E vuoi da bere
di
Lizbeth Gea
genere
sentimentali
Per l’ennesima volta il mio ragazzo mi ha tradita, ma possibile che sono così stupida. Ogni volta lui va con un’altra, ogni volta litighiamo e ogni volta io torno da lui. Possibile che l’ami così tanto. Non riesco a stargli lontano. Sono proprio scema, anche ora, che sono da sola al bar, penso a lui. Penso a quando, aprendo la porta del suo ufficio, l’ho visto con in braccio un'altra. Ho visto lei che gli teneva in mano il cazzo. Ho visto lui che gli lo infilava dentro.
E sapete una cosa, continua a negare.
Vedo il barista allungarmi un bicchiere di Sherry, il mio preferito. Gli dico che non ho ordinato nulla, ma lui mi indica la persona che si è materializzata accanto a me. Inutite che ve lo dica, è quel bastardo del mio fidanzato, dovrei cambiare locale, lui mi trova sempre.
Si avvicina, mi sussurra che mi ama.
Ingoio la sostanza alcolica in un secondo, e gli faccio notare, che chi ama non tradisce.
Lui si scusa per l’ennesima volta, per l’ennesima volta mi da ragione e, come ogni maschio idiota, mi dice che sono l’unica che ama davvero, e le altre le scopa solo per lavoro.
E’ la scusa più assurda che abbia mai sentito.
Gli dò una sberla, il barista ride. Gli urlo in faccià – “Quindi di lavoro fai il gigolò”
A quando pare l’ho reso muto, non fiata.
Estrae una scatolina dalla tasca, l’apre, è un dannato anello.
Si avvicina al mio orecchio sinistro, mi annusa, ha sempre adorato il mio profumo. Mi sussurra che ama solo me e mi chiede di sposarlo.
Tutto questo mi sembra un sogno, per la precisione mi sembra un incubo.
Non ci sono le basi per un matrimonio, ne ora, ne mai.
Lui mi sussurra ancora, non gli piace confidare i suoi sentimenti davanti agli altri, mi chiede di dagli una possibilità, mi chiede di seguirlo, mi vuole portare in un posto.
Come al solito l’ascolto, non riesco a digli di no.
Paghiamo il conto, usciamo, fa un freddo cane. Siamo in pieno inverno e per di più viviamo in montagna. Saliamo sulla sua macchima, io sono venuta a piedi.
In macchina nessuno parla, mi chiedo dove voglia portarmi, quella strada non la conosco, di sicuro non mi stà portando ne a casa sua, ne a casa mia.
Riconosco un vialetto, riconosco un albero, li ci siamo dati il primo bacio. Vedo in lontanza un rudere e mi torna in mente quel fatidico momento. Quella volta che vidi per la prima volta il suo pene, la prima volta che gli lo presi in bocca e la prima volta lo sentii dentro di me. Quei ricordi mi imbarazzano.
Sono passati almeno 6 anni da quando ci intrufolammo in quel abitato abbandonato.
Parcheggiamo li davanti, prende delle chiavi dal cruscotto. Scendiamo. Fa sempre più freddo.
Davanti all’ingresso ci sono dei fiori coraggiosi che lottano contro quel gelo, ne raccoglie un paio e me li dona. Mi dice che gli assomiglio. Belli e tenaci.
Sceglie una chiave, apre la porta, come fa ad averle.
Entriamo. Il villino all’interno è anche peggio di quello che mi ricordavo. E’ tutto sottosopra. Sul pavimento ci sono ancora il materasso e la coperta che usammo quel fatitico giorno.
Mi guarda, riprende l’anello dalla tasta, e me lo infila all’anulare e mi bacia, io sono più fredda dell’ambiente. Fa un lungo sospiro, mi dice che questo rudere l’ha comprato da quella ragazza con cui l’ho visto oggi. Era dei suoi nonni.
Ripenso a quella scena, ripenso alla mano di lei sopra il suo cazzo, gli bestemmio in faccia.
Me ne voglio andare.
Mi dice che se non la scopava, non gli avrebbe mai venduto la casa. La cosa è assurda, e gli lo dico.
Non mi da ragione. Prosegue con la sua storia, mi dice che quella, una volta messa a posto, sarebbe stata la nostra casa, e tutti gli interventi l’avrebbe pagati lui.
Nonostante sia arrabbiata, trovo la cosa romantica, e mi torna un sorriso.
Lui è un bravissimo ragazzo, perché deve rovinare tutto per quel suo dannato cazzo. Penso alla bocca di lei sopra alla sua cappella, e mi torna la rabbia.
