Progressivo 3 delle ore 7.45

di
genere
etero

E così ero la prenotazione numero 3 delle 7.45 all’usl di Parma. Come da mia rigorosa puntualità, alle 7.30 ero già seduto in sala d’attesa davanti alla porta dei laboratori, attendendo il mio turno. Improvvisamente si aprì la porta e due graziose presunte infermiere, sulla trentina, camice bianco, chiamarono il numero 1. Entrò un signore anziano, non volli mostrare curiosità, più astuto rispetto ai miei racconti su ER, perciò le sbirciai soltanto senza alzare il viso concentrato sul cellulare. Venne il turno del numero 2 ma stavolta non uscirono, la chiamata arrivò con la
canonica voce che nomina dalla stanza.. il prossimo sarei stato io.. vent’anni fa avrei tremato di imbarazzo per quello che stava per accadermi ma ora, a 40 anni, vibravo per la curiosità di conoscere me stesso, scoprire come avrei vissuto quel frangente particolare. Una mia grande passione è capirmi, conoscermi sempre più, confrontarmi con me stesso; forse non mi sazierò mai perché sono più veloce della mia sete di rincorrermi.. ma non importa, anzi, ho timore per il giorno in cui mi raggiungerò, forse superandomi con la mia curiosità, non riuscendo più a tenerle testa.. deludendola.. ma il tempo per le riflessioni scade “prenotazione 3”. Entrai, giacca stretta in pelle beige, semi aperta con camicia bianca sotto, troppo primaverile rispetto alla stagione invernale, a rischio di apparire ridicolo ma abbinata allo spessore del pantalone grigio chiaro e scarponi marroni poteva passare, in più son autoconvinto di aver un dna mezzo rom e mezzo anglosassone che mi permetta di sfidare il gelo. Erano entrambe sedute alla scrivania e, ancor prima di farmi sedere, mi guardarono stranite, titubanti.. chiedendo “thomas, leggiamo esami del sangue ma anche un tampone uretrale, scusi se chiediamo prima di eseguire, che sintomi ha?perché non è un esame che eseguiamo di routine” Spiegai loro che non avevo alcun sintomo ma che la mia ipocondria mi imponeva un check up per pura verifica della mia situazione ad ogni volta in cui mi lasciavo con una fidanzata, una specie di tagliando sessuale, dissi ironicamente. Si lasciarono sfuggire un sorriso giudicando verbalmente la mia paranoia come un gesto nobile e responsabile. Già dopo tre secondi non importava più cosa pensassero realmente perché mi fecero stendere sul lettino intimandomi di abbassare pantaloni e boxer. Una delle due, ricciolina nordica, castana chiara, viso sbarazzino, era alla mia destra. L’altra, scuri capelli lisci, più mediterranea, a sinistra. Palesavano una naturalezza complice mentre mi spiegavano come comportarmi: “dovrai restare rilassato il più possibile, quando inseriremo il tampone e scenderemo avrai l’istinto di contrarre il muscolo ed è proprio questa reazione involontaria che ti potrebbe provocare dolore.” Mi mostrai pronto, senza alcun timore, abbassai anche l’intimo e il mio membro fuoriuscì rilassato, capirete che un uomo non possa descrivere il suo pene ma, nonostante questo dettaglio sia ora fondamentale, tralascerò. L’aria si fece più silenziosa, la creatura alla mia sinistra, Ovviamente munita di guanto in lattice lo afferrò delicata sorreggendolo e tenendolo verticale mentre l’altra si apprestava a infilare quella fessura con quel sottile cotton fiok. Non era una scena erotica; cercai lo sguardo di almeno una delle due ma non smettevano di osservarmi l’intimità, sentivo che stavamo vivendo in una lontanissima simbiosi a tre quella specie di stupro medicale. Scese ..Lenta..una devota delicatezza dominava il loro operato, come chi maneggia una preziosa reliquia, nessuna opposizione da parte mia, arrivò dove necessario poi risalì. Tutta quella densità d’aria era improvvisamente finita mentre dichiarava “non ho mai visto una persona che non contragga, complimenti”, lasciarono il mio organo, senza allontanarsi si guardarono e, con una immediata battuta che stupì anche me, risposi ironicamente che avevo il controllo e padronanza assoluta della zona. Risero quasi come isteriche, non era più un esame medico già da vari secondi, la femmina che mi usurpò il cazzo si tolse i guanti e superò lievemente il confine consentito ad un professionista, afferrando a mani nude l’elastico e trascinandolo lentamente fino a ricoprire il mio sesso prima di fuggire verso il tavolo alle sue spalle.. la stanza era invasa dai nostri sorrisi mattutini, mi misi a sedere, toccava ora al prelievo venoso, e mentre stringevo il pugno per far apparire la vena nel braccio sinistro, insistette con l’ammirare la mia indagine scrupolosa aggiungendo che se fossero tutti come me il mondo sarebbe migliore, mentre l’altra assecondava più composta. “Aspettiamo l’esito prima di eventualmente festeggiare” fu la mia scaramanzia a parlarle mentre spudoratamente avvicinavo il viso al suo cartellino sul petto, leggendone ad alta voce il nome e cognome, proprio mente mi trafiggeva la vena con un gesto deciso. Emisi un piccolo, palesemente finto, gemito di dolore; il mio sangue schizzava impetuoso nelle provette, cercammo reciprocamente il nostro sguardo per un istante, venirle in fica sarebbe stato meno scandaloso di quello sgorgare così impetuoso in quel cilindrico recipiente trasparente tra le sue mani. Aprivo e chiudevo il pugno, posto vicino al suo petto, per gestire l’emissione della mia linfa.. incrementandola, come donandole spruzzi di me, era un lecito velato sesso muto. Mi disinfettò pensierosamente destabilizzata, mi alzai e mentre mi accingevo ad uscire, certi copioni non si possono violare più di tanto in certi ambiti, mi chiese se sarei passato io a ritirare gli esiti, se avevo il fascicolo elettronico o se gradivo il modulo di delega.. risposi senza ragionare che sarei tornato di persona. Avevamo pochi secondi prima della prenotazione numero 4 e ce li stavamo giocavamo al massimo per non renderlo un addio ufficiale, non in quell’ambulatorio ormai sconsacrato dalla nostra ambigua sfacciataggine; aggiunse che se volevo lasciare il numero di cel mi avrebbero avvisato tempestivamente in caso di esito non ok. Credo fosse totalmente fuori prassi, ma lo scandii senza esitazione; l’altra infermiera presenziava tacita. Salutai composto, per non eccedere nella confidenza e abbandonai quel contesto interessante. Le ore passarono, il tempo stava per spazzare quella parentesi quando, tre mattine seguenti, un messaggio mi ricondusse su quel lettino, sotto la luce di quel neon. “Perdona la mia forse inopportuna invadenza, non posso comunicarti ufficialmente l’esito degli esami ma volevo avvisarti che sono pronti e che puoi passare quando vuoi, con calma, poiché non c’è motivo di preoccuparsi”. Una parte della mia mente la voleva inquadrare come una provocante schifosa ma un’altra adorava quel suo prendersi cura del mio sesso, del mio sangue, della mia incolumità, mi compiaceva la cosa, non volevo averla fisicamente ma affidarle ancora la tutela e cura della mia virilità. Instradarla, non a una comune uscita a due, ma spingere l’impostazione dell’eventuale confronto verso una tutrice, balia, adepta alla salute e benessere del mio crudele indifeso organo riproduttivo. (Continua)
scritto il
2021-02-04
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