La praticante
di
Il-legale
genere
etero
Stavo preparando da circa due ore un fascicolo telematico di una causa che avrei dovuto iscrivere a ruolo l’indomani, quando entrò nella mia stanza Francesca per avvisarmi che tutti i colleghi erano già andati via e che spettava a me chiudere lo studio. Vedendomi seppellito in mezzo a due grosse pile di carta da scansionare, si offrì di darmi una mano e, senza neanche attendere risposta, mise giù la borsa e tolse la giacca.
Francesca era l’ultima praticante arrivata nello studio in cui lavoravo e, come tutti i tirocinanti prima di lei, veniva spesso ingiustamente relegata a lavori di segreteria, anche se per ora la cosa non sembrava darle troppo fastidio.
Appena si avvicinò alla mia scrivania notai subito la camicetta bianca sbottonata un po’ più del dovuto - probabilmente unico palliativo alle torride temperature di quel fine luglio - ma comunque per nulla volgare, considerato che il suo piccolo seno faceva appena capolino dalla maliziosa scollatura.
Ad ogni modo, per evitare ogni possibile distrazione le chiesi di iniziare a riordinare alcuni documenti poggiati sul piccolo tavolo di fronte alla mia postazione. Il mio progetto di restare concentrato sul lavoro, tuttavia, fallì subito e miseramente poiché Francesca, invece di sedersi, iniziò a lavorare in piedi, dandomi le spalle, e lasciando così in bella mostra il suo meraviglioso fondoschiena.
Come non bastasse, a causa della posizione leggermente china, il suo elegante pantalone nero avvolgeva in maniera veemente la sinuosa linea delle sue natiche, lasciando intravedere - o forse solo immaginare - il leggerissimo rilievo di quello che sembrava un tanga ricamato in pizzo.
Per fortuna, nonostante la mia palese negligenza dovuta alle frequenti, quanto malcelate, sbirciatine verso la mia bella aiutante, dopo circa un ora di lavoro il fascicolo era ultimato e pronto per il deposito, per cui le dissi che poteva finalmente andare a casa.
Mi rispose che non le dava alcun fastidio chiudere lo studio con me, anche perché ormai aveva fortunatamente “balzato” la noiosissima partita di calcetto del suo moroso.
Seppure leggermente incuriosito dal piccolo accenno ad un fidanzato di cui non aveva mai parlato, nonostante nelle ultime settimane fossimo entrati in buona confidenza, evitai di porre domande inopportune e mi limitai a chiederle di chiudere le persiane, mentre io finivo di salvare tutti i file sul mio pc.
Per uno strano caso del destino la fioca luce del mio monitor si spense nell’esatto istante in cui Francesca chiuse l’ultima imposta, lasciandoci entrambi disorientati e avvinti nel buio. Sentendosi incomprensibilmente responsabile di quella casuale oscurità, Francesca iniziò a blaterare qualcosa circa il fatto di essere sempre troppo sbadata e, contemporaneamente, cominciò a tastare la scrivania nella disperata ricerca del mio piccolo lume Ikea.
Non immaginando la sua intenzione, mi spostai anch’io verso lo stesso lume e, quando riuscii ad accenderlo, i nostri volti erano così vicini che la sentivo respirare la mia aria, portarmela via letteralmente. Non ricordo esattamente cosa successe subito dopo, ma certo non dimenticherò mai l’intenso sapore ciliegia delle sue labbra
Il bacio fu lungo, appassionato, violento. Le nostre lingue si inseguirono avidamente, senza lasciare tempo al respiro, poi finalmente la quiete.
Si staccò da me, respirava profondamente, quasi in affanno. Prese fiato pochi secondi, si avvicino di nuovo e tornò a baciarmi, questa volta più dolcemente. Le sue labbra si posarono delicate tra le mie, quasi arrendevoli, ma d’improvviso un morso mi trafisse il labbro inferiore; non me lo aspettavo, mi lasciai scappare persino un gridolino. Sorrise e prendemmo fiato per la seconda volta.
