Asparagina di Primavera / 4 - Gran finale

di
genere
etero

No, non mi ero dimenticato del campanello. E purtroppo, o per fortuna, nemmeno lei. Tutto succede circa mezz’ora dopo la terza puntata. Almeno, questo è il tempo da me stimato, avendo ormai perso l’uso dell’orologio - dei polsi e delle braccia - e della vista. Mi mancano tutti i riferimenti spazio-temporali. L’unico perimetro è il piacere, che da piccolo uomo ho sempre pensato fosse un insieme finito di atti, combinabili a piacimento, ma limitati; fino a questa domenica di primavera.

Ecco, dopo circa mezz’ora sento riaprire la porta. Passi leggeri. Qualcuno sale sopra di me, e mi bacia. È lei. È il suo modo di baciare. Un bacio profondo e fraterno. Nella bocca sa di caffè.

- Sei tornata
- Si, sono tornata. Dimmi che hai ancora fame
- Perché, vuoi riprendere il gioco?

Lei ride. Sento che alla bocca mi si avvicina qualcosa.
- Prosciutto. Crudo, direi
- Poi?
- Avvolto intorno ad un pezzo di sedano, o finocchio
- Sedano. E?
- C’è qualcosa di dolce e piccante
- Ecco, cosa è?
Mastico. I semi hanno un sapore inconfondibile
- Mostarda?
- Che sensibilità. Ma solo mostarda?
- Si
- Continua a mangiare
Continuo a masticare quel sedano che mi entra in bocca poco alla volta.
- Ora tira un po’ coi denti – mi fa – e mastica
Eseguo.
- E quindi? Di cosa sa ancora?

Del sedano non c’è più traccia. Però percepisco un'altra pietanza, inconfondibile, un altro sapore, ancora più inconfondibile. Un anello morbido, contrattile. Difficile da mordere. Si lappa, si succhia, quell’anello. L’orifizio magico, immaginifico, il centro del volgare e del sublime.

- Ma questo…
Lei ride
- Ma tu sei completamente matta

La leggera peluria, qualche fibra residua di sedano, che entra nella mia bocca insieme al sapore del suo piacere appena acceso, e delle sue ultime ore di vita e di desiderio. Ansima, si lascia trastullare un po’ dalla mia lingua. Il mio cazzo che sembrava non ne volesse più sapere, si rizza d’improvviso come un sedano. Ma che dico, come un albero maestro. Però dura troppo poco, perché lei si stacca, si rialza, senza avviso, un sempre più sottile e fragile filo di saliva tra la mia bocca e il suo ano, fino a che sulla mia bocca non rimane più niente di quella donna, che da amica è diventata infinita.

- Dove vai? Cosa credi di fare?
Lei ride
- Non preoccuparti, ora arriva il gran finale – mi fa
- Perché? Deve finire per forza?
- Tutto finisce, altrimenti non ce lo potremmo mai ricordare

Ma allora non è infinita, penso. È saggia e diabolica.
- Non so se ho voglia di filosofeggiare, adesso
- E di cosa hai voglia – chiede lei
- Di scopare
- Di scoparmi
- Si
- Ah
- È possibile?
- Lo farai, ma prima, come nei pranzi matrimoniali, tra una portata e l’altra c’è il sorbetto
- Il sorbetto
- Si

Mi preparo, ammesso che in questa cosa in cui sono coinvolto ci si possa preparare. Sento ancora qualcuno salire sul letto. Qualcosa si avvicina di nuovo alla mia bocca. Un lembo di stoffa, ma completamente gelato, ghiacciato. Un gusto appena percettibile, forse di melone, profumato, floreale. Un pezzo di stoffa congelato. Un sorbetto di seta. Una trovata di nouvelle cousine.

Non fosse che intorno a quel lembo di stoffa avverto ancora della carne. Delle natiche. Si, decisamente un culo. Invenzione culinaria in tutti i sensi. Invaghito comincio a succhiare quel filo di seta o di raso – un tanga o poco più – congelato. È buono. È dissetante. Fino a quando la mia lingua non perde di sensibilità. Fino a quando il tanga comincia a sciogliersi, e con quello anche il pube che lo indossa. Che comincia a muoversi, leggero, etereo. E dietro il lembo di stoffa comincia a fare capolino una vagina, un perineo, un ano. Ma non sono i soliti. Più depilati, puliti, più delicati. E identici – delicati - sono i sospiri che sento uscire dalla donna seduta sopra di me. Sibili glaciali, rumore bianco. Il suo piccolo ano si apre e si stringe sulla mia bocca, e i suoi sospiri sono sempre più frequenti. La mia lingua non sente più niente, e forse proprio per quello la ragazza apprezza.

