Kimono

di
genere
voyeur

Lunghe sete finemente ricamate, trame di broccato.
Colori forti, contrasti che vogliono colpire l'occhio ed allargare la mente, alternati a tessuti sobri, in tinte pastello.
Mi muovo nell'esposizione dei diversi modelli di kimono; stasera voglio fare la giapponese, onorare il mio uomo con un vestito elegante e tradizionale.
Mi muovo nella boutique accompagnata da una ragazza che mi spiega e mi erudisce. Io di cultura giapponese ne ho veramente poca e solo in questi anni mi sto facendo un doveroso ripasso.
Finalmente mi voglio riappropriare delle mie origini e sono gelosa delle mie tradizioni.
Non sarà l'arte della seduzione delle geisha, almeno di quanto si crede e si attribuisce loro nel mondo occidentale.
Stasera sarà eleganza pura, quasi nascondendo il corpo femminile per esaltare la bellezza del tessuto e l'arte del compositore.
Il mio corpo sarà molto vivo e pronto, ma solo da immaginare sotto le tele larghe e lo stretto reggiseno per nascondere le mie forme.
Il mio compagno sa bene come sono e non c'è bisogno, questa sera, di fargliele vedere attraverso il vestito.
Sarà la sua immaginazione a crescere, a coltivare il desiderio del mio corpo che non potrà intuire, ma solo ricordare e sognare per quanto sarà dopo la cena
Non un kimono formale, spento, un 'iromuji' castigato, coi suoi colori pastello, adatto per una cerimonia del te.
Qualcosa che senza essere pacchiano, sia elegante e splendente.
Tessuti fini, intrecci artistici, colori accesi, paesaggi, grandi pavoni, draghi dalle scaglie scintillanti.
Trame preziose.
Non uno 'yukata' di cotone. Bei colori, bei disegni destinati all'estate.
Sul mio corpo nudo stasera voglio seta. Sulla mia pelle delicata, la carezza di un tessuto nobile.
Accarezzo con la mano le sete leggere e lisce immaginandole sul mio corpo.
Non vestirò tutti i componenti del kimono, non ne ho il tempo e non c'è nessuna che mi aiuti.
Soltanto un kimono sulla mia pelle nuda; slip e kimono bra e poi solo la seta colorata.
Ammiro i furisode dalle maniche immense, colori e disegni giovanili. Mi piacerebbe vestirne uno, una volta, giusto per provare, ma sono per le ragazze nubili ed io mi sento profondamente vincolata al mio uomo, ancora di più stasera. Anche se lui non capirebbe la differenza guardando un abito, quella differenza ce l'ho scolpita dentro di me.
Ammiro i 'susohiki', i kimono da geisha, abiti da artisti e danzatrici, colori vivaci, contrasti esplosivi, ma complicatissimi da vestire e forse, per me, troppo evidenti. Troppo sfoggio, anche se i ricami ed i dipinti sono affascinanti. Ci manca solo che mi trucchi il volto in bianco da geisha e che mi vesta con lo strascico.
La commessa mi introduce agli eleganti 'kakeshita' da sposa e da invitati di riguardo. Non fanno il caso per me, non ancora almeno, chissà, un domani.
Belli i 'tomesode', ma io voglio un ricamo che mi rivesta completamente, come le penne di un pavone o le scaglie di un drago. Stasera voglio essere bella e provocante.
Sensuale, ma non sfacciata.
Tradizionale, ma non ridicola.
Un ricamo che mi avvolga, che mi trasformi, che mi dipinga come un sogno, un salto nel tempo e nelle tradizioni antiche.
Scorro i tessuti come se davanti a me la storia e la cultura del Giappone prendesse forma e mi raccontasse l'epopea del mio popolo degli ultimi mille anni.
Una storia scandita dai colori e dalle cuciture, dalle maniche e dalle cinture.
