Asparagina di Primavera / 3
di
King David
genere
etero
[...CONTINUA]
La porta si apre di scatto. Entra lei. O almeno credo sia lei. Si è messa in testa un lenzuolo bianco, che la copre completamente, come una donna afghana, come quando da piccoli si giocava ai fantasmi.
- Che ore sono? – Le chiedo
- È l’ora di ricominciare
Si toglie il lenzuolo dalla testa e lo getta su di me. Stende i lembi, mi copre completamente. Non vedo più nulla. Sono coperto dalla testa ai piedi.
- Cosa fai?
Lei non risponde. Ma sento le sue mani che mi accarezzano il volto e poi scendono lungo il mio corpo, come se volessero fare aderire meglio il lenzuolo alla mia figura. Poi si rialza, e percepisco che si allontana.
Ritorna dopo qualche manciata di secondi. Questa volta il rumore dei suoi passi al ritorno è preceduto da un cigolio. È il rumore di un carrello che attraversa il corridoio. Immagino a tutte le tipologie di carrelli, e per qualche strana ragione mi vengono in mente le peggiori. Il carrello dell’anestesista prima di un’operazione. Il carrello dove l’aiuto chirurgo tiene i ferri. Il carrello del torturatore che porta gli elettrodi di fronte al torturato. Il carrello del medico legale che attraversa i corridoi dell’obitorio. È sintomo che non mi sento a mio agio. Lei forse se ne accorge, e ride.
- Invece ti ho portato da mangiare – mi dice – Hai fame?
Si, effettivamente ho ancora fame.
- Però è difficile sotto questo sudario – le faccio
Afferra con una mano un lembo di un lenzuolo, esattamente sopra la mia faccia. E improvvisamente apre una piccola fessura, con un coltellino svizzero. Pochi centimetri, che cadono precisamente in corrispondenza della la mia bocca. Ora ho una piccola incisione sopra le labbra.
- Il gioco è questo. Faccio tutto io. Tu devi dirmi cosa senti
Prima ancora di riuscire a rispondere percepisco sulle labbra un elemento umido, ma denso. Non riesco a vedere niente. Né ad afferrare niente. L’unico senso che posso usare è il gusto, poi l’udito, inutile in questo frangente. Lei spinge quel coso tra le mie labbra, sui denti, invitandomi a morderlo.
- Pera – azzardo
- Bene
- Pera intinta nel cioccolato
- Bravo
Poi la fetta di pera sparisce dalla mia bocca. E sento che lei comincia a masticare
- Riproviamo – mi fa, con la bocca piena
Il sapore ora è meno scontato. Un’associazione inusuale, ma sorprendente.
- Humus
- Si
- Un asparago intinto nell'humus
- dolce?
- no salato. Sale grosso
- Sale grosso della Camargue
Questa volta mi aiuta, con delicatezza, a mangiare, attenta a che non mi possa ingozzare. È seduta sul mio pube, si è accomodata con le gambe aperte. Sento che l’eccitazione sta tornando. Il desiderio sale. Il mio, il suo.
Mi avvicina un’altra cosa alle labbra. Sento una punta morbida. E due sapori dirompenti.
- Fragola, la punta di una fragola. Ricoperta di …
- Di?
- Intinta nell’… aceto credo. Aceto balsamico
- E poi
- Cioccolato
- Cioccolato fondente, non potrebbe essere altrimenti
Per premiarmi si avvicina, e mi bacia. Infila la lingua nella fessura del lenzuolo. Sento la sua lingua salata e vorace, che entra nella mia bocca, sembra voglia saggiare se sotto quel velo di cotone c’è ancora un uomo.
- Dimmi se ti piace quest’altra fragola
Si, all’inizio sembra una fragola. La punta di una fragola, per la precisione. Ma poi mi accorgo che è un capezzolo. Il suo capezzolo.
- Le tue tette.
- Si, le mie tette
- Le tue tette … buone
Lei scoppia a ridere
- Le tue tette tonnate
- Ti piace?
- Cazzo vado matto per la salsa tonnata. Lasciamele. Lasciamele per sempre
Si china nuovamente e mi bacia. È il suo modo di premiarmi. Intanto il mio cazzo è tornato quello di qualche ora prima. Sento il bisogno di scopare. Ho bisogno di entrare dentro di lei. Dentro qualche parte del suo corpo. Glielo dico.
- Dammi solo un attimo – mi fa
Percepisco che si alza in piedi sul letto, un piede alla mia destra, l’altro alla mia sinistra.
- Ora devo stare attenta, è un’operazione delicata – mi dice
Un impercettibile rumore di taglierino. E poi uno strappo. La sagoma di lei si avvicina al mio volto.
