Amsterdam - Il ristorante

di
genere
etero

Quando vedo che Debbie rallenta e accosta la bicicletta al lato della strada sto quasi per implorarla di fermarsi e andare a piedi. Smettere di pedalare è una liberazione. Il tragitto non è stato lungo, ma l’ovetto nella vagina mi ha ammazzata. Sono agitata e in calore come una ragazzina alle prime esperienze. Mi sento come quando le dita dei miei compagni di classe mi passavano sotto la gonna o come quando i fidanzatini del ginnasio mi mettevano in mano i loro affari. Per non parlare di questo cazzo di tubino troppo, troppo corto e stretto per andarci in bicicletta. Cazzo, Debbie, me lo potevi dire, no? Nei momenti un po’ più impegnativi mi sono anche lasciata andare e chissenefrega se qualcuno ha visto in mezzo alle gambe. Perché è chiaro che qualcuno ha visto, ma certo non potevo sempre pedalare con le ginocchia chiuse. Ok, porto delle culotte verde fluo dello stesso colore degli inserti del vestitino che indosso. Contenti? Non me ne fregherebbe un cazzo se non avessi bagnato pure queste. Sarà il terzo paio di mutande che inzacchero oggi.

Ci cambiamo le scarpe, mettendo i sacchetti con le infradito nei cestini delle bici. Non penso di essere mai stata così in alto in vita mia. Non sono le scarpe, che mi stanno da Dio e che si vede che sono di una qualità superiore a quella cui sono abituata. Sono i dieci centimetri di tacco che mi mettono in difficoltà, mai portati così, non ci so stare. Istintivamente assecondo la camminata ancheggiando, ma accentuando in questo modo il mio naturale sculettamento. Mi sembra di essere oscena, una troia di strada vestita in un miniabito elegante e sexy. Con un ovetto nella fica. Mi sento un contrasto vivente. E poi questa sensazione di guardare il mondo dall’alto che mi danno questi tacchi…

Debbie si avvicina e si accorge che viaggio abbastanza sullo sconvolto. Sorride, mi cinge il fianco con un braccio, chiede “come va?” e mi dà un bacio sui capelli. E’ soprattutto il modo in cui mi stringe, la pressione delle sue dita sui miei fianchi, che mi fa stare subito meglio. Mi fa sentire l’affetto e la complicità.

– Il ristorante è questo.

– Un thai? – chiedo scettica.

– Fidati.

Entriamo, non c’è molta gente. Una ragazza sorridente ci accompagna al tavolo. Davanti a noi c’è una famigliola: padre, madre e una ragazzina che avrà dodici-tredici anni, non saprei. La madre ci dà le spalle, il padre è un omone grande e grosso – non particolarmente degno di nota ma nemmeno brutto – che ci squadra mentre ci mettiamo a sedere. Debbie si sistema sulla sedia e mi guarda, si mordicchia il labbro. Sembra finalmente divertita ed eccitata e nei suoi occhi leggo la stessa voglia che lei deve leggere nei miei, voglia di una serata speciale.

Mi dice “dimmi cosa hai combinato in Croazia con la tua amica, l’avrai fatta impazzire…”. Rispondo “guarda che è quella con cui ho fatto a gara a chi raggiungeva prima un metro di cazzi messi in fila…” quando avverto alle mie spalle una presenza. E’ un cameriere, un ragazzetto orientale con una espressione un po’ sbigottita. Difficile dire se ce l’abbia perché mi ha sentita o se sia proprio così di natura. Interrogo Debbie con lo sguardo dopo che ci ha porto i menu e si è allontanato. Lei stavolta si morde il labbro per non ridere e scuote la testa per dirmi che non lo sa.

– Comunque lei è stata anche più troia di me… – le dico sottovoce riprendendo il discorso.

Debbie chiede perché e io le racconto della storia dello yacht con i due inglesi e del suo desiderio, andato buca solo perché non riuscì a svegliare Phil, di farsi scopare da tutti e due. “Soprattutto i primi giorni era strana, isterica, in realtà soffriva molto”, le dico. E le racconto anche della sua storia tormentata con Lapo.

– Tu non l’hai mai avuto quel desiderio? – domanda – intendo quello che ha avuto lei in quella barca.

– Sì, una volta sì – rispondo – te l’ho raccontata quella volta che sono stata con quella mia amica che fa le gang bang, no? E un altro paio di volte poteva anche succedere. Però… però poi ho pensato che non fa per me…

– Io invece ci penso spesso – dice quasi sovrappensiero, come se in quel momento vedesse la scena davanti ai suoi occhi, e cercando qualcosa nella borsa – ci penso in modo esagerato, come dentro un’orgia… Come fai tu a non pensarci?

