Asparagina di Primavera / 2
di
King David
genere
etero
[...CONTINUA]
Mi prende per mano e mi trascina verso l’altra ala della casa. A metà del corridoio, camminando davanti a me, si sbottona l’abito a fiori e lo lascia scivolare per terra. La sua schiena completamente nuda nell’ombra mi illumina come un faro, nessun reggiseno ad interromperla, le vertebre scandite su quell’arco pulito che ha tenuto nascosto per mesi. Pulito ma non del tutto. Vedo una cicatrice, sul fianco destro, che non avevo notato cinque mesi fa. Ma non c’è tempo di chiedere, e lei non darebbe risposte. Sono trascinato verso l’antro buio.
Sotto è rimasta vestita. I collant giallini, con i ricami colorati e gli zoccoli del dr Scholls, che suonano il parquet gonfiato dal vento e dalla poca manutenzione. Il suo culo tornito. Il suo passo veloce. Mi rendo conto che non porta le mutande.
Arriviamo in camera, di fronte al materasso, quello nuovo, quello che ho appena trascinato con estrema fatica nel suo appartamento, ancora ricoperto di plastica. Mi spinge sopra violentemente. La vedo finalmente di fronte. Il seno gonfio – non me lo ricordavo così grande. I capezzoli scuri, con qualche pelo intorno. Le costole pronunciate. Le braccia secche. I polsi piccoli. Le mani grandi e nodose.
Mi butta sul letto all’indietro, e mi sale sopra. Mi invita a togliermi il maglione, la canottiera. Mi slaccia la cintura dei jeans, me li sfila veloce, vorace. Mi sfila i mocassini e li lancia lontano. Rimango in mutande e con i calzini, schiacciato sul letto, con la schiena aderente la plastica del materasso.
Atletica mi sale sul pube. Il mio pene duro sfrega contro i suoi collant che sento già bagnati. Si appoggia a me con le tette, mi prende la mano e se la porta sul sedere, invitandomi a infilare le dita dentro i collant. Non deve chiedermelo. Percorro il solco tra le natiche fino ad incontrare l’ano e il perineo. La sento che si apre e che comincia a godere. Poi si contrae, come una fionda. Si china, mi bacia profondamente, con la bocca aperta. Si contrae di sotto e apre la bocca riversandola completamente sulla mia. È un sistema di vasi comunicanti, a stantuffo. Si chiude sotto e si apre sopra, e viceversa. La bocca del porto interno, la bocca del molo.
Fino a quando come colpita da una scarica elettrica si stacca. Seduta sopra i miei addominali, mi afferra le braccia. Si sfila gli zoccoli e mi infila le mani dentro la fibbia dei due zoccoli, fino al polso; mi prende per gli avambracci e mi rivolta le mani dietro la testa. Poi con un movimento che non riesco a capire mi incastra con gli zoccoli i polsi alle sbarre della testata del letto.
Non avrei mai immaginato in vita mia di essere bloccato a un letto matrimoniale, seminudo, da un paio di zoccoli, ma questa è la situazione. Seminudo in mutande, peraltro, ormai gonfie, probabilmente già bagnate dalla mia eccitazione. E con indosso ancora i calzini. Ecco, se c’è una cosa che mi mette in imbarazzo è essere nudo con indosso le calze. Per di più legato. È come in un brutto sogno. Se le donne nude con le calze mi eccitano, specie se non depilate (c'è qualcosa, un richiamo ancestrale, nel contrasto tra la vulva pelosa e le calze, di qualunque foggia e colore), vedermi nello stesso stato mi indebolisce. Sembra che lei lo sappia, e mi voglia soggiogare a questo strano contrappasso.
Perché lei invece appare più che soddisfatta di quanto ha davanti. Si sposta all’indietro, seduta sulle mie gambe, accucciata, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, ad osservarmi. Mi guarda e ride. Lo fa inizialmente a denti stretti, ma poi con la bocca spalancata, quella bocca grande con la fessura in mezzo agli incisivi che la rende affascinante senza farla bella. Rido anche io. E appena si accorge che la comicità sta facendo scemare l’eccitazione, si allunga, appoggiando il suo pube sul collo del mio piede, stendendo il busto, appoggiando la testa di lato sulle mie cosce, avvicinandosi alle mie mutande, e con le mani a coppa segue la forma del mio pene come se dovesse plasmarlo di creta. Poi allunga il collo, alza di poco l’elastico delle mutande e si avvicina con la bocca, succhiando appena la punta.