- Eccomi – mi dice
- Sei tu?
- Questo è il mio sapore, quello che volevo darti da giorni, quello che volevo darti da mesi
Finalmente. Appoggiata alla fessura del lenzuolo, aperta sulla mia bocca.
- La tua fica
- La mia fica
- La tua fica meravigliosa - faccio, mentre l’assaggio con la lingua
- Corretto – fa lei, ansimando – hai indovinato
- La tua fica bagnata, odorosa
- Ancora
- La tua fica fradicia
- Da mesi
- La tua fica malinconica
- Gonfia da piangere
- La tua fica che non voleva aprire a nessuno
- Solo a te
- La tua fica sempre velata
- A lutto
- La tua fica misteriosa, francese
- Ahh
- la tua fica surrealista
- Aaaaahhh
- La tua fica metafisica
- Ahhhh-Ahhhh
- La tua fica meta-fica
- Succhia-a-laaa
Stephanie si contrae. Allarga le cosce e si piega sulle mie ginocchia. Con le mani stringe il pene, si avvicina con la bocca e lo morde attraverso il lenzuolo; le natiche completamente spalancate sulla mia bocca, il clitoride gonfio, la vulva che scoppia. Viene forte, viene fino in fondo, viene spruzzando sulla mia faccia. È la pioggia che inonda il deserto degli emirati, è la pioggia che lava i corridoi impolverati, che lenisce l’asfalto crepato, che sciacqua i marciapiedi imputriditi dal guano di chi non si è mai accorto di lei, di chi non ha mai capito che il piacere per lei era l’ammissione di una morte, di una decadenza piena di speranza. Un tentativo di risorgere.
Bastano tre, quattro secondi. Lei è come spenta, finalmente in estasi, ad altre latitudini. Ma poi subito si riprende, e afferra il lenzuolo in corrispondenza del mio pube. Lo solleva e pratica un’altra incisione con il coltellino. Questa volta un po’ più grande. Infila tre dita in quella fessura e mi prende il pene, lo fa scivolare oltre l’elastico delle mutande, dentro il buco del lenzuolo, fuori dal lenzuolo, dentro di lei.
Basta un niente. Muove il bacino sul mio pube, la sua fica fradicia con dentro il mio cazzo, non posso fare nulla se non assecondare, la vorrei afferrare con le mani ma sono legato, non ho armi, devo affidarmi, lasciarmi andare, riempire il suo buco, riempire il suo vuoto.
- E per tutte le lacrime che ho perso ho bisogno di te - mi dice
- Di me?
- Del tuo torrente
- Sono io
- In queste notti di sabbia
- Cosa sognavi
- il tuo fiume dentro la mia pancia
- Aprimi che vengo
- Il tuo fiume caldo
- Sto scoppiandooo
- Il tuo piscio caldo
- Ancora, Stephanie, cazzoooo
- Non ho mai sentito nulla di così grosso, dentro
- Ancoraaa
- Vienimi dentro vienimi dentro
- Eccomiii
- Vengo anche io, ancora
- Aahahhhhhh
- Iiiiiiii-aaaaaaaaaaaaaaah
Dopo questa però siamo esausti. Lei è sfatta accanto a me. Sopra il mio sudario. Non vedo niente, se non un velo bianco sopra il mio piacere. Posso solo immaginare sia accanto a me, accucciata, con gli occhi chiusi, forse sorridente, forse solo sfinita.
Io ho sete. Le chiedo se mi può liberare. Se mi può scoprire, se mi può finalmente togliere gli zoccoli dai polsi. Se posso tornare un uomo libero.
- No, non ancora - dice
- Perché?
- Hai presente quanti sapori abbiamo? Quanti sapori siamo? Quanti sapori abbiamo da provare?
- Non lo so
- E vorresti saperlo?
Non rispondo
- Almeno dammi da bere, prima
Si allontana un momento. Si riavvicina e mi infila due dita in bocca. Sanno di champagne. Ripete l’operazione. Fa gocciolare lo champagne sulla fessura del lenzuolo sopra la mia bocca. Il vino mi bagna le labbra. Ma più che darmi da bere mi accende il cervello.
- Di più, Stephanie
Versa un po’ di champagne sul mio viso. Il profumo pungente di idrocarburi, di arenaria affacciata sul mare preistorico. Di quando c'era il mare tra la Francia e la Renania. E poi ne versa sul resto del sudario. Compreso sul mio cazzo. Ora è bagnato del mio, del suo, di tante altre cose. Di un mare che fu, diventato vino.
- Puoi riposarti un po', ora
Per quanto?
- Per poco
- E poi?