Francesca allungò l’indice della sua mano destra verso il mio labbro inferiore, ci trovò un pochino di sangue, mi chiese scusa, sorrise nuovamente. Il suo sorriso era meraviglioso. La tirai con forza tra le mie braccia. Le mie mani iniziarono a scivolare fameliche lungo le sue sinuose curve, infine si avvinghiarono strette al suo afrodisiaco fondoschiena, ineluttabilmente.
“Volevi farlo da almeno mezz’ora” mi disse risoluta.
“Si capiva così tanto?”, le domandai.
Mordicchiò il suo labbro inferiore poi rispose: “un pochino” e tornò a baciarmi.
Quel suo piccolo sensuale gesto con le labbra mi fece letteralmente perdere la testa.
Sfilai via impaziente, quasi violento, la sua camicetta bianca, ma alla visione della sensuale eleganza del suo intimo ricamato in pizzo persi immediatamente la mia irruenza; con un dito spinsi giù le spalline del reggiseno e scartai lentamente il mio regalo. Le sue tette erano piccole, ma sfacciatamente erotiche. Le baciai con desiderio, le leccai con avidità, le morsi con crudeltà.
Francesca, però, non restò inerme a subire la mia lussuriosa tortura, anzi dopo qualche istante cominciò a litigare freneticamente con i miei pantaloni. La cintura fece poca resistenza, il bottone superiore resistette di più, la zip si dileguò.
Riuscita nella sua piccola impresa, Francesca si liberò dalla mia presa, scese lentamente, si mise in ginocchio, mi guardò negli occhi e tirò giù l’ultima mia difesa. Avevo così tanta voglia addosso che il mio compagno di battaglia si presentò all’appuntamento in perfetta forma, alto e vigoroso.
Francesca lo scrutò per qualche istante poi lo strinse delicatamente tra le sue mani ed iniziò a solleticarlo. La sua mano destra si muoveva docile, su e giù, lunga la mia asta, mentre la sinistra giocava con il mio pallame. Letteralmente in balia di quelle piacevoli carezze chiusi gli occhi per un istante, ma immediatamente un brivido mi ridestò. Francesca aveva iniziato ad accarezzare con la sua lingua la base della mia verga e stava risalendo lenta verso la vetta. Il suo tocco era delicato, leggero, una sublime tortura.
Dopo qualche timoroso saliscendi, però, la sua lingua si fece ardita e vogliosa. Quello che era stato un erotico solletico si trasformò presto in una appassionata degustazione. Sentii il calore della sua lingua pervadere ogni centimetro della mia verga, poi finalmente mi fece suo. Il mio pene era in trappola dentro la sua bocca. La sua lingua avvolgeva e accarezzava lussuriosa dall’interno, senza sosta, mentre di fuori le sue labbra scivolavano su e giù lungo tutta la mia virilità, a volte lentamente, altre in modo frenetico. Per tutto il tempo Francesca non smise mai di guardami negli occhi, aveva chiaramente intenzione di farmi impazzire.
Ero in paradiso, ma non volevo restarci da solo.
Con non poca riluttanza tirai fuori il mio membro dalle fameliche grinfie di Francesca; la sollevai di peso e la feci sedere sulla scrivania. La mia abilità con cinture e bottoni si rivelò di gran lunga migliore della sua e in un istante il suo elegante pantalone nero andò a fare compagnia alla camicetta. Diversamente da quanto avevo immaginato Francesca non indossava affatto un tanga in pizzo, bensì un sensuale perizoma di un improbabile color verde padania.
Da buon meridionale, alla visione di tale oscenità non riuscii a trattenermi e con molta poca eleganza le dissi “mi sembra evidente che non avevi in programma di togliere i pantaloni davanti a un terrone”.
