la faccia e la volta all'indietro, mi bacia ed è come se la sua lingua mi volesse scopare pure lei. Quando abbandona la mia bocca si sfila, nello stesso istante, dal mio corpo. I miei polmoni tornano a riempirsi di aria ma l'unica cosa sulla quale riesco a concentrami è il vuoto della mia fica. Un vuoto orribile, osceno. Non riesco a gestirlo, mi tremano le gambe. Penso con terrore che deve avermi talmente allargata che sarà questione di un attimo e la sborra inizierà a tracimare. Mi sussurra "vai in bagno" e fa un passo indietro, non mi sostiene più. Mi accascio sul parquet, con le mutandine calate fino alle caviglie.
Apre la porta della stanza-guardaroba ed esce, resta una lama di luce dallo spiraglio. Resto lì per terra a tremare e ansimare ancora un po' poi, non so perché, inizio a camminare carponi verso quella luce. Non riesco a concentrarmi su null'altro che non sia il vuoto della mia fica. Mi fa male e mi pulsa, qualcosa di caldo mi cola lungo la coscia e capisco che il mio timore era più che fondato, è il suo sperma. Tremo come se stessi per avere un orgasmo, o come se l'avessi appena avuto. Riesco a dominare l'impulso di mettermi a urlare, di implorarlo di tornare qui e darmi il colpo di grazia. Arrivata alla porta mi rialzo e mi sistemo le mutandine, non so neanche io come arrivo in bagno e mi chiudo dentro. Apro l'acqua del bidet e mi ci siedo sopra, ho bisogno di freddo. Guardo le mie mutandine, sono luride di seme maschile. Le asciugo con la carta igienica ma prima do una leccata e mi viene in mente che forse è la prima volta che non pulisco il cazzo che mi ha fottuta. Poi ci ripenso e mi dico che no, è almeno la seconda. Anche l'ultima volta che ho scopato era andata così. Con Stefano, il barman, quello con il cazzo lungo lungo e sottile. Ero rimasta ad agonizzare rannicchiata per terra in preda agli spasmi di una delle più forti venute che avessi mai provato, avevo freddo e anche paura, visto che lui se ne era andato salutandomi, mi pare, con un "ciao troia, ci si vede". Mi ero accorta di essere sporca di terra sulle gambe e di sperma un po’ ovunque. Doveva essersi tolto il preservativo e sparato una sega sul mio corpo tremante. Doveva avermi letteralmente pisciato la sua sborra addosso.
Ho un soprassalto quanto sento bussare alla porta del bagno e la voce di Giovanna che mi fa "Annalisa, tutto bene?". Cazzo, troppo tempo, troppo tempo per non destare sospetti. Mi gioco l'unica carta che ho. Del resto voi mi conoscete ma lei non così tanto, non lo sa che sono bravissima a inventare fregnacce.
Mi alzo e socchiudo la porta: "Giò, mi sento male, non è che hai un assorbente?". Lei no, e sua sorella è un bel po' di tempo che non ne ha bisogno. Si mette alla ricerca e me ne porta uno, uscito da chissà dove. Sì ok, soffro di dismenorrea, una volta ho avuto un brutto attacco, è da allora ed è per quello che prendo la pillola. Glielo spiego a Giovanna, glielo spiego a Eleonora. Non credo di fare molta fatica a essere convincente, devo avere una faccia stravolta. Eleonora si alza dal divano nonostante le mie proteste e mi viene a consolare: "Povera piccola". Non riesco a sostenere il suo sguardo, porto gli occhi altrove, ovunque ma non su di lei. Spero che la scambi per vergogna, vergogna della situazione. "Avevo fatto un casino, comunque ho pulito tutto", assicuro per farmi compatire un po' di più. Voglio solo andare via da lì.
Sono sconvolta. Mi sento la fica ancora aperta e ho una voglia terribile di masturbarmi. Penso che appena tornata a casa lo farò. Saliamo in macchina senza parlare. Giovanna è capace di lunghi silenzi, senza che questo sia motivo di imbarazzo per nessuno. In questo momento la apprezzo particolarmente. Chi mi segue lo sa, e lo so anche io, sono da trattamento sanitario obbligatorio: guido e non riesco a pensare ad altro che al fatto che non gli ho pulito il cazzo. E' come se questo pensiero assurdo mi si sia inchiodato dentro. Mi viene in mente anche un'altra volta che non l'ho fatto, sto facendo l'inventario. E' stato quando Tommy mi ha rotto il culo. Non gliel'ho succhiato, mi faceva schifo. Ripenso a Tommy, chissà che cazzo di fine ha fatto, è una vita che non lo sento. Da quando abbiamo litigato, scopato e poi litigato di nuovo. Due giorni interi così. Da qui a desiderare di fargli un pompino il passo è breve. Vorrei che ci fosse lui seduto al posto di Giovanna, mi fermerei da qualche parte nonostante siamo in pieno giorno e lo sbocchinerei fino a seccargli i coglioni. Al solo pensiero la fica ritorna a pulsarmi e a farmi male. Sto letteralmente delirando nella mia mente.
