Fidanzate - Lacrime e sexting

di
genere
etero

Forse non posso permettermelo, ma un giorno in stato di shock me lo concederete, no? Non sono mica un cyborg. E, come dice quello, non ho mica un cassonetto al posto del cuore. Tanto per cominciare, per colpa del fatto in sé: presa per una mignotta, scopata come una mignotta, persino pagata come una mignotta. Certo, non una mignotta come Roberta. Ma quella la baby prostituta la fa di mestiere, io ci sono cascata dentro quasi inconsapevolmente.

Ma soprattutto, la fine con Davide. Non se lo meritava, non se lo meritava proprio. Cosa mi aveva fatto per meritarselo, povero ragazzo? Nulla, anzi. Sì, d’accordo, Vittorio e Gabri sono stati due stronzi. Ed è anche dire poco. Sono stati la stronzaggine assoluta, la cattiveria. Ma la ragazza di Davide ero io, sono stata io a farmi scopare da loro. E in quel modo. La colpa è anche mia, è soprattutto mia.

Lo sapevo benissimo che la storia con lui non aveva né capo né coda, che non avrebbe portato da nessuna parte. Lo sapevo che prima o poi gli avrei fatto del male, anche se non immaginavo né come né quanto. Eppure sono andata avanti, per puro egoismo, vanità, avidità. Volevo essere Giulia, la fidanzatina, e volevo essere Annalisa. La… beh, definitemi voi come meglio credete. Volevo tutto. Volevo tutto e non mi è rimasto niente.

Anzi no, qualcosa mi è rimasto. I quattrocento euro cash nella borsa. E quei video mandati su WhatsApp. Ecco, quelli sono un problema. Un problema in più, da risolvere ora. Sempre che sia ancora possibile. Per prima cosa penso di contattare Vittorio, ma è una idea che scarto subito. Sarebbe inutile, è troppo stronzo. E poi magari mi ricatterebbe.

Sarà che quando sono in difficoltà do il meglio di me, che vi posso dire, ma questo mix di delusione, sensi di colpa, rabbia e vergogna che mi avvolge mi spinge a fare la cosa più intelligente da un mese a questa parte. Il primo atto è quello di fare una rapida ricerca su Google e convocare, al volo, Trilli e raccontarle tutto. Chiederete perché proprio lei e non, che so, Serena o Stefania. Una ragione c’è, Trilli fa Giurisprudenza. Proprio nel senso della facoltà, intendo. Non che quando dice una cosa è così e amen. Ho un’idea e gliela espongo, lei è un po’ incerta perché ancora non ha studiato bene quelle robe lì ma mi dice che fa un paio di telefonate. Insomma, si attiva davanti a me. Ai tavolini di un bar dell’università. Non rompe il cazzo, non fa scenate, niente di tutto ciò. Fa quello che deve fare un’amica che ha compreso la situazione. Lei parla, io prendo appunti. Efficienza allo stato puro. Solo quando ha finito mi fa la scenata, che ascolto ad occhi bassi dandole ragione. Però quando ci salutiamo mi dice “certo che tu sei proprio pazza, ma… wow! quasi ti invidio, esperienza saffica a parte…”. “Ma allora ti perdi il meglio…” le sorrido. Ho le lacrime agli occhi, perché quello era il modo tutto suo di perdonarmi.