– Non lo so, Debbie, a parte il fatto che sono in un momento un po’ strano e proprio non… cioè, perché dovrei pensarci? E poi… cosa significa che la immagini in modo esagerato?

Glielo chiedo e immediatamente dopo sento come un pizzico, una piccola scossa nella fica, un piccolo senso di calore che si diffonde. E capisco cosa ha preso Debbie dalla borsa, capisco che ha fatto partire l’ovetto. Le faccio “Debbie… qui?” e lei mi risponde con un sorriso, tornando a mordersi le labbra.

– Sei ancora più bella così, lo sai? – mi dice – … esagero perché l’ho immaginata da subito come una cosa esagerata. Sai, ora ti racconto una cosa... un mio amico, si chiama Jan… non c’è nulla tra di noi se non che una sera gli ho fatto un pompino, ma non lo vedo spesso… insomma lui una mattina mi manda un messaggio dove c’è scritto “vorrei svegliarti mettendoti il cazzo nel culo”… Gli ho risposto che era scemo, ma… dopo, beh sì ho iniziato a pensarci, e a pensarci parecchio. Pensavo a lui che se ne andava lasciandomi sul letto, spaccata, e mi diceva “oggi ti farò essere tanto troia”.

- Beh, ci ho fatto ogni tanto dei pensieri anche io, soprattutto la mattina. Però non vuol dire che...

- No no, aspetta. Mica è finita qui... Subito dopo ho cominciato a immaginare che la sera mi portava in una casa piena di gente, dove tutti solo guardandomi avevano capito che razza di donna che sono. Mi scopavano tutti, prendevo in bocca tutti… poi l’ultimo si stendeva sul pavimento e io gli salivo sopra e piangevo che ero la loro puttana e imploravo Jan di incularmi mentre quello sotto mi scopava… la capisco la tua amica sai? Lo volevo non solo nella mia fantasia, ma anche quando ci pensavo… pensavo che avevo due cazzi dentro e che non riuscivo a strillare perché ne avevo uno anche in bocca, finché Jan non ha detto a tutti di sborrarmi addosso… ho immaginato che il primo schiaffo di sperma sul viso sarebbe stato solo il primo orgasmo, ma devastante, e che avrei sentito dolore e continuato a godere grondando seme di maschio, finché Jan non mi gridava “troia” e mi veniva dentro, profondissimo, più profondo di quanto non abbia mai sentito un altro uomo… Mi sono masturbata a pensarci. E non riesco a descriverti l’orgasmo che ho avuto...

Debbie mi racconta tutto con delle lievi increspature nella voce, come se mano a mano si stesse eccitando e facesse fatica a parlare. Ma io sto peggio di lei, per le immagini del suo sogno osceno che mi dipinge davanti e per l’uovo che vibra a intensità bassissima, ma non smette un attimo. Sono tornata a essere un lago e ora anche i capezzoli mi tradiscono come al solito, sporgendo dal tessuto del vestitino.

– Debbie così mi ammazzi… – sussurro.

– La cosa che più mi sorprende è che io sono come te… non ho proprio nessuna passione per il sesso anale – mi dice come se io non avessi proprio parlato – shhht… arriva il cameriere…

Il giovane thai si presenta al tavolo. Ha la faccia di uno che vuole apparire impassibile e professionale, ma mentre si avvicina mi rivolge una lunga occhiata. Mi sento quasi arrossire più per quella che per tutto il resto. Evito di guardarlo e mi metto a studiare il menu. Già sono lenta a scegliere, in genere, figuratevi ora. Comincio a sentire tremendamente la vibrazione dell’ovetto. E dopo che Debbie finisce di parlare con il cameriere e quello si allontana, la sento anche più forte. Abbasso il menu e vedo la sua mano sul telecomando e lei che mi sorride: “Un po’ di più? – dice – peccato che ne abbiamo comprato solo uno…”.

– Cazzo Debbie – sibilo stringendo le gambe, ma per certi versi è anche peggio – oh cazzo… dove è andato il cameriere? Ho scelto…

In realtà a tutto penso tranne che a mangiare, in questo momento. Ma mi impongo di controllarmi proprio pensando al cibo.