Tutto questo si infrange dentro una buca, dentro questo cazzo di percorso di guerra che sono le strade di Roma, dentro il BANG che fa la macchina, dentro il gridolino di sorpresa e spavento che facciamo sia io che Giovanna, limortacciloro... ne eviti dieci ne prendi altre venti.
Giovanna si volta verso di me, mi guarda a lungo mentre cerco di concentrarmi sulla strada il più possibile. Più mi osserva più mi sento a disagio.
- Hai fatto bene – dice all’improvviso.
- Uh?
Non è che faccio finta, non capisco proprio a cosa si riferisca. Dovrebbe essere abbastanza facile, eppure in questo momento non sono così sveglia.
- Ero venuta già a cercarti, non ho potuto vedere ma ho sentito tutto, non eravate così silenziosi...
Ho un brivido e immediatamente una scarica di sudore freddo. Penso "cazzo, cazzo, cazzo". Be', non è un gran pensiero, direte voi, ma di più non riesco a produrre.
- Giò, io...
- Non preoccuparti - mi interrompe - te l'ho detto che hai fatto bene.
Non so che rispondere. Se ci fossero qui Stefania, Trilli, o anche Serena, saprei cosa dire, forse. Ma non mi ci vedo proprio a confidarle "Giò, tuo cognato ha il cazzo di un cavallo". Giovanna però è già molto più avanti di tutto questo.
- A te non te ne frega proprio un cazzo di nulla, vero? - e nella sua domanda non c'è traccia di rimprovero o riprovazione. Lo sta constatando, diciamo.
- No, a me non me ne frega un cazzo - rispondo.
- Vorrei tanto essere come te - mormora. Ma è come se parlasse tra sé e sé, prima di voltarsi e guardare la strada.
CONTINUA
Tenete però conto di una cosa: non prometto cose sfolgoranti. Non ho proprio il tempo di fare cose sfolgoranti. Ho deciso di dare quattro appelli nella sessione estiva e, per quanto sia a mio agio negli studi, insomma toccherà farmi un discreto culo.
Per il prossimo mese dovrò tapparmi in casa e serate come queste saranno abbastanza rare. Serate nulla di che, intendiamoci, a bere qualcosa con le amiche. In posti nemmeno tanto speciali. Il bar davanti alla vecchia scuola, che adesso apre anche la sera. Mio dio quanti pompini ci ho fatto qua dentro. A pensarci bene era solo dodici mesi fa, nel pieno del mio delirio erotico. C’è tutto nel mio primo racconto, “Diversamente vergine”, leggetelo se vi va.
- Non capisco perché ti sei sbroccata con questa storia di fare gli esami a raffica – mi dice Trilli mentre arriva da bere.
- Perché mi sento pronta per farli – le rispondo – e poi preferisco farmi il culo per un mese e riposarmi dopo, preferisco concentrare lo sforzo...
- D’accordo, ma quattro appelli in venti giorni... io la prenderei con più calma. E se devo farmi il culo sinceramente preferisco farlo divertendomi, almeno.
All’inizio non capisco la battuta, poi le lancio un’occhiata di finto rimprovero. Oddio, non tanto finto. So che Serena, che ascolta il nostro scambio di battute, da questo punto di vista è abbastanza sportiva, ma in fondo è la prima volta che si incontrano, non ho idea di come la possa prendere.
- Oh, finalmente una con cui si può parlare di sesso anale – ride Serena prima di dare una sorsata al suo Mojito.
Ok, l’ha presa bene.
- Se volete vado al bagno così potete continuare la discussione – le dico – visto che siete autorità in materia...
- Tanto i bagni di questo posto li conosci bene, no? – replica un po’ piccata Trilli, prima di rivolgersi a Serena – non hai idea di cosa combinava là sotto...
- Qualche idea ce la posso avere – risponde Serena – una sera che siamo uscite ha aspettato che me ne andassi per fare un pompino a un tipo che avevamo appena conosciuto...
- Ahò, a pettegole, ma la smettete di mettermi in mezzo? – protesto – e poi non è che aspettavo che te ne andassi, è successo...
- Secondo me la cosa più spettacolare che hai fatto – mi dice Trilli ignorando le mie rimostranze – è stata quando hai chiesto a Angelucci di portarti in piscina dicendogli che in cambio gliel’avresti succhiato.
Serena scoppia a ridere e mi chiede se davvero in cambio di un invito in piscina ho fatto un pompino a un ragazzo.
- Per la precisione due, negli spogliatoi. Uno quando siamo arrivati e uno prima di andar via. Il secondo sapeva un po’ di cloro, devo dire... Ma comunque che cazzo volete? Ero curiosa di vedere il circolo dove andava, ne parlava sempre... ma mica è solo per quello. Mi andava di farglielo, tutto qui.
- Che ne parlava sempre è vero – conferma Trilli – ci ha preparato gli esami, in piscina...
- Infatti ha fatto una maturità di merda. Perfettamente abbronzato, ma di merda – le rispondo – io vorrei evitare di fare degli esami di merda, ecco perché mi tappo in casa. Che poi, non esageriamo, mica butto la chiave...