Sorrise, mi afferrò per la cravatta e tirando la mia testa giù, in mezzo alle sue gambe, disse: “che ne dici di usare la tua lingua in maniera più interessante?”.
Sembrava una domanda, ma in realtà era un ordine. Spostai di lato il suo perizoma e disvelai una piccola e curata striscia di pelo che indicava esattamente dove colpire. Il sapore della sua fica era acre e forte. Francesca era già molto bagnata ancora prima che cominciassi a leccare, ma sotto i colpi della mia lingua divenne un lago. Sentivo la mia barba umida dei suoi umori. Leccai con avidità e senza prendere fiato per qualche minuto, poi mi staccai da lei, tolsi un peletto dalla lingua e ricominciai.
Me la presi comoda, gustai ogni istante, ogni centimetro: assaporavo, leccavo, succhiavo e mordevo. I suoi gemiti erano afrodisiaci. Più la sentivo ansimare, più mi veniva duro, più avevo voglia di mangiarla. Mentre la mia lingua continuava imperterrita a titillare il suo clitoride, il mio dito medio si fece spazio nella sua fica. Era calda e stretta. Solleticai la parete superiore della sua vagina e Francesca sussultò. Feci spazio anche al dito indice e iniziai un massaggio più deciso; Francesca ormai mugolava senza sosta.
Continuai inflessibile il mio doppio lavoro di mano e di bocca finché non sentii la lingua inondata della sua eccitazione. Mi afferrò la testa, “ti voglio dentro”, mi disse.
Mi alzai dalla precaria posizione che avevo assunto per tuffarmi tra le sue cosce, sgranchii la schiena, presi le sue gambe tra le mie mani e la penetrai. Era meravigliosamente calda. I primi colpi furono di assestamento, lenti e profondi. Volevo che mi sentisse tutto dentro di lei. Poi pian piano il ritmo aumentò e un istante dopo stava mugolando di nuovo.
Con un pizzico di sarcasmo le dissi “Posso andare più piano, se preferisci”. Mi fulminò con gli occhi, prese le mie mani e le portò sul suo seno. Lo strinsi forte, tirai i suoi capezzoli ed al contempo affondavo i miei colpi.
Rallentai, ma restai li, dentro di lei, a godermi il momento e a prendere fiato; ero in affanno anch’io. Il mio compagno di battaglia, però, era ancora su di giri e, in preda all’eccitazione, sussultò un paio di volte; Francesca con lui.
Sfilai la mia verga e la feci girare. Tirai giù il suo terribile perizoma e con la punta della mia asta andai alla ricerca della sua fica; era ancora bagnatissima, entrai deciso e ricomincia a tamburellare con ritmo sempre diverso.
Sentendo crescere i decibel dei suoi urletti, mi aggrappai con forza alla sue natiche, la tirai a me e diedi ancora più energia ai miei colpi. Dritto davanti ai miei occhi il buchetto del suo culo aperto faceva crescere la mia eccitazione e con essa l’intensità delle mie spinte. Dopo un minuto circa la cadenza delle mie stoccate era frenetica e i mugolii di Francesca si erano ormai trasformati in una specie di continuo incessante piagnucolio.
Riuscii a darle una sferzata con un sonoro schiaffo sul culo; il suo urlo riecheggio nello studio vuoto. Raccolsi i suoi capelli in parte appiccicati alla schiena a causa del sudore, ne feci una piccola coda e la tirai a me; si avvicinò così tanto che riuscii a morderle l’orecchio.
Sotto l’incessante battere dei miei colpi Francesca si lascio andare del tutto, inarcò completamente la schiena, poi disse “non ce la faccio…non ce la faccio” e la sentii esplodere dentro. Era fradicia. Si accasciò spiaccicando le sue tettine sudate sulla scrivania.
Era stanca, respirava faticosamente, anzi era in affanno. Il suo viso era ambiguo, sembrava soddisfatta o forse dolorante, non ne sono certo. Ogni tanto sussultava ancora un pochino, sentivo la sua vagina contrarsi.
