Non avevo goduto
di
Margie
genere
tradimenti
Praticamente non ho goduto. Non ho goduto nonostante la forte eccitazione che mi dà l'esibirmi. Quando ho visto come mi guardava mi sono sentita nuda. Completamente, nonostante il vestito. Certo, succinto. Nuda, a gambe spalancate. La figa pulsante e fradicia era invece realtà. Mi sono sentita nuda, a pecora, con le mani a separare le chiappe. Potevo non andarci? Inevitabile. Anche perché ero stata attratta dalla sua aria angelica e dal suo sorriso sornione. Non come quello di mio marito, sfacciatamente ironico. Questo era un “vedrai come ci divertiremo”.
L'albergo è banale. Ma che importa? Siamo qui per fare sesso non per cercare arredamenti eleganti e comfort eccellente. Basta togliermi il vestito perché sia nuda, le décolleté si sfilano con due movimenti brevi, secchi. Spontanei. Mi piace la sensazione fredda delle piante dei piedi sulle mattonelle. Comincio a darmi da fare con le mani per spogliarlo. M'inginocchio a dar vita con le mani e la bocca a quel coso che promette bene. Il sapore mi piace: se s'è lavato il sapone non ha lasciato tracce. M'immagino follie. Chissà quanto mi farà urlare. Immagino che arriverò a bagnare il pavimento sotto il letto, tanto sto caricandomi. Mentre ci do dentro mi dice di frenare la mia irruenza. Avevo appena iniziato a masturbarmi. Mi raffreddo un po'. Le mie dita sulla figa mi riportano in carica. Il mio lavoro orale funziona. Cerco di non metterci troppo entusiasmo; mi ha detto di farlo piano. Ce l'ha lungo, più di mio marito, ma meno grosso. Meno duro. Tutto diverso, quindi. Bene! I confronti sono finiti. Posso farmi sodomizzare senza problemi. Ho voglia di prendermelo dappertutto. Ansima, ma non dice niente. Un po' d'insulti mi andrebbero bene. Anche tanti. Invece ansima soltanto. Mi fa alzare, mi fa stendere sul letto, mi tocca con le dita, capisce che entrerà senza difficoltà. Si muove lento. Forse vuole fare l'eroe delle lunghe durate. A me servirebbero i duecento metri, adesso. Per le lunghe durate ho sempre mio marito. Mugolo. Ansimo sento il cazzo che pulsa attraverso il preservativo. Questo mi scalda e crea spasmi inguinali. Un piccolo orgasmo. Sento che s'ammoscia dentro di me. Non è durato molto, ora dovrò darmi da fare. Lui va in bagno, si sfila il profilattico, sento scorrere l'acqua. Non era necessario, ma va bene lo stesso. Rientra nella stanza e si riveste. Rimango a bocca spalancata. Se ne va? Sì, esce. Esce lasciando una banconota da cinquanta sul tavolino. “Meriti una mancia.” Resto allibita; nulla m'aveva fatto pensare a un rapporto commerciale. L'umiliazione, non per la cifra, ma per l'atto inaspettato, non compensa la minimale soddisfazione. Mi alzo, mi vesto in quel poco tempo che mi serve. Me ne vado sentendomi colare fuori il mio succo. L'asciugo con un fazzolettino di carta. Sento l'odore del preservativo misto al mio. Amaro, l'odore; amaro il sapore. Sono triste. Torno al bar? È poca strada. Trovo la macchina lungo la via. Torno a casa.
Leggo sul viso di mio marito, che distoglie gli occhi dalla partita di pallavolo, uno sguardo sorpreso. È vero, è presto. Mi domanda perché. Mentre il vestito scivola sul pavimento lo supplico di massacrami. Gli racconto, carponi, la storia della sera. Più grida che parole. Impiego molto più di tutto il tempo che ho trascorso col tizio a riassumere il tutto, incalzata da assalti brutalmente consolanti. Grandinano sculaccioni. La sua presenza dentro di me è invasiva. Mi cancella via tutto.