Si alza, ride, esce. Richiude la porta a chiave.
La porta si apre di scatto. Entra lei. O almeno credo sia lei. Si è messa in testa un lenzuolo bianco, che la copre completamente, come una donna afghana, come quando da piccoli si giocava ai fantasmi.
- Che ore sono? – Le chiedo
- È l’ora di ricominciare
Si toglie il lenzuolo dalla testa e lo getta su di me. Stende i lembi, mi copre completamente. Non vedo più nulla. Sono coperto dalla testa ai piedi.
- Cosa fai?
Lei non risponde. Ma sento le sue mani che mi accarezzano il volto e poi scendono lungo il mio corpo, come se volessero fare aderire meglio il lenzuolo alla mia figura. Poi si rialza, e percepisco che si allontana.
Ritorna dopo qualche manciata di secondi. Questa volta il rumore dei suoi passi al ritorno è preceduto da un cigolio. È il rumore di un carrello che attraversa il corridoio. Immagino a tutte le tipologie di carrelli, e per qualche strana ragione mi vengono in mente le peggiori. Il carrello dell’anestesista prima di un’operazione. Il carrello dove l’aiuto chirurgo tiene i ferri. Il carrello del torturatore che porta gli elettrodi di fronte al torturato. Il carrello del medico legale che attraversa i corridoi dell’obitorio. È sintomo che non mi sento a mio agio. Lei forse se ne accorge, e ride.
- Invece ti ho portato da mangiare – mi dice – Hai fame?
Si, effettivamente ho ancora fame.
- Però è difficile sotto questo sudario – le faccio
Afferra con una mano un lembo di un lenzuolo, esattamente sopra la mia faccia. E improvvisamente apre una piccola fessura, con un coltellino svizzero. Pochi centimetri, che cadono precisamente in corrispondenza della la mia bocca. Ora ho una piccola incisione sopra le labbra.
- Il gioco è questo. Faccio tutto io. Tu devi dirmi cosa senti
Prima ancora di riuscire a rispondere percepisco sulle labbra un elemento umido, ma denso. Non riesco a vedere niente. Né ad afferrare niente. L’unico senso che posso usare è il gusto, poi l’udito, inutile in questo frangente. Lei spinge quel coso tra le mie labbra, sui denti, invitandomi a morderlo.
- Pera – azzardo
- Bene
- Pera intinta nel cioccolato
- Bravo
Poi la fetta di pera sparisce dalla mia bocca. E sento che lei comincia a masticare
- Riproviamo – mi fa, con la bocca piena
Il sapore ora è meno scontato. Un’associazione inusuale, ma sorprendente.
- Humus
- Si
- Un asparago intinto nell'humus
- dolce?
- no salato. Sale grosso
- Sale grosso della Camargue
Questa volta mi aiuta, con delicatezza, a mangiare, attenta a che non mi possa ingozzare. È seduta sul mio pube, si è accomodata con le gambe aperte. Sento che l’eccitazione sta tornando. Il desiderio sale. Il mio, il suo.
Mi avvicina un’altra cosa alle labbra. Sento una punta morbida. E due sapori dirompenti.
- Fragola, la punta di una fragola. Ricoperta di …
- Di?
- Intinta nell’… aceto credo. Aceto balsamico
- E poi
- Cioccolato
- Cioccolato fondente, non potrebbe essere altrimenti
Per premiarmi si avvicina, e mi bacia. Infila la lingua nella fessura del lenzuolo. Sento la sua lingua salata e vorace, che entra nella mia bocca, sembra voglia saggiare se sotto quel velo di cotone c’è ancora un uomo.
- Dimmi se ti piace quest’altra fragola
Si, all’inizio sembra una fragola. La punta di una fragola, per la precisione. Ma poi mi accorgo che è un capezzolo. Il suo capezzolo.
- Le tue tette.
- Si, le mie tette
- Le tue tette … buone
Lei scoppia a ridere
- Le tue tette tonnate
- Ti piace?
- Cazzo vado matto per la salsa tonnata. Lasciamele. Lasciamele per sempre
Si china nuovamente e mi bacia. È il suo modo di premiarmi. Intanto il mio cazzo è tornato quello di qualche ora prima. Sento il bisogno di scopare. Ho bisogno di entrare dentro di lei. Dentro qualche parte del suo corpo. Glielo dico.
- Dammi solo un attimo – mi fa
Percepisco che si alza in piedi sul letto, un piede alla mia destra, l’altro alla mia sinistra.
- Ora devo stare attenta, è un’operazione delicata – mi dice
Un impercettibile rumore di taglierino. E poi uno strappo. La sagoma di lei si avvicina al mio volto.
