Taccuino di Hélène
di
thomas andersen
genere
sadomaso
Premessa: questo testo nasce dopo un confronto con una particolare scrittrice del sito che, nell’intento di migliorarsi, si è messa in gioco, accogliendo il mio suggerimento di render merito al suo talento scrivendo testi meno prolissi. Visto il buon risultato nel suo ultimo racconto “taccuino di Hélène”, come promesso, scrivo io il quarto episodio.
Nelle puntate precedenti: Hélène scrive racconti da tempo, storie che parlano di lei, di come, sospese situazioni di attesa, di vergogna, portino ad accenderle il calore, quell’eccitazione che scaturisce in modo differente in ognuno di noi. Caratteristica che la rende unica è il suo culo, non per corrispondenza a canoni estetici, come si potrebbe pensare, tutt’altro. Un sedere molto più che imponente, posto nel piccolo corpo di una fanciulla timida e sensibile. Peculiarità del suo corpo, questa, che ha contaminato le vita di Hélène, le sue fantasie: un delicato mondo interiore che ci confessa nei suoi racconti.
Un giorno l’editore Thomas Andersen chiede di incontrarla.
Mentre lei attende il suo turno nella saletta d’attesa, ambigui rumori escono dallo studio di quell’uomo che sta redarguendo un’altra ipotetica scrittrice. Arriva il momento, la protagonista entra, riceve il rimprovero verbale e successivamente fisico, inferto proprio su quel suo culone da scrofa. Nel frattempo, nella saletta d’attesa, oltre alla segretaria, si aggiungono due ospiti di sesso maschile.
Quarto episodio
All’improvviso i boati si interruppero.
Un frenetico ticchettio si sovrappose ai tonfi emessi dal pendolo, era chiaro alle persone presenti nella sala d’attesa che qualcuno stesse digitando su una tastiera.
La segretaria apparve disorientata, sapeva benissimo che l’Editore scriveva solamente a penna; quella maldestra pivella stava ricevendo una licenza inconsueta, a nessuna era mai stato concesso il lusso di redigere qualcosa in quello studio.
La donna perse rigore e compostezza, si diresse verso una libreria a muro, scostando un grosso volume. Un’intercapedine tra le mura permetteva di intravedere cosa stesse accadendo, probabilmente nemmeno Andersen era a conoscenza di questo oscuro particolare. Non si era mai spinta a tanto, un tremore, un’irrequietezza, una sorta di gelosia l’aveva trascinata ad abusare di quel pertugio segreto.
La scrittrice era poggiata coi gomiti sulla scrivania, la tastiera alla giusta distanza per consentirle di scrivere. Il suo culo esposto, scoperto, quasi violaceo per le percosse subite, sembrava gonfiarsi lentamente, ancor più enorme di quanto già fosse.
Le parve subito chiaro che Thomas Andersen si trovava di fronte a qualcosa di eccezionale, un abominevole e ripugnante pianeta di carne che poteva sopportare davvero qualsiasi trattamento.
Era posto su due gambette corte, ben depilate, i polpacci e le cosce erano piacevolmente scolpiti, sicuramente a causa dell’attività fisica eseguita portando quotidianamente in giro quel fardello.
Era ovvio che l’Editore si stesse godendo uno spettacolo degno della sua perversione, una scena di degrado estremo, un culone che non aveva potuto vedere nemmeno nei suoi viaggi in africa. Questo, oltre ad essere più sporgente, prominente e rotondeggiante di quello di qualunque donna del continente nero, era oltretutto bianchissimo, un colore che donava ulteriore senso di volume.
Doveva capirlo prima, doveva riconoscere dall’entità degli scrosci uditi prima che quel sedere era maestatico per le esigenze di quell’uomo.
I due spaesati avventori in saletta bisbigliarono e la segretaria intimò loro di fare silenzio, voleva assolutamente udire il dialogo.
L’Editore disse: - Smetta di scrivere e indossi questo perizoma sottile, un capo d’intimo che solo poche elette possono permettersi di sfoggiare, da brava, senza perdere l’equilibrio, guardi come quel suo sederone abnorme rende il suo baricentro instabile, quanto è goffa, con quelle scarpette lucide, così poca suola per gestire l’ingombro del deretano di un elefante.