Dopo questo scambio di battute la situazione, gradualmente, si calma. Molto gradualmente. Trilli e Serena cominciano a parlare di ragazzi. Trilli perché si è già stufata del suo dopo appena quattro giorni che stanno insieme (per i suoi standard, già una durata notevole). Serena perché si è rotta anche lei i coglioni di uno che, a suo dire, la scopa benissimo ma che a parte questo è poco più di una zucca vuota. "Almeno scopa bene", commenta Trilli. Dal che capisco che il suo nemmeno in quello è particolarmente portato. Serena, invece... Il suo manzo la porta spessissimo la sera nello studio da avvocato del padre e la scopa sul tavolo della sala riunioni. Questo, ci dice, la fa sentire un po’ troia, anche perché lui non fa mistero di averci portato diverse altre ragazze. “Che c’è di male a sentirsi troia?”, obietto. Lei fa una faccia un po’ così e chiarisce: “Non in quel senso”. Io continuo a non capire e le confesso che, per la verità, anche che il solo fatto di essere portata in uno scannatoio così particolare mi procurerebbe probabilmente un orgasmo già nell’ascensore. Alla parola “scannatoio” fa una smorfia e esclama “che parola orribile!”. “A me diverte”, le rispondo.
Dopo i ragazzi, è il turno di un argomento contiguo, i cani. Il cucciolo che i genitori di Serena hanno portato a casa, per la precisione. Poi le scarpe, poi spettegolate varie e progetti per le vacanze.
Solo un paio d’ore più tardi, quando sono scesa dal suo motorino e sto cercando nella borsa le chiavi del portone, Serena si ricorda di dirmi di Giovanna. Che cioè vorrebbe iscriversi in palestra e vorrebbe provare la mia. Le rispondo che non c’è problema. Non è che abbia tutta sta confidenza con Giovanna ma mi è simpatica. Le domando se è la prima volta che cerca una palestra e Serena mi risponde “ma che, scherzi? fino a due anni fa faceva judo a livello agonistico ed era pure brava, tipo che vinceva le selezioni regionali e cose del genere”. Ora mi spiego quelle spalle, rispondo, pensavo fosse il nuoto...
- Mi preoccupa un po’ – dice Serena facendosi improvvisamente seria.
- Perché?
- Ma che cazzo ne so, sta sempre in casa o a fare la crocerossina della sorella... che è vero che ha un pancione così, ma è incinta, mica malata. Si sta richiudendo.... non che sia mai stata una compagnona, eh? Però cazzo, così è troppo...
- Facciamole conoscere qualcuno! – dico.
- Eh, non è così semplice, un’altra volta ti dico – ribatte Serena lasciandomi un po’ incuriosita, un po’ preoccupata e anche un po’ di merda.
A me fa anche comodo avere un appuntamento con Giovanna. Ho bisogno che qualcuno mi accompagni a consegnare il mio lavoro di traduzione. Da sola mi vergogno ad andarci. L'ultima volta in quell'ufficio l'ho combinata un po' grossa. Ho praticamente sventolato le tette davanti al Capo. Che poi "sventolare" non è proprio il verbo appropriato. Che cosa volete che sventoli con le meline che mi ritrovo? Diciamo che gliele ho piazzate davanti alla faccia, piegandomi verso di lui, lasciando che il suo sguardo indugiasse nella mia scollatura. Me ne sono accorta quando l'ha fatto. E lui se ne è accorto che io me ne sono accorta. E che non mi sono tirata su. Spudorata.
A conti fatti, però, avrei potuto essere completamente nuda e sarebbe stato lo stesso. Avrei potuto indossare una tuta della Nasa e non sarebbe cambiato nulla. Aiutatemi a dire quanto non mi si è cagata nemmeno di striscio. E non è che non dessi spettacolo neanche quando mi sono rialzata, eh? Le guance mi andavano a fuoco, mica solo la fica. Dovevo essere rossa come un peperone e sicuramente lui ha visto i miei capezzoli che spingevano sotto il tessuto della camicetta. Reazioni da parte di lui? Niente, nada, null. Avrei voluto sprofondare.
Una minchiata del genere l'ho fatta solo perché ho perso la testa per lui. Edoardo, il Capo. A tutti gli effetti il prototipo di un sogno erotico. Sui trentacinque anni, alto direi sull'uno e novanta, forse più, un fisico che si intuisce statuario sotto i vestiti. Sarebbe anche riduttivo dire che è bello come il sole. Una divinità greca, la statua del dio Apollo. Con in più uno sguardo penetrante, che promette ben altre penetrazioni. Io, che cazzo vi devo dire?, mi eccito solo a guardarlo, divento scema, vado in confusione, balbetto. E faccio appunto stronzate come questa.
Magari l'avete già letto, ma ve lo ridico. Ha anche una moglie che è uno spettacolo. Uno spettacolo pure adesso che è molto ma molto incinta. E' la sorella di Giovanna. E' Giovanna che me li ha presentati. Per questo la porterò con me in palestra e poi le chiederò se mi accompagna in ufficio.
