La mia prima gloriosa figura di merda
di
Il-legale
genere
comici
A diciassette anni tutto sembra difficile, specie con le ragazze.
Durante il quarto anno di liceo scientifico presi una cotta per una ragazza un anno più piccola di me. Non era una di quelle ragazze che ti volti a guardare quando passa nei corridoi, ma ai miei occhi era semplicemente bellissima. Aveva lunghi e indomabili ricci di colore rosso e una leggerissima nuvoletta di lentiggini sul naso, deliziosa cornice di meravigliosi occhi color smeraldo.
Ricordo di averla notata per la prima volta nel corso di un’assemblea d’istituto. Era seduta due posti più in là del mio; durante una pausa mi chiese di farle spazio per uscire e ci fu un fugace scambio di sguardi. Fu la mia fine. La inseguii con gli occhi come il ferro attirato dalla calamita, poi sparì dietro la porta d’ingresso dell’aula magna.
Ci misi poco a scoprire tutto di lei, si chiamava Raffaella e frequentava la terza D. Nei giorni a seguire la incontrai ancora un paio di volte e quell’incrocio di sguardi avuto in aula magna si ripetè magicamente. In realtà all’inizio credevo di essermi immaginato tutto, ma una mattina, durante il solito maldestro tentativo di sciopero contro la riforma della scuola, mi avvicinò per chiedermi cosa stava succedendo. Eravamo in settecento circa e lo chiese a me, non poteva essere un caso.
Ci presentammo e scambiammo qualche parole, aveva una voce dolcissima. Lo sciopero andò a farsi benedire in un battito di ciglia e alla fine la persi di vista in mezzo alla folla, dopo un fugace saluto. A quel punto non avevo più dubbi: dovevo invitarla ad uscire. Purtroppo all’epoca i telefonini ancora non esistevano e, come non bastasse, Raffaella si muoveva quasi sempre insieme ad un’amica. La strada era decisamente in salita.
Il giorno seguente, però, per una fortunata coincidenza la incrociai sola soletta nei corridoi. La chiesi se aveva qualche minuto per parlare, ma lei mi disse che doveva rientrare di fretta in classe, perché il suo prof. di matematica era un vero rompiscatole. Probabilmente notò la delusione sul mio volto e, senza lasciarmi il tempo di replicare, mi propose di vederci all’uscita, davanti al cancello della scuola. Accettai immediatamente.
Era tutto perfetto, avevo finalmente la mia occasione, se non fosse che…
Quel giorno era il compleanno di mia nonna e all’uscita di scuola sarebbero venuti a prendermi i miei genitori per andare da lei a pranzo. Avevo letteralmente i minuti contati. Nelle tre ore che mi separavano all’incontro con Raffaella preparai ogni parola del mio discorso con minuziosa attenzione. Provai ad infilarci anche un piccolo complimento per iniziare, ma ogni volta che lo ripetevo nella mia testa sembrava sempre più ridicolo, quindi decisi di cancellarlo dal programma. Dopo non poca fatica ero finalmente pronto; più o meno.
Quando alle 13.30 suonò la campana uscii di gran corsa per l’emozione. Mi appostai ad un lato del cancello d’ingresso con atteggiamento discretamente figo. Per fortuna l’auto dei miei ancora non si vedeva. Raffaella si fece attendere per un tempo che mi sembrò prossimo all’infinito, poi finalmente uscì. Ricordo la sua immagine come se fosse qui davanti a me ora. Indossava converse di colore nero, un pantalone a vita bassa leggermente a zampa e una T-shirt bianca con una stampa, corta a sufficienza da far intravedere un po’ di pancia (rigorosamente piatta), ma non abbastanza da mostrare l’ombelico. Lo zaino era sulla spalla destra e il suo incedere, leggermente ancheggiante, mi fece girare la testa.
Come ovvio che fosse, nel mezzo minuto circa che Raffaella ci mise per raggiungere il cancello, dimenticai ogni parola che avevo progettato.
Ciao.
Ciao.
Allora, come è andata la tua giornata? Il prof. di matematica ha rotto le scatole?
Mi rispose che non aveva avuto nessun problema, anche perché quando era rientrata in classe il prof. era intento a massacrare di domande sui radicali un suo compagno. Pronunciò quelle parole con tono divertito e quando finì fece un piccolissimo sorriso, che le arricciò leggermente il naso. Ero letteralmente imbambolato.
Allora, volevi dirmi qualcosa?
In effetti si…
Non riuscii a concludere la frase.
Proprio mentre stavo per dirle “volevo chiederti se ti andava di uscire con me una di queste sera” la voce di mia madre squarciò la mia indecisione ed al contempo la mia dignità.
Mattia, amore, noi siamo qui, dai che la nonna ci aspetta…saluta la tua amica che è tardissimo, dobbiamo andare.
Raffaella trattenne a fatica lo scoppio di una più che legittima risata ed io avvampai, facendo invidia ai suoi meravigliosi capelli rossi.
Raschiando dal fondo del barile del mio orgoglio, trovai la forza per chiederle scusa per quell’osceno siparietto, poi mi dileguai, con la ferma intenzione di non tornare a scuola, almeno per le seguenti tantemila settimane.