Ottimo lavoro, lo ha messo, ma fatico a vederlo, è scomparso, risucchiato dalle sue chiappone e la parte in vita sprofonda nella carne molle. Stia dritta! Ferma! Smetta di barcollare impacciata, ora mi avvicino, sente i miei passi raggiungerla? Dovrò levarglielo di dosso e poiché non ho intenzione di estrarlo dalla sua ciccia, apra un poco le gambe, badando di non cadere.-
Le infilò una mano fra le cosce, da dietro, cercando di arpionarlo sul davanti, accorgendosi che era infoiata. Nel trascinarlo giù, una mano di Lui, visto il poco spazio lasciato dalle forme di lei, sfiorò la sua pelle inzuppandosi di una bava che, densa e inopportuna, le stava colando lungo la gamba.
-Lei è davvero scandalosa- proseguì lui -come può provare eccitazione e vergogna insieme? Proprio non riesce a contenere questa gocciolante perdita di dignità!-
Disse all’indifesa malcapitata di appoggiarsi col petto alla scrivania, per avere le braccia libere.
Le ordinò di portare le piccole mani verso il deretano per separare adeguatamente quelle due grosse chiappone, di tirare forte, perché enorme era la mole di carne da aprire, di fare ciò per servire alla vista del signor Andersen quel buco nero perso in quella galassia di carne pallida.
La signorina Hélène Houllier, tremante per la pudicizia, eseguì: spalancò con tutte le sue forze, Lui osservò quella disgustosa ma eccitante oscenità.
C’era un piccolo specchio sulla scrivania, che pareva esser volutamente posizionato lì. Attraverso esso, la poveraccia riusciva a intravedere quella predominante persona afferrare un righello in legno e constatarne la rigidità.
Con una mano ne impugnò un’estremità, con l’altra lo fece flettere fino quasi a spezzarlo. Lo avvicinò al sesso della miserabile, che spiando capiva cosa stava per accaderle. Quel liscio legno consistente era ora caricato di tremenda energia pronta ad esplodere qualora fosse stato rilasciato dalla mano che lo teneva paurosamente teso.
Quanto furono eterni quei secondi di attesa per la sventurata ospite, piegata in quella riprovevole postura col buco lievemente sudato, in bella vista e con la consapevolezza che quel porco Signore si stesse accorgendo di quanto caldo piacere si sprigionava dalla sua grossa fica.
Sperava di venir colpita rapidamente per evitare l’incresciosa figuraccia di venire senza nemmeno esser ancora stata toccata.
Dopo estenuanti secondi, le dita dell’Uomo lasciarono libera l’estremità contratta, un sibilo accompagnò il movimento letale di quel righello verso l’intimità di lei, colpendola presumibilmente fra ano e vulva.
La deplorevole signorina Houllier gemette penosamente e venne, così, culo all’aria, mentre le scarpine le si sfilarono per le contrazioni delle dita dei piedi.
Lui si gustò fino alla fine lo sconquasso di quella talentuosa scrittrice.
Era un Editore, e lo scopo primario di ogni pubblicatore è quello di far prendere alla storia la piega in cui ogni lettore spera di imbattersi.
Lo fece, per se stesso, per la segretaria che spiava senza ormai più saliva in bocca, per il libro che ne sarebbe stato tratto, per chi lo avrebbe letto.
Lo fece.
Sfilò la cintura, la condusse, avvolgendola attorno al ventre della straordinaria scrofa, la usò come lazzo per tenerla con la mano sinistra, con la mano destra aprì la patta, impugnò il pene già eretto, estraendolo dai calzoni.
Dovette chinarsi, vista la piccola statura di lei, passò il glande sulle cosce, sul rivolo di umori che quella schifosa femmina proprio non riusciva a gestire, poggiò la sua ogiva di carne dura e pulsante su quello stretto foro, posto nel luogo più indecoroso del pianeta e…
La segretaria poteva vedere la scena da un’altra angolazione rispetto al suo datore di lavoro, osservava il profilo dei due. Lo sguardo focalizzato su quella legnosa verga che reggeva il confronto con le dimensioni di quell’anguria spaventosa.
Una forte sculacciata con la mano destra e allo stesso tempo quel poderoso membro sembrava aver guadagnato qualche millimetro di ingresso, una seconda sberla a mano aperta e ancora, al contempo, un lieve avanzamento in quello che doveva essere il buco del culo più caldo al mondo. Continuò severo e inarrestabile fino a che non fu tutto dentro.
La guardona deglutì,
si voltò verso i due signori in attesa e col viso sconvolto disse loro di ritornare l’indomani.
I due si avviarono verso la porta, i loro passi furono accompagnati da un nuovo frastuono, dapprima allo stesso ritmo del rintocco del pendolo ma via via a frequenza crescente.
