Il Gigante malato

di
genere
sentimentali

Finisco il turno del mattino in sala COVID.
Stamattina ho attraversato il gelo sulle strade vuote, sferzata da una fastidiosa pioggerellina che impietosamente mi colpiva mentre con la bicicletta e senza ombrello evitavo i cumuli di neve e mi facevo coraggio.
E sempre quel velato mal di testa, quel vago indefinibile spasmo dietro lo sterno, alla bocca dello stomaco.

Ora mi guardo allo specchio mentre mi cambio. Rimossi camice idrorepellente, calzari, doppi guanti e quant'altro.
Il mio volto sfregiato da cicatrici temporanee, conto i solchi uno ad uno.
Lì l'elastico della cuffia, quel profondo segno rosso è la maschera FFP2, là si appoggiava la visiera.
Mani appiccicose e rugose per 7 ore di sudore senza traspirazione nei doppi guanti in vinile.
Mi tolgo la casacchina umida. L'unico elastico che posso evitarmi è solo quello del reggiseno.
Mi ricopro con indumenti asciutti prima che qualcuno apra la porta del bagno senza chiave.
E sempre quel cerchio alla testa.
Ieri sera un Moment, prima di andare a letto, alle ore 00.20 di questo inizio 2021, dopo i botti, stanca e già proiettata al turno di lavoro di stamattina.
Blando conforto del continuo dolore al capo, prima di essere raccolta dalle pietose braccia di Morfeo.
Lo so cos'è quel malditesta, quello che le mie orecchie negano e che imperiosamente riemerge in modo violento e sfacciato in profondità, sotto la radice del naso.
È sempre così nelle grandi festività.
Non è l'attenzione concentrata nella cucina di cibi orientali, nè le lenticchie o il cotechino.
Non è il sentore suadente del moscato di Pantelleria che, dopo la prima seduzione avvolgente, mi dilania la fronte.
Tanto meno la stanchezza o l'ora che per me è tarda.

In ginocchio ai piedi di un malato, la sua mano nuda tra le mie inguantate, la sua flebile protesta confortata dalle mie parole, alternate al respiro affannoso dietro la maschera che ti fa soffocare.
La sua immagine vellutata attraverso la maschera appannata.
Ecco, lì, in quel momento si è attenuato il lamento nelle mie orecchie, sfiorando un'idea di consolazione.
Ora mi cambio i calzoni ed un gemito sommesso si concretizza in una nuova ondata che mi stringe la testa.
Do consegne, sistemo le cartelle, mi consegno all'umido freddo che mi penetra nelle ossa sulla strada verso casa, pedalando sulla bici per riscaldarmi.
Non ho mangiato nulla. Sempre quella stretta allo stomaco, quel rifiuto alla vita risvegliato solo dai bruciori del caffè che passeggia dallo stomaco nel mio esofago.
Che cosa mi piglia sempre, in queste grandi feste?
'Oh, io lo so, piccola giapponese, che mi sfuggi sempre. Lontana dalla tua terra e dalla tua culla. Ancora pochi sono coloro che percepiscono il grido della Terra, e tu non te ne dai pace. Hai passeggiato nel Sahel, in terra di missione. Hai steso la mano verso quelle di migliaia di bambini che ti salutavano, palme bianche come oasi nella pelle nera.
'Hai chiuso gli occhi ai bimbi morenti di fame e malaria, alle madri sfiancate da parti ed emorragie, ai ragazzi uccisi dai traumi e dal lavoro, ai giovani consumati dall'AIDS e dalla tubercolosi. Li hai visti i cadaveri su cui rideva l'antica signora, ai tempi dell'ebola, del colera e della meningite;
'Hai vagato per le campagne avvelenate dalla plastica nelle risaie nel nord del Vietnam e negli altopiani dell'acrocoro etiope;
'Hai accarezzato le fioriture del tef lambite dal sole radente pregando per una pioggia ancora, i campi di miglio e di cotone nel sud del Ciad, abbandonate le polveri di N'Djamena sotto i morsi della desertificazione che avanza;
'Hai attraversato i corsi d'acqua inquinata sotto le miniere di stagno della Bolivia, ai piedi delle scintillanti cattedrali di ghiaccio del cerro Huayna Potosi, cercando di afferrare le molecole di ossigeno nell'aria sottile a 5000 metri;
'Hai visto le isole di plastica negli oceani su cui nidificavano gli uccelli ed i depositi di DDT nei ghiacci polari;
'Depositi di plutonio profondamente celati in sepolcri nel sud Sudan...
'Veleni nelle serre di fiori in coltivazione intensiva nella Rift valley...
'Giovani malati nei polmoni e nei reni, riempiti di soldi e licenziati a rendere gli ultimi respiri nelle loro famiglie nei villaggi intorno a Ziway...
'Malattie, epidemie, guerre e inquinamento, animali soffocati dai gas tossici, sfruttamento e furto di materie prime dai paesi in via di sviluppo...
'Governi corrotti, governi fantoccio, governi consenzienti in caso di profitti personali...
'Manovre militari, vendita di mine anti-uomo, commercio di armi...
'Traffico di organi umani di desaparecidos in Brasile...'