- Non sei tu, vero? – chiedo
Mi risponde una voce fuori campo.
- Lei è Inge. È minuta
Ecco, lei è Inge, quella del campanello. Ed è minuta.
- Parla poco francese. Parla poco in generale. Viene dalla Finlandia.
- Ah
- E puoi farla venire, se vuoi

Stephanie non fa quasi in tempo a finire la frase che Inge la asseconda, come se avesse prima aspettato il permesso. Viene tutta. Viene sfiatando come un laser. Un orgasmo lungo e sottile. Un orgasmo malinconico ma stellare. Non saprei chiederglielo in finlandese ma credo sia un orgasmo sia anale che vaginale, sublimato dal cervello. Direi un’aurora boreale che parte dalla punta della sua testa ed esce dai buchi del suo basso ventre. Dai suoi buchi bianchi. Poco dopo si gira verso di me strisciando, e mi bacia in bocca. Ha un sapore leggero. Una bocca piccola con le labbra sottili. Sono sicuro che ha anche gli occhi tristi, verdi chiari o grigi. Ma questo è un dettaglio che nessuno potrà verificare, e sia io che i lettori dovranno immaginare. ‘Grazie’ mi dice, in un francese impreciso. Una ragazza minuta finlandese ha provato piacere grazie alla mia lingua congelata. Mi sento stoico ed orgoglioso. Mi sento un alpino vittorioso.

Peccato che il mio cazzo rimanga impalato in attesa di ricevere anche lui il suo momento di gloria. Credo Stephanie se ne sia accorta. Si avvicina. Sento la sua mano che lo stringe, e lo masturba. È la sua mano senza dubbio, la sua mano con la presa forte e nodosa. Ma anche in questo caso, subito si stacca.

- Era solo per non farti perdere la condizione – mi dice – ne avrai bisogno, ora
Suona come una minaccia. E forse lo è. Perché poco dopo Stephanie mi infila il pene in un preservativo.
- Perché?
- Perché si fa così quando non si conosce

Sento che si apre di nuovo la porta. Sento sussurrare. Poco dopo qualcuno che sale sul letto. Che sale sopra di me. Che si fa entrare. Che senza dire nulla si fa entrare nel buco del culo. E poi un afrore fortissimo. Pesante, scandaloso. È un culo avvolgente, largo, bollente. Fradicio. Sudato marcio. Sembra di scopare una foresta, un’arca di Noè. Non è il culo di Inge, ma nemmeno quello di Stephanie. Quel culo comincia a muoversi e roteare. E la bocca che sta sopra quel culo ad ansimare, a godere e a lamentarsi.

- Lei è Nadine
- Nadine
- È originaria del Maghreb
- Avrei giurato che era un culo del sud, un culo africano
- Il sud è un culo
- Vorrei vederlo
- Non puoi vederlo, te lo racconto
- Perché non posso vederlo? Perché non mi togli il lenzuolo dagli occhi?
- Perché se immagini è meglio. Godi di più, come quando leggi un amplesso scritto bene
- Allora raccontami, prima che venga
- Nadine ha la carnagione scura, molto scura
- Si
- È accucciata sopra di te
- …
- Si tiene forte le caviglie con le mani
- Perché
- Per tenersi insieme, sennò il dolore e il piacere la dividono
- …
- Nadine ha la carnagione scura, ma ha il culo bianco
- …
- Nadine non si depila né il culo né la vagina.
- Vai avanti, mi fai venire
- Ha le labbra molto grandi e il clitoride enorme, rosso
- Mi sta bagnando vero?
- Ha fatto un disastro, ti ha versato addosso un fiume
- …
- Nadine ha una bellissima canottiera di seta, semi trasparente, blu cobalto, con dei ricami colorati e pietre
- È bella
- È meravigliosa
- Vaiii vai avanti
- Nadine non porta il reggiseno. Sotto quella canottiera si vedono le sue tette. Anche le tette sono bianche.
- Sono piccole?
- Sono grandi. Con i capezzoli scuri, enormi. Quasi neri
- ….
- Nadine ha un po’ di pancia, Nadine è una donna come vorrei esserlo io, come vorremmo esserlo tutte
- E il viso?
- Non lo so. Vedo solo gli occhi.
- Comeee? non vedi?
- Ha un velo sopra la testa, questo era il patto con lei
- …
- Ha accettato di venire ma senza mostrarsi in volto
- Ma non la conosci
- No
- …
- L’ho incrociata questa mattina in strada. E ho pensato a te, al nostro incontro
- …
- Lei ha sorriso e mi ha seguito
- …
- È venuta senza nemmeno passare da casa sua, senza nemmeno lavarsi, con la borsa del lavoro, tornava dall’ospedale
- La sento tutta addosso
- Si
- …
- Nadine ora mi guarda, ha gli occhi pieni, Nadine ha gli occhi altrove
- …
- Nadine è una regina, Nadine è un animale
- Le vengo dentro, dille di stringere il sedere
- Credo sappia come fare
- Sto venendo
- Non fermarti, sono bagnata anche io
- Cazzoooooo

