56
di
PabloN
genere
prime esperienze
Agosto, mese in cui la città si svuota per le ferie estive. Solo pochi sfigati restano qui, a cuocere in questa calura asfissiante. Potevo io non far parte del numero? Ovvio che no.
A 16 anni sono l’unico dei miei amici a non lasciare Torino. Figlio di un operaio e di una portinaia non conosco il significato della parola vacanza. Passiamo in quel buco tutto l’anno. Passi per l’inverno, ma l’estate è una tortura.
Niente da fare, nessuno con cui uscire. Che mi resta?
Passo i pomeriggi girovagando senza meta, tanto con il mio abbonamento studentesco posso usare qualunque mezzo come mi pare.
Mi piace questa città, i suoi monumenti, le piazze. Si respira la storia tra queste case che ricordano le vie parigine. Averla vista, Parigi!
È tardi, sono stanco. Mi sa che rientro nel forno di casa.
Eccolo qui, il mio Bus. 56. Ne conosco ogni fermata a memoria. Persino posso prevedere chi possa salire o scendere. Ma in questo mese di agosto anche lui sembra sperduto, vuoto di corpi e di voci.
Mi siedo in fondo, mi aspetta un viaggetto.
E questa chi è?
Una ragazza di, forse, vent’anni. Una tuta leggera, capelli corvini alle spalle.
La osservo. Non si siede, resta in piedi presso la porta di uscita. Avrà poche fermate.
La luce cambia, ora la investe dal finestrino di fronte.
Strabuzzo gli occhi, forse il caldo mi sta giocando brutti scherzi.
Vedo le sue gambe sotto la tuta. Dai piedi, chiusi in scarpe con tacco, curati, risalgo la pelle. Seguo i polpacci, le cosce e la forma di quei glutei che sembrano non aver nessuna conoscenza delle leggi di Newton. Una gamba leggermente piegata, l’altra tesa, evidenzia una forma perfetta. Si gira appena e lo slip che porta la sotto mi appare. Cosa nascondi crudele pezzo di stoffa? Il triangolo sembra quasi indicare dove debba posarsi lo sguardo.
Ho la bocca secca, e non credo sia solo la calura estiva.
Ancora su, sul ventre. Potrei morirci sul tuo corpo, ignara sconosciuta che sconvolgi i miei sensi. Ti pieghi a controllare la fermata e i tuoi seni turgidi si offrono al mio sguardo avvolti appena dal tuo reggiseno.
Ancora non conosco corpo di donna, ma il mio si protende verso di te, inarrestabile. Vorrei frenare questo tumulto, l’erezione si fa quasi dolorosa e mi sento avvampare, eccitato e imbarazzato. La parte più ancestrale di me ulula, sa senza che io sappia. Sa dove dirigersi, e lo fa senza vergogna o pudore.
Scendi ti prego, meravigliosa sconosciuta, che oggi, in un pomeriggio di agosto, puoi aggiungere alle tue conquiste uno sfigato di sedici anni di cui mai nulla saprai.
Lei resta, sono io a scendere rapido alla mia fermata, passandole accanto, respirando come un predatore il suo profumo di donna.
Veloce la chiave entra nella toppa, veloce guadagno il bagno agognato. Finalmente la mano trova le tensione del sesso e le dona pace in un getto lattescente incontrollabile.
Non ti ho nemmeno sfiorata, ma sarai per sempre la prima, ignara di tutto.
A 16 anni sono l’unico dei miei amici a non lasciare Torino. Figlio di un operaio e di una portinaia non conosco il significato della parola vacanza. Passiamo in quel buco tutto l’anno. Passi per l’inverno, ma l’estate è una tortura.
Niente da fare, nessuno con cui uscire. Che mi resta?
Passo i pomeriggi girovagando senza meta, tanto con il mio abbonamento studentesco posso usare qualunque mezzo come mi pare.
Mi piace questa città, i suoi monumenti, le piazze. Si respira la storia tra queste case che ricordano le vie parigine. Averla vista, Parigi!
È tardi, sono stanco. Mi sa che rientro nel forno di casa.
Eccolo qui, il mio Bus. 56. Ne conosco ogni fermata a memoria. Persino posso prevedere chi possa salire o scendere. Ma in questo mese di agosto anche lui sembra sperduto, vuoto di corpi e di voci.
Mi siedo in fondo, mi aspetta un viaggetto.
E questa chi è?
Una ragazza di, forse, vent’anni. Una tuta leggera, capelli corvini alle spalle.
La osservo. Non si siede, resta in piedi presso la porta di uscita. Avrà poche fermate.
La luce cambia, ora la investe dal finestrino di fronte.
Strabuzzo gli occhi, forse il caldo mi sta giocando brutti scherzi.
Vedo le sue gambe sotto la tuta. Dai piedi, chiusi in scarpe con tacco, curati, risalgo la pelle. Seguo i polpacci, le cosce e la forma di quei glutei che sembrano non aver nessuna conoscenza delle leggi di Newton. Una gamba leggermente piegata, l’altra tesa, evidenzia una forma perfetta. Si gira appena e lo slip che porta la sotto mi appare. Cosa nascondi crudele pezzo di stoffa? Il triangolo sembra quasi indicare dove debba posarsi lo sguardo.
Ho la bocca secca, e non credo sia solo la calura estiva.
Ancora su, sul ventre. Potrei morirci sul tuo corpo, ignara sconosciuta che sconvolgi i miei sensi. Ti pieghi a controllare la fermata e i tuoi seni turgidi si offrono al mio sguardo avvolti appena dal tuo reggiseno.
Ancora non conosco corpo di donna, ma il mio si protende verso di te, inarrestabile. Vorrei frenare questo tumulto, l’erezione si fa quasi dolorosa e mi sento avvampare, eccitato e imbarazzato. La parte più ancestrale di me ulula, sa senza che io sappia. Sa dove dirigersi, e lo fa senza vergogna o pudore.
Scendi ti prego, meravigliosa sconosciuta, che oggi, in un pomeriggio di agosto, puoi aggiungere alle tue conquiste uno sfigato di sedici anni di cui mai nulla saprai.
Lei resta, sono io a scendere rapido alla mia fermata, passandole accanto, respirando come un predatore il suo profumo di donna.
Veloce la chiave entra nella toppa, veloce guadagno il bagno agognato. Finalmente la mano trova le tensione del sesso e le dona pace in un getto lattescente incontrollabile.
Non ti ho nemmeno sfiorata, ma sarai per sempre la prima, ignara di tutto.
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