Asparagina di primavera / 1

di
genere
etero

QUESTO RACCONTO SEGUE ‘PARIGINA D’AUTUNNO’ , RIPUBBLICATO QUALCHE SETTIMANA FA.

“So che sei tornato. Mi verresti ad aiutare? “

Il suo messaggio mi arriva un sabato mattina di aprile. Tornato da due giorni a Parigi dopo cinque mesi di lavoro a Dubai, mandato in trasferta dalla mia società di ingegneria. Cinque mesi di sole accecante e folate di sabbia sui vetri dei grattacieli e sulla mia pelle e sul mio spirito. Annullate tutte le relazioni umane se non quelle professionali e quelle fugaci con donne orientali dal nome sconosciuto conosciute nei bordelli nascosti dagli Emirati. Cominciavo ad avere nostalgia della Francia e dell’Europa, vecchia e decadente ma forse ancora normale e umana.

Quando arrivo di fronte al suo appartamento trovo la porta socchiusa ed entro. Rumore di phon dal bagno. Mi avvicino con discrezione, sperando di non disturbare. Lei mi fa cenno di andare. È davanti allo specchio che si asciuga i capelli. In accappatoio rosa e verde troppo grande e sgualcito. Si intravede dal lembo di tessuto un piccolo seno puntuto. Lei fa per coprirsi ma nemmeno troppo. Mi guarda e fa un sorriso stretto con la sigaretta in bocca. Sono io che mi allontano per decenza. Che è forse anche ipocrita avendola già vista nuda per intero e avendola penetrata con estremo piacere solo cinque mesi prima. Ma sono un uomo dalla memoria corta.

Mi nascondo dietro lo stipite della porta e urlo: “come ti posso aiutare allora?”.
Lei spegne il phon. Si affaccia. Sorride di nuovo.
“Ciao caro. Come stai? Ti piacciono i miei capelli?”
Li ha tagliati più corti, li ha ossigenati, c’è una ricrescita poco naturale, affilata come il suo accento francese,
“Dovresti aiutarmi a spostare il nuovo materasso in camera” mi dice. “È nel terrazzo sull’ammezzato”.

Scendo. Si tratta di un materasso a una piazza e mezza, ancora avvolto nella plastica. Ha un peso sconvolgente. Provo a caricarmelo sulle spalle ma senza successo. Lo trascino con fatica, gradino dopo gradino, fino a portarlo in casa. Scivolo lungo il corridoio, mi rivolgo verso quella che credo sia la camera da letto. Entro. C’è un telaio con le doghe di legno e lo adagio sopra.

“Devo togliere la plastica?”

Lei si affaccia sulla porta della camera. Mi dice di no con la testa. Si è vestita. Ha un abito a fuori. Dei collant color panna. Gli zoccoli del Dr Scholls. Si sta spalmando della crema sul viso.

“Sto morendo di fame e di sete” le dico
“Anche io” mi fa. “È tutto pronto”.

Andiamo in sala. Conoscendo la sua informalità, la sua disorganizzazione, la sua indifferenza nei confronti di qualunque uomo, di me innanzitutto, mi stupisce vedere una tavola imbandita e preparata per l’occasione. Al centro dei narcisi gialli e dei fiori recisi di magnolia giapponese. Una bottiglia di champagne in ghiaccio. Una torta pasqualina perfetta su un piatto di ceramica olandese, bianco e blu.

“Come mai?” Le chiedo

Perché ho tenuto fede al mio patto. Mi dice. Non ho visto un uomo da cinque mesi e mezzo, da quando ho visto te. E avevo voglia di rivederti, e avevo voglia di trattarti bene. Mi dice. Ovviamente non ho cucinato nulla di quello che vedi. Ho preso tutto al supermarchè.

Mi siedo. Quanto mi ha detto mi ha quasi commosso. Mi sento in dovere di chiederle come sta.

“Sto così così” mi fa. Le faccio cenno di andare avanti. “Mi sento un po’ sola. Ho avuto il COVID. Ho paura della guerra”. Le si gonfiano gli occhi di pioggia.

“Ho paura di diventare vecchia, in solitudine. E ho paura di non riuscire nemmeno a diventare vecchia, per quello che succede nel mondo. Mia sorella ha tre figli. Non so se ama suo marito, ma non è sola ed è felice. Io invece maledico la mia coerenza, che mi fa restare sola, e mi fa fare tante cose incoerenti”.

Mi mancavano le donne. Dopo cinque mesi a Dubai sentivo il bisogno di una donna europea. L’Europa è donna. È cervello e donna. È mamma che ha paura di restare sola, e di invecchiare.

Ho fame. Mangiamoci e beviamoci sopra. È Pasqua. Perdoniamoci e resuscitiamo. Capisco che oggi non posso essere che un oggetto nelle sue mani, per lenire il suo dolore. Ma questo era il patto, d’altronde. Era la promessa con cui mi aveva lasciato quella domenica pomeriggio piovosa di autunno. Glielo dico.

Lei ride. Poi si soffia il naso con un lembo della tovaglia. È pur sempre una donna francese.

L’aperitivo è a base di Jamon serrano e olive. Poi è il momento della torta pasqualina.

“È ora il piatto forte” mi fa. Va in cucina. Spadella per qualche minuto. Torna con una casseruola di asparagi ricoperti di uova all’occhio di bue, e del pane nero.

Mi dice di grattarci sopra del pepe. Di. Metterci un po’ di aceto balsamico.

“Mi ricordano mia nonna” le dico. “Anche la mia” mi fa. Intingo il pane nero nell’uovo e nel sugo di asparagi, e poi lo intingo nella mia bocca. Bevo un bicchiere di champagne. La guardo negli occhi malinconici. Tutto ha il sapore di un’Europa ferita e piangente. Nel giorno in cui tutto invece dovrebbe risorgere.

Mi alzo, mi avvicino a lei. Mi chino e la bacio in bocca, e lei sorpresa ma come se non aspettasse altro, si lascia andare. Poi si alza, sulle punte degli zoccoli, si appoggia a me, apre le gambe un poco per sentire meglio il mio desiderio ormai turgido, e prende la mia mano e se la porta sul sedere, invitandomi ad esplorare quel culo sodo come un uovo che si nasconde dietro l’abitino a fiori e sotto i collant fuori moda. La sua lingua si infila nella mia bocca, mi lascia i suoi umori, mi passa il suo dolore e la sua voglia di dimenticare tutto tramite i nostri corpi.

“Questo era solo l’aperitivo” mi fa. “ora assaggerai tutti i sapori che ho coltivato e sognato per te in questi cinque mesi, e io assaggerò i tuoi”.

Mi prende per mano, e mi trascina verso la camera. Comincerà una Pasqua indimenticabile.

[continua ...]
scritto il
2022-04-29
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