Sono tutti uguali
di
Il-legale
genere
etero
“Sono tutti uguali, quante volte devo dirtelo, nessuno escluso”.
Le parole di Federica continuavano a rimbombarle nella testa come il rumore del martello pneumatico che poco fuori dal negozio stava distruggendo la strada.
“Clara, fidati di una che ha qualche hanno in più di te, gli uomini sono fatti così, se hanno un'occasione la prendono”.
Non poteva davvero essere così, non poteva essere che Alberto, il suo Alberto, fosse così. Certo non era sicura del tradimento, aveva intravisto solo di sfuggita alcuni messaggi, ma quel nome sullo schermo del telefonino proprio non riusciva a dimenticarlo; chi diavolo era Roberta e perché gli scriveva a mezzanotte. E poi c’erano da considerare i continui ritardi e la bugia sul calcetto, troppe cose non tornavano; forse Federica aveva ragione.
“Anzi ti dirò di più…non sono neanche sicura lo facciano apposta, gli uomini tradiscono e basta”.
Federica era più o meno il capo del negozio, in pratica gestiva tutto per conto della proprietà. Con un matrimonio fallito alle spalle e senza figli, a soli 42 anni si era ritrovata a dedicare anima e corpo al lavoro, ed era diventata la migliore. Da quando Clara era arrivata in negozio le si era affezionata come fosse una sorella piccola; le dava sempre consigli, anche se a volte era molto dura. Il suo pregio più grande era certamente la sincerità, sebbene quasi mai mitigata dalla sensibilità nei modi. Federica spiattellava la dura verità in faccia a tutti, ma poi rimaneva sempre a raccogliere i cocci. In amore aveva incontrato una lunga sequela di emeriti stronzi, per cui da un po’ di tempo aveva deciso di divertirsi e lo stava facendo alla grande, molto più che da ragazzina. A suo dire, infatti, l’esperienza le aveva donato una discreta lasciva spigliatezza, con annesse grandiosi scopate, o almeno così sembrava dai suoi racconti.
“Sono tutti uguali, Clara, rassegnati…e te lo dimostro”.
Clara rimase interdetta da quell’ultima frase, non riusciva proprio ad immaginare cosa mai potesse significare. Poi vide Federica puntare decisa verso un uomo sulla cinquantina, brizzolato e di bell’aspetto, che era appena entrato in negozio; aveva la fede al dito. Federica lo avvicinò furtiva chiedendogli se poteva aiutarlo; sorrideva, ammiccava, dava consigli, tutto come al solito, nulla di strano. Il cliente chiese di provare una polo e una camicia e Federica gli fece strada. Invece di dirigersi verso i camerini, però, con la scusa di alcuni lavori, condusse lo sconosciuto avventore verso lo spogliatoio di noi commessi; in pratica due stanzini come i camerini ma con una vera porta al posto delle tende. Clara continuava ad osservare tutto attentamente da lontano, ma senza capirci un bel niente.
“Mi scusi non ho sentito…”
Federica disse quelle cinque parole ad alta voce, poi fece un occhiolino di complicità all'amica ed entrò risoluta nello spogliatoio. Clara non riusciva a credere ai suoi occhi, ma soprattutto era incerta sul da farsi se fosse entrato qualche cliente. Per certi aspetti invidiava la determinazione della sua amica, ma per certi altri la giudicava folle; quasi si sentiva in imbarazzo per lei. In un primo momento la sua decisione fu quella di rimanere lontano e cercare di non pensare a quanto accadeva nello spogliatoio, ma poi la curiosità prevalse e si ritrovò incapace di non sbirciare le contorte ombre che fuggivano da sotto la porta. Qualche istante più tardi il martello pneumatico, che da giorni aveva preso il posto della musica nel negozio, cessò di colpo il suo furibondo fracasso e i versi di libidinoso godimento del cliente presero il sopravvento. Clara corse velocissima ad accendere la musica, mentre un divampante rossore le imporporò le guance. Era nel panico, non sapeva cosa fare, il cuore le batteva forte, ed una assurda, inaspettata e illogica eccitazione iniziava a farsi strada tra le sue cosce.
Un minuto più tardi Federica uscì dallo spogliatoio e chiese a Clara un fazzoletto di carta con il quale ripulì frettolosamente le labbra; era chiaramente ignara del fiotto di sperma impiastricciato nei suoi capelli.