Gli urlo ancora, lo devi ammettere, una buona volta.
Guarda fuori dalla finestra, non ha la forza di guardarmi in faccia. Da un pugno allo stipide. Si fa male. La sua mano sanguina.
“E’ vero, cazzo è vero, nella vita sono sicuro solo di due cose. La prima che ho sempre voglia di scoparmi tutte le donne che incontro. La seconda che sei l’unica che amo, sei l’unica che ogni volta che vedo, mi toglie il fiato. E so che tutto questo è assurdo”
“Ma le senti le cazzate che dici” – mi dirigo verso la porta – “Fa un freddo boia, riportami a casa”
Improvvisamente mi blocco, qualcosa mi trattiene con forza, è la sua mano. Vedo delle lacrime che gli scendono dagli occhi, forse è il freddo.
Mi indica il materazzo – “Ti ricordi quella volta” – Accennò di si, è scontato – “Ti ricordi anche che ero fidanzato con tua cugina, e nonostante tutto, ho deciso di stare con te”
“Questo conferma che sei un coglione”
Vedo dal suo viso e dai suoi occhi, che si sta arrabbiando. Mi spinge verso il muro.
“Però quella volta ti è piaciuto l’Andrea traditore”
Mi mordo la lingua, ha ragione.
Mi bacia e mi accarezza il seno – “Dio come amo il tuo odore”
Cerco di respingerlo, ma lui è più forte di me. Continua a baciarmi, sento la sua lingua sulle mie labbra.
Nella testa ho due immagini, io e lui che scopiamo li dentro, e lui che scopa con quella donna. Quelle immagino sono in contrasto, non lo sopporto, ma lo voglio baciare, apro le mie labbra. Se ne approfitta e affonda la lingua, la sento dentro di me.
Il suo pene si gonfia dentro i suoi pantaloni, e lo sento premere contro di me, lo so che mi vuole penetrare, ma non deve averla vinta, non mi può scopare, dopo averlo fatto con quella troia, sono sicura che ha ancora addosso il suo profumo.
Infila la sua mano sotto il mio maglione, accarezza il mio seno, ancora una volta non riesco a digli di no.
Le mani diventano due, le stringe intorno al mio seno, sento le mie mutande umidificarsi. E’ questo che mi fa impazzire di lui. Riesco a mischiare dolcezza e arroganza nello stesso momento.
Istintivamente metto una gamba intorno a lui, voglio sentire meglio quell’uccello duro.
Per la prima volta capisco che finiremmo a scopare, un'altra volta.
Infilo la mano dentro i suoi pantaloni e accarezzo la sua asta.
Si indurisce ulteriolmente sotto le mie dita.
Lui mi chiede un pompino, mi rifiuto, penso ancora a quella donna.
A chinarsi è lui, mi abbassa i leggins, mi scosta le mutandine e me la lecca. Sento la lingua scorrere sul mio apparato riproduttivo. Mi dice che lì il mio sapore è ancora più intenso.
Mi allarga le gambe. Abbassa le mutandine e mi penetra con la lingua. Sono mesi che non mi lecca, sa che si deve far perdonare. Le sue mani mi accarezzano le cosce.
La voglia di andarmene e la mia arrabbiatura sono passate.
Si rialza, continua ad accarezzarmela. Mi alza il maglione, sento i brividi del freddo. Mi viene la pelle d’oca. Non si ferma lì, mi toglie tutto, le mie tette sono scoperte, di sicuro mi prenderò un raffreddore.
Mi guarda e me le accarezza lentamente. Mi stuzzica i capezzoli.
Lo voglio, voglio il suo cazzo, gli sbottono i pantaloni che cadono sul pavimento, gli abbasso le mutande, vedo il suo cazzo eretto, è bello come la prima volta di tanti anni fa. Lo prendo in mano.
Lo sego. Cerco di farlo meglio della tipa, deve capire che io sono meglio di lei, anche se dentro di me credo, anzi spero, che lo sappia già.
Con un gesto rapido si libera della trappola infernale che corrisponde al vestiario inferiore. Io ho ancora i leggings sul ginocchio, metto a provo la loro elasticità.
Mi prende in braccio, come se fossi una sposa novella da accompagnare all’interno della casa, come una vecchia tradizione, mi posa sul materazzo. Si spoglia anche lui. Si sdraia sopra di me e ci copre con la coperta.
Esattamente come quella serata meravigliosa di anni fa. So che spesso i ricordi, si mischiano con i sogni. Lui mi penestra.
