Lasciati toccare la mente
di
thomas andersen
genere
masturbazione
Riesci a sentire il mio polpastrello?
Si avvicina tremolante al tuo sopracciglio, lo percorre senza premere, come per accarezzare ogni singolo pelo di cui è composto;
scorre dirigendosi verso la tua tempia dove scosta, delicatamente, i tuoi capelli per poi scendere sullo zigomo. Ti sfiora vellutato, a tratti quasi impercettibile, valica la tua guancia dirigendosi dove comincia il tuo labbro inferiore, lo culla lento, trascinandolo appena verso il basso, come per pretendere accesso, completa il percorso per poi roteare mezzo giro e tornare indietro dedicandosi al labbro superiore;
a metà strada si inabissa appena, cercando consenso, accoglienza, per sgusciare fra la conchiglia semidischiusa dei tuoi denti e vezzeggiare col tatto il palmo della tua morbida perla.
La tua lingua irrora la mia pelle in un gioco di cercarsi e fuggire, poi il mio dito inumidito scappa, scende sulla fossetta del mento, spinge appena il tuo capo all’indietro prima di percorrerti il collo disegnando morbide curve. La poca saliva appena raccolta viene assorbita dalla tua pelle, la prominenza carnosa del mio medio è quindi ora assetata di prelevare altro tuo elisir.
E lo va a cercare circumnavigando il tuo seno e insidiandosi dove questo poggia sul tuo ventre, assorbe il tepore della tua lieve sudorazione, credo tu possa intuire quanto piacere infonde alla mia mente questo esplorarti, la mia voglia è palpabile, vorrei usare tutta la mano ma proseguo in questo masochistico sacrificio di assaporarti con solo questa mia morbida estremità.
Sale verso il tuo capezzolo, lo raggiunge, lo oltrepassa, lo recupera, lo preme, lascia che riprenda la sua forma, gira attorno ad esso, ne accompagna la crescita, schiaffeggia quel tuo gonfiore, lo trastulla, chiede l’aiuto del pollice, lo pizzicano, complici, lo trattano come fosse un pene da masturbare.
Riprende il viaggio, lungo il tuo fianco, sul costato, sfiorando, brivido che scorre, fino all’inguine. Non è più un dito, è la mia pazzesca fame di te che sta vagando sulla tua carne per arrivare a tuffarsi nel pozzo dei nostri desideri. Quando arriva al tuo inguine non imbocca la strada maestra, ma, come chi guida sul sapone e sbaglia traiettoria impossibilitato dal correggerla, controsterza , riprova, passa ad un soffio.
Da cosa? Lo sai.
Ti contorci, ti muovi, come per prepararti a ricevere una carezza che cambierà i nostri destini, è imminente, arriva.
Arriva raccogliendoti come quando si ruba la panna dalla torta, dal basso verso l’alto, non lento, non veloce, solamente tremendamente bastardo; non abbastanza profondo da annegare ma nemmeno troppo a galla, poi scappa, proprio mentre vorresti subito un’altra passata.
Sbirci, con la vista annebbiata intravedi che adesso è nella mia bocca, che lo sfilo, che lo porto nella tua; non puoi fare altro che succhiarlo, una fellatio che assomiglia ad un imploro. È in lui tutta la mia voglia di affogare in te.
In verità non tutta è lì. Meriti che ti mostri quanto tu mi stia infervorando.
So che mi comprendi se, con la mano libera, abbasso il mio intimo e sostituisco il dito, senza lasciarti nemmeno per un secondo a bocca vuota. Ma non distraiamoci da questo mio lento scoparti la bocca, torniamo sul fulcro protagonista del nostro legame scrittore-lettrice, cioè la mia falange, che sta digitando i tasti e componendo la nostra riprovevole malia.
Vorrei essere una piovra in questo momento, per riuscire nello stesso istante a palparti piedi, ascelle, sfintere, orecchie, colonna vertebrale, ombelico; ma oggi ho solo questo tentacolo e decido di ricondurlo a usurpare ciò che nascondi fra le cosce.
Che fruscio e rumore può fare una schiaffa data con un polpastrello su un clitoride umido? Ti va di scoprirlo insieme? Avvicino la mano alle tue pulsazioni, carico il tendine e lascio partire quella secca sberla mirata. Soffoco subito il tuo gemito spingendo la mia eccitazione ancor più giù, nella tua gola. Un altro schiocco segue il primo, per punirti, poiché stai muovendo in modo inconsulto le gambe.