Per essere infine tradotta sul mio corpo, perchè diventi la mia pelle, lo scrigno in cui racchiudermi e il guscio in cui presentarmi e farmi bella.
I ricami bassi sono precisi e raffinati, ma il 'tomesode' non riflette stasera la mia frizzante voglia di esplodere e trascinare, e poi hanno la manica stretta ed io voglio manica larga, non larghissima, ma larga. Cioè, non si deve vedere che sono nuda guardandomi in una manica.
Ci inoltriamo in anfratti che sembrano segreti e mi sembra di scivolare via nel tempo, nelle dimore monarchiche ed imperiali, nelle dinastie. Ci inoltriamo in corridoi e stanze chiuse da millenni e aperte solo in occasioni eccezionali.
Oppure semplicemente per le vie di Kyoto o lungo le pendici del monte Fuji.
Ecco questi voglio! “Kore wa, kudasai!”
La commessa risponde al mio cenno, mi aspetto quasi che mi dica “hai, ojosan!”, ma meglio restare sull'italiano e non farle capire che il giapponese proprio me lo sono praticamente dimenticato. Evitiamo figure da cioccolataia.
Mi guida nella sala degli 'houmongi'. I decori dipinti, le trame ricamate, su questo tipo di kimono a manica larga, rivestono tutta la tela, si estendono sul dorso, l'ushiromigoro, praticamente dal colletto fino a sotto il ginocchio e vengono ripetuti sul pezzo anteriore, il maemigoro.
Come pure possono essere in continuazione, con un ricamo avvolgente, come una costellazione di astri che orbita attorno all'unico centro di gravità che è la donna, contenuta in questo manto di stelle.
I ricami sono di tutti i tipi, i fini disegni riprendono qualunque soggetto rappresentato in natura.
Voglio qualcosa di bello e di caratteristico, qualcosa di cultura giapponese o cinese, per questo continuo ad avere in mente un pavone o un dragone.
Un dragone tempo fa mi è stato disegnato sul corpo dalla mia amica Jadine, un'artista del colore.
Quella volta ero completamente nuda ed il dragone brandiva con le zampe artigliate un frutto rosso disegnato sul mio seno.
Ora la situazione è invertita ed io sarò la anonima tela su cui il ricamo sarà esposto.
Pavoni non ce ne sono, ma la figura del drago, l'artiglio rappresentato nelle stampe dell'onda di Hokusai, è più facile da trovare e la commessa, profondendosi in inchini a mani giunte, mi guide tra piante e colori, uccelli del paradiso, tucani e martin pescatori, girasoli e ninfee, come un percorso passeggiando sulle tele di Monet e di van Gogh.
Finchè lo trovo, il mio 'houmongi', un drago dalle sfumature dal blu al verde che si innalza su un tramonto infuocato, gli occhi iniettati di sangue che mirano al cielo, come a voler puntare oltre l'astro che si accascia, stanco della giornata di lavoro sulla Terra.
Il ricamo si estende sulla schiena, ma le ali distese mi avvolgono davanti, come per proteggermi, oppure sollevarmi nello stesso volo verso un cielo che comincia a diventar stellato.
“Questo qui!” indico convinta. La ragazza sorride e mi risponde.
Mi mostra alcune obi, le larghe cinture che fasceranno la mia vita. Qualcosa che si abbini ai ricami del kimono e ne scegliamo una con sfumature dal violetto al blu cobalto, tutto in colori dai riflessi metallizzati, come metalliche brillano le squame del drago e i suoi occhi di fuoco.
Ora inizia la vestizione, che preferisco fare qui perchè a casa da sola non ci riuscirei mai.
Questo pomeriggio non dovrebbe finire mai e mi colgo a pensare che la cena in costume sarà solo la minima parte del regalo che a tutti gli effetti sto facendo a me stessa più che al mio uomo.
Un tuffo nella mia giapponesità, un ritorno al mio paese ed alle sue storiche intramontabili usanze.