Ovviamente tutti i miei piani vanno a puttane, così come i miei timori. Tanto per cominciare, non c'è un buco per parcheggiare il suv di mio padre e devo pregarla di restare in macchina, in doppia fila. Salgo le scale con il cuore in gola ma in ufficio del Capo non c'è traccia. Non so se essere sollevata o dispiaciuta. Lascio il mio lavoro alla segretaria e praticamente scappo via. Mentre scendo le scale penso a Giovanna e alla sua soddisfazione per la palestra. Sono contenta di avere un'amica con cui andarci anche se, obiettivamente, io dopo cinque minuti di step sono già agonizzante e lei è come se non avesse nemmeno iniziato. Si vede che è abituata. Ho anche notato che, spalle a parte, ha davvero un bel fisico, l'ho vista nuda sotto la doccia. Secondo me non lo valorizza. Ha un viso un po' anonimo ma ragazze, uaooo, ad avercelo un fisico così.
Mi gela però quando mi chiede di accompagnarla dalla sorella. Io mi sento in imbarazzo. Tra l'altro ho anche paura che il Capo abbia raccontato alla moglie il mio show con le tette. E' improbabile, d'accordo, ma se lo avesse fatto? Sai le risate che si sarebbero sprecate sulla sottoscritta, cretina che non sono altro? D'altro canto cosa posso fare? Non posso mica dire di no a Giovanna...
Eleonora, la sorella di Giò, è come la prima volta che l’ho vista: bellissima, affascinante, radiosa. Dolce, soprattutto dolce. Con me, con Giovanna, con il mondo intero. Credo che sarebbe dolce anche con le zanzare tigre che infestano la città. Il pancione è enorme, appare chiaramente stanca, affaticata. La gravidanza deve essere una prova durissima per lei. Mi vengono i brividi solo a pensare che razza di ingombro debba portarsi appresso, mi vengono i brividi a immaginarmi al suo posto. Allo stesso tempo il fatto che non sappia nulla della mia, chiamiamola così, provocazione nei confronti del marito me la rende, di colpo, cara.
- Sei bellissima oggi, Annalisa – mi dice sorridendo e quasi con un filo di voce.
Io in realtà non mi sento nulla di che. Ho un vestitino castigatissimo, nero e costellato di fiorellini, abbottonato davanti e che mi arriva un po' sopra il ginocchio. Da questo punto di vista sembro mia nonna.
- Anche tu sei sempre più bella – dico con un filo di voce.
Ci spariamo un paio di tè freddi mentre io e Giovanna ci prendiamo cura di Eleonorai e la ascoltiamo mentre ci racconta delle turbolenze del nascituro, che a quanto pare deve avere deciso che da grande farà il calciatore, visto le pedate che le sferra dall'interno. Le chiedo dov'è il bagno e lei dice a Giovanna di accompagnarmi. Le rispondo di non disturbarsi e mi indica un corridoio che gira intorno a una chiostrina, la zona notte della casa. Svolto un angolo e resto di sasso.
Davanti a me c'è Edoardo, il Capo, il dio Apollo. Ha la faccia un po' assonnata e i capelli scompigliati, indossa un paio di pantaloncini da tennis bianchi e una t-shirt, bianca anch'essa. Nel vedermi ha un'espressione meravigliata, la mia deve esserlo anche di più. Cazzo, Eleonora me lo poteva pure dire che c'era il marito di là che dormiva.
Restiamo qualche secondo a guardarci, in silenzio. Mi sento già nel pallone, mi manca persino il coraggio di dire "ciao". Come una scema, ho la bocca spalancata per la sorpresa. Alzo una mano per salutare e sto per balbettare qualcosa tipo "buongiorno Capo" oppure "scusa se ti ho disturbato". Lui mi fa cenno di tacere portandosi l'indice alla bocca. Afferra proprio la mano che tenevo sollevata e mi trascina dentro una stanza. Prima che richiuda la porta e tutto piombi nella penombra faccio in tempo a vedere che si tratta di una cabina armadio. Adatta direi, in quanto a grandezza, a un'intera squadra di pallavolo.
- Che cazzo ci fai qui? - sussurra.
- Io... io - dico abbassando il tono di voce perché lui mi fa cenno di non fare rumore - io sono con Giovanna... ho... ho portato il lavoro in ufficio...
- Ah sì, eh? - dice con tono irridente - e oltre al lavoro non avevi niente altro da farmi vedere?
- Ma.. n-non... - balbetto.
- Queste? - chiede abbrancandomi le tette, stavolta protette dal reggiseno e spingendomi verso il muro.
- Capo... io... - biascico. Ma in realtà non so cosa cazzo dire, sono quasi paralizzata.
Mi schiaccia addosso alla parete. Che in realtà non è una parete ma uno specchio che va dal pavimento al soffitto. Sento il freddo del vetro sulla schiena e il caldo del suo corpo davanti. Mi bacia. O per meglio dire, si impossessa delle mie labbra, della mia lingua, della mia bocca. E’ con quel bacio che mi rende sua. E’ una sensazione difficile da descrivervi, ma la parola è quella. L’unica parola possibile: sua.