– Ho ordinato io per te, noodles con gamberi, mi sembravi un po’ in difficoltà… e anche io non ho tanta voglia di mangiare in questo momento, ho più voglia di divertirmi… con te…

Mi alzo con la scusa di andare in bagno e lavarmi le mani. In realtà sento il bisogno di controllare l’ovetto, forse di sistemarlo. Oppure ho bisogno di portare il cervello da un’altra parte. Non lo so, non ne ho proprio idea. Mi abbasso le culotte indescrivibilmente fradice e che tra un po’ non riusciranno a reggere la mia colatura, ne sono certa, ne sento già l’odore. Mi cerco l’ovetto, quasi mi scappa un gemito. Mi sembra tutto a posto, ma chi può dirlo? Non saprei dire nemmeno se Debbie abbia aumentato l’intensità della vibrazione. E’ continua, ossessiva. Non di quelle che mi farebbero gridare ma sicuramente capace di impedirmi un contegno. Nell’area comune riservata ai lavandini trovo l’uomo del tavolo davanti al nostro, quello con la moglie e la ragazzina al seguito. Mi ha seguita? E’ un’ipotesi. La quasi certezza ce l’ho quando mi accorgo che sta guardando la mia scollatura attraverso lo specchio. Non perché sia particolarmente profonda, ma perché i capezzoli svettano da sotto il vestito. Mi sorride e mi dice qualcosa. Non capisco un cazzo, ma dal tono potrebbe essere un complimento. Gli rispondo “sorry, I don’t understand dutch” e lui mi chiede sorpreso se non sono olandese. E no, cazzo, te l’ho appena detto… Però inconsapevolmente gli sorrido. Chissà cosa legge nel mio sguardo, devo essere abbastanza allucinata e un po’ mi vergogno. Mi domando stupidamente come faccia a non sapere. Sei grande e grosso, cazzo, sei un padre di famiglia. Come fai a non capire che quella mignotta mi ha messo un ovetto che mi vibra nella fregna e che mi sta facendo diventare scema?

Esco dal bagno, ormai devo tenere la bocca un po’ aperta per respirare più profondamente che posso. Solo così riesco a controllarmi. So che l’uomo mi segue, è dietro di me. Cerco di irrigidirmi e di non dondolargli così sfacciatamente davanti, ma è inutile. Non ce la faccio a camminare con queste scarpe senza sculettargli davanti in modo indecente. Mi do della stupida, avrei dovuto sciacquarmi la faccia con l’acqua fredda. Debbie mi guarda mentre mi avvicino verso di lei e torno a sedermi, quando l’uomo sfila accanto al nostro tavolo lei alza lo sguardo verso di lui.

– Hai fatto la troia con quello? – domanda.

– No… – rispondo, ma in un certo senso capisco la domanda. Devo avere una faccia da quindicenne in calore.

– Qualcosa gli hai fatto – insiste Debbie – ha il cazzo che gli scoppia dentro i pantaloni, è evidentissimo…

Alzo gli occhi e vedo l’uomo che mi guarda. E mi osserva anche la ragazzina, alternando le occhiate tra me e il padre con una espressione stupita. Credo di arrossire più per il suo eventuale giudizio che per quello del genitore, non so cosa pensi. A quell’età può cambiare tutto così velocemente. E’ sufficiente qualche mese di differenza tra il non capire nulla e il bagnarsi le mutandine, sentendo che il tuo corpo reclama qualche cosa e tu nemmeno sai bene cosa. Per fortuna la moglie non si accorge di nulla, smanetta sul telefono. Non deve essere la serata più divertente della sua vita. La vedo solo di spalle ma posso immaginare una bella donna che si annoia in attesa della cena.

– Non gli ho fatto niente – rispondo a Debbie – è stato lui che mi ha detto qualcosa.

– Che ti ha detto?

– Non lo so, non ho capito… – rispondo alzando le spalle.

– Che porco… con una che dimostra qualche anno in più di sua figlia…

– Ho venti anni – rispondo.

– Già, ma lui non lo sa… adesso gli vado a chiedere davanti a sua moglie se può essere così gentile da ripetere quello che ti ha detto…

– Ti prego non lo fare… – gemo.

– Non sai nemmeno cosa gli era diventato e con che occhi ti guardava…

– Ti prego Debbie…

Mi guarda con un sorriso un po’ ironico un po’ accondiscendente. Mi sorride e dice “va bene, ma pagherai un piccolo pegno…” e dà un colpetto al telecomando.

Ho un sussulto e apro ancora un po’ di più le labbra. Per la sorpresa, per respirare, per impormi di non abbandonarmi. Ogni tanto dalla bocca mi sfugge un sospiro tremolante. Guardo l’uomo davanti a me, non riesco a staccare i miei occhi dai suoi, che li tiene fissi nei miei. Come prima, la ragazzina guarda un po’ me e un po’ lui. E come prima, la madre non si accorge di un cazzo. E’ un gioco di sguardi che dura una decina di secondi. Per quanto mi riguarda, un’eternità interrotta solo dall’arrivo del cameriere con i piatti.