Ma ora è il momento di violarti.
Sto per iniettarti, per lasciare che il tuo caldo cunicolo cavernoso inghiottisca vorace la diramazione impetuosa della mia mano. Mi sfilo dalla tua bocca, ignoro il grondare della tua saliva, voglio che tu possa assaporare a pieno, senza distrazioni, la mia raccolta del tuo frutto peccaminoso.
Entro, a piccole dosi, intingo, mentre lo faccio avvicino la mia bocca alla tua ma senza baciarti, sono avido del tuo respiro.
Continuo a spingerlo in te ma presto uno non basterà più, mi sfugge un bacio, rubato, famelico sulla tua bocca e, proprio in questo momento, violo le regole, le dita diventano due.
Son indeciso tra il sedermi sul tuo viso e costringerti a leccarmi i testicoli o il succhiarti quel rigagnolo di saliva sulla guancia fino a ritrovare la tua bocca con la mia mentre le mie dita iniziano a contorcersi a uncino,
scelgo la seconda.
Il ritmo è altalenante, sono arpionato a te, anche il palmo della mia mano si muove, conseguenza ridonante del mio sciuparti il punto G; e quel palmo lo senti danzare malefico e ignobile , proprio lì, dove lentamente abbandoni ogni pudore. La mano libera afferra la tua, le intrecciamo, stringo, mentre l’altra assume movenze sempre più depravate e oscene.
Mordo le tue spalle.
Ti inarchi.
Ciò fa sì che io risalga ancor di più.
Ti bacio il collo.
L’altra tua mano brancola nel vuoto alla ricerca del mio sesso.
Lo trova preda di un’impetuosità eloquente.
Non fai in tempo a muoverla perché stai per perdere la possibilità di dosare le forze.
Doni la tua più intima indecenza a me, fino all’ultimo spasimo.
Assorbo ogni tua contrazione.
Respiriamo all’unisono. Lo senti?
Riesci a sentire, nelle mie parole, il respiro e la golosità con la quale mi bacerei ora la tua fronte, il tuo ventre e il tuo buco del culo?
Si avvicina tremolante al tuo sopracciglio, lo percorre senza premere, come per accarezzare ogni singolo pelo di cui è composto;
scorre dirigendosi verso la tua tempia dove scosta, delicatamente, i tuoi capelli per poi scendere sullo zigomo. Ti sfiora vellutato, a tratti quasi impercettibile, valica la tua guancia dirigendosi dove comincia il tuo labbro inferiore, lo culla lento, trascinandolo appena verso il basso, come per pretendere accesso, completa il percorso per poi roteare mezzo giro e tornare indietro dedicandosi al labbro superiore;
a metà strada si inabissa appena, cercando consenso, accoglienza, per sgusciare fra la conchiglia semidischiusa dei tuoi denti e vezzeggiare col tatto il palmo della tua morbida perla.
La tua lingua irrora la mia pelle in un gioco di cercarsi e fuggire, poi il mio dito inumidito scappa, scende sulla fossetta del mento, spinge appena il tuo capo all’indietro prima di percorrerti il collo disegnando morbide curve. La poca saliva appena raccolta viene assorbita dalla tua pelle, la prominenza carnosa del mio medio è quindi ora assetata di prelevare altro tuo elisir.
E lo va a cercare circumnavigando il tuo seno e insidiandosi dove questo poggia sul tuo ventre, assorbe il tepore della tua lieve sudorazione, credo tu possa intuire quanto piacere infonde alla mia mente questo esplorarti, la mia voglia è palpabile, vorrei usare tutta la mano ma proseguo in questo masochistico sacrificio di assaporarti con solo questa mia morbida estremità.
Sale verso il tuo capezzolo, lo raggiunge, lo oltrepassa, lo recupera, lo preme, lascia che riprenda la sua forma, gira attorno ad esso, ne accompagna la crescita, schiaffeggia quel tuo gonfiore, lo trastulla, chiede l’aiuto del pollice, lo pizzicano, complici, lo trattano come fosse un pene da masturbare.