I suoi movimenti sono lenti e precisi, come se volesse rimarcare che io non sono la sua solita puttana.
Mi spinge le mani all’indietro, che appoggiano sul gelido pavimento. Mi lecca i capezzoli, conosce bene i miei punti deboli, ci gioca con la lingua, poi torna a baciarmi.
Ora i nostri petti sono in contatto, sento chiaramente battere il suo cuore con il mio, il nostro ritmo è sincronizzato, questo vorrà dire pur qualcosa.
Sarà il posto, saranno i ricordi che si insinuano nel mio cervello, mi sento immersa in un sogno. Penso a pure a quando saremmo sposati, arrivo pure a immaginare i nostri figli. L’immagine dell’altra donna inizia a dissolversi, non sono più arrabbiata, anzi la mano di lei sul suo cazzo mi eccita.
“Spingi più forte” – Sembra che non mi ascolti, continua con la sua dolce lentezza.
Gli afferro le chiappe e lo spingo a me. Riconoscerei il suo pene e il suo modo di scoparmi anche a occhi chiusi.
Le mie gambe si incrociano sulla sua schiena. Ora sento tutta la sua potenza. Continua a baciarmi e ad accarezzarmi il seno, mi conosco, ci siamo. Tremo, ma questa volta non è il freddo. Chiudendo gli occhi, posso vedere quella cappella scorrere dentro di me.
“Vienimi dentro” – Sa che prendo la pillola.
Come se obbedisse al mio comando, sento la sua crema spandersi dentro di me, ma i suoi movimenti non si fermano, neppure un istante, l’ha ancora duro, è una sua percuriarità, forse per quello che lo cercano in tante.
Risisti, mi manca poco, resisti dentro di me.
La sua cappella mi sfiora l’utero. I suoi colpi sono ancora più forti. Le mie sensazione si amplificano. Gli mordo la lingua, una mia piccola vendetta, e vengo anch’io.
Lui mi chiede se voglio tornare a casa e io gli dico, che quella è la nostra prima notte di nozze.
Esplode di gioia. Rimaniamo abbracciati, parliamo per un po’. Continua a scusarsi, purtroppo dentro di me so che continuerà a tradirmi e io devo fare una scelta. Ci addormentiamo.
Una calda luce penestra dala finesta, mi sveglia, lui è ancora sopra di me. Lo amo sempre di più, forse lo amo anche per i suoi vizi. Mi pongo una domanda, che pongo anche a voi cari lettori.
“Se ami una persona, riesci a perdonare i suoi vizi, anche perché sai, che nonostante tutto, lei tornerà da te e non ti lascerà mai”
E sapete una cosa, continua a negare.
Vedo il barista allungarmi un bicchiere di Sherry, il mio preferito. Gli dico che non ho ordinato nulla, ma lui mi indica la persona che si è materializzata accanto a me. Inutite che ve lo dica, è quel bastardo del mio fidanzato, dovrei cambiare locale, lui mi trova sempre.
Si avvicina, mi sussurra che mi ama.
Ingoio la sostanza alcolica in un secondo, e gli faccio notare, che chi ama non tradisce.
Lui si scusa per l’ennesima volta, per l’ennesima volta mi da ragione e, come ogni maschio idiota, mi dice che sono l’unica che ama davvero, e le altre le scopa solo per lavoro.
E’ la scusa più assurda che abbia mai sentito.
Gli dò una sberla, il barista ride. Gli urlo in faccià – “Quindi di lavoro fai il gigolò”
A quando pare l’ho reso muto, non fiata.
Estrae una scatolina dalla tasca, l’apre, è un dannato anello.
Si avvicina al mio orecchio sinistro, mi annusa, ha sempre adorato il mio profumo. Mi sussurra che ama solo me e mi chiede di sposarlo.
Tutto questo mi sembra un sogno, per la precisione mi sembra un incubo.
Non ci sono le basi per un matrimonio, ne ora, ne mai.
Lui mi sussurra ancora, non gli piace confidare i suoi sentimenti davanti agli altri, mi chiede di dagli una possibilità, mi chiede di seguirlo, mi vuole portare in un posto.
Come al solito l’ascolto, non riesco a digli di no.
Paghiamo il conto, usciamo, fa un freddo cane. Siamo in pieno inverno e per di più viviamo in montagna. Saliamo sulla sua macchima, io sono venuta a piedi.
In macchina nessuno parla, mi chiedo dove voglia portarmi, quella strada non la conosco, di sicuro non mi stà portando ne a casa sua, ne a casa mia.