- Lo sapevo, che cazzo ti credevi? – mi sussurra interrompendo il bacio e palpandomi di nuovo le tette. In un istante i miei capezzoli si sono già induriti a bestia, mi fa quasi male e reprimo un gemito. Vorrei non avere messo il reggiseno. Lo accarezzo sulle spalle e ansimo. Mi sento già bagnata e so che tempo pochi secondi inizierò a colare.
Sono pazza. Quando mi prende così ci vorrebbero degli infermieri per portarmi via, lo so. Non riesco a frenarmi, il bacio non mi basta, le sue mani sulle tette non mi bastano, anche se alzo le braccia sopra la testa per offrirgliele. In realtà gli sto offrendo tutto quello che vorrà prendersi e, nonostante la situazione, in questo momento spero proprio che voglia prendersi tutto. Dalle tette le mani passano sui fianchi e io penso che adesso si impossesseranno delle mie cosce e della mia fregna e che si accorgerà di quanto lo voglio. Ma evidentemente qualcosa deve essere scattato anche in lui, qualcosa di folle, perché ci ripensa e mi impone le mani sulle spalle, mi spinge giù.
E' lui che se lo tira fuori, svelandomi il segreto di quel gonfiore che sentivo premermi addosso insieme a tutto il suo corpo. Un segreto, adesso che lo impugno, un po' liscio e un po' rugoso, con un paio di vene in rilievo, un po' penzolante, morbido... No, aspettate. Un momento. Come morbido? Se è morbido adesso che è più o meno grande come, diciamo, quello di Tommy (che non è un superdotato ma che vi assicuro non sta per nulla messo male) se è morbido adesso, dicevo, cosa diventa quando diventa... Quando insomma succede questo, che faccio sempre più fatica a stringerlo con una mano?
Me ne sto ansimante a osservare quella trasformazione. Un po' perché mi manca ancora il respiro dal bacio di prima, un po' perché fatico a respirare per l'emozione. Avete presente quando si dice "mozzafiato"? Ecco, quella cosa lì. E se proprio devo essere onesta, non è che sono emozionata perché sono inginocchiata e soggiogata davanti all'oggetto del desiderio di, immagino, tutte le creature femminili che lo conoscono (non è possibile che chi lo conosce non lo desideri). In un altro momento, penso, sarei un’esplosione di vanità. Avete presente questo tipo di vanità tutta femminile, no? E’ qualcosa di ancestrale, credo. Il sesso di un maschio che diventa così per me perché mi ha scelta, perché sono la femmina da inseminare che viene dalla notte dei tempi. E invece no. Sono proprio emozionata dalla visione di quel tubo di carne. Emozionata, non eccitata. Eccitata lo sono già tanto e per tanti versi, ma sto parlando di un'altra cosa. Cerco di spiegarvelo, ma non sono proprio sicura di riuscirci.
Ora, tenete conto che io da questa prospettiva di cazzi ne ho visti parecchi, anche considerando la mia giovane età. Ma a parte quello del tizio dell’autogrill, che sta su una dimensione spazio-tempo parallela e che a questo punto penso proprio di essermelo sognato (si fa per dire), non ne ho mai visto uno più grosso di questo. Nemmeno quello del coattello di piazza Cavour. Nemmeno quello di quel barista, Stefano. Quanto diceva di avercelo lungo? Ventiquattro centimetri e mezzo? Be’ qui forse mancheranno un paio di centimetri, e mancherà anche quel mezzo, ma ce ne vorrebbero due legati insieme uno accanto all’altro per eguagliarlo in larghezza. E non so nemmeno se basterebbero, adesso che si è fatto duro. E' dritto, è lungo, è largo, un tubo.
Tuttavia cercate di seguirmi un attimo. Uno abituato a racconti di questo tipo potrebbe pensare una cosa tipo: “e a questo punto la protagonista non riuscì a fare a meno di avventarsi su quel cazzo enorme non vedendo l’ora di farsi riempire in ogni buco”. Ecco, no, non è esattamente così. E nemmeno una cosa tipo: “a questo punto la povera ragazza si ritrasse terrorizzata di fronte a quell’erezione così poderosa e al tempo stesso minacciosa”. Non è nemmeno così.
Cioè, voglio dire, in quell’attimo lì il sesso non c’entra niente, pur avendo davanti un sesso (e che sesso!). Sto parlando dei miei occhi che fissano questo glande gonfio e inverosimile con questo taglietto in punta già mezzo aperto e umidiccio. Sto parlando delle mie dita che hanno messo da parte la presunzione di volerla stringere, questa asta dritta e un po' nodosa, e che adesso la percorrono sfiorandola dalla punta alla base e non arrivano mai, mai, mai. Sto parlando della base piatta e nascosta dalla peluria folta e riccia. Sto parlando di un ventre e di un apparato di addominali altrettanto piatti e sodi. Sto parlando di quello che mi appare il naturale prolungamento della persona che se lo porta appresso tutti i giorni. Come se anche quel cazzo fosse un Capo. Sto parlando di qualcosa che comanda, punto. Non sto parlando di sesso. Sto parlando di gerarchia.