Isolato dagli altri vestiti, disteso da solo in tutta la sua magnificenza lo 'houmongi' si rivela ancora più bello e suntuoso, quasi spavaldo con i suoi colori aggressivi.
L'abito per una tigre orientale che stasera piegherà il capo e ritrarrà gli artigli per farsi emissaria dell'arte che il tessitore ha immortalato con questi fili di sottile seta.
La commessa mi accompagna nel camerino di vestizione.
Con una disarmante naturalezza mi osserva spogliarmi praticamente nuda e mi aiuta a schiacciare il seno nel kimono bra.
Mi guardo allo specchio.
'na schifezz!
Beh, non è che sia come si suol dire una superdotata, ma schiacciarsi le tette in questo modo per non far apparire le forme femminili, sarà anche cultura orientale, ma 'la me par 'na strunzada'.
Comunque sia, le tette entrano spiaccicandosi in quell'oggetto di tortura. Quasi quasi mi metto a lacrimare vedendo appiattirsi il seno di cui sarei anche abbastanza fiera.
La commessa mi ha infilato le mani dappertutto per agevolarmi, va beh, evito commenti.
Rimane delusa quando le dico che non mi metterò sottovesti né imbottiture per far sparire anche il sedere, tanto la tela è larga e non credo che la mia esuberante femminilità deformi il retro del 'houmongi' fino a quel punto. Tanto meno le calzette che tanto odio. Solo piedi nudi in piccole scarpette chiuse.
La parte più bella è finalmente quando mi infilo nelle larghe maniche di seta spessa. Le mie mani riaffiorano dalle larghe sodeguchi, le aperture a fine manica. Lato sinistro del lembo anteriore rigorosamente davanti al destro ed il dragone prende vita sul mio corpo. Mi sembra quasi di sentirne gli artigli sulla pelle e le vampate di fuoco sul collo.
La commessa armeggia e mi ritocca quasi filo per filo. Le spalle alla giusta altezza, le aperture sotto le ascelle, le sodeguchi simmetriche, i lembi a livello dei piedi accostati al punto giusto.
Tutto questo solo per convincermi che dieci metri lontana dalle vetrine sarò irreversibilmente ed ignominiosamente scompaginata ed impresentabile.
Mi sistema il colletto e si dedica ad allacciarmi la obi con cura particolare. Non ho neanche idea del tipo e della complessità del noto della cintura, che non saprei né pronunciare né eguagliare.
Mi acconcia i capelli, bombardandomi di mollette e forcine, ma liberando la nuca e il collo dalla nera chioma che ci abita quasi come un inquilino fisso.
Quando ha finito mi guardo allo specchio ed osservo il risultato.
Giustamente il corpo della donna scompare rivestito dell'opera d'arte.
Nessun accenno a sensualità, forme o tentazioni. Solo la meraviglia di sequenze di colori rapite alla seta lucente, morbida al tatto ed anche piacevolmente calda sul mio corpo nudo e celato.
Ho già deciso di non truccarmi, ma forse ci sta bene giusto un poco di rossetto e un po' di matita per allungare la linea degli occhi, ma poi in realtà il volto della donna, come il corpo, devono passare in secondo piano a vantaggio del kimono e così voglio che sia, ma entro certi limiti, dai, non esageriamo.
Sono un poco altina, ma per fortuna i tessuti sono sempre abbondanti e le taglie sono adeguate all'era moderna.
“Arigatou” (grazie)
“Doitashimashte” (prego)
Quando lascio la boutique mi sento circondata dagli occhi benevoli delle commesse e rimirata con meraviglia ed invidia dalle donne occidentali che si addentrano in questo spicchio di Giappone a caccia dell'anima del samurai.
Percorro le vie fino a casa un po' in imbarazzo; almeno fosse carnevale!