– Se fai così lo incoraggi… – ride Debbie addentando un gambero. Non riesco a capire se si diverta alle mie spalle o no.

– A Roma ogni tanto lo faccio… ma non così… – sospiro.

– E cioè? Come? – domanda.

– Rallenta questo coso, Debbie, ti scongiuro… rallenta e te lo dico…

Debbie riporta la vibrazione dell’ovetto al minimo, forse. Va meglio ma non così meglio come avevo sperato. Mi ci vuole un po’ per tornare a parlare quasi normalmente.

– E’ un mio gioco, mi piace rispondere agli sguardi degli uomini… quegli sguardi che ti lanciano di nascosto dalle loro mogli o fidanzate, gli fisso gli occhi addosso come se volessi dire “ah, se non ci fosse quell’altra…” e mi diverto con il loro imbarazzo e la loro voglia… pensano di avere perso un’occasione…

– E non è mai successo che…?

– No, no… cioè sì! Una volta che ero andata a cena con dei compagni di corso… sai cos’è Eataly?

– Sì, ma qui non c’è.

– Insomma, sì… una volta sì, ho fatto questo gioco con un tipo seduto al tavolo davanti al mio, come quello lì… ma molto meglio di quello lì, era a cena con la fidanzata e un’altra coppia. Quella sera pioveva in un modo pazzesco… quando i miei amici sono andati via io sono rimasta, perché mi andava di fare ancora la scema ma… non mi si è filata nessuno. Così sono andata via anche io e mentre cercavo il coraggio di affrontare la pioggia… mi è arrivato dietro. Ci ha provato, voleva che ci vedessimo… che ne so, il giorno dopo. Ma per me il momento era quello, non il giorno dopo. Siamo andati sotto una tettoia che non riparava niente e… gli ho fatto un pompino. O meglio ho cominciato a farglielo. Invece… invece la sua ragazza gli ha telefonato ed è finita lì, il momento magico si è rotto. Però è stato bello… Poteva scoparmi, se voleva. E in realtà me l’ha confessato pure lui prima di andare via. Gli piaceva il mio culo. Ma… te l’ho detto, il momento magico era passato. Sono tornata a casa e mi sono masturbata pensando a lui che mi scopava in piedi contro quel muro…

– Sletje… te l’ho detto tante volte – dice Debbie dolcemente, ma come in trance – così giovane e così… sembriamo gemelle… Lo sai che vorrei essere al posto tuo?

– Cosa? – le rispondo con uno sguardo anche più interrogativo, perché sono confusa e non la capisco.

– Voglio dire proprio dove sei seduta tu… Vorrei che quello stronzo guardasse me come guarda te, che mi seguisse al bagno come ha seguito te… il suo cazzo grosso per me… Per un attimo ho pensato di venire anche io al bagno, prima, sai? Credo proprio che mi avresti vista all’opera… e ti saresti vergognata di me…

– Debbie, io… – non so cosa dire, so solo che le sue parole sono peggio dell’ovetto, adesso.

– Io gliel’avrei fatto subito un pompino, davanti a te… con la moglie e la figlia che l’aspettano qui… sarei stata come te e anche peggio di te, perché non è un tipo che in un’altra occasione mi interesserebbe. Niente appuntamenti, qui, in quel bagno, fino a farmelo venire in bocca… davanti a te. Così capiresti che troia che sono, molto più di quanto possa averti mai raccontato. Anzi, non è nemmeno giusto dire troia… troia è poco. Non so se ti è mai successo…

– Cosa? – le domando.

– Te l’ho raccontato al telefono, no? Quando ero in vacanza e anche tu… Quello che mi ha spinta sopra un tavolo appena entrati a casa sua. Dio come mi ha scopata… Si era completamente impossessato di me. Ecco, non posso nemmeno dire che mi sono sentita una troia, sarebbe come dire che avevo qualche volontà, invece niente, zero… ho goduto due volte di fila anche per questo, e fortissimo tutte e due le volte. E’ una sensazione pazzesca… E alla fine mi è venuto dentro senza chiedermi nulla… e io non sono protetta… ma non contava nulla… io stessa non contavo nulla, stavo lì solo perché lui si sfogasse