Presi fiato anch’io. Il buchetto del suo culo, però, era sempre drammaticamente davanti ai miei occhi. Senza pensarci troppo, iniziai a solleticarlo con le dita mentre la mia verga, ancora non sazia, si agitava dentro di lei.
Francesca accasciò la testa sulla scrivania, con le mani si aggrappo alla sue natiche e mi aprì la via. Sfilai il mio cazzo dalla sua fica e, sollevandomi un po, mirai al bersaglio più ambito e proibito. Il buco era molto stretto, ma il lubrificante naturale donato dal suo orgasmo aiutò parecchio. Entrai piano, mi feci spazio dolcemente, fu lei a dettarmi i tempi.
Ancora una volta i primi colpi furono molto lenti, ma questa volta entrambi andammo su di giri parecchio velocemente. Eravamo in perfetta sinergia. La mia verga vagabondava dentro il suo culo decisa. Dopo neanche un minuto stavo ormai stantuffando con veemenza. Colpivo, affondavo e godevo. Francesca ad ogni colpo emetteva dei piccoli gridolini a metà strada tra piacere e dolore.
Stavo per esplodere, resistetti ancora una po, lei aveva ricominciato a mugolare.
Con una mano cercai il suo clitoride, con l’altra affondai ancora una schiaffo sulla sua natica destra; urlò molto più forte di prima. Ero al limite, anzi ben oltre il limite. Mi aggrappai di nuovo ai suoi capelli, la tirai con forza e affondai i miei ultimi colpi, ma nella concitazione del momento la mia verga si sfilò dal suo buco e purtroppo era troppo tardi per rientrare. Maledizione!
Feci appena in tempo ad appoggiare la mia asta sulla sua natica destra, ancora tatuata del palmo della mia mano, e arrivò l’orgasmo.
Il primo schizzo fu violento e leggero, terminò la sua corsa alla base del collo di Francesca; per fortuna avevo ancora i suoi capelli tra le mie mani.
Il secondo e terzo schizzo più densi raggiungessero quasi simultanei il centro della sua schiena.
Il quarto, invece, restò lì sulle natiche di Francesca, dove in fondo tutto era cominciato.
Fine
Francesca era l’ultima praticante arrivata nello studio in cui lavoravo e, come tutti i tirocinanti prima di lei, veniva spesso ingiustamente relegata a lavori di segreteria, anche se per ora la cosa non sembrava darle troppo fastidio.
Appena si avvicinò alla mia scrivania notai subito la camicetta bianca sbottonata un po’ più del dovuto - probabilmente unico palliativo alle torride temperature di quel fine luglio - ma comunque per nulla volgare, considerato che il suo piccolo seno faceva appena capolino dalla maliziosa scollatura.
Ad ogni modo, per evitare ogni possibile distrazione le chiesi di iniziare a riordinare alcuni documenti poggiati sul piccolo tavolo di fronte alla mia postazione. Il mio progetto di restare concentrato sul lavoro, tuttavia, fallì subito e miseramente poiché Francesca, invece di sedersi, iniziò a lavorare in piedi, dandomi le spalle, e lasciando così in bella mostra il suo meraviglioso fondoschiena.
Come non bastasse, a causa della posizione leggermente china, il suo elegante pantalone nero avvolgeva in maniera veemente la sinuosa linea delle sue natiche, lasciando intravedere - o forse solo immaginare - il leggerissimo rilievo di quello che sembrava un tanga ricamato in pizzo.
Per fortuna, nonostante la mia palese negligenza dovuta alle frequenti, quanto malcelate, sbirciatine verso la mia bella aiutante, dopo circa un ora di lavoro il fascicolo era ultimato e pronto per il deposito, per cui le dissi che poteva finalmente andare a casa.
Mi rispose che non le dava alcun fastidio chiudere lo studio con me, anche perché ormai aveva fortunatamente “balzato” la noiosissima partita di calcetto del suo moroso.