Riconosco un vialetto, riconosco un albero, li ci siamo dati il primo bacio. Vedo in lontanza un rudere e mi torna in mente quel fatidico momento. Quella volta che vidi per la prima volta il suo pene, la prima volta che gli lo presi in bocca e la prima volta lo sentii dentro di me. Quei ricordi mi imbarazzano.
Sono passati almeno 6 anni da quando ci intrufolammo in quel abitato abbandonato.
Parcheggiamo li davanti, prende delle chiavi dal cruscotto. Scendiamo. Fa sempre più freddo.
Davanti all’ingresso ci sono dei fiori coraggiosi che lottano contro quel gelo, ne raccoglie un paio e me li dona. Mi dice che gli assomiglio. Belli e tenaci.
Sceglie una chiave, apre la porta, come fa ad averle.
Entriamo. Il villino all’interno è anche peggio di quello che mi ricordavo. E’ tutto sottosopra. Sul pavimento ci sono ancora il materasso e la coperta che usammo quel fatitico giorno.
Mi guarda, riprende l’anello dalla tasta, e me lo infila all’anulare e mi bacia, io sono più fredda dell’ambiente. Fa un lungo sospiro, mi dice che questo rudere l’ha comprato da quella ragazza con cui l’ho visto oggi. Era dei suoi nonni.
Ripenso a quella scena, ripenso alla mano di lei sopra il suo cazzo, gli bestemmio in faccia.
Me ne voglio andare.
Mi dice che se non la scopava, non gli avrebbe mai venduto la casa. La cosa è assurda, e gli lo dico.
Non mi da ragione. Prosegue con la sua storia, mi dice che quella, una volta messa a posto, sarebbe stata la nostra casa, e tutti gli interventi l’avrebbe pagati lui.
Nonostante sia arrabbiata, trovo la cosa romantica, e mi torna un sorriso.
Lui è un bravissimo ragazzo, perché deve rovinare tutto per quel suo dannato cazzo. Penso alla bocca di lei sopra alla sua cappella, e mi torna la rabbia.
Gli urlo ancora, lo devi ammettere, una buona volta.
Guarda fuori dalla finestra, non ha la forza di guardarmi in faccia. Da un pugno allo stipide. Si fa male. La sua mano sanguina.
“E’ vero, cazzo è vero, nella vita sono sicuro solo di due cose. La prima che ho sempre voglia di scoparmi tutte le donne che incontro. La seconda che sei l’unica che amo, sei l’unica che ogni volta che vedo, mi toglie il fiato. E so che tutto questo è assurdo”
“Ma le senti le cazzate che dici” – mi dirigo verso la porta – “Fa un freddo boia, riportami a casa”
Improvvisamente mi blocco, qualcosa mi trattiene con forza, è la sua mano. Vedo delle lacrime che gli scendono dagli occhi, forse è il freddo.
Mi indica il materazzo – “Ti ricordi quella volta” – Accennò di si, è scontato – “Ti ricordi anche che ero fidanzato con tua cugina, e nonostante tutto, ho deciso di stare con te”
“Questo conferma che sei un coglione”
Vedo dal suo viso e dai suoi occhi, che si sta arrabbiando. Mi spinge verso il muro.
“Però quella volta ti è piaciuto l’Andrea traditore”
Mi mordo la lingua, ha ragione.
Mi bacia e mi accarezza il seno – “Dio come amo il tuo odore”
Cerco di respingerlo, ma lui è più forte di me. Continua a baciarmi, sento la sua lingua sulle mie labbra.
Nella testa ho due immagini, io e lui che scopiamo li dentro, e lui che scopa con quella donna. Quelle immagino sono in contrasto, non lo sopporto, ma lo voglio baciare, apro le mie labbra. Se ne approfitta e affonda la lingua, la sento dentro di me.
Il suo pene si gonfia dentro i suoi pantaloni, e lo sento premere contro di me, lo so che mi vuole penetrare, ma non deve averla vinta, non mi può scopare, dopo averlo fatto con quella troia, sono sicura che ha ancora addosso il suo profumo.
Infila la sua mano sotto il mio maglione, accarezza il mio seno, ancora una volta non riesco a digli di no.
Le mani diventano due, le stringe intorno al mio seno, sento le mie mutande umidificarsi. E’ questo che mi fa impazzire di lui. Riesco a mischiare dolcezza e arroganza nello stesso momento.
Istintivamente metto una gamba intorno a lui, voglio sentire meglio quell’uccello duro.
Per la prima volta capisco che finiremmo a scopare, un'altra volta.