Avrebbero scommesso che si trattasse di un inguine che impattava sempre più impetuoso contro l’inerme molliccio culo di quella scostumata.
Nelle puntate precedenti: Hélène scrive racconti da tempo, storie che parlano di lei, di come, sospese situazioni di attesa, di vergogna, portino ad accenderle il calore, quell’eccitazione che scaturisce in modo differente in ognuno di noi. Caratteristica che la rende unica è il suo culo, non per corrispondenza a canoni estetici, come si potrebbe pensare, tutt’altro. Un sedere molto più che imponente, posto nel piccolo corpo di una fanciulla timida e sensibile. Peculiarità del suo corpo, questa, che ha contaminato le vita di Hélène, le sue fantasie: un delicato mondo interiore che ci confessa nei suoi racconti.
Un giorno l’editore Thomas Andersen chiede di incontrarla.
Mentre lei attende il suo turno nella saletta d’attesa, ambigui rumori escono dallo studio di quell’uomo che sta redarguendo un’altra ipotetica scrittrice. Arriva il momento, la protagonista entra, riceve il rimprovero verbale e successivamente fisico, inferto proprio su quel suo culone da scrofa. Nel frattempo, nella saletta d’attesa, oltre alla segretaria, si aggiungono due ospiti di sesso maschile.
Quarto episodio
All’improvviso i boati si interruppero.
Un frenetico ticchettio si sovrappose ai tonfi emessi dal pendolo, era chiaro alle persone presenti nella sala d’attesa che qualcuno stesse digitando su una tastiera.
La segretaria apparve disorientata, sapeva benissimo che l’Editore scriveva solamente a penna; quella maldestra pivella stava ricevendo una licenza inconsueta, a nessuna era mai stato concesso il lusso di redigere qualcosa in quello studio.
La donna perse rigore e compostezza, si diresse verso una libreria a muro, scostando un grosso volume. Un’intercapedine tra le mura permetteva di intravedere cosa stesse accadendo, probabilmente nemmeno Andersen era a conoscenza di questo oscuro particolare. Non si era mai spinta a tanto, un tremore, un’irrequietezza, una sorta di gelosia l’aveva trascinata ad abusare di quel pertugio segreto.
La scrittrice era poggiata coi gomiti sulla scrivania, la tastiera alla giusta distanza per consentirle di scrivere. Il suo culo esposto, scoperto, quasi violaceo per le percosse subite, sembrava gonfiarsi lentamente, ancor più enorme di quanto già fosse.
Le parve subito chiaro che Thomas Andersen si trovava di fronte a qualcosa di eccezionale, un abominevole e ripugnante pianeta di carne che poteva sopportare davvero qualsiasi trattamento.
Era posto su due gambette corte, ben depilate, i polpacci e le cosce erano piacevolmente scolpiti, sicuramente a causa dell’attività fisica eseguita portando quotidianamente in giro quel fardello.
Era ovvio che l’Editore si stesse godendo uno spettacolo degno della sua perversione, una scena di degrado estremo, un culone che non aveva potuto vedere nemmeno nei suoi viaggi in africa. Questo, oltre ad essere più sporgente, prominente e rotondeggiante di quello di qualunque donna del continente nero, era oltretutto bianchissimo, un colore che donava ulteriore senso di volume.
Doveva capirlo prima, doveva riconoscere dall’entità degli scrosci uditi prima che quel sedere era maestatico per le esigenze di quell’uomo.
I due spaesati avventori in saletta bisbigliarono e la segretaria intimò loro di fare silenzio, voleva assolutamente udire il dialogo.
L’Editore disse: - Smetta di scrivere e indossi questo perizoma sottile, un capo d’intimo che solo poche elette possono permettersi di sfoggiare, da brava, senza perdere l’equilibrio, guardi come quel suo sederone abnorme rende il suo baricentro instabile, quanto è goffa, con quelle scarpette lucide, così poca suola per gestire l’ingombro del deretano di un elefante.
Ottimo lavoro, lo ha messo, ma fatico a vederlo, è scomparso, risucchiato dalle sue chiappone e la parte in vita sprofonda nella carne molle. Stia dritta! Ferma! Smetta di barcollare impacciata, ora mi avvicino, sente i miei passi raggiungerla? Dovrò levarglielo di dosso e poiché non ho intenzione di estrarlo dalla sua ciccia, apra un poco le gambe, badando di non cadere.-
Le infilò una mano fra le cosce, da dietro, cercando di arpionarlo sul davanti, accorgendosi che era infoiata. Nel trascinarlo giù, una mano di Lui, visto il poco spazio lasciato dalle forme di lei, sfiorò la sua pelle inzuppandosi di una bava che, densa e inopportuna, le stava colando lungo la gamba.