Solo che a lui tutto questo non lo dico. Non ci riuscirei nemmeno, credo. A lui riesco a dire solo, in un soffio, qualcosa che per lui deve suonare, invece, solo come un'esplosione di sesso.
- Che cazzo che hai, Capo.
Senza particolare concitazione, la sua mano si poggia sulla mia nuca e attira la mia testa verso di sé. Apro la bocca in automatico, quasi senza rendermi conto che la contemplazione è finita e che adesso si tratta di respirare. Uno spasmo mi devasta il ventre. E’ così duro, già sfoderato e umido in punta, l’odore mi stordisce. Non lo lecco nemmeno, comincio proprio a spompinare come un’assatanata. Ha un sapore di maschio pazzesco, mi sembra di sentire distintamente il mio succo che cola giù dalla fica. E’ difficile anche impormi il silenzio, reprimere la voglia di farmelo sbattere con violenza in fondo alla gola, gemere, gorgogliare. Difficile non portarmi una mano in mezzo alle gambe, sono così eccitata che al primo contatto delle mie dita con il grilletto mi lascerei andare a un mugolio di piacere sin troppo sonoro. Eppure voglio che si renda conto che sono brava, che sono qualcosa di speciale, non la puttanella da quattro soldi che gli ha squadernato le tette davanti. Mi fermo un attimo e poi gli deposito una colata di saliva spaventosa su tutto il cazzo e dopo avergli inviato un’occhiata oscena e sorridente lo prendo in bocca. So che sarà impegnativo e so che non ho nemmeno molto tempo, ma sono decisa a prenderglielo tutto, a stupirlo. In questo momento potrei anche venire se solo mi dicesse “nessuna me l’ha mai succhiato così”.
. Non fare rumore – sussurra – c’è mia moglie di là...
Già, sua moglie di là, a pochi metri. La bella e dolce Eleonora. Che porta addosso giorno dopo giorno la fatica di dargli un figlio, che è piena di amore per lui. Che mi ha accolta in casa con un sorriso radioso. Che è la sorella di una mia amica.
E io gli sto spompinando il marito, con l’unica preoccupazione di non fare troppo rumore.
E’ indecente. E’ immorale, lo so. Ma le troie come me sono immorali. E indecenti.
Ve l’ho detto mille volte quanto mi piace succhiare. Quanto mi piace farli godere così, i maschi. Illuderli di essere loro a comandare mentre invece sono io a decidere il loro destino. Persino quando mi afferrano la testa e me la scopano con rabbia. E’ mio il piacere, incommensurabilmente superiore al loro, quando lo senti pulsare in bocca, quando senti i muscoli contrarsi, quando lo ascolti rantolare.
Eppure in questo momento ho voglia di altro. Voglio che mi schizzi il suo disprezzo sul mio bel viso. Perché il suo disprezzo è mio, me lo merito, lo pretendo.
Ma lui la pensa diversamente, vuole diversamente. Mi sussurra “alzati” e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovo in piedi davanti a lui. Mi appoggio ansimante al cristallo. Ancora il freddo del vetro sulla schiena. Lo guardo ma non so che cazzo pensare. Ho paura, sostanzialmente sono un concentrato di paura. Ho paura della situazione, ho paura che ci scoprano. Ma al tempo stesso ho paura che sia tutto finito qui, che lui non voglia più andare avanti. Ho paura che lui mi scaraventi fuori di casa dicendomi che sono solo una troietta in calore. Ci guardiamo così, per un paio di secondi, separati soltanto dalla sua stanga tesa e lucida della mia saliva. Non riesco a sostenere il suo sguardo, ma se abbasso gli occhi vedo solo il suo cazzo. Me lo sento ancora in bocca, ne sento ancora il sapore. La fica mi pulsa come impazzita.
Poi capisco. Lo voglio terribilmente ma allo stesso tempo vorrei dirgli che non si può. In realtà non ho quasi tempo di dire e fare nulla perché mi gira faccia al vetro e mi solleva la gonna del vestitino. Nella penombra vedo la mia faccia stravolta e le labbra e il mento bagnate. Vedo lui che guarda verso il basso e nello stesso istante sento le sue mani sulle chiappe che mi abbassano le mutandine.
Ho ancora paura, sempre di più. Ho obiettivamente paura del suo cazzo, paura che mi sventri. Ma ho anche un desiderio pazzesco che lo faccia. Non riesco a prendere nemmeno in considerazione che un affare del genere non mi possa squarciare. Ho paura di gridare e contemporaneamente ho paura di starmi zitta. Non lo so fare, non ci riesco. Ho sempre accolto gridando i cazzi che mi hanno violata.
- I-io... non so... se... – balbetto cercando di tenere bassa la voce.
- Adesso non fare rumore – replica ignorandomi – non gridare, capito?