Ho la fica impazzita, liquida e gonfia. Me la sento mentre mi racconta la sua storia e io mi vedo le immagini passare davanti agli occhi, sento il calore. Le miagolo “voglio leccarti mentre succhi il cazzo a qualcuno” ma non so nemmeno io bene che dico. Non penso più a quell’uomo che mi sta di fronte, la vorrei realmente leccare mentre si inginocchia davanti a chiunque. Sono in delirio. Non ho quasi mangiato nulla ma tracanno d’un fiato il vino che ci hanno portato, un rosè. Fa davvero schifo al cazzo e non so nemmeno se sia il vino adatto a quello che mangiamo, ma a parte il fatto che di vino non capisco nulla non me ne frega niente. Debbie mi guarda intensamente e mi sorride. Dice “troia, stai godendo” e fa ripartire l’ovetto. Vuole proprio esibirmi davanti a tutto il ristorante. Ho uno scatto improvviso e soffoco una specie di singhiozzo, ma senza riuscirci tanto. L’uomo e la ragazzina alzano ancora una volta lo sguardo verso di me, persino la madre-e-moglie volta impercettibilmente la testa richiamata dal mio rumore. Mi aggrappo agli angoli del tavolo. La ragazzina mi guarda con gli occhioni spalancati mentre il padre le versa dell’acqua. Non capisce più un cazzo nemmeno lui, invece del bicchiere credo che la centri direttamente sul vestitino, lei lancia un urletto. La madre scatta in silenzio ma probabilmente la fulmina con gli occhi, rimproverandola. Lo sguardo della ragazzina lo conosco benissimo, ci sono troppi pochi anni tra me e lei. E’ uno sguardo che implora e che dice “non è colpa mia”. Poi i nostri sguardi si incontrano e mi mordo il labbro. Se non sono tornata ad ansimare è almeno certo che respiro molto forte. Deve per forza vedere le mie tettine che fanno su e giù. Deve per forza vedere che, in modo del tutto inconsapevole, mi sto aggrappando agli spigoli di questo cazzo di tavolo.

Torna il camerierino a chiederci se vogliamo un dolce. Io nemmeno lo capisco, me lo deve ripetere Debbie due volte. Sto quasi piangendo per quello che l’ovetto mi sta scatenando dentro. Gli rispondo che non lo so, indico Debbie come un’isterica e gli dico “mi sta torturando con quel telecomando…”. Non ho assolutamente idea di cosa pensi e di cosa capisca, e detto tra noi non me ne frega nemmeno un cazzo. Si vede però che è imbarazzatissimo e che cerca disperatamente di rimanere impassibile. Debbie lo guarda nascondendo il telecomando con la mano e gli sbatte pure gli occhi davanti sorridendogli, come se gli volesse dire “non darle retta, è solo una povera pazza”.

La odio, la vorrei ammazzare. Oppure vorrei gettarmi su di lei e rovesciarla sul tavolo. Leccarle la fica e scoparla con forza come a volte faccio con Serena, finché non chiede pietà strillando.

Un po’ di pietà però ce l’ha lei, che abbassa l’ovetto mentre mangia il suo dolce. Me ne porge un cucchiaino attraverso il tavolo. Apro la bocca e mi sembra anche quello un gesto carico di sesso. Il suo e il mio. Proprio in quel momento la famiglia che abbiamo davanti si alza per andarsene. Il padre e la ragazzina mi riservano due occhiate completamente differenti, ma che comunque mi fanno avvampare.

– Andiamo Sletje – mi fa Debbie dopo che il cameriere le ha restituito la carta di credito.

– Ho bagnato tutta la sedia, mi vergogno… – piagnucolo.

– La leccherei volentieri… – sussurra lei con la voce carica di voglia.

Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo. Non me l’aspettavo, le sue parole sono state quasi come la frustata elettrica di un orgasmo.

– L’ho bagnata anche io, comunque – mi dice ancora alzandosi. Mentre ce ne andiamo passo accanto alla sua sedia e vedo che non mi ha detto una bugia.

Usciamo, si addossa al muro cercando nella borsa dicendomi “fumiamoci una sigaretta, ti va?”. Mi appoggio accanto a lei e chissà perché l’ovetto si fa sentire tantissimo. Fumiamo in silenzio, a metà sigaretta si volta verso di me, mi abbraccia e mi bacia. E’ un bacio carico di sesso e di desiderio, ma è al tempo stesso un bacio romantico, da innamorate. Mi prende la mano e mi dice “andiamo a divertirci”, a bassa voce. Non so cosa succederà, non ne ho proprio idea. So che sarò sua e lei sarà mia. E che saremo di chiunque ci vorrà prendere.


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2020-08-08
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