Seppure leggermente incuriosito dal piccolo accenno ad un fidanzato di cui non aveva mai parlato, nonostante nelle ultime settimane fossimo entrati in buona confidenza, evitai di porre domande inopportune e mi limitai a chiederle di chiudere le persiane, mentre io finivo di salvare tutti i file sul mio pc.
Per uno strano caso del destino la fioca luce del mio monitor si spense nell’esatto istante in cui Francesca chiuse l’ultima imposta, lasciandoci entrambi disorientati e avvinti nel buio. Sentendosi incomprensibilmente responsabile di quella casuale oscurità, Francesca iniziò a blaterare qualcosa circa il fatto di essere sempre troppo sbadata e, contemporaneamente, cominciò a tastare la scrivania nella disperata ricerca del mio piccolo lume Ikea.
Non immaginando la sua intenzione, mi spostai anch’io verso lo stesso lume e, quando riuscii ad accenderlo, i nostri volti erano così vicini che la sentivo respirare la mia aria, portarmela via letteralmente. Non ricordo esattamente cosa successe subito dopo, ma certo non dimenticherò mai l’intenso sapore ciliegia delle sue labbra
Il bacio fu lungo, appassionato, violento. Le nostre lingue si inseguirono avidamente, senza lasciare tempo al respiro, poi finalmente la quiete.
Si staccò da me, respirava profondamente, quasi in affanno. Prese fiato pochi secondi, si avvicino di nuovo e tornò a baciarmi, questa volta più dolcemente. Le sue labbra si posarono delicate tra le mie, quasi arrendevoli, ma d’improvviso un morso mi trafisse il labbro inferiore; non me lo aspettavo, mi lasciai scappare persino un gridolino. Sorrise e prendemmo fiato per la seconda volta.
Francesca allungò l’indice della sua mano destra verso il mio labbro inferiore, ci trovò un pochino di sangue, mi chiese scusa, sorrise nuovamente. Il suo sorriso era meraviglioso. La tirai con forza tra le mie braccia. Le mie mani iniziarono a scivolare fameliche lungo le sue sinuose curve, infine si avvinghiarono strette al suo afrodisiaco fondoschiena, ineluttabilmente.
“Volevi farlo da almeno mezz’ora” mi disse risoluta.
“Si capiva così tanto?”, le domandai.
Mordicchiò il suo labbro inferiore poi rispose: “un pochino” e tornò a baciarmi.
Quel suo piccolo sensuale gesto con le labbra mi fece letteralmente perdere la testa.
Sfilai via impaziente, quasi violento, la sua camicetta bianca, ma alla visione della sensuale eleganza del suo intimo ricamato in pizzo persi immediatamente la mia irruenza; con un dito spinsi giù le spalline del reggiseno e scartai lentamente il mio regalo. Le sue tette erano piccole, ma sfacciatamente erotiche. Le baciai con desiderio, le leccai con avidità, le morsi con crudeltà.
Francesca, però, non restò inerme a subire la mia lussuriosa tortura, anzi dopo qualche istante cominciò a litigare freneticamente con i miei pantaloni. La cintura fece poca resistenza, il bottone superiore resistette di più, la zip si dileguò.
Riuscita nella sua piccola impresa, Francesca si liberò dalla mia presa, scese lentamente, si mise in ginocchio, mi guardò negli occhi e tirò giù l’ultima mia difesa. Avevo così tanta voglia addosso che il mio compagno di battaglia si presentò all’appuntamento in perfetta forma, alto e vigoroso.
Francesca lo scrutò per qualche istante poi lo strinse delicatamente tra le sue mani ed iniziò a solleticarlo. La sua mano destra si muoveva docile, su e giù, lunga la mia asta, mentre la sinistra giocava con il mio pallame. Letteralmente in balia di quelle piacevoli carezze chiusi gli occhi per un istante, ma immediatamente un brivido mi ridestò. Francesca aveva iniziato ad accarezzare con la sua lingua la base della mia verga e stava risalendo lenta verso la vetta. Il suo tocco era delicato, leggero, una sublime tortura.