Prendo il tram e poi mi faccio anche un bel pezzo a piedi, arrivo sotto casa di Roberta, ma non è da lei che salgo. Mi fermo molto prima, dopo appena un piano. Suono al campanello dello studio di Paolo, il commercialista. Mi apre la segretaria e mi dice che il dottore ancora non è arrivato. Rispondo che lo immagino, visto che non sono nemmeno le tre e mezza, ma che posso attendere. Mi domanda se ho un appuntamento, le dico di no. Tanto lei lo sa benissimo che non ce l’ho. Le dico però che le sarei grata se mi facesse parlare anche solo cinque minuti con il dottore appena arriva, ma che sono anche disposta ad aspettare fino a tardi. Faccio la parte dell’ingenua assoluta e le dico che io e alcuni miei compagni di corso a matematica stiamo mettendo su una start up e abbiamo bisogno di alcuni consigli preliminari. Le dico anche che mi manda il dottor Manzarani, che non esiste. Cioè, sì, esiste perché è uno del palazzo mio, ma che ovviamente non c’entra un cazzo con tutto questo. Lei fa una faccia come a dire “mai sentito, boh…” però mi fa accomodare. E non solo, quando arriva Paolo mi fa entrare subito da lui. Fortuna. Ma anche anni di esperienza: sapeste le volte che mi sono infilata in questo modo dal dentista, da piccola, quando dovevo farmi controllare l’apparecchio dei denti.

Credo di avere il battito a mille ma, come spesso mi accade in situazioni come questa, si impossessa di me una calma gelida che definire zen è poco. Dentro di me c’è l’inferno, fuori è gennaio al Polo Nord. Quando mi vede, Paolo ha un moto di disappunto. Mi fa segno di chiudere la porta e di avvicinarmi, poi mi dice “no, non funziona così”. Gli rispondo che non deve preoccuparsi di nulla, se non di quello che sto per dirgli. Non posso assicurare che sul suo volto si dipingano sorpresa e terrore, ma un po’ di maggiore attenzione ce la mette, questo sì.

– Allora, le cose stanno così – esordisco – c’è questo video del cazzo che non so bene se stia sul telefono di Vittorio o su quello di Gabri. Cioè, no, a sto punto sta su quello di tutti e due. E spero solo loro due. Mi sono informata, ho anche preso appunti, e volevo dirti questo: a causa di una cosa che si chiama pena edittale, e che non so che cazzo sia, la prescrizione minima per il reato di sfruttamento della prostituzione è di sei anni, idem per lo spaccio di stupefacenti. Poi però, essendoci di mezzo degli stupefacenti, è anche possibile che ti si possa addebitare il concorso in violenza sessuale, senza tenere conto che quando ti sei fatto Roberta, sì insomma, lei era minorenne. Tutte cose che non sono ancora il prescrizione.

– E quindi? Mi stai minacciando? Cosa dovrei fare? – domanda con sufficienza.

– Nulla, decidi tu. Io ti dico solo che se nei prossimi sei-nove anni vedo circolare quel video da qualche parte vado dai carabinieri. Magari non finirai in galera, ma ti prendi una sputtanata peggiore della mia, questo è sicuro. Non lo so se ti sto minacciando ma mi sa di sì…

– Ma come posso impedirlo, scusa, non essere ridicola. Dimmi la verità, vuoi dei soldi.

– No, non voglio un cazzo, grazie. Anzi sì, voglio che tu faccia qualcosa. Vedi tu cosa.

Non lo so, mi pare di avere fatto un buco nell’acqua. Non mi pare eccessivamente impressionato. Si limita a guardare fuori dalla finestra con un’aria vagamente perplessa. Mi chiede se ci siano altri che conoscono questa storia e io gli rispondo “ovviamente sì, almeno un paio di persone”. Domanda “chi?” e replico con un risolino nervoso, ma ammetto che un brivido lo avverto.

– Provo a fare qualcosa, sperando che non sia troppo tardi – dice senza smettere di guardare fuori dalla finestra.

– Sarà meglio – ribatto con durezza. In realtà sento che sto per scoppiare a piangere. La fase zen è finita.

– In ogni caso – dice – qualsiasi cosa succeda non fare cazzate. Avvertimi prima di fare qualsiasi cosa.

– Questo lo vedremo. Sappi solo che sopra la testa hai una spada di Damocle più grossa della mia…

– Quel testa di cazzo di Vittorio… gliel’ho detto un sacco di volte di non riprendere le mie ragazze… – dice con lo sguardo e anche il tono di voce assente, tornando a guardare la finestra.

