Non so quella donna, ma io…

di
genere
voyeur

Mi chiamo Andrea Oppici, sono un taxista di Bologna, prossimo alla pensione.
Vorrei raccontarvi un frangente di questa mia mattinata di fine settembre.
Dalla centrale arriva il messaggio che invita il taxi più vicino al casello autostradale di borgo panigale a recarsi alla suddetta uscita, requisito richiesto è avere sedili in pelle nera. Comunicando via microfono di essere nelle vicinanze e di poter soddisfare la particolare esigenza, mi dirigo verso il luogo concordato.
Intravedo, in attesa, con una piccola valigia adagiata sull’asfalto, un quarantenne sul metro e ottanta, capello corto moro spettinato, camicia azzurra stirata ma con maniche arrotolate, pantalone beige, uno quei tipi ordinati ma scazzati.
Alza il braccio per cenno di conferma, mi affianco, scendo, adagio la sua valigia nel bagagliaio mentre scambiamo il rituale del saluto.
“La destinazione finale è l’aeroporto Marconi, ma prima raccoglieremo un secondo passeggero, si trova qui vicino, in via Stonehenge 13”
Dopo quaranta anni di servizio non sapevo dell’esistenza di quella strada, ma col navigatore riesco a reperirla.
In qualche minuto raggiungo la tappa e stavolta è una donna ad attendere il mio arrivo, più o meno coetanea, capelli raccolti, orecchini pendenti, fascino gitano.
Non appena fermo l’auto, il passeggero scende e la raggiunge, si presentano, come se non si fossero mai visti, nessuna stretta di mano ma un baciamano da parte di lui, le apre la porta per farla accomodare, sistema la sua valigetta e sale. Cerco di origliare i dialoghi, questi due han contegno e lieve imbarazzo, parlano con quella riverenza composta tipica di chi sta iniziando a prender confidenza, ma percepisco un’alchimia di fondo, come se fosse stato il destino a portarli a sedersi sulla quella pelle nera, mentre il mondo scorre ai loro lati.
Da tanto io non vivo un’emozione così, un’esplorazione di sé attraverso il confronto con l’altro. Dove andranno? Stasera ceneranno insieme all’estero? Dormiranno in camere separate? Dio quanto vorrei continuare a scrivere io il loro libro per poterne conoscere il proseguo. Ma li sto per far scendere davanti alla porta delle partenze dell’aeroporto.
Lui paga, aggiunge una mancia, buona, ma mai all’altezza del tarlo di curiosità che porterò con me stanotte quando proverò ad addormentarmi.

Mi chiamo Sonia Garcia, sono assistente di volo, oggi mi spetta la tratta Bologna Edimburgo. Ho pronta una sciarpa per fronteggiare il vento del nord che mi darà il benvenuto nella capitale scozzese. Amo il mio lavoro, il dover restare impassibile durante le turbolenze quando i passeggeri cercano conforto nelle espressioni del mio viso. Adoro immaginare storie legate ai passeggeri che si imbattono nei miei voli, famiglie, manager, vagabondi, amanti. Fantasticare sui motivi dei loro viaggi, tracciarne profili in base al loro modo di affrontare l’imbarco.
Ma oggi, dall’alto della porta servita dalla classica scaletta, vedo una coppia insolita avanzare sulla pista. Attirano il mio sguardo fra tutti, hanno un’energia addosso che, se fosse notte, potrei scorgere la loro aurea. Lui è il suo lord, la accompagna nobilmente tenendo, leggera, la mano sul suo fianco, con quella pressione delicata che solo chi ha altissima venerazione può usare. Lei è la sua lady, una donna garbata e raffinata con un’indole zingara che la rende sfuggente e femminile allo stesso tempo. Non so se sono colleghi che affrontano il primo viaggio di lavoro, se si son casualmente conosciuti nella hall, so solo che quei due han l’aria di due che stanno per vivere quel brivido che ribalta l’esistenza. Prego, carta d’imbarco, grazie, benvenuta a bordo signora Shikari. Gentilmente anche la sua, grazie, buon viaggio signor Andersen.
Hanno acquistato i posti con maggior spazio in prima fila, così avrò modo di orecchiare qualcosa. Parlano vago, si fanno domande come provenienza e dettagli vaghi, questi due non si conoscono. Sembra che il primo messaggio di Lei sia arrivato un anno fa. L’aereo sta per partire, accelera lungo la pista, vedo le loro mani sfiorarsi, timide, come fosse la loro prima volta, i loro mignoli unirsi, come un tacito accordo, in un momento sempre un po’ critico, di chi affronta serenamente, a due, l’ipotesi di decollare insieme o precipitare insieme.
Tutto va per il meglio, prendiamo quota, stiamo per oltrepassare le nuvole e vengo abbagliata dalla quantità di lampi ed elettricità che i nembi sprigionano oggi.
E più le loro mani si stringono, più i fulmini sprigionano scariche.
Durante il volo chiedo cosa desiderano prendere e ordinano uno snack di albicocche essiccate con vino rosso. Mi accorgo, dopo anni di volo, che è l’abbinamento più lussurioso che qualcuno sia riuscito ad estrapolare da questo menù osceno.
Li spio mentre intingono il frutto secco nel vino e giocosamente se lo porgono alla bocca a vicenda; capisco che manca qualcosa nella mia vita. Comprendo anche che questi due non sono banali amanti ma cento gradini sopra.
Palesemente non si conoscono, ma nemmeno interessa loro granché, sono immuni ai dettagli scontati, perché risucchiati da un vortice più coinvolgente. Sono svincolati da qualsiasi influenza esterna, sono all’apice di se stessi, e inevitabilmente passeranno la notte insieme. E ineludibilmente il timbro di questo viaggio imprimerà la loro cera laccata, marchiandoli per sempre.