Dopo qualche timoroso saliscendi, però, la sua lingua si fece ardita e vogliosa. Quello che era stato un erotico solletico si trasformò presto in una appassionata degustazione. Sentii il calore della sua lingua pervadere ogni centimetro della mia verga, poi finalmente mi fece suo. Il mio pene era in trappola dentro la sua bocca. La sua lingua avvolgeva e accarezzava lussuriosa dall’interno, senza sosta, mentre di fuori le sue labbra scivolavano su e giù lungo tutta la mia virilità, a volte lentamente, altre in modo frenetico. Per tutto il tempo Francesca non smise mai di guardami negli occhi, aveva chiaramente intenzione di farmi impazzire.
Ero in paradiso, ma non volevo restarci da solo.
Con non poca riluttanza tirai fuori il mio membro dalle fameliche grinfie di Francesca; la sollevai di peso e la feci sedere sulla scrivania. La mia abilità con cinture e bottoni si rivelò di gran lunga migliore della sua e in un istante il suo elegante pantalone nero andò a fare compagnia alla camicetta. Diversamente da quanto avevo immaginato Francesca non indossava affatto un tanga in pizzo, bensì un sensuale perizoma di un improbabile color verde padania.
Da buon meridionale, alla visione di tale oscenità non riuscii a trattenermi e con molta poca eleganza le dissi “mi sembra evidente che non avevi in programma di togliere i pantaloni davanti a un terrone”.
Sorrise, mi afferrò per la cravatta e tirando la mia testa giù, in mezzo alle sue gambe, disse: “che ne dici di usare la tua lingua in maniera più interessante?”.
Sembrava una domanda, ma in realtà era un ordine. Spostai di lato il suo perizoma e disvelai una piccola e curata striscia di pelo che indicava esattamente dove colpire. Il sapore della sua fica era acre e forte. Francesca era già molto bagnata ancora prima che cominciassi a leccare, ma sotto i colpi della mia lingua divenne un lago. Sentivo la mia barba umida dei suoi umori. Leccai con avidità e senza prendere fiato per qualche minuto, poi mi staccai da lei, tolsi un peletto dalla lingua e ricominciai.
Me la presi comoda, gustai ogni istante, ogni centimetro: assaporavo, leccavo, succhiavo e mordevo. I suoi gemiti erano afrodisiaci. Più la sentivo ansimare, più mi veniva duro, più avevo voglia di mangiarla. Mentre la mia lingua continuava imperterrita a titillare il suo clitoride, il mio dito medio si fece spazio nella sua fica. Era calda e stretta. Solleticai la parete superiore della sua vagina e Francesca sussultò. Feci spazio anche al dito indice e iniziai un massaggio più deciso; Francesca ormai mugolava senza sosta.
Continuai inflessibile il mio doppio lavoro di mano e di bocca finché non sentii la lingua inondata della sua eccitazione. Mi afferrò la testa, “ti voglio dentro”, mi disse.
Mi alzai dalla precaria posizione che avevo assunto per tuffarmi tra le sue cosce, sgranchii la schiena, presi le sue gambe tra le mie mani e la penetrai. Era meravigliosamente calda. I primi colpi furono di assestamento, lenti e profondi. Volevo che mi sentisse tutto dentro di lei. Poi pian piano il ritmo aumentò e un istante dopo stava mugolando di nuovo.
Con un pizzico di sarcasmo le dissi “Posso andare più piano, se preferisci”. Mi fulminò con gli occhi, prese le mie mani e le portò sul suo seno. Lo strinsi forte, tirai i suoi capezzoli ed al contempo affondavo i miei colpi.