- Voglio sentirlo solo un po’. È buono. Fammelo sentire ancora un pochino
Ma poi, come richiamata da un dovere morale cogente, si rialza. Scende dal letto. E dal capezzale mi guarda ancora. E ride.
- A tra poco – mi dice
Ed esce dalla stanza.
- Almeno le calze. Almeno toglimi le calze – la imploro
Si riaffaccia dalla porta.
- Ti devo spogliare poco alla volta
Esce dalla stanza. Chiude la porta. E la chiude a chiave.
Sono seminudo, coi calzini, bloccato su un materasso senza lenzuolo, ricoperto di plastica, vincolato da un paio di zoccoli fuori moda senza che abbia possibilità di slegarmi, in una stanza matrimoniale chiusa a chiave, alla periferia di Parigi. E sento che fuori comincia un acquazzone primaverile. Passano diversi minuti senza che succeda niente. Provo ad addormentarmi. Mi addormento.
A svegliarmi, dopo non so quanto tempo, perché non riesco a leggere l’orologio, è il campanello della casa. Qualcuno ha suonato alla porta. Mi rendo conto di essere ancora legato al letto. La situazione è ancora più surreale. Cerco di ascoltare bene cosa succede di là. Sento Stephanie che sussurra, ma non capisco cosa dice. Un’altra voce soffocata che risponde. Che cazzo sta succedendo. Il bollitore dell’acqua si accende. Poi un rumore di tazze, o di scodelle. L’acqua della cucina. E poi ecco dei passi, rumori di piedi scalzi sul parquet gonfiato, che vengono verso la stanza. Mi preparo al mio destino, disorientato ed eccitato come un ragazzino di fronte a un sesso potente e sconosciuto.
[CONTINUA...]
Mi prende per mano e mi trascina verso l’altra ala della casa. A metà del corridoio, camminando davanti a me, si sbottona l’abito a fiori e lo lascia scivolare per terra. La sua schiena completamente nuda nell’ombra mi illumina come un faro, nessun reggiseno ad interromperla, le vertebre scandite su quell’arco pulito che ha tenuto nascosto per mesi. Pulito ma non del tutto. Vedo una cicatrice, sul fianco destro, che non avevo notato cinque mesi fa. Ma non c’è tempo di chiedere, e lei non darebbe risposte. Sono trascinato verso l’antro buio.
Sotto è rimasta vestita. I collant giallini, con i ricami colorati e gli zoccoli del dr Scholls, che suonano il parquet gonfiato dal vento e dalla poca manutenzione. Il suo culo tornito. Il suo passo veloce. Mi rendo conto che non porta le mutande.
Arriviamo in camera, di fronte al materasso, quello nuovo, quello che ho appena trascinato con estrema fatica nel suo appartamento, ancora ricoperto di plastica. Mi spinge sopra violentemente. La vedo finalmente di fronte. Il seno gonfio – non me lo ricordavo così grande. I capezzoli scuri, con qualche pelo intorno. Le costole pronunciate. Le braccia secche. I polsi piccoli. Le mani grandi e nodose.
Mi butta sul letto all’indietro, e mi sale sopra. Mi invita a togliermi il maglione, la canottiera. Mi slaccia la cintura dei jeans, me li sfila veloce, vorace. Mi sfila i mocassini e li lancia lontano. Rimango in mutande e con i calzini, schiacciato sul letto, con la schiena aderente la plastica del materasso.