Sento il suo blocco di carne dura slittarmi letteralmente tra le cosce, sento tutto il piacere osceno di quel contatto che cerca il mio ingresso. E’ una frazione di secondo in cui mi dico che non può sapere quanto io gridi ma che sa invece quanto sia impossibile non farlo. Sa quanto gridano le donne che si chiava. Perché se ne chiava altre, questo è poco ma sicuro, non può essere solo la moglie, non è statisticamente possibile. E’ il Capo che insemina le femmine del branco, non mi illudo di essere la sola. Forse sarò la più giovane, cionondimeno sono semplicemente un’altra tacca sul suo cazzo. Ne sono consapevole e mi va benissimo, non crediate. Mi eccita la cosa in sé, essere presa da questa specie di prototipo di maschio alfa. Mi sento prescelta.
E mentre penso tutto questo, lo sento che entra. E capisco che tutte le mie paure sul gridare, sul fatto che ci senta sua moglie sono, almeno per il momento, immotivate. Per il semplice fatto che resto senza fiato. Mi dico che non è possibile, che non c’entra. E invece è possibile, entra. Mi tira tutta nonostante sia un lago, mi riempie, mi annulla. Mi fa male. Resto così per altre due o tre botte di cazzo ma poi devo mordermi il labbro. E poi non basta nemmeno questo. Mi scappa una lacrima, mi sfugge un gemito. Lui si ferma e mi sussurra “non fare rumore troia” ed è una scossa, pazzesca. Vorrei urlare il dolore e il piacere, vorrei gridargli “dimmelo ancora che sono una troia, fottimi come una troia” ma l’unica cosa che faccio è voltarmi verso di lui e sibilare "oddio..." prima di mordermi il labbro ancora più forte. Vedo i suoi occhi stravolti dal desiderio, i muscoli del viso contratti. Chissà come deve essere il mio, di viso, in questo incrocio di sguardi. Chissà come devono essere i miei occhi. Vorrei che non finisse mai e vorrei che finisse adesso, perché non ce la faccio più, perché stiamo rischiando troppo. Lui mi dà un’altra botta di cazzo pazzesca e allo stesso tempo mi mette la mano sulla bocca. Preme forte e fa bene perché gli mugolo invereconda sul palmo. Sono completamente schiacciata contro lo specchio, incastrata tra il suo corpo e il vetro. Sono piena all’inverosimile. Ogni suo colpo è come se mi sfondasse la cervice per quanto ce l’ha lungo. E’ come se mi tirasse e mi strappasse i tessuti del mio fodero per quanto è grosso. Lo sento ben oltre la pancia, vado a fuoco, praticamente non respiro più. A ogni affondo mi tappa la bocca con forza sempre maggiore ma mi chiude anche il naso. Dicono che l’apnea esalti il piacere sessuale ma in realtà l’unica cosa che posso dire è che mi gira la testa, sono in un vortice, ancorata al mondo solo dal suo tronco conficcato dentro di me. Ho bisogno di aria, ho bisogno di cazzo. In che ordine non saprei.
Poi la fine, repentina. Mi trema addosso e mi trema dentro, avverto la contrazione dei suoi muscoli dietro di me, quella del suo bastone dentro di me. Un suo sbuffo coincide con la mia inondazione. Il seme bollente arriva a ondate, non capisco più niente. Non è un orgasmo, conosco il mio orgasmo, ma è comunque un piacere assoluto, devastante. Sono ancora completamente spalmata contro il vetro. Percepisco i suoi sussulti, i suoi ultimi getti. Non respiro più da troppo tempo. Mi contorco, incastrata tra lui e il vetro, senza avere la forza di liberarmi.
Toglie la mano e cerco di incamerare più aria che posso, ma dura poco. Mi prende la faccia e la volta all'indietro, mi bacia ed è come se la sua lingua mi volesse scopare pure lei. Quando abbandona la mia bocca si sfila, nello stesso istante, dal mio corpo. I miei polmoni tornano a riempirsi di aria ma l'unica cosa sulla quale riesco a concentrami è il vuoto della mia fica. Un vuoto orribile, osceno. Non riesco a gestirlo, mi tremano le gambe. Penso con terrore che deve avermi talmente allargata che sarà questione di un attimo e la sborra inizierà a tracimare. Mi sussurra "vai in bagno" e fa un passo indietro, non mi sostiene più. Mi accascio sul parquet, con le mutandine calate fino alle caviglie.
Apre la porta della stanza-guardaroba ed esce, resta una lama di luce dallo spiraglio. Resto lì per terra a tremare e ansimare ancora un po' poi, non so perché, inizio a camminare carponi verso quella luce. Non riesco a concentrarmi su null'altro che non sia il vuoto della mia fica. Mi fa male e mi pulsa, qualcosa di caldo mi cola lungo la coscia e capisco che il mio timore era più che fondato, è il suo sperma. Tremo come se stessi per avere un orgasmo, o come se l'avessi appena avuto. Riesco a dominare l'impulso di mettermi a urlare, di implorarlo di tornare qui e darmi il colpo di grazia. Arrivata alla porta mi rialzo e mi sistemo le mutandine, non so neanche io come arrivo in bagno e mi chiudo dentro. Apro l'acqua del bidet e mi ci siedo sopra, ho bisogno di freddo. Guardo le mie mutandine, sono luride di seme maschile. Le asciugo con la carta igienica ma prima do una leccata e mi viene in mente che forse è la prima volta che non pulisco il cazzo che mi ha fottuta. Poi ci ripenso e mi dico che no, è almeno la seconda. Anche l'ultima volta che ho scopato era andata così. Con Stefano, il barman, quello con il cazzo lungo lungo e sottile. Ero rimasta ad agonizzare rannicchiata per terra in preda agli spasmi di una delle più forti venute che avessi mai provato, avevo freddo e anche paura, visto che lui se ne era andato salutandomi, mi pare, con un "ciao troia, ci si vede". Mi ero accorta di essere sporca di terra sulle gambe e di sperma un po’ ovunque. Doveva essersi tolto il preservativo e sparato una sega sul mio corpo tremante. Doveva avermi letteralmente pisciato la sua sborra addosso.