Urla anche Nadine, un urlo di piacere africano, un urlo che squassa il mediterraneo, uno tsunami sull’Europa del sud, Barcellona e Genova abbattute, Rabat rasata al suolo, l’Algarve allagato. Un urlo che unisce le terre, non c’è Europa che tenga, tutto è mare, tutto è piacere, quel grande culo che si apre ed escono secoli di storia e di cultura, e poi si richiude e risucchia tutto, e ne riusciamo come nuovi, come un popolo nuovo, come dei corpi neri e di terra bagnati nel sole, finalmente fratelli. Africaeuropa. Fuck you atlantique.

Non so cosa succede dopo. So solo che sento singhiozzare. Piangere sommessamente. Se avessi la vista, vedrei che Nadine dopo un primo momento di estasi completamente china sulle mie ginocchia – il mio membro ancora dentro di lei – esce e scende dal letto. Si avvicina a Stephanie, che la guarda commossa. Se avessi la vista vedrei che Nadine abbraccia Stephanie, con trasporto. Si dicono qualcosa in francese, che non riesco a capire perché parlano troppo piano. Se avessi la vista, vedrei che dopo quelle lacrime Nadine e Stephanie abbozzano un sorriso dolce, che poco dopo diventa complice e tagliente. Che dopo diventa il sorriso di due sorelle che si sono subito intese. Di due donne che hanno già inteso il mondo, che ci sono entrate dentro e ne sono già uscite e ora lo guardano da lontano. Di due sorelle che hanno voglia di sublimare tutta questa sofferenza nel dolore del sesso. Se non avessi gli occhi coperti da un lenzuolo, vedrei Nadine che si asciuga dozzinamente, che si affaccia alla finestra, a fumare una galouises.

Io sono nei pensieri. Sono un uomo piccolo in un mondo grande di pensieri femminili che riesco a percorrere solo per interrotti e brevi tratti.

***

Mi sono addormentato. Ancora, non so per quanto. Sono completamente sudato, bagnato, di mio e del loro. Il lenzuolo è bagnato. Il letto è bagnato. La plastica che avvolge il materasso ha creato una piccola pozza di sudore bollente.
- Ho caldo
- Spogliati – mi risponde Stephanie
- Sono nudo
- No, non sei nudo

Ha ragione. Indosso ancora le mutande, sebbene calate sotto il mio membro. Ed indosso ancora i calzini. Il pensiero mi imbarazza.

- Spogliami. Spogliatemi

Sento due mani che, dall’esterno del lenzuolo, vanno sotto il lenzuolo, e mi cingono i fianchi. Da sotto il lenzuolo mi abbassano gli slip completamente fradici e me li sfilano lungo le gambe, e li fanno cadere per terra. Sento le due mani che risalgono, e mi afferrano il membro. Sento le due mani e sono magri dure e nodose. Sono quelle di Stephanie. In poco tempo il mio uccello è di nuovo duro, ed esce dal sudario. Non so in che condizioni sia. Quanto sia pulito. Non so di cosa sappia. Credo dopo questa domenica abbia tutti i sapori dell’universo.