Rallentai, ma restai li, dentro di lei, a godermi il momento e a prendere fiato; ero in affanno anch’io. Il mio compagno di battaglia, però, era ancora su di giri e, in preda all’eccitazione, sussultò un paio di volte; Francesca con lui.
Sfilai la mia verga e la feci girare. Tirai giù il suo terribile perizoma e con la punta della mia asta andai alla ricerca della sua fica; era ancora bagnatissima, entrai deciso e ricomincia a tamburellare con ritmo sempre diverso.
Sentendo crescere i decibel dei suoi urletti, mi aggrappai con forza alla sue natiche, la tirai a me e diedi ancora più energia ai miei colpi. Dritto davanti ai miei occhi il buchetto del suo culo aperto faceva crescere la mia eccitazione e con essa l’intensità delle mie spinte. Dopo un minuto circa la cadenza delle mie stoccate era frenetica e i mugolii di Francesca si erano ormai trasformati in una specie di continuo incessante piagnucolio.
Riuscii a darle una sferzata con un sonoro schiaffo sul culo; il suo urlo riecheggio nello studio vuoto. Raccolsi i suoi capelli in parte appiccicati alla schiena a causa del sudore, ne feci una piccola coda e la tirai a me; si avvicinò così tanto che riuscii a morderle l’orecchio.
Sotto l’incessante battere dei miei colpi Francesca si lascio andare del tutto, inarcò completamente la schiena, poi disse “non ce la faccio…non ce la faccio” e la sentii esplodere dentro. Era fradicia. Si accasciò spiaccicando le sue tettine sudate sulla scrivania.
Era stanca, respirava faticosamente, anzi era in affanno. Il suo viso era ambiguo, sembrava soddisfatta o forse dolorante, non ne sono certo. Ogni tanto sussultava ancora un pochino, sentivo la sua vagina contrarsi.
Presi fiato anch’io. Il buchetto del suo culo, però, era sempre drammaticamente davanti ai miei occhi. Senza pensarci troppo, iniziai a solleticarlo con le dita mentre la mia verga, ancora non sazia, si agitava dentro di lei.
Francesca accasciò la testa sulla scrivania, con le mani si aggrappo alla sue natiche e mi aprì la via. Sfilai il mio cazzo dalla sua fica e, sollevandomi un po, mirai al bersaglio più ambito e proibito. Il buco era molto stretto, ma il lubrificante naturale donato dal suo orgasmo aiutò parecchio. Entrai piano, mi feci spazio dolcemente, fu lei a dettarmi i tempi.
Ancora una volta i primi colpi furono molto lenti, ma questa volta entrambi andammo su di giri parecchio velocemente. Eravamo in perfetta sinergia. La mia verga vagabondava dentro il suo culo decisa. Dopo neanche un minuto stavo ormai stantuffando con veemenza. Colpivo, affondavo e godevo. Francesca ad ogni colpo emetteva dei piccoli gridolini a metà strada tra piacere e dolore.
Stavo per esplodere, resistetti ancora una po, lei aveva ricominciato a mugolare.
Con una mano cercai il suo clitoride, con l’altra affondai ancora una schiaffo sulla sua natica destra; urlò molto più forte di prima. Ero al limite, anzi ben oltre il limite. Mi aggrappai di nuovo ai suoi capelli, la tirai con forza e affondai i miei ultimi colpi, ma nella concitazione del momento la mia verga si sfilò dal suo buco e purtroppo era troppo tardi per rientrare. Maledizione!
Feci appena in tempo ad appoggiare la mia asta sulla sua natica destra, ancora tatuata del palmo della mia mano, e arrivò l’orgasmo.
Il primo schizzo fu violento e leggero, terminò la sua corsa alla base del collo di Francesca; per fortuna avevo ancora i suoi capelli tra le mie mani.
Il secondo e terzo schizzo più densi raggiungessero quasi simultanei il centro della sua schiena.
Il quarto, invece, restò lì sulle natiche di Francesca, dove in fondo tutto era cominciato.
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