Ho un soprassalto quanto sento bussare alla porta del bagno e la voce di Giovanna che mi fa "Annalisa, tutto bene?". Cazzo, troppo tempo, troppo tempo per non destare sospetti. Mi gioco l'unica carta che ho. Del resto voi mi conoscete ma lei non così tanto, non lo sa che sono bravissima a inventare fregnacce.
Mi alzo e socchiudo la porta: "Giò, mi sento male, non è che hai un assorbente?". Lei no, e sua sorella è un bel po' di tempo che non ne ha bisogno. Si mette alla ricerca e me ne porta uno, uscito da chissà dove. Sì ok, soffro di dismenorrea, una volta ho avuto un brutto attacco, è da allora ed è per quello che prendo la pillola. Glielo spiego a Giovanna, glielo spiego a Eleonora. Non credo di fare molta fatica a essere convincente, devo avere una faccia stravolta. Eleonora si alza dal divano nonostante le mie proteste e mi viene a consolare: "Povera piccola". Non riesco a sostenere il suo sguardo, porto gli occhi altrove, ovunque ma non su di lei. Spero che la scambi per vergogna, vergogna della situazione. "Avevo fatto un casino, comunque ho pulito tutto", assicuro per farmi compatire un po' di più. Voglio solo andare via da lì.
Sono sconvolta. Mi sento la fica ancora aperta e ho una voglia terribile di masturbarmi. Penso che appena tornata a casa lo farò. Saliamo in macchina senza parlare. Giovanna è capace di lunghi silenzi, senza che questo sia motivo di imbarazzo per nessuno. In questo momento la apprezzo particolarmente. Chi mi segue lo sa, e lo so anche io, sono da trattamento sanitario obbligatorio: guido e non riesco a pensare ad altro che al fatto che non gli ho pulito il cazzo. E' come se questo pensiero assurdo mi si sia inchiodato dentro. Mi viene in mente anche un'altra volta che non l'ho fatto, sto facendo l'inventario. E' stato quando Tommy mi ha rotto il culo. Non gliel'ho succhiato, mi faceva schifo. Ripenso a Tommy, chissà che cazzo di fine ha fatto, è una vita che non lo sento. Da quando abbiamo litigato, scopato e poi litigato di nuovo. Due giorni interi così. Da qui a desiderare di fargli un pompino il passo è breve. Vorrei che ci fosse lui seduto al posto di Giovanna, mi fermerei da qualche parte nonostante siamo in pieno giorno e lo sbocchinerei fino a seccargli i coglioni. Al solo pensiero la fica ritorna a pulsarmi e a farmi male. Sto letteralmente delirando nella mia mente.
Tutto questo si infrange dentro una buca, dentro questo cazzo di percorso di guerra che sono le strade di Roma, dentro il BANG che fa la macchina, dentro il gridolino di sorpresa e spavento che facciamo sia io che Giovanna, limortacciloro... ne eviti dieci ne prendi altre venti.
Giovanna si volta verso di me, mi guarda a lungo mentre cerco di concentrarmi sulla strada il più possibile. Più mi osserva più mi sento a disagio.
- Hai fatto bene – dice all’improvviso.
- Uh?
Non è che faccio finta, non capisco proprio a cosa si riferisca. Dovrebbe essere abbastanza facile, eppure in questo momento non sono così sveglia.
- Ero venuta già a cercarti, non ho potuto vedere ma ho sentito tutto, non eravate così silenziosi...
Ho un brivido e immediatamente una scarica di sudore freddo. Penso "cazzo, cazzo, cazzo". Be', non è un gran pensiero, direte voi, ma di più non riesco a produrre.
- Giò, io...
- Non preoccuparti - mi interrompe - te l'ho detto che hai fatto bene.
Non so che rispondere. Se ci fossero qui Stefania, Trilli, o anche Serena, saprei cosa dire, forse. Ma non mi ci vedo proprio a confidarle "Giò, tuo cognato ha il cazzo di un cavallo". Giovanna però è già molto più avanti di tutto questo.
- A te non te ne frega proprio un cazzo di nulla, vero? - e nella sua domanda non c'è traccia di rimprovero o riprovazione. Lo sta constatando, diciamo.
- No, a me non me ne frega un cazzo - rispondo.
- Vorrei tanto essere come te - mormora. Ma è come se parlasse tra sé e sé, prima di voltarsi e guardare la strada.
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