Regionale express
di
King David
genere
etero
Eri cinque o sei sedili avanti a me, di fronte. Mi accorgo di te al km 15. Donna di cinquant’anni, mora, la carnagione chiara. I polpacci scolpiti. Sai di avere delle belle gambe e non le nascondi. Da ragazza avevi il record provinciale sugli 800 metri. Mezzofondista significa gambe e polmoni. Oltre a quelli hai delle belle tette. Non giganti ma proporzionate. E hai dei capezzoli che parlano. Loro si che sono giganti. Mi accorgo che mi guardi perché sono loro a guardarmi per primi. Il corpo si accorge di queste cose prima degli occhi, prima del cervello. Comincio a guardarti, senza nasconderlo. E tu fai lo stesso. Apro le gambe, inarco la schiena al sedile facendo spazio nella tua mente, insinuando il pensiero che tu sia qui a prenderlo in bocca. Tu rispondi accavallando le gambe velocemente, quasi a scongiurare quel pensiero. Ma poi mi lanci un segnale slacciandoti i sandali dietro il tallone. E facendo dondolare quello legato al piede sospeso, che muovi in maniera un po’ isterica. I segnali del corpo sono importanti. L’inquietudine è l’anticamera del desiderio, l’inquietudine crea spazio nelle nostre certezze, scuote l’istinto, scuote gli ormoni, li riattiva.
Siamo di fronte alla porta per scendere. Dove andiamo? Dico. I bagni fanno schifo, risponde. Scendiamo alla prossima. Lei guarda l’ora, annuisce. Appena scesi ci prendiamo per mano. È più piccola di quanto pensassi, ma ha i piedi lunghi, un quaranta abbondante, e affusolati. C’e Qualcosa nelle donne piccole coi piedi lunghi. C’e Inquietudine, crescita sproporzionata, tappe bruciate e altre soffocate. È che ho fatto anche nuoto, per diversi anni - mi dice lei, accorgendosi che li guardavo. Sono meravigliosi - le dico. Poi mi avvicino al suo orecchio: ti voglio scopare tutta, ti voglio scopare anche i piedi. Lei mi abvraccia.
La prendo e la faccio sedere su un masso in cemento, in fondo a un binario morto. Lei apre le gambe, davanti a me. Si tira su la gonna, di raso, sento un afrore che sa di donna intelligente, del nord, ma adulta, risoluta e umile. La sento con le mani ed è bagnata. Allora la giro. Facciamo come i lupi, le dico. Senza spogliarla le tolgo le mutande, e la lecco da dietro. È pelosa, sul pube e intorno all’ano. Scusa - mi dice - non ho avuto proprio tempo di farmi la ceretta in questi giorni. Non fartela mai, le dico. Allora mi piaci, mi dice. Entrami altrimenti vengo. Spingo forte, lei ormai è fradicia. Sono piena, farò un disastro, mi dice. Dovrai buttare la camicia. Vienimi addosso, le dico, bagnami il cazzo. Poi però te la sento anche con la bocca. Mi viene addosso ed è come se mi fosse esploso un serbatoio davanti. Io vengo dopo di lei, le vengo dentro mentre le mie mani stringono i suoi fianchi con furore. Subito si stacca. Scusa ma devo fare la pipì - mi dice. Si mette accanto a quel massi di cemento, chinata, a pisciare. Vieni qui, mi fa, senza nemmeno alzarsi da accucciata. Me lo prende in bocca e me lo pulisce. Hai un odore buono, mi dice. Non cambiare.
La aiuto a rialzarsi. A rivestirsi. Ora devo andare - mi fa. Mi aspettano a casa. Il prossimo interregionale passa tra 3 minuti.
Siamo di fronte alla porta per scendere. Dove andiamo? Dico. I bagni fanno schifo, risponde. Scendiamo alla prossima. Lei guarda l’ora, annuisce. Appena scesi ci prendiamo per mano. È più piccola di quanto pensassi, ma ha i piedi lunghi, un quaranta abbondante, e affusolati. C’e Qualcosa nelle donne piccole coi piedi lunghi. C’e Inquietudine, crescita sproporzionata, tappe bruciate e altre soffocate. È che ho fatto anche nuoto, per diversi anni - mi dice lei, accorgendosi che li guardavo. Sono meravigliosi - le dico. Poi mi avvicino al suo orecchio: ti voglio scopare tutta, ti voglio scopare anche i piedi. Lei mi abvraccia.
La prendo e la faccio sedere su un masso in cemento, in fondo a un binario morto. Lei apre le gambe, davanti a me. Si tira su la gonna, di raso, sento un afrore che sa di donna intelligente, del nord, ma adulta, risoluta e umile. La sento con le mani ed è bagnata. Allora la giro. Facciamo come i lupi, le dico. Senza spogliarla le tolgo le mutande, e la lecco da dietro. È pelosa, sul pube e intorno all’ano. Scusa - mi dice - non ho avuto proprio tempo di farmi la ceretta in questi giorni. Non fartela mai, le dico. Allora mi piaci, mi dice. Entrami altrimenti vengo. Spingo forte, lei ormai è fradicia. Sono piena, farò un disastro, mi dice. Dovrai buttare la camicia. Vienimi addosso, le dico, bagnami il cazzo. Poi però te la sento anche con la bocca. Mi viene addosso ed è come se mi fosse esploso un serbatoio davanti. Io vengo dopo di lei, le vengo dentro mentre le mie mani stringono i suoi fianchi con furore. Subito si stacca. Scusa ma devo fare la pipì - mi dice. Si mette accanto a quel massi di cemento, chinata, a pisciare. Vieni qui, mi fa, senza nemmeno alzarsi da accucciata. Me lo prende in bocca e me lo pulisce. Hai un odore buono, mi dice. Non cambiare.
La aiuto a rialzarsi. A rivestirsi. Ora devo andare - mi fa. Mi aspettano a casa. Il prossimo interregionale passa tra 3 minuti.
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