Arrivo a casa che boccheggio, la testa mi scoppia. È così ad ogni grande festività.
Litri di vini pregiati, opulenza, maiali insaccati, salse ed animali marini, aromi e profumi di una civiltà che ha compiuto ancora un anno verso la propria distruzione, che ha guadagnato terreno di un altro passo verso la propria estinzione.
Propositi, discorsi e auguri. Un anno nuovo, un nuovo anno.
Auguri di buon qualcosa che non è un augurio di nulla.
Botti, feste, vacanze, risa e felicità.
"Mangi qualcosa? abbiamo chili di avanzi!"
"Ecco, appunto...."
"Che hai, tesoro?"
"Il solito, scusami, mi esplode la testa"
Il trapano mi entra nelle tempie, una pompa mi riempie il cranio di una schiuma pesante, mi pulsa il cervello compresso da un cancro ottenebrante,
e sempre quel lamento, quel cigolio continuo, quel gemito, il sottile sibilo di un vento secco e gelido che annienta ogni resistenza.
Il monte Fuji avvolto da gas tossici, la falsa eruzione di una centrale nucleare che esplode. Crolla il fianco della montagna sacra, la neve si scioglie, la gente in fuga si butta dalla scogliera lontano da Yokohama.
Fiori giganti, margherite dalla doppia corolla, mutanti afflitti da deformità e da dolori.
Aria pestilenziale carica di isotopi radioattivi.
Colate dall'Etna, fumi dall'Aconcagua, crepe sul Kilimangiaro; la Terra si ribella.
Estinzioni di massa.
Mi spoglio ed entro sotto la doccia.
Centinaia di messaggi tutti uguali infestano le reti di comunicazione, mentre gli ospedali collassano di malati sulle rive del Gange, alle soglie del Sahara, nelle foreste del Laos, nelle paludi brasiliane.
Cefalea, dolor de cabeza, headache, allamb-ras, 頭痛 (Zutsū)


E sempre quel grido subliminale, quel lamento latente, poco sotto il confine della coscienza.
Nuda sotto il getto dell'acqua calda.
Piego avanti la testa, i capelli mi ricoprono il volto, la calda coltre liquidamente mi accarezza le spalle.
Mi inginocchio come una condannata a morte che sta per ricevere un proiettile nella nuca.
Le nuvole di vapore mi avvolgono.
'L'orrore....'
Mi siedo, le gambe incrociate, la braccia abbandonate lungo i fianchi, il capo in avanti.
L'acqua mi circonda, lava il sudore e l'angoscia.
Mi sciolgo nell'oblio, ritorno alla Terra lungo corsi d'acqua forzati in tubature di piombo.
Le mie molecole per mano, nel girotondo tra la vita e la morte.
Animale sacrificale, vittima designata, non del tutto innocente.
Corpo di espiazione, sacerdotessa del lamento del mondo.
Mi dissolvo; dalla terra alla Terra.
Ecco, il mal di testa sta passando,
Il lamento si sta spegnendo...
Solo un fragile pianto.
di
scritto il
2021-01-01
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