Conoscenza diretta.

di
genere
saffico

Il treno finalmente rallenta. Apro la porta della toilette, entro e mi cambio. Mi guardo allo specchio: poco trucco, rossetto rosso scuro, abbronzata. Un viso normale, insomma. Non proprio normale invece è la microgonna con cui ho sostituito i jeans che ho riposto nello zainetto. No, non sono con le tette al vento, ma peggio. Ho le tette quasi al vento, oltre ai capezzoli tesi si notano distinti i loro piercing. Una prostituta per strada è meno sconcia di me, ma io non devo procurarmi clienti, debbo incontrarmi con lei. Una prostituta per strada un perizoma, almeno, lo indossa. Io sono così, senza: per lei, ora. Eccitata. Bollente. Scoppiata di voglia. Tesa per la curiosità.
Le mie poesie, i primi contatti, messaggi, mail, vocali... Eccitazioni successive, masturbazioni contemporanee; un appuntamento. Ci siamo descritte, ma non viste in faccia. Non c'è mai stata una videochiamata. La riconoscerei per la passera e i suoi peli curati, per le tette, ma non per il viso. Neppure lei, che tanto ha capito e sa di me, conosce il mio volto fisico. Sì, dettagli anatomici, piercing... li ha visti in cento modi, ma il volto no: chissà perché, di comune accordo ma senza dircelo, non è mai è stato rivelato. Ci riconosceremo dai vestiti: lei, in tailleur grigio, da professionista con la gonna a metà coscia, io vestita da puttana: quello che lei è, quello che io sarò con lei. Esco dal cubicolo. Due persone davanti a me aspettano che la porta si apra. Non mi vedono, non mi guardano neanche. Per fortuna. Non mi vergognerei, no; mi ecciterei ancora di più. I sandali in mano, scalza per evitare cadute dagli scalini, esco dalla carrozza. Un signore brizzolato mi scruta. Afferma che