Mi chiamo Emily macdonald, nata e cresciuta a Edimburgo, ho trentacinque anni e vivo proprio di fronte allo storico hotel vittoriano Balmoral, in princes street 1. Lo ammetto, ho il vizio di masturbarmi sbirciando le finestre del famoso albergo.
Annoiata dalle visioni ormai prevedibili, vengo richiamata da una luce di una delle camere; come d’abitudine, impugno il cannocchiale e attendo, scettica, che la lente conturbi la mia vista e la mia mente.
Questa coppia l’ho già vista, un’ora fa circa, passeggiando sulla calton hill; li ho visti entrare nel dugald stewart monument, un piccolo monumento a forma di tempio circolare che domina sulla città. Ho pensato che fossero la classica illusa romantica coppietta, ma ora, che si stanno spogliando, stesi su quell’enorme morbido letto, senza smettere per un istante di baciarsi, sto rivedendo la mia idea iniziale.
C’è una foga sinuosamente lenta, una passione ingestibile nelle loro ininterrotte effusioni, lei è stesa, accogliente come mai ho spiato una donna e lui sopra lei, con le sue labbra la percorre, dalle cosce ai piedi, dalla bocca al seno, dalla punta delle dita della mano al sesso, non resisto, devo masturbarmi, zoom, devo ingrandire per cogliere come lui la sta assaporando.
Lui ha gli occhi chiusi, lascia che sia la morbida lingua a pennellare su lei il dipinto della sua esigenza. Qui serve il telescopio, lo prendo, necessito di un ingrandimento astrale. Ecco, frettolosamente riesco fortunatamente a centrare la punta della sua lingua.
Lei ha la gamba spalancata come se stesse per servirgli qualcosa di mai donato prima. Riprendo a toccarmi, decido che muoverò il dito copiando esattamente le movenze del muscolo umido e perverso di lui.
Mio dio, sembra un chirurgo, con la punta della lingua sta scoprendo il piccolo pene pulsante di lei, lo sguscia e poi subito scende per poi dare un’altra dosata sporca pennellata, ora lo circonda, ora lo aspira, ora lo schiaffeggia con la lingua, ora lo preme col palmo muovendo in verticale rapido, si stacca, sfiora come fosse piuma, non so quella donna, ma io… tracimo.
Mi riprendo dal fiatone, voglio sbirciare ancora, ora la sta penetrando, mio dio sembrano due barche incastrate che ondeggiando in preda ad una dolce tempesta, quell’inguine che, spingendo, preme, quei movimenti così oscenamente in simbiosi, non smette di baciarle la bocca e il collo, di tenerle le mani unite sopra la nuca, non so quella donna, ma io…
Riprendo lo strumento con le poche forze rimaste, zoom, si sta filando, ho la vista annebbiata, intravedo liquidi di abbandono, dalla densità e dall’opacità direi che siano di entrambi, mescolati per sempre.
Lui prende le caviglie di lei, le porta alla spalle, la visuale è compromessa ma vedo che con la mano raccoglie quell’elisir mistico, lo porta alla propria bocca, scende a baciarla, ne raccoglie ancora, lo spalma sul suo sesso notevolmente prorompente, spero di sbagliarmi ma credo che stia per..
non erravo, lo ha dolcemente poggiato sul foro più vicino alla spina dorsale della sua complice, si muove lentissimo ma costante, aumenta quasi impercettibilmente ogni secondo l’affondo, ha ogni muscolo del corpo contratto e possente mentre, delicato, la sta per sodomizzare.
Devo rispettare il mio ruolo, e continuare a vivere sul mio corpo ciò che vedo, ma stanotte verrò irrimediabilmente compromessa, guardare non sarà mai più la stessa cosa se lui dovesse anche fotterle il culo.
Lo fa.
Infilandole anche le dita in bocca,
lasciandosele mordere.
Lo fa.
Lo fa con una porca dolcezza che mai avevo visto prima.
Non so quella donna, ma io..
scritto il
2022-07-03
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