Fine
Ps preciso che i nomi sono di pura fantasia.
Durante il quarto anno di liceo scientifico presi una cotta per una ragazza un anno più piccola di me. Non era una di quelle ragazze che ti volti a guardare quando passa nei corridoi, ma ai miei occhi era semplicemente bellissima. Aveva lunghi e indomabili ricci di colore rosso e una leggerissima nuvoletta di lentiggini sul naso, deliziosa cornice di meravigliosi occhi color smeraldo.
Ricordo di averla notata per la prima volta nel corso di un’assemblea d’istituto. Era seduta due posti più in là del mio; durante una pausa mi chiese di farle spazio per uscire e ci fu un fugace scambio di sguardi. Fu la mia fine. La inseguii con gli occhi come il ferro attirato dalla calamita, poi sparì dietro la porta d’ingresso dell’aula magna.
Ci misi poco a scoprire tutto di lei, si chiamava Raffaella e frequentava la terza D. Nei giorni a seguire la incontrai ancora un paio di volte e quell’incrocio di sguardi avuto in aula magna si ripetè magicamente. In realtà all’inizio credevo di essermi immaginato tutto, ma una mattina, durante il solito maldestro tentativo di sciopero contro la riforma della scuola, mi avvicinò per chiedermi cosa stava succedendo. Eravamo in settecento circa e lo chiese a me, non poteva essere un caso.
Ci presentammo e scambiammo qualche parole, aveva una voce dolcissima. Lo sciopero andò a farsi benedire in un battito di ciglia e alla fine la persi di vista in mezzo alla folla, dopo un fugace saluto. A quel punto non avevo più dubbi: dovevo invitarla ad uscire. Purtroppo all’epoca i telefonini ancora non esistevano e, come non bastasse, Raffaella si muoveva quasi sempre insieme ad un’amica. La strada era decisamente in salita.
Il giorno seguente, però, per una fortunata coincidenza la incrociai sola soletta nei corridoi. La chiesi se aveva qualche minuto per parlare, ma lei mi disse che doveva rientrare di fretta in classe, perché il suo prof. di matematica era un vero rompiscatole. Probabilmente notò la delusione sul mio volto e, senza lasciarmi il tempo di replicare, mi propose di vederci all’uscita, davanti al cancello della scuola. Accettai immediatamente.
Era tutto perfetto, avevo finalmente la mia occasione, se non fosse che…
Quel giorno era il compleanno di mia nonna e all’uscita di scuola sarebbero venuti a prendermi i miei genitori per andare da lei a pranzo. Avevo letteralmente i minuti contati. Nelle tre ore che mi separavano all’incontro con Raffaella preparai ogni parola del mio discorso con minuziosa attenzione. Provai ad infilarci anche un piccolo complimento per iniziare, ma ogni volta che lo ripetevo nella mia testa sembrava sempre più ridicolo, quindi decisi di cancellarlo dal programma. Dopo non poca fatica ero finalmente pronto; più o meno.
Quando alle 13.30 suonò la campana uscii di gran corsa per l’emozione. Mi appostai ad un lato del cancello d’ingresso con atteggiamento discretamente figo. Per fortuna l’auto dei miei ancora non si vedeva. Raffaella si fece attendere per un tempo che mi sembrò prossimo all’infinito, poi finalmente uscì. Ricordo la sua immagine come se fosse qui davanti a me ora. Indossava converse di colore nero, un pantalone a vita bassa leggermente a zampa e una T-shirt bianca con una stampa, corta a sufficienza da far intravedere un po’ di pancia (rigorosamente piatta), ma non abbastanza da mostrare l’ombelico. Lo zaino era sulla spalla destra e il suo incedere, leggermente ancheggiante, mi fece girare la testa.
Come ovvio che fosse, nel mezzo minuto circa che Raffaella ci mise per raggiungere il cancello, dimenticai ogni parola che avevo progettato.
Ciao.
Ciao.
Allora, come è andata la tua giornata? Il prof. di matematica ha rotto le scatole?
Mi rispose che non aveva avuto nessun problema, anche perché quando era rientrata in classe il prof. era intento a massacrare di domande sui radicali un suo compagno. Pronunciò quelle parole con tono divertito e quando finì fece un piccolissimo sorriso, che le arricciò leggermente il naso. Ero letteralmente imbambolato.
Allora, volevi dirmi qualcosa?
In effetti si…
Non riuscii a concludere la frase.
Proprio mentre stavo per dirle “volevo chiederti se ti andava di uscire con me una di queste sera” la voce di mia madre squarciò la mia indecisione ed al contempo la mia dignità.
Mattia, amore, noi siamo qui, dai che la nonna ci aspetta…saluta la tua amica che è tardissimo, dobbiamo andare.
Raffaella trattenne a fatica lo scoppio di una più che legittima risata ed io avvampai, facendo invidia ai suoi meravigliosi capelli rossi.
Raschiando dal fondo del barile del mio orgoglio, trovai la forza per chiederle scusa per quell’osceno siparietto, poi mi dileguai, con la ferma intenzione di non tornare a scuola, almeno per le seguenti tantemila settimane.
Fine
Ps preciso che i nomi sono di pura fantasia.
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