- Te lo posso dire io di cosa sa – dice Stephanie. – Ne ho voglia. Ho voglia di assaggiarlo

Me lo prende in bocca con dolcezza. Avvolgendolo con le labbra umide. Le sue mani lo stringono forte. Lo clampano appena sopra i testicoli. È duro e svuotato. Penso che potrei durare tanto, ora. Sai, quelle sensazioni in cui sai che il tuo cazzo sono solo corpi cavernosi pieni di sangue, ma che lo sperma l’hai già buttato tutto fuori. Quelle situazioni in cui potresti scopare per ore, come in un laboratorio.

- Di cosa sa?

Lei si stacca, mi si avvicina, e più che baciarmi mi sputa in bocca. Sa di cioccolato, sa di fica, sa di caffè e sigarette, sa di miele e sa di sangue, sa di piedi, sa di miracolo, sa di culo e metropolitana. C’è qualcosa nell’odore del ventre di una donna che potrebbe bastarne una goccia per avere il sapore della vita, soprattutto quando gli occhi non sanno più guardare.

Stephanie ridiscende, e riprende a succhiarlo con ancora più veemenza.

Ecco poi quello che succede. Sento che alzano il lenzuolo alle mie caviglie, e mi sfilano i calzini. E poi due bocche, una al piede destro, una al piede sinistro, che cominciano a leccarli. Faccio per ritrarli. Ma delle mani ferme li bloccano al letto, mi implorano di abbandonarli alle loro lingue. Mentre Stephanie mi succhia il cazzo, altre due donne, credo Nadine e Inge, mi stanno succhiando le dita dei piedi. Le loro lingue giocano tra le dita. Una delle due – e non so perché immagino sia Nadine – prende l’alluce in bocca e lo tira con una veemenza inaudita. Mi sta decisamente facendo un bocchino al piede sinistro. Sento colare saliva sulle dita e il collo, sento anche la caviglia bagnata. Poi quasi all’unisono le due staccano la bocca, allargano un poco le mie gambe, salgono sul letto, una da una parte e una dall’altra, e si fanno penetrare dai miei piedi. Il loro pube sfrega sulle mie dita, Nadine si fa entrare dentro intera, alluce melluce e trillice che le entra dentro di diversi centimetri, lei gode sempre più forte, ormai non ha più remore; Inge si aiuta con una mano, e si infila il mio alluce nella vagina, e poi comincia a entrare ed uscire, anche lei urlando, senza più trattenersi. Intanto Stephanie sta succhiando come nessuna è mai riuscita a fare. Si sta dando tutta. Se potessi eiaculare da più parti lo farei. Se potessi spruzzare con tutte le mie membra lo farei.

- Vorrei venirvi dentro insieme, ma sono uno solo

Stephanie aumenta ancora il ritmo. Le sue mani mi stanno segando veloci, e intanto sento che anche Nadine e Inge sono arrivate al limite.

- Ti vengo in bocca Stephanie, ti vengo in bocca amore

Quella parola mi esce naturale e forte, ma non è per lei. È per tutte loro. Un fiotto denso la investe, lei lo soffoca con la bocca mentre intanto Inge e Nadine vengono forte. La prima la sento che si butta all’indietro sulla mia gamba, l’altra ha ormai il piede infilato completamente dentro di lei fino a metà collo. E che allarga quel culo che è un continente. È come se mi avessero all’unisono spento la parte superiore del corpo e acceso quella sotto. Mi parte una scossa tremenda, apro le anche e tiro le braccia all’indietro. Mi hanno mangiato per intero. E ora sono nuovo, sono risorto.

Ridono. Ridono tutte. Rido anche io. È una risata colossale, fantastica.

- Vi voglio tutte qui, venite qui
Loro mi abbracciano, abbracciano un corpo dentro un sudario.
- Direi che è il caso di liberarmi, no? Posso vedervi? – faccio

Loro ridono
- Assolutamente no – fa Stephanie – perderebbe tutto il senso. Tutta la narrazione non avrebbe più senso

Sento che lei scende dal letto. Parla in francese alle due donne. Le saluta. Chiede loro se vogliono farsi una doccia. Se vogliono mangiare o bere qualcosa. Loro ringraziano. Loro declinano e se ne vanno. Stephanie e Inge si danno appuntamento a non so quale corso. Stephanie e Nadine si abbracciano. Lei dice solo ‘Merci, merci, merci’ e poi va via. Rimango solo con Stephanie.

