Gallega
di
King David
genere
poesie
Mi ricordo questa vestaglia di seta e di pizzo, di sua nonna gallega. Ma sporca nei bordi, non vedeva la lavatrice da secoli.
Era una che si lavava poco e mai. Ma le piaceva sotto la doccia stare per ore mentre le disegnavi spirali con le mani tra le labbra e l’ano scuro. Estaria aca eternamente - fiatava - per favore.
Me la ricordo sfatta sul letto dopo un pomeriggio di lezioni. Il maglione verde a collo alto, i jeans da cui spuntavano gli slip bordeaux. Il volto segnato dall’acne. La morte del padre. La scomparsa degli anni settanta. Due occhi d’argento che trafiggevano un viso troppo unto, troppo maturo.
Venne a trovarmi in camera. La toccai ed era bagnata. Le avevo tolto le mutande ed erano sporche del suo desiderio di dimenticare, dei suoi umori di vulva e di culo.
Me lo prese in bocca con una foga disumana, come un torsolo di mela se lo ciucciava.
Io le annusavo la figa pelosa e rossa, aveva un odore di 500 anni. Sapeva di conquistadores e di marinai genovesi e napoletani al porto più sotto. Sapeva di senso di colpa, di pastrano gesuita. Sapeva di morte e di ribellione. Sapeva di cascate nel silenzio. Di elicotteri nella notte. Di preghiere in periferia.
Me la ricordo una sera suonare il pianoforte, vestita solo di questa sottana bianca. La presi da dietro. Lei si alzò in piedi, appoggiandosi ad un do diesis scordato. Non avevano più soldi nemmeno per ricordare un piccolo tasto nero.
Mi sdraiai sul pavimento, in mezzo alle sue gambe – un parquet rotto, da farsi massacrare di schegge la carne.
Le dissi di sedersi sopra di me, di accucciarsi sopra la mia bocca come se fosse stata sola. Le dissi di piangere dal centro del suo ventre, di piangere pure, tanto io me ne andavo, di piangere che non l’avrei mai detto più a nessuno.
Venne completamente. Venne tutti i suoi trentanni nella mia bocca. Mi aveva inondato la faccia di qualunque cosa. Mi guardai allo specchio. Era come se avessi messo la testa nel ventre sporco del mondo.
Mi portai quell’odore addosso per giorni, forse me lo porto addosso ancora.
E' l'america latrina.
E devi solo sperare che non ci sia nessuna altra, ma proprio nessuna, a leccartelo via.
Era una che si lavava poco e mai. Ma le piaceva sotto la doccia stare per ore mentre le disegnavi spirali con le mani tra le labbra e l’ano scuro. Estaria aca eternamente - fiatava - per favore.
Me la ricordo sfatta sul letto dopo un pomeriggio di lezioni. Il maglione verde a collo alto, i jeans da cui spuntavano gli slip bordeaux. Il volto segnato dall’acne. La morte del padre. La scomparsa degli anni settanta. Due occhi d’argento che trafiggevano un viso troppo unto, troppo maturo.
Venne a trovarmi in camera. La toccai ed era bagnata. Le avevo tolto le mutande ed erano sporche del suo desiderio di dimenticare, dei suoi umori di vulva e di culo.
Me lo prese in bocca con una foga disumana, come un torsolo di mela se lo ciucciava.
Io le annusavo la figa pelosa e rossa, aveva un odore di 500 anni. Sapeva di conquistadores e di marinai genovesi e napoletani al porto più sotto. Sapeva di senso di colpa, di pastrano gesuita. Sapeva di morte e di ribellione. Sapeva di cascate nel silenzio. Di elicotteri nella notte. Di preghiere in periferia.
Me la ricordo una sera suonare il pianoforte, vestita solo di questa sottana bianca. La presi da dietro. Lei si alzò in piedi, appoggiandosi ad un do diesis scordato. Non avevano più soldi nemmeno per ricordare un piccolo tasto nero.
Mi sdraiai sul pavimento, in mezzo alle sue gambe – un parquet rotto, da farsi massacrare di schegge la carne.
Le dissi di sedersi sopra di me, di accucciarsi sopra la mia bocca come se fosse stata sola. Le dissi di piangere dal centro del suo ventre, di piangere pure, tanto io me ne andavo, di piangere che non l’avrei mai detto più a nessuno.
Venne completamente. Venne tutti i suoi trentanni nella mia bocca. Mi aveva inondato la faccia di qualunque cosa. Mi guardai allo specchio. Era come se avessi messo la testa nel ventre sporco del mondo.
Mi portai quell’odore addosso per giorni, forse me lo porto addosso ancora.
E' l'america latrina.
E devi solo sperare che non ci sia nessuna altra, ma proprio nessuna, a leccartelo via.
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