Fuori dal negozio, lontana dall'alito del drago, mi sento decisamente fuori posto. Tutti si girano a guardarmi e per fortuna che almeno ho la faccia da asiatica, se no mi beccherei un campionario di pernacchie.
Però in fondo me ne frego.
La gente che incrocio non sa neanche che sono italiana, e questo vestito me lo sento addosso.
Oggi sono quasi tutta giapponese.
A casa, invece, l'olandese è ancora in boxer e sorseggia una Heineken.
Rozzo.
Ma è già tanto se non mi saluta con un sonoro variegato rutto. Rimane stupito ed affascinato.
“Minchia, Yuko, sei... sei un gran...”
“Noooo! Lascia stare, ho capito cosa intendevi”
Lui contempla un attimo il suo indecoroso aspetto, boxer con i soldatini e canotta.
Un hooligan dei paesi bassi.
“Cazzo, Jos, potevi almeno metterti la maglia di van Basten!”
Lui capisce tutto al volo e va a mettersi qualcosa.
Spero che non si vesta con gli zoccoloni di legno e la cuffietta di pizzo, ma per fortuna ci mette l'ingegno e si armeggia addosso anche una bella cravatta (per forza è bella, l'ho scelta io).
Si presenta degnamente, mentre si aggiusta perfino i capelli.
“Ma, mi sono scordato qualcosa? È il nostro anniversario?”
“Ma va! Avevo indietro un compleanno e poi... così, avevo voglia di essere giapponese!”
“Ma tu lo sei sempre, la mia giapponesina!”
“Non diciamo cagate”
“Beh, allora sushi?”
“No, per carità, non il sushi italiano, e... neanche un porcaio olandese, semmai ne esistessero.”
“Ok” si arrende lui alzando le mani.
Fascino del vestito. Mi manca solo il ventaglio e sarei perfetta.
Con fare galante mi prende a braccetto e ci inoltriamo sulla via.
Però pesce sì.
Ci sediamo al ristorante mentre il sommelier ci propone un vino bianco adeguato.
Mentre ci portano le prime portate Jos mi guarda con desiderio, mentre io cerco solo di non tirare giù 200 euro di cristalleria con queste maniche immense.
Solo poche chiacchiere. La parte più sensuale stasera è fatta di sguardi.
Luci e colori che alimentano il desiderio.
Il mio corpo celato e proibito, sotto il tessuto broccato.
La rapsodia di colori, sfumature, toni e contrasti.
Jos non mi leva gli occhi di dosso e penso che questo tuffo nella cultura del mio paese l'avrei dovuto fare ben prima e ora dovrei farlo più spesso.
Mi allunga un piede lungo la gamba, mi risale sulla coscia.
Ecco, non avrei dovuto dirgli che sotto sono nuda, ma lo blocco subito.
“Stasera solo sensazioni. Tutte, ma non 'quella' sensazione.”
Lui mi guarda con espressione tradita.
“Jos, mi hai già vista nuda migliaia di volte. Questa sera mi vedi vestita, ti inebri di colori, forme, ma non le mie, e suggestioni. Ok?”
“Anche sapori ed aromi, ok?” fa lui di rimando.
“Sì, non i miei sapori, quelli dopo!”
“Ma io alludevo al pesce e a questo delicato vino francese!”
“Sì, sì... il vino comunque è altoatesino.”
Lui mi sorride con aria provocante. Io scuoto la testa rassegnata, ma alla fine anch'io sorrido.
Ci siamo scelti così, stiamo bene così. Opposti e complementari.
Dopo mi potrà spogliare, mi slaccerà la obi e sposterà i lembi del kimono scoprendomi il ventre e le cosce. Poi mi slaccerà (non vedo l'ora!) il malefico kimono bra e mi scioglierà i capelli.
E sarò sua.
Sarò solo io, con le mie forme, le mie linee, i miei umori ed i miei sapori.
Ma adesso no, sono solo Yuko, la giapponese.
di
scritto il
2020-12-07
3 . 1 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.