“Il signore prende sia la polo che la camicia e te lo ribadisco sono tutti uguali…fai tu cassa?”
Le parole di Federica continuavano a rimbombarle nella testa come il rumore del martello pneumatico che poco fuori dal negozio stava distruggendo la strada.
“Clara, fidati di una che ha qualche hanno in più di te, gli uomini sono fatti così, se hanno un'occasione la prendono”.
Non poteva davvero essere così, non poteva essere che Alberto, il suo Alberto, fosse così. Certo non era sicura del tradimento, aveva intravisto solo di sfuggita alcuni messaggi, ma quel nome sullo schermo del telefonino proprio non riusciva a dimenticarlo; chi diavolo era Roberta e perché gli scriveva a mezzanotte. E poi c’erano da considerare i continui ritardi e la bugia sul calcetto, troppe cose non tornavano; forse Federica aveva ragione.
“Anzi ti dirò di più…non sono neanche sicura lo facciano apposta, gli uomini tradiscono e basta”.
Federica era più o meno il capo del negozio, in pratica gestiva tutto per conto della proprietà. Con un matrimonio fallito alle spalle e senza figli, a soli 42 anni si era ritrovata a dedicare anima e corpo al lavoro, ed era diventata la migliore. Da quando Clara era arrivata in negozio le si era affezionata come fosse una sorella piccola; le dava sempre consigli, anche se a volte era molto dura. Il suo pregio più grande era certamente la sincerità, sebbene quasi mai mitigata dalla sensibilità nei modi. Federica spiattellava la dura verità in faccia a tutti, ma poi rimaneva sempre a raccogliere i cocci. In amore aveva incontrato una lunga sequela di emeriti stronzi, per cui da un po’ di tempo aveva deciso di divertirsi e lo stava facendo alla grande, molto più che da ragazzina. A suo dire, infatti, l’esperienza le aveva donato una discreta lasciva spigliatezza, con annesse grandiosi scopate, o almeno così sembrava dai suoi racconti.
“Sono tutti uguali, Clara, rassegnati…e te lo dimostro”.
Clara rimase interdetta da quell’ultima frase, non riusciva proprio ad immaginare cosa mai potesse significare. Poi vide Federica puntare decisa verso un uomo sulla cinquantina, brizzolato e di bell’aspetto, che era appena entrato in negozio; aveva la fede al dito. Federica lo avvicinò furtiva chiedendogli se poteva aiutarlo; sorrideva, ammiccava, dava consigli, tutto come al solito, nulla di strano. Il cliente chiese di provare una polo e una camicia e Federica gli fece strada. Invece di dirigersi verso i camerini, però, con la scusa di alcuni lavori, condusse lo sconosciuto avventore verso lo spogliatoio di noi commessi; in pratica due stanzini come i camerini ma con una vera porta al posto delle tende. Clara continuava ad osservare tutto attentamente da lontano, ma senza capirci un bel niente.
“Mi scusi non ho sentito…”
Federica disse quelle cinque parole ad alta voce, poi fece un occhiolino di complicità all'amica ed entrò risoluta nello spogliatoio. Clara non riusciva a credere ai suoi occhi, ma soprattutto era incerta sul da farsi se fosse entrato qualche cliente. Per certi aspetti invidiava la determinazione della sua amica, ma per certi altri la giudicava folle; quasi si sentiva in imbarazzo per lei. In un primo momento la sua decisione fu quella di rimanere lontano e cercare di non pensare a quanto accadeva nello spogliatoio, ma poi la curiosità prevalse e si ritrovò incapace di non sbirciare le contorte ombre che fuggivano da sotto la porta. Qualche istante più tardi il martello pneumatico, che da giorni aveva preso il posto della musica nel negozio, cessò di colpo il suo furibondo fracasso e i versi di libidinoso godimento del cliente presero il sopravvento. Clara corse velocissima ad accendere la musica, mentre un divampante rossore le imporporò le guance. Era nel panico, non sapeva cosa fare, il cuore le batteva forte, ed una assurda, inaspettata e illogica eccitazione iniziava a farsi strada tra le sue cosce.
Un minuto più tardi Federica uscì dallo spogliatoio e chiese a Clara un fazzoletto di carta con il quale ripulì frettolosamente le labbra; era chiaramente ignara del fiotto di sperma impiastricciato nei suoi capelli.
“Il signore prende sia la polo che la camicia e te lo ribadisco sono tutti uguali…fai tu cassa?”
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