-Lei è davvero scandalosa- proseguì lui -come può provare eccitazione e vergogna insieme? Proprio non riesce a contenere questa gocciolante perdita di dignità!-
Disse all’indifesa malcapitata di appoggiarsi col petto alla scrivania, per avere le braccia libere.
Le ordinò di portare le piccole mani verso il deretano per separare adeguatamente quelle due grosse chiappone, di tirare forte, perché enorme era la mole di carne da aprire, di fare ciò per servire alla vista del signor Andersen quel buco nero perso in quella galassia di carne pallida.
La signorina Hélène Houllier, tremante per la pudicizia, eseguì: spalancò con tutte le sue forze, Lui osservò quella disgustosa ma eccitante oscenità.
C’era un piccolo specchio sulla scrivania, che pareva esser volutamente posizionato lì. Attraverso esso, la poveraccia riusciva a intravedere quella predominante persona afferrare un righello in legno e constatarne la rigidità.
Con una mano ne impugnò un’estremità, con l’altra lo fece flettere fino quasi a spezzarlo. Lo avvicinò al sesso della miserabile, che spiando capiva cosa stava per accaderle. Quel liscio legno consistente era ora caricato di tremenda energia pronta ad esplodere qualora fosse stato rilasciato dalla mano che lo teneva paurosamente teso.
Quanto furono eterni quei secondi di attesa per la sventurata ospite, piegata in quella riprovevole postura col buco lievemente sudato, in bella vista e con la consapevolezza che quel porco Signore si stesse accorgendo di quanto caldo piacere si sprigionava dalla sua grossa fica.
Sperava di venir colpita rapidamente per evitare l’incresciosa figuraccia di venire senza nemmeno esser ancora stata toccata.
Dopo estenuanti secondi, le dita dell’Uomo lasciarono libera l’estremità contratta, un sibilo accompagnò il movimento letale di quel righello verso l’intimità di lei, colpendola presumibilmente fra ano e vulva.
La deplorevole signorina Houllier gemette penosamente e venne, così, culo all’aria, mentre le scarpine le si sfilarono per le contrazioni delle dita dei piedi.
Lui si gustò fino alla fine lo sconquasso di quella talentuosa scrittrice.
Era un Editore, e lo scopo primario di ogni pubblicatore è quello di far prendere alla storia la piega in cui ogni lettore spera di imbattersi.
Lo fece, per se stesso, per la segretaria che spiava senza ormai più saliva in bocca, per il libro che ne sarebbe stato tratto, per chi lo avrebbe letto.
Lo fece.
Sfilò la cintura, la condusse, avvolgendola attorno al ventre della straordinaria scrofa, la usò come lazzo per tenerla con la mano sinistra, con la mano destra aprì la patta, impugnò il pene già eretto, estraendolo dai calzoni.
Dovette chinarsi, vista la piccola statura di lei, passò il glande sulle cosce, sul rivolo di umori che quella schifosa femmina proprio non riusciva a gestire, poggiò la sua ogiva di carne dura e pulsante su quello stretto foro, posto nel luogo più indecoroso del pianeta e…
La segretaria poteva vedere la scena da un’altra angolazione rispetto al suo datore di lavoro, osservava il profilo dei due. Lo sguardo focalizzato su quella legnosa verga che reggeva il confronto con le dimensioni di quell’anguria spaventosa.
Una forte sculacciata con la mano destra e allo stesso tempo quel poderoso membro sembrava aver guadagnato qualche millimetro di ingresso, una seconda sberla a mano aperta e ancora, al contempo, un lieve avanzamento in quello che doveva essere il buco del culo più caldo al mondo. Continuò severo e inarrestabile fino a che non fu tutto dentro.
La guardona deglutì,
si voltò verso i due signori in attesa e col viso sconvolto disse loro di ritornare l’indomani.
I due si avviarono verso la porta, i loro passi furono accompagnati da un nuovo frastuono, dapprima allo stesso ritmo del rintocco del pendolo ma via via a frequenza crescente.
Avrebbero scommesso che si trattasse di un inguine che impattava sempre più impetuoso contro l’inerme molliccio culo di quella scostumata.
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