Infilo la mano dentro i suoi pantaloni e accarezzo la sua asta.
Si indurisce ulteriolmente sotto le mie dita.
Lui mi chiede un pompino, mi rifiuto, penso ancora a quella donna.
A chinarsi è lui, mi abbassa i leggins, mi scosta le mutandine e me la lecca. Sento la lingua scorrere sul mio apparato riproduttivo. Mi dice che lì il mio sapore è ancora più intenso.
Mi allarga le gambe. Abbassa le mutandine e mi penetra con la lingua. Sono mesi che non mi lecca, sa che si deve far perdonare. Le sue mani mi accarezzano le cosce.
La voglia di andarmene e la mia arrabbiatura sono passate.
Si rialza, continua ad accarezzarmela. Mi alza il maglione, sento i brividi del freddo. Mi viene la pelle d’oca. Non si ferma lì, mi toglie tutto, le mie tette sono scoperte, di sicuro mi prenderò un raffreddore.
Mi guarda e me le accarezza lentamente. Mi stuzzica i capezzoli.
Lo voglio, voglio il suo cazzo, gli sbottono i pantaloni che cadono sul pavimento, gli abbasso le mutande, vedo il suo cazzo eretto, è bello come la prima volta di tanti anni fa. Lo prendo in mano.
Lo sego. Cerco di farlo meglio della tipa, deve capire che io sono meglio di lei, anche se dentro di me credo, anzi spero, che lo sappia già.
Con un gesto rapido si libera della trappola infernale che corrisponde al vestiario inferiore. Io ho ancora i leggings sul ginocchio, metto a provo la loro elasticità.
Mi prende in braccio, come se fossi una sposa novella da accompagnare all’interno della casa, come una vecchia tradizione, mi posa sul materazzo. Si spoglia anche lui. Si sdraia sopra di me e ci copre con la coperta.
Esattamente come quella serata meravigliosa di anni fa. So che spesso i ricordi, si mischiano con i sogni. Lui mi penestra.
I suoi movimenti sono lenti e precisi, come se volesse rimarcare che io non sono la sua solita puttana.
Mi spinge le mani all’indietro, che appoggiano sul gelido pavimento. Mi lecca i capezzoli, conosce bene i miei punti deboli, ci gioca con la lingua, poi torna a baciarmi.
Ora i nostri petti sono in contatto, sento chiaramente battere il suo cuore con il mio, il nostro ritmo è sincronizzato, questo vorrà dire pur qualcosa.
Sarà il posto, saranno i ricordi che si insinuano nel mio cervello, mi sento immersa in un sogno. Penso a pure a quando saremmo sposati, arrivo pure a immaginare i nostri figli. L’immagine dell’altra donna inizia a dissolversi, non sono più arrabbiata, anzi la mano di lei sul suo cazzo mi eccita.
“Spingi più forte” – Sembra che non mi ascolti, continua con la sua dolce lentezza.
Gli afferro le chiappe e lo spingo a me. Riconoscerei il suo pene e il suo modo di scoparmi anche a occhi chiusi.
Le mie gambe si incrociano sulla sua schiena. Ora sento tutta la sua potenza. Continua a baciarmi e ad accarezzarmi il seno, mi conosco, ci siamo. Tremo, ma questa volta non è il freddo. Chiudendo gli occhi, posso vedere quella cappella scorrere dentro di me.
“Vienimi dentro” – Sa che prendo la pillola.
Come se obbedisse al mio comando, sento la sua crema spandersi dentro di me, ma i suoi movimenti non si fermano, neppure un istante, l’ha ancora duro, è una sua percuriarità, forse per quello che lo cercano in tante.
Risisti, mi manca poco, resisti dentro di me.
La sua cappella mi sfiora l’utero. I suoi colpi sono ancora più forti. Le mie sensazione si amplificano. Gli mordo la lingua, una mia piccola vendetta, e vengo anch’io.
Lui mi chiede se voglio tornare a casa e io gli dico, che quella è la nostra prima notte di nozze.
Esplode di gioia. Rimaniamo abbracciati, parliamo per un po’. Continua a scusarsi, purtroppo dentro di me so che continuerà a tradirmi e io devo fare una scelta. Ci addormentiamo.
Una calda luce penestra dala finesta, mi sveglia, lui è ancora sopra di me. Lo amo sempre di più, forse lo amo anche per i suoi vizi. Mi pongo una domanda, che pongo anche a voi cari lettori.
“Se ami una persona, riesci a perdonare i suoi vizi, anche perché sai, che nonostante tutto, lei tornerà da te e non ti lascerà mai”
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