Come quando
di
King David
genere
etero
Come quando sedevi a quel chiosco sotto la luce del lampione, sudata in minigonna, le infradito appese sulla punta del piede, quello dei panini friggeva cumbia e sudamerica, e forse volevi che ti ungessi del mio
Come quando ti passavo la macchinina lungo la schiena nuda, alla base del culo, in mezzo alle natiche e poi mi dicevi di parcheggiarla lì, che quello era il parcheggio più sicuro, che quel parcheggio mi spettava di diritto perché ormai abitavo dentro di te
Come quando ballavi in discoteca chinandoti sinuosa sul pavimento lurido, fino quasi a sfiorarlo con le tue dita lunghe, col tuo caschetto castano, con la tua eccitazione del nord, e poi seduta sulle mie ginocchia mi chiedevi di andare al cesso a baciarci per sempre
Come quando i primi capelli bianchi comparivano sul tuo nero corvino a manifestare che stavamo invecchiando, ma ancora ti piaceva sederti sulla Yaris con le gambe divaricate ad aspettare il vento, che ti entrasse dentro, che ti venisse dentro
Come quando la tua tunica disegnata da Picasso ti faceva sembrare incinta, mi sfioravi il cervello col tuo piede nudo sul treno dei pendolari, e poi scendevi dimenticando uno sguardo, un sospiro, che forse dovevo inseguirti, forse dovevo riportarti
Come quando coi tuoi capelli ricci castani lunghi, il vestito a fiori senza reggiseno, i birkenstock consumati sul tallone mi hai detto di darti una ragione valida per non farti andare all’ARCI quella sera, in periferia
Come quando mi hai detto di non avere mai visto un porno, e forse volevi farne uno con me
Come quando allungavi il tuo 40 sotto la sedia ad accarezzare il mio pacco e mi ridevi addosso con tuo nonno seduto a capotavola a parlare di guerra e partigiani
Come quando ti ho pensato 15 minuti dopo che eri uscita dalla porta, le tue clavicole, la tua vita stretta, le mani lunghe e nodose, il tuo profumo sudato, e mi sono fatto una sega
Come quando avevamo vent’anni e abbiamo fatto venti volte avanti e indietro per viale Washington e ogni pensilina del tram era buona per eccitarsi sempre di più, eccitarsi fino a bagnarsi
Come quando sei scesa di corsa dalle scale sballonzolando le tue tette grandi sul corpo magro, e mi hai sparato un sorriso di malinconia di chi vuole esser presa, di chi non vuole espatriare
Come quando ti stavi per sposare, e avevi l’apparecchio per sorridere meglio sull’altare, e mi sei saltata addosso e volevi dimenticare quel matrimonio troppo precoce, troppo poco volgare
Come quando eri bionda e baltica e ti commuovevi in Piazza Navona, e tutta quell’acqua ti faceva pisciare nascosta negli anfratti di Roma, e tutta quell’acqua ti faceva venire
Come quando avevi diciassette anni, sdraiata a notte fonda sul campo da tennis, i pantaloni tirati giù fino al ginocchio e per la prima volta ti facevi accarezzare il pube da una mano che non era la tua
Come quelle volte, e tutte le altre volte in cui ti potevo fare l’amore, ti dovevo fare l’amore, ma come uno stronzo mi sono perso via, e non mi sono mai più ritrovato
Come quando ti passavo la macchinina lungo la schiena nuda, alla base del culo, in mezzo alle natiche e poi mi dicevi di parcheggiarla lì, che quello era il parcheggio più sicuro, che quel parcheggio mi spettava di diritto perché ormai abitavo dentro di te
Come quando ballavi in discoteca chinandoti sinuosa sul pavimento lurido, fino quasi a sfiorarlo con le tue dita lunghe, col tuo caschetto castano, con la tua eccitazione del nord, e poi seduta sulle mie ginocchia mi chiedevi di andare al cesso a baciarci per sempre
Come quando i primi capelli bianchi comparivano sul tuo nero corvino a manifestare che stavamo invecchiando, ma ancora ti piaceva sederti sulla Yaris con le gambe divaricate ad aspettare il vento, che ti entrasse dentro, che ti venisse dentro
Come quando la tua tunica disegnata da Picasso ti faceva sembrare incinta, mi sfioravi il cervello col tuo piede nudo sul treno dei pendolari, e poi scendevi dimenticando uno sguardo, un sospiro, che forse dovevo inseguirti, forse dovevo riportarti
Come quando coi tuoi capelli ricci castani lunghi, il vestito a fiori senza reggiseno, i birkenstock consumati sul tallone mi hai detto di darti una ragione valida per non farti andare all’ARCI quella sera, in periferia
Come quando mi hai detto di non avere mai visto un porno, e forse volevi farne uno con me
Come quando allungavi il tuo 40 sotto la sedia ad accarezzare il mio pacco e mi ridevi addosso con tuo nonno seduto a capotavola a parlare di guerra e partigiani
Come quando ti ho pensato 15 minuti dopo che eri uscita dalla porta, le tue clavicole, la tua vita stretta, le mani lunghe e nodose, il tuo profumo sudato, e mi sono fatto una sega
Come quando avevamo vent’anni e abbiamo fatto venti volte avanti e indietro per viale Washington e ogni pensilina del tram era buona per eccitarsi sempre di più, eccitarsi fino a bagnarsi
Come quando sei scesa di corsa dalle scale sballonzolando le tue tette grandi sul corpo magro, e mi hai sparato un sorriso di malinconia di chi vuole esser presa, di chi non vuole espatriare
Come quando ti stavi per sposare, e avevi l’apparecchio per sorridere meglio sull’altare, e mi sei saltata addosso e volevi dimenticare quel matrimonio troppo precoce, troppo poco volgare
Come quando eri bionda e baltica e ti commuovevi in Piazza Navona, e tutta quell’acqua ti faceva pisciare nascosta negli anfratti di Roma, e tutta quell’acqua ti faceva venire
Come quando avevi diciassette anni, sdraiata a notte fonda sul campo da tennis, i pantaloni tirati giù fino al ginocchio e per la prima volta ti facevi accarezzare il pube da una mano che non era la tua
Come quelle volte, e tutte le altre volte in cui ti potevo fare l’amore, ti dovevo fare l’amore, ma come uno stronzo mi sono perso via, e non mi sono mai più ritrovato
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