Navona
di
King David
genere
etero
Ci conoscemmo in una birreria la sera dopocena. Sarà stato il 2003. Trovammo l’accordo stilistico sui Joy Division, e poi decidemmo di attraversare Roma di notte con una birra in mano. Prendemmo una Corona al bancone di sotto, non la pagai, la saldò poi un irlandese che da quel giorno ce l’ebbe con me.
Aveva un vestito lungo fiorato, era bionda e bellissima, ancora giovane e pulita. Aveva un bellissimo culo e delle gambe tornite. Era alta e slanciata, la bocca sottile e pulita. Attraversammo tutto Trastevere, le quattro fontane, il pantheon, Trevi. Di notte Roma bellissima e deserta ed arancione.
Limonava profonda e silenziosa, in continuazione. E per via della birra o dell’emozione continuava a fermarsi in qualche anfratto, ma nemmeno troppo nascosto, a pisciare.
Si tirava su la gonna fino al seno e si accovacciava e bagnava di piscio baltico il pavè della capitale, e anche un po’ le sue mutande. Me lo faceva venire duro come travertino del seicento.
Ci sedemmo in Piazza Navona. Deserta nella notte. Si sedette sopra di me su una panchina. Chiudemmo gli occhi. L'acqua dei quattro fiumi dei quattro continenti che erutta con forza e poi si unisce nella stessa fontana, nello stesso mare. E così capii la grandezza del Bernini, e il significato di quel capolavoro. Lei si mise a piangere commossa.
Il capolavoro era lui, il capolavoro era lei, le tenevo la mano in mezzo alle cosce, era bagnata come non mai, mi disse di essere il quinto fiume adesso, pronta a unirsi all'Indo e al Paranà.
Avrei volentieri fatto il bagno in quel fiume. E ci dirigemmo verso il mio albergo. Ma poi all'uscio si fermò. Decise di rincasare. Il rumore di quei fiumi per giorni e giorni rimbombò nelle mie orecchie, il desiderio tracimava in me, tracimava in lei, fino a che si asciugarono le fonti.
Aveva un vestito lungo fiorato, era bionda e bellissima, ancora giovane e pulita. Aveva un bellissimo culo e delle gambe tornite. Era alta e slanciata, la bocca sottile e pulita. Attraversammo tutto Trastevere, le quattro fontane, il pantheon, Trevi. Di notte Roma bellissima e deserta ed arancione.
Limonava profonda e silenziosa, in continuazione. E per via della birra o dell’emozione continuava a fermarsi in qualche anfratto, ma nemmeno troppo nascosto, a pisciare.
Si tirava su la gonna fino al seno e si accovacciava e bagnava di piscio baltico il pavè della capitale, e anche un po’ le sue mutande. Me lo faceva venire duro come travertino del seicento.
Ci sedemmo in Piazza Navona. Deserta nella notte. Si sedette sopra di me su una panchina. Chiudemmo gli occhi. L'acqua dei quattro fiumi dei quattro continenti che erutta con forza e poi si unisce nella stessa fontana, nello stesso mare. E così capii la grandezza del Bernini, e il significato di quel capolavoro. Lei si mise a piangere commossa.
Il capolavoro era lui, il capolavoro era lei, le tenevo la mano in mezzo alle cosce, era bagnata come non mai, mi disse di essere il quinto fiume adesso, pronta a unirsi all'Indo e al Paranà.
Avrei volentieri fatto il bagno in quel fiume. E ci dirigemmo verso il mio albergo. Ma poi all'uscio si fermò. Decise di rincasare. Il rumore di quei fiumi per giorni e giorni rimbombò nelle mie orecchie, il desiderio tracimava in me, tracimava in lei, fino a che si asciugarono le fonti.
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