- Cosa dovrei dirti?
- Forse niente
- Si, forse niente
- Ma posso guardarti?
- Si, tra poco
- Tra poco
- Fammi andare a bere qualcosa – dice lei
- Anche io ho sete
- Arrivo

I suoi passi che si allontanano sul parquet gonfio verso la cucina. I suoi passi che ritornano in camera. Sale sopra il letto

- Ecco – mi fa
E sento sulla mia bocca un fiotto tiepido di idrocarburo. Acido e metallico. Minerale e amaro. Sapido e forte al naso. Intollerabile. Scandaloso. Pochi millisecondi e mi rendo conto che non è champagne. È asparagina. Si, Stephanie mi sta urinando addosso. Mi sta pisciando sul viso. Sono immobile. Indeciso al da farsi. Ma è lei. Non è una qualunque. È lei. Apro la bocca. Bevo quello che mi vuole dare. Non abbiamo più segreti. Asparagina di primavera.

- Scusami – mi fa – non riuscivo più a tenerla
- Stephanie – le dico
- Si
- Stephanie – ripeto
- …
- …
- La verità è… che volevo darti tutto di me – mi fa – anche questo. Volevo che tu sapessi tutto
- ….
- Scusami, forse non dovevo
- Stephanie – le dico
- Dimmi
- Anche io volevo tutto. Volevo quello che non hai mai fatto sentire a nessun altro.
- …
- Il tuo dolore. Le tue lacrime. I tuoi pensieri più scandalosi

Lei si accuccia sopra di me. E finalmente mi libera dal lenzuolo. È arrivato il momento. Per un momento la luce piena mi acceca. Vedo il suo caschetto male ossigenato che rifrange il sole del tardo pomeriggio parigino, il suo seno che balla sopra il mio petto. Trascina giù tutto il sudario, lo getta per terra. Io sono nudo, lei è nuda. Lei ride e piange. Si china sopra di me e mi bacia in bocca. Un bacio profondissimo, come non me l’ha mai dato nessuno.

Ci guardiamo e sorridiamo entrambi. Siamo sfatti. Siamo scandalosamente sfatti e bagnati. Bagnati di sudore, di sperma, di piscia, di champagne, di lacrime.

- Ora ho capito – sorrido – il perché della pellicola sul materasso
Lei ride
- Avevi pensato tutto? – faccio
- Forse – fa lei
Ridiamo
- Dimmi come fai, come hai fatto ad accendermi così tanto il desiderio – le chiedo
Lei riflette
- Non è che scrivo bene – dice, e si porta una mano dietro la schiena
- …
- E non è nemmeno che vedi bene – dice, e con l’altra mano si chiude gli occhi – anzi, non ci vedevi proprio
- …
- Dipende dalle immagini
- Le immagini?
- Si, quelle che si creano qui, nella testa – dice
- Nella testa mia o nella testa tua?
- Nella tua. È solo merito tuo, non mio - dice
- Ah
- È merito di te che leggi, di te che non ci vedi, di te che pensi, di te che non ti freni.

Ci guardiamo ardentemente. Lei scende dal letto
- Dove vai?
- Ho freddo
Si infila un cardigan di cotone bianco, traforato, aperto davanti sul seno. Ha una collanina d’oro. Sembra vestita da cresima. Sembra un piccolo matrimonio.
- Sei meravigliosa. Sei bellissima, davvero
- Anche tu
- Se dovessi prendere un aggettivo, oggi, vedendoti così, per descriverti…
- Quale sarebbe?
- So che sembra assurdo, che oggi è proprio il giorno peggiore per dirlo
- Che aggettivo sarebbe?
- Pulita. Stephanie, tu sei pulita

Lei si china su di me. Mi bacia ancora. La assecondo. Il mio membro ritorna duro. E questa volta però sento che è pieno di sperma. Lei lo sente. Entro dentro di lei con una naturalezza meravigliosa. Lei mi è sopra ed io dentro di lei. Stephanie mi afferra il volto, mi bacia. E mi libera i polsi. Finalmente. Mi prende le mani e se le porta addosso. La stringo a me. La prima cosa che faccio con la mano è passarla su quella cicatrice, che avevo visto, sul suo fianco sinistro. La percorro col dito. Lei mi interrompe.

- Dopo – mi dice, con la voce ansimante
- …
- Dopo. Facciamo una cosa, una cosa alla volta.
Prende le mie mani, ne porta una al seno, l’altra sul culo.
- Prendimi, ora. Ora sono tua.
scritto il
2022-05-13
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