– Primo – gli rispondo allontanandomi – non sono una delle tue ragazze. Secondo, se imbottisci due teste di cazzo di bamba questo è il minimo che può succedere.

Spalanco la porta e me ne vado. Può sembrare un’uscita di scena teatrale ma non lo è. Tanto per cominciare, non riesco quasi più a parlare. E anche volendo, non saprei cosa dire. Saluto la segretaria, corro giù per le scale e mi fermo nell’androne. Mi siedo su uno scalino e finalmente scoppio a piangere.

In ogni caso, mi dico, missione compiuta. Non posso dire di essere al sicuro. Ma qualcosa dovevo fare e l’ho fatta. Puntando il più in alto possibile. Non mi resta che incrociare le dita e cercare di lasciarmi tutto alle spalle. Non è facile. I giorni vanno via uno dopo l’altro e mi sforzo di fare le solite cose. Cioè, per la verità due cose, quelle in cui mi rifugio quando il mood è un po’ così: lo studio e l’attività fisica. Palestra, soprattutto, visto che è arrivata una serie di giornate piovose per cui di andare a correre non se ne parla proprio.

Il senso di colpa nei confronti di Davide continua ad opprimermi. In un racconto tutto scorre via in una manciata di righe, ma chi ci è passato lo sa. Sa cosa significa, giorno dopo giorno, fare i conti con il rimorso che ti assale quando meno te lo aspetti. Aspettare che passi. Ho eletto la doccia della palestra mia personale panic-room. L’ultima in fondo, quella all’angolo. Se non è libera, aspetto. Mi ci infilo, lascio che l’acqua mi scorra addosso per un tempo infinito. E piango, mi sfogo. Non riesco nemmeno a prendere in considerazione l’idea di chiamarlo e chiedergli almeno scusa. Non servirebbe, e forse sono anche troppo orgogliosa per farlo. Orgogliosa e stronza, che bella combinazione.

Mi vedo anche poco con le amiche. Stefania, vabbè, è sempre tenuta prigioniera dal suo fidanzato-polipo, ma se a lei sta bene così contenti tutti. Trilli, tra lo sconcerto generale, non ha ancora mollato il suo “manichino di Decathlon” (definizione di Lapo) conosciuto a Capodanno. Serena, beh Serena ha fatto breccia proprio con Lapo. Nel senso che appena Bambi se ne è tornata in Danimarca ne ha preso il posto nel suo letto. Non che dormano insieme ma, a quanto mi racconta, combinano molto insieme. Sono contenta per lei. Un po’ mi manca, in questo momento, ma nemmeno tanto. Ho voglia di stare per i cazzi miei. Naturalmente, tutte sanno tutto ma le poche volte che ci vediamo non ne parliamo.

A rendere le cose più difficili, la situazione in casa. Che si è fatta davvero pesante. Martina è davvero entrata a pieno regime nello studio legale in cui faceva pratica e questo, anziché spedirla al settimo cielo, l’ha resa nervosa, intrattabile. Sembra che avverta la pressione, la responsabilità, forse la fatica.

Intrattabile, dicevo, ma mica solo con me, con tutti. E mio padre e mia madre non fanno altro che sopportare. E giustificarla. Tra l’altro, la sera esce pochissimo, mentre prima era sempre via con il fidanzato. Per cui tocca a me uscire per togliermela un po’ dalle palle. Studio, ceno presto, poi vado in palestra ad ammazzarmi e a piangere.

Una sera abbiamo sfiorato lo scontro nucleare davanti a papà. Ero nervosa anche io, eh? Avevo completamente sbroccato, non so cosa mi abbia impedito di dirle “ma perché non esci con Massimo e non ti fai dare una bella ripassata così ti plachi?”. Avrei voluto dirle “guarda che mettersi in modalità scopami-e-calmami ogni tanto fa bene, eh? funziona!”. Non l’ho fatto solo perché c’era papà. Ho virato su un più moderato, ma mica tanto, “era meglio quando facevi le fotocopie”. Cosa che la fa incazzare moltissimo. Se n’è andata in camera sua sbattendo la porta e io sono uscita di casa con il borsone. Sbattendo la porta anche io. Povero papà e povera mamma, devono essere giorni duri anche per loro.