Il mattino dopo mi sveglio. Mi dolgono vagina e schiena per i colpi ricevuti dentro. Da davanti e da dietro. Nel davanti e nel didietro. Mi brucia. Non sono una donna per bene. È per questo che m'abbraccia con una dolcezza devastante. È per questo che sotto il lenzuolo le chiazze di paradiso e d'inferno si uniscono con la stessa dolcezza.
L'albergo è banale. Ma che importa? Siamo qui per fare sesso non per cercare arredamenti eleganti e comfort eccellente. Basta togliermi il vestito perché sia nuda, le décolleté si sfilano con due movimenti brevi, secchi. Spontanei. Mi piace la sensazione fredda delle piante dei piedi sulle mattonelle. Comincio a darmi da fare con le mani per spogliarlo. M'inginocchio a dar vita con le mani e la bocca a quel coso che promette bene. Il sapore mi piace: se s'è lavato il sapone non ha lasciato tracce. M'immagino follie. Chissà quanto mi farà urlare. Immagino che arriverò a bagnare il pavimento sotto il letto, tanto sto caricandomi. Mentre ci do dentro mi dice di frenare la mia irruenza. Avevo appena iniziato a masturbarmi. Mi raffreddo un po'. Le mie dita sulla figa mi riportano in carica. Il mio lavoro orale funziona. Cerco di non metterci troppo entusiasmo; mi ha detto di farlo piano. Ce l'ha lungo, più di mio marito, ma meno grosso. Meno duro. Tutto diverso, quindi. Bene! I confronti sono finiti. Posso farmi sodomizzare senza problemi. Ho voglia di prendermelo dappertutto. Ansima, ma non dice niente. Un po' d'insulti mi andrebbero bene. Anche tanti. Invece ansima soltanto. Mi fa alzare, mi fa stendere sul letto, mi tocca con le dita, capisce che entrerà senza difficoltà. Si muove lento. Forse vuole fare l'eroe delle lunghe durate. A me servirebbero i duecento metri, adesso. Per le lunghe durate ho sempre mio marito. Mugolo. Ansimo sento il cazzo che pulsa attraverso il preservativo. Questo mi scalda e crea spasmi inguinali. Un piccolo orgasmo. Sento che s'ammoscia dentro di me. Non è durato molto, ora dovrò darmi da fare. Lui va in bagno, si sfila il profilattico, sento scorrere l'acqua. Non era necessario, ma va bene lo stesso. Rientra nella stanza e si riveste. Rimango a bocca spalancata. Se ne va? Sì, esce. Esce lasciando una banconota da cinquanta sul tavolino. “Meriti una mancia.” Resto allibita; nulla m'aveva fatto pensare a un rapporto commerciale. L'umiliazione, non per la cifra, ma per l'atto inaspettato, non compensa la minimale soddisfazione. Mi alzo, mi vesto in quel poco tempo che mi serve. Me ne vado sentendomi colare fuori il mio succo. L'asciugo con un fazzolettino di carta. Sento l'odore del preservativo misto al mio. Amaro, l'odore; amaro il sapore. Sono triste. Torno al bar? È poca strada. Trovo la macchina lungo la via. Torno a casa.
Leggo sul viso di mio marito, che distoglie gli occhi dalla partita di pallavolo, uno sguardo sorpreso. È vero, è presto. Mi domanda perché. Mentre il vestito scivola sul pavimento lo supplico di massacrami. Gli racconto, carponi, la storia della sera. Più grida che parole. Impiego molto più di tutto il tempo che ho trascorso col tizio a riassumere il tutto, incalzata da assalti brutalmente consolanti. Grandinano sculaccioni. La sua presenza dentro di me è invasiva. Mi cancella via tutto.
Il mattino dopo mi sveglio. Mi dolgono vagina e schiena per i colpi ricevuti dentro. Da davanti e da dietro. Nel davanti e nel didietro. Mi brucia. Non sono una donna per bene. È per questo che m'abbraccia con una dolcezza devastante. È per questo che sotto il lenzuolo le chiazze di paradiso e d'inferno si uniscono con la stessa dolcezza.
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