Riprende il viaggio, lungo il tuo fianco, sul costato, sfiorando, brivido che scorre, fino all’inguine. Non è più un dito, è la mia pazzesca fame di te che sta vagando sulla tua carne per arrivare a tuffarsi nel pozzo dei nostri desideri. Quando arriva al tuo inguine non imbocca la strada maestra, ma, come chi guida sul sapone e sbaglia traiettoria impossibilitato dal correggerla, controsterza , riprova, passa ad un soffio.
Da cosa? Lo sai.
Ti contorci, ti muovi, come per prepararti a ricevere una carezza che cambierà i nostri destini, è imminente, arriva.
Arriva raccogliendoti come quando si ruba la panna dalla torta, dal basso verso l’alto, non lento, non veloce, solamente tremendamente bastardo; non abbastanza profondo da annegare ma nemmeno troppo a galla, poi scappa, proprio mentre vorresti subito un’altra passata.
Sbirci, con la vista annebbiata intravedi che adesso è nella mia bocca, che lo sfilo, che lo porto nella tua; non puoi fare altro che succhiarlo, una fellatio che assomiglia ad un imploro. È in lui tutta la mia voglia di affogare in te.
In verità non tutta è lì. Meriti che ti mostri quanto tu mi stia infervorando.
So che mi comprendi se, con la mano libera, abbasso il mio intimo e sostituisco il dito, senza lasciarti nemmeno per un secondo a bocca vuota. Ma non distraiamoci da questo mio lento scoparti la bocca, torniamo sul fulcro protagonista del nostro legame scrittore-lettrice, cioè la mia falange, che sta digitando i tasti e componendo la nostra riprovevole malia.
Vorrei essere una piovra in questo momento, per riuscire nello stesso istante a palparti piedi, ascelle, sfintere, orecchie, colonna vertebrale, ombelico; ma oggi ho solo questo tentacolo e decido di ricondurlo a usurpare ciò che nascondi fra le cosce.
Che fruscio e rumore può fare una schiaffa data con un polpastrello su un clitoride umido? Ti va di scoprirlo insieme? Avvicino la mano alle tue pulsazioni, carico il tendine e lascio partire quella secca sberla mirata. Soffoco subito il tuo gemito spingendo la mia eccitazione ancor più giù, nella tua gola. Un altro schiocco segue il primo, per punirti, poiché stai muovendo in modo inconsulto le gambe.
Ma ora è il momento di violarti.
Sto per iniettarti, per lasciare che il tuo caldo cunicolo cavernoso inghiottisca vorace la diramazione impetuosa della mia mano. Mi sfilo dalla tua bocca, ignoro il grondare della tua saliva, voglio che tu possa assaporare a pieno, senza distrazioni, la mia raccolta del tuo frutto peccaminoso.
Entro, a piccole dosi, intingo, mentre lo faccio avvicino la mia bocca alla tua ma senza baciarti, sono avido del tuo respiro.
Continuo a spingerlo in te ma presto uno non basterà più, mi sfugge un bacio, rubato, famelico sulla tua bocca e, proprio in questo momento, violo le regole, le dita diventano due.
Son indeciso tra il sedermi sul tuo viso e costringerti a leccarmi i testicoli o il succhiarti quel rigagnolo di saliva sulla guancia fino a ritrovare la tua bocca con la mia mentre le mie dita iniziano a contorcersi a uncino,
scelgo la seconda.
Il ritmo è altalenante, sono arpionato a te, anche il palmo della mia mano si muove, conseguenza ridonante del mio sciuparti il punto G; e quel palmo lo senti danzare malefico e ignobile , proprio lì, dove lentamente abbandoni ogni pudore. La mano libera afferra la tua, le intrecciamo, stringo, mentre l’altra assume movenze sempre più depravate e oscene.
Mordo le tue spalle.
Ti inarchi.
Ciò fa sì che io risalga ancor di più.
Ti bacio il collo.
L’altra tua mano brancola nel vuoto alla ricerca del mio sesso.
Lo trova preda di un’impetuosità eloquente.
Non fai in tempo a muoverla perché stai per perdere la possibilità di dosare le forze.
Doni la tua più intima indecenza a me, fino all’ultimo spasimo.
Assorbo ogni tua contrazione.
Respiriamo all’unisono. Lo senti?
Riesci a sentire, nelle mie parole, il respiro e la golosità con la quale mi bacerei ora la tua fronte, il tuo ventre e il tuo buco del culo?
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