- Eccomi – mi dice
- Sei tu?
- Questo è il mio sapore, quello che volevo darti da giorni, quello che volevo darti da mesi
Finalmente. Appoggiata alla fessura del lenzuolo, aperta sulla mia bocca.
- La tua fica
- La mia fica
- La tua fica meravigliosa - faccio, mentre l’assaggio con la lingua
- Corretto – fa lei, ansimando – hai indovinato
- La tua fica bagnata, odorosa
- Ancora
- La tua fica fradicia
- Da mesi
- La tua fica malinconica
- Gonfia da piangere
- La tua fica che non voleva aprire a nessuno
- Solo a te
- La tua fica sempre velata
- A lutto
- La tua fica misteriosa, francese
- Ahh
- la tua fica surrealista
- Aaaaahhh
- La tua fica metafisica
- Ahhhh-Ahhhh
- La tua fica meta-fica
- Succhia-a-laaa
Stephanie si contrae. Allarga le cosce e si piega sulle mie ginocchia. Con le mani stringe il pene, si avvicina con la bocca e lo morde attraverso il lenzuolo; le natiche completamente spalancate sulla mia bocca, il clitoride gonfio, la vulva che scoppia. Viene forte, viene fino in fondo, viene spruzzando sulla mia faccia. È la pioggia che inonda il deserto degli emirati, è la pioggia che lava i corridoi impolverati, che lenisce l’asfalto crepato, che sciacqua i marciapiedi imputriditi dal guano di chi non si è mai accorto di lei, di chi non ha mai capito che il piacere per lei era l’ammissione di una morte, di una decadenza piena di speranza. Un tentativo di risorgere.
Bastano tre, quattro secondi. Lei è come spenta, finalmente in estasi, ad altre latitudini. Ma poi subito si riprende, e afferra il lenzuolo in corrispondenza del mio pube. Lo solleva e pratica un’altra incisione con il coltellino. Questa volta un po’ più grande. Infila tre dita in quella fessura e mi prende il pene, lo fa scivolare oltre l’elastico delle mutande, dentro il buco del lenzuolo, fuori dal lenzuolo, dentro di lei.
Basta un niente. Muove il bacino sul mio pube, la sua fica fradicia con dentro il mio cazzo, non posso fare nulla se non assecondare, la vorrei afferrare con le mani ma sono legato, non ho armi, devo affidarmi, lasciarmi andare, riempire il suo buco, riempire il suo vuoto.
- E per tutte le lacrime che ho perso ho bisogno di te - mi dice
- Di me?
- Del tuo torrente
- Sono io
- In queste notti di sabbia
- Cosa sognavi
- il tuo fiume dentro la mia pancia
- Aprimi che vengo
- Il tuo fiume caldo
- Sto scoppiandooo
- Il tuo piscio caldo
- Ancora, Stephanie, cazzoooo
- Non ho mai sentito nulla di così grosso, dentro
- Ancoraaa
- Vienimi dentro vienimi dentro
- Eccomiii
- Vengo anche io, ancora
- Aahahhhhhh
- Iiiiiiii-aaaaaaaaaaaaaaah
Dopo questa però siamo esausti. Lei è sfatta accanto a me. Sopra il mio sudario. Non vedo niente, se non un velo bianco sopra il mio piacere. Posso solo immaginare sia accanto a me, accucciata, con gli occhi chiusi, forse sorridente, forse solo sfinita.
Io ho sete. Le chiedo se mi può liberare. Se mi può scoprire, se mi può finalmente togliere gli zoccoli dai polsi. Se posso tornare un uomo libero.
- No, non ancora - dice
- Perché?
- Hai presente quanti sapori abbiamo? Quanti sapori siamo? Quanti sapori abbiamo da provare?
- Non lo so
- E vorresti saperlo?
Non rispondo
- Almeno dammi da bere, prima
Si allontana un momento. Si riavvicina e mi infila due dita in bocca. Sanno di champagne. Ripete l’operazione. Fa gocciolare lo champagne sulla fessura del lenzuolo sopra la mia bocca. Il vino mi bagna le labbra. Ma più che darmi da bere mi accende il cervello.
- Di più, Stephanie
Versa un po’ di champagne sul mio viso. Il profumo pungente di idrocarburi, di arenaria affacciata sul mare preistorico. Di quando c'era il mare tra la Francia e la Renania. E poi ne versa sul resto del sudario. Compreso sul mio cazzo. Ora è bagnato del mio, del suo, di tante altre cose. Di un mare che fu, diventato vino.
- Puoi riposarti un po', ora
Per quanto?
- Per poco
- E poi?
Si alza, ride, esce. Richiude la porta a chiave.
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