Atletica mi sale sul pube. Il mio pene duro sfrega contro i suoi collant che sento già bagnati. Si appoggia a me con le tette, mi prende la mano e se la porta sul sedere, invitandomi a infilare le dita dentro i collant. Non deve chiedermelo. Percorro il solco tra le natiche fino ad incontrare l’ano e il perineo. La sento che si apre e che comincia a godere. Poi si contrae, come una fionda. Si china, mi bacia profondamente, con la bocca aperta. Si contrae di sotto e apre la bocca riversandola completamente sulla mia. È un sistema di vasi comunicanti, a stantuffo. Si chiude sotto e si apre sopra, e viceversa. La bocca del porto interno, la bocca del molo.
Fino a quando come colpita da una scarica elettrica si stacca. Seduta sopra i miei addominali, mi afferra le braccia. Si sfila gli zoccoli e mi infila le mani dentro la fibbia dei due zoccoli, fino al polso; mi prende per gli avambracci e mi rivolta le mani dietro la testa. Poi con un movimento che non riesco a capire mi incastra con gli zoccoli i polsi alle sbarre della testata del letto.
Non avrei mai immaginato in vita mia di essere bloccato a un letto matrimoniale, seminudo, da un paio di zoccoli, ma questa è la situazione. Seminudo in mutande, peraltro, ormai gonfie, probabilmente già bagnate dalla mia eccitazione. E con indosso ancora i calzini. Ecco, se c’è una cosa che mi mette in imbarazzo è essere nudo con indosso le calze. Per di più legato. È come in un brutto sogno. Se le donne nude con le calze mi eccitano, specie se non depilate (c'è qualcosa, un richiamo ancestrale, nel contrasto tra la vulva pelosa e le calze, di qualunque foggia e colore), vedermi nello stesso stato mi indebolisce. Sembra che lei lo sappia, e mi voglia soggiogare a questo strano contrappasso.
Perché lei invece appare più che soddisfatta di quanto ha davanti. Si sposta all’indietro, seduta sulle mie gambe, accucciata, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, ad osservarmi. Mi guarda e ride. Lo fa inizialmente a denti stretti, ma poi con la bocca spalancata, quella bocca grande con la fessura in mezzo agli incisivi che la rende affascinante senza farla bella. Rido anche io. E appena si accorge che la comicità sta facendo scemare l’eccitazione, si allunga, appoggiando il suo pube sul collo del mio piede, stendendo il busto, appoggiando la testa di lato sulle mie cosce, avvicinandosi alle mie mutande, e con le mani a coppa segue la forma del mio pene come se dovesse plasmarlo di creta. Poi allunga il collo, alza di poco l’elastico delle mutande e si avvicina con la bocca, succhiando appena la punta.
- Voglio sentirlo solo un po’. È buono. Fammelo sentire ancora un pochino
Ma poi, come richiamata da un dovere morale cogente, si rialza. Scende dal letto. E dal capezzale mi guarda ancora. E ride.
- A tra poco – mi dice
Ed esce dalla stanza.
- Almeno le calze. Almeno toglimi le calze – la imploro
Si riaffaccia dalla porta.
- Ti devo spogliare poco alla volta
Esce dalla stanza. Chiude la porta. E la chiude a chiave.
Sono seminudo, coi calzini, bloccato su un materasso senza lenzuolo, ricoperto di plastica, vincolato da un paio di zoccoli fuori moda senza che abbia possibilità di slegarmi, in una stanza matrimoniale chiusa a chiave, alla periferia di Parigi. E sento che fuori comincia un acquazzone primaverile. Passano diversi minuti senza che succeda niente. Provo ad addormentarmi. Mi addormento.
A svegliarmi, dopo non so quanto tempo, perché non riesco a leggere l’orologio, è il campanello della casa. Qualcuno ha suonato alla porta. Mi rendo conto di essere ancora legato al letto. La situazione è ancora più surreale. Cerco di ascoltare bene cosa succede di là. Sento Stephanie che sussurra, ma non capisco cosa dice. Un’altra voce soffocata che risponde. Che cazzo sta succedendo. Il bollitore dell’acqua si accende. Poi un rumore di tazze, o di scodelle. L’acqua della cucina. E poi ecco dei passi, rumori di piedi scalzi sul parquet gonfiato, che vengono verso la stanza. Mi preparo al mio destino, disorientato ed eccitato come un ragazzino di fronte a un sesso potente e sconosciuto.
[CONTINUA...]
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