Quanto al resto, mi sono data anche una bella calmata. Sto parlando del sesso, ovviamente. Nulla di nulla, a parte un paio di fugaci e disastrose masturbazioni notturne (a un certo punto finivo sempre per pensare a Davide), necessarie più per scacciare il nervosismo che la voglia.

O meglio, nulla fino ad una inaspettata sessione di sexting con Fabrizio, un mio amico. Ve ne ho parlato, ogni tanto scopiamo. Anzi, scopavamo, perché ormai sono mesi che è all’estero per lavoro, in Arabia Saudita. Fa l’ingegnere. Cioè, è ingegnere, ma lì mi dice che fa praticamente il ragazzo di bottega. Mi manca e ho voglia di vederlo. Non tanto per finirci a letto. Cioè, forse sì, non saprei in questo momento. Più che altro mi andrebbe di parlarci. Non gli ho mai raccontato le cose nei particolari, ma è come se sapesse tutto di me. Diciamo che sa come prendermi e non mi fa sentire a disagio, mai. Mi fa sentire sicura, protetta. Non credo che gli parlerei di come è andata con Davide. Penso piuttosto che gli chiederei di farmi ridere, anche se probabilmente mi proporrebbe di lasciarmi fare il solletico nuda sul tappeto del suo salone.

Si fa vivo una sera, mezzanotte e mezza. Mi sono messa da poco a letto. Sono andata in palestra molto dopo cena e ne sono uscita tardissimo, mi hanno praticamente cacciata. Il trainer mi ha fatto “ahò, se vuoi spengo tutto e lascio acceso solo quello”, riferendosi al tapis roulant sul quale stavo facendo gli ultimi minuti di corsetta defatigante. La doccia me la sono fatta a casa. Quando arriva il ding sul telefono sono piacevolmente sbracata sul mio letto alle prese con dolorini vari.

Vedo il suo nome sul display e mi domando se, vista l’ora, voglia fare quattro chiacchiere e basta oppure ripetere la chattata dell’altra volta, poco prima della fine dell’anno, quando abbiamo fatto sesso virtuale. Lui mi aveva mandato un video dopo che io, eseguendo una sua richiesta, mi ero masturbata infilandomi anche un ditino nel sedere. Gli avevo detto che ci avrei voluto il suo cazzo, al posto del mio dito. Cosa abbastanza insolita, visto che, tutte le volte che me l’ha chiesto, non gliel’ho dato mai. Ma proprio mai mai. Il suo cazzo, tra l’altro, lo considero la perfezione, almeno per me. Non saprei dire il motivo, la conformazione probabilmente, ma è proprio perfetto. Ora che ci penso, dovrei misurarglielo. Non che me ne freghi nulla, ma quando facevo quella gara con Serena ne ho misurati tanti di gente mai conosciuta, mi sembra ingiusto non misurare il suo. Nel video, me lo ricordo benissimo, si vedeva per l’appunto quel bellissimo cazzo prodursi in una schizzata allucinante, davanti alla quale avevo avuto il mio terzo orgasmo della serata.

Per questo, quando apro il messaggio, sono un po’ perplessa. Quella chattata è stata molto piacevole, ma non so se mi sento nella giusta disposizione d’animo per ripeterla. Nel mio orizzonte non è contemplato il sesso, sotto nessuna forma, e sono anche un po’ stanca.

Lui, naturalmente, è invece lontano anni luce dalla mia titubanza.

– Avrei una più che considerevole voglia di scoparti – è il suo esordio.

– Ahahahah ma buonasera! – rispondo.

– Come stai? Ho voglia di vederti, oltre che di sbatterti come una troia.

– Bene tu?

– Bene, ma ho voglia di sbatterti come una troia lo stesso 🙂

Penso per prima cosa che deve essere considerevolmente arrapato, e sorrido. Come seconda cosa penso invece che non sarà questo messaggio, mandato con un vocale che mi costringe a mettermi le cuffiette, a far crollare le mie resistenze. Un istante dopo, invece, mi dico che questa conversazione in cui lui parla e io scrivo per non farmi sentire dai miei, e in cui entrambi potremmo cercare di dare e ricevere il più semplice e profondo dei piaceri, mi pare di colpo la cosa migliore da fare in questo preciso momento. La mia voglia improvvisa ha un nome, e non si chiama sesso. Si chiama format disk.

– Ahahahah – gli ribatto.

– Tu no? – insiste.

– Chissà. Io avrei voglia di essere leccata – gli scrivo cercando di calarmi un po’ nella parte.

– Conoscendoti è strano. Perché?

– Perché strano?

– Perché sei più la tipa ti-faccio-una-pompa-e-poi-mi-scopi.

– Grazie!

– Ahahaha! Non è vero?

– Stasera invece mi va così.

– Come mai?

– Forse perché non mi va di cambiare posizione.

– Come stai?

– A letto e a gambe larghe.

– Perché larghe?

– Sto più comoda, stravaccata ahahahah.

Mi faccio un selfie, nel quale comunque si vede solo la mia faccia mentre tutto il resto è coperto dal piumone.

– E’ sempre una bella posizione cmq.

– Quanto hai voglia di scoparmi!? – gli scrivo per incoraggiarlo. Non penso che lui ne abbia bisogno, ma io sì.

– Lo sai. Vezzosa 🙂

– Dimmelo stronzo!

– Ho molta voglia di sfondarti la fica e il culo zoccoletta!

– Come mai mi bagno così tanto a sentire queste parole? – domando mentendo un po’. Bagnata ancora no, ma qualcosa mi sta succedendo davvero, lo avverto.

– Perché l’idea ti fa impazzire 🙂

– E’ vero! Quando torni?

– Tra un mese esatto.

– Un mese è tanto, probabilmente placherai la tua fame in altri modi…

– Io ho fame di un sacco di cose di te.

– Tipo!? La me vezzosa vuole sentirselo dire 🙂

– Il tuo sguardo pieno di desiderio, innanzitutto. ti sembrerà strano, ma è così.

– Mi sembra strano che non hai commentato lo sguardo della foto brutto stronzo 🙂

– mmm… interlocutorio.

– Cosa speravi di vedere, porco?

– Ahahahahah te l’ho detto. E poi ho voglia di vederti nuda, ma nuda in modo innocente, naturale, così come sei. Con quello sguardo che ti veste. Questa è la prima cosa.

– E le altre quali sono? Cosa vuoi oltre al mio nudo innocente?

– Voglio il tuo cervello. E tutto il resto, che è fatto di queste cose: la tua bocca, nella mia bocca e sul mio corpo, sul mio cazzo. La tua voce, il tuo modo di urlare il piacere. La tua fica morbida e fradicia, calda. Le tue tette che come ho detto una volta sono micidiali. I tuoi capezzoli duri, sui quali mi accanirò. Il tuo clitoride indurito. Il tuo culo perfetto da baciare, mordere, schiaffeggiare, sverginare. Il tuo corpo che smania impalato sopra il mio. Il tuo vuoto riempito dal mio cazzo… Può bastare o vado avanti?

Basta e avanza, a questo punto, per indurmi a fare un altro selfie. Stavolta dall’alto in basso e nel quale la faccia non si vede. Si vede però la giacca del pigiama tirata su che lascia libere le tette. Si vede la mia pelle nuda fino al ventre e le cosce spalancate. E, dove l’immagine si fa un po’ più scura, la mia mano che ci scompare in mezzo spingendo in basso i pantaloni del pigiama. Il suo desiderio così esplicito e sincero mi ha resa liquida.

– So di buono stasera, se interessa…

Per un po’ non succede nulla, non ci sono reazioni. Anche se, in cuor mio, una mezza idea ce l’ho ed è anche giusta. E’ la sua realizzazione che mi coglie alla sprovvista e che mi fa andare fuori di cervello per qualche secondo.

Perché sì, anche stavolta si è ripreso mentre si fa una sega in diretta pensando alla sottoscritta, e d’accordo. Ma il video se l’è fatto in slo mo, sto maiale. E quando tutto quello sperma esplode a velocità rallentata sento il mio corpo urlare dal desiderio. Non la mia voce, il mio corpo.

– Certo che l’astinenza ti fa fare cose molto interessanti ahahahahah – gli dico cercando di mantenere un minimo il punto. Non con lui, con me stessa. Quasi non voglio ammettere di essermi accesa dopo tutti questi giorni.

– Tu di certo l’astinenza non sai cosa sia, troietta – replica.

– Wow! Ridimmelo!

– Cosa?

– Troietta! Dimmi che sono la tua troietta.

Dove vorrei specificare che, una volta tanto, la parola-chiave non è “troietta”, ma “tua”. Ho un bisogno quasi disperato di aggrapparmi a lui. E se lui invece pensa che si tratti invece della mia passione per gli insulti, pazienza.

– Sei la mia troietta. E anche di un sacco di altri ahahahah.

– Guarda che non è vero!

– Guarda che non sono geloso!

– L’ho fatto solo una volta, con un ragazzo che diceva che mi amava! – mento. E forse per l’ultima volta chiedo idealmente perdono a Davide.

– Ahahahah e poi? Ti ha sedotta e abbandonata?

– No! Sono io che ho mollato lui.

– E perché?

– Non era proprio cosa. Figurati che pensava che mi chiamassi Giulia.

– Non ho capito.

– Lascia stare, troppo lungo da spiegare.

Troppo lungo, Fabrizio. Lascia stare davvero. Parlami ancora, eccitami ancora. Fammi dimenticare la stronza che sono almeno per un po’.

– Devo andare a farmi una doccia e asciugare tutto sto casino.

– No, fermo! – gli scrivo.

– ?

– Mi piace saperti così, tutto bagnato del tuo sperma – mi butto – Dio che voglia di essere lì a ripulire tutto! Ripulire e asciugare tutto con la lingua!

– Solo ripulire e asciugare??

– No, anche prenderti in bocca il cazzo e farlo ritornare di pietra.

– Essere scopata no?

– Sì, a questo punto anche essere scopata.

– Come te lo immagini?

– Come vuoi tu.

– Dai, un po’ di fantasia.

– No, davvero. Tu arrivi, io ti dico no stasera non ho voglia, tu te ne freghi e mi strappi il pigiama di dosso e mi fotti per ore, mi fai e mi fai fare quello che vuoi.

– E cosa ti farei fare?

– Mi fai obbedire ai tuoi ordini.

– Tipo?

– Non so, a questo devi pensarci tu.

– Promettimi una cosa.

– Tutto!

– Quando torno vieni da me e dormi da me.

– Siiiiiiiiiì!!!! Ma anche tu promettimi una cosa!

– Cosa?

– Che mi scopi tutta la notte. E anche il mattino dopo. Voglio camminare a gambe larghe per giorni ahahahahah.

– Dovrò pensare a qualcosa di speciale, allora…

– Siiiì anche io penserò a qualcosa di speciale. Ma non ti disconnettere ora!

– Perché?

– Perché ho un cosa speciale anche ora.

– Ah ok, aspetto.

Mi alzo e chiudo a chiave la porta, mi tolgo la giacca del pigiama restando totalmente nuda, accendo una luce e vado davanti allo specchio. Prima inizio a riprendermi con il telefono e poi a sgrillettarmi. Prendo un pennarello dalla scrivania e lo bagno un po’ di me, poi me lo infilo nel sedere. Come se la cosa non fosse sufficientemente chiara sussurro: “Mi sono infilata un pennarello nel culo. Il tuo cazzo nella fica e il tuo dito nel culo, ecco cosa voglio”. Perché sì, voglio esattamente quella cosa lì, quella cosa già fatta. Voglio immaginarmi abbandonata sopra di lui e sfinita dagli orgasmi, riempita in quel modo mentre gli strillo “spaccami tutta!”, mentre gli piagnucolo “scopami, sfondami, non smettere”. Perché ne voglio ancora e ancora e ancora e non mi basta mai. Vengo davanti allo specchio, sussurrando “sfondami”, faticando a starmi zitta e a non mettermi a tremare come una foglia. Il video nemmeno lo rivedo. Indugio un po’ prima di mandarglielo ma poi decido di sì. Di Fabrizio mi posso fidare, mi fido. Lui non mi tradirà mai.

Non so quanto tempo passa, ma stavolta non mi immagino cosa stia facendo, lo so perfettamente. La conferma arriva con un vocale dalla voce rotta e affannata.

– Dimmi come vuoi essere scopata, troia…

– Come vuoi tu, come vuoi tu – rispondo con un vocale sussurrato anche io, per non perdere tempo – fottimi, ribaltami, mettimi a pecora, usami come vuoi tu… sono il tuo buco, svuotati dentro di me…

Mi arriva un altro vocale con il respiro pesante e poi un rantolo. Niente video, stavolta. Ma quel rantolo è mio, tutto mio. E penso proprio che lo conserverò. Mi infilo due dita nella fica, ma solo per constatare quello che già mi sento addosso. Sono zuppa, gonfia, aperta, calda.

– Ho tanta voglia di ripulire anche quello, sai? E poi addormentarmi vicino a te, magari con il tuo cazzo in bocca…

– Come fai a sapere che ho questa stessa voglia?

– Ahahahahah telepatia?

Stiamo rapidamente scivolando verso la tranquillità, ma mi sento benissimo in questo momento. E tutto ritorna verso una dimensione meno allucinata ed eccessiva.

– Dovrò davvero immaginare qualcosa di speciale, al mio ritorno – mi scrive.

– Guarda che a me vanno benissimo anche le cose normali ahahahaha.

– Ovvero? Con te non si sa mai cos’è normale ahahahahah.

– Ovvero io ti succhio il cazzo, tu mi scopi, io urlo e i vicini protestano ahahahah. E poi tu mi dici che vuoi farmi il culo e io ti dico di no… ahahahah.

– Ahahahahah stronza.

– Ahahahah dovresti violentarmi!

– Scema 🙂

“Scema, scema” sorrido tra me e me dopo che ci siamo dati la buonanotte. Sorrido perché non insiste mai quanto dovrebbe, e invece a me piacerebbe che ci mettesse un po’ più di arroganza. Non che non ce ne metta, eh? Appena un po’ di più, voglio dire. Del resto è stato così sin dalla prima sera, quando mi ha invitata a casa sua mentre eravamo a quella festa e avevamo appena limonato. Sì è fermato davanti al mio “non sono una ragazza così”. Come hai fatto, quella volta, a non capire che sono molto peggio?

Mi rivesto con la consapevolezza che tra un po’, magari domani mattina, questa parentesi si chiuderà e la tristezza tornerà a farmi visita. Come tutte queste ultime mattine. Vado in bagno, devo lavarmi almeno le mani. Sono impiastricciate in modo assurdo. Quasi quanto il suo ventre e il suo lenzuolo. Bevo un bicchiere d’acqua in cucina e torno a letto. Ma c’è un rumore, al tempo stesso fioco e acuto, a intervalli, che in casa non c’è mai. Si sente davvero a malapena, ma a me sembra assordante. Ci metto un po’ a capire che viene dalla camera di Martina e che è il rumore dei suoi singhiozzi.

Dietro quella porta c’è mia sorella che sta piangendo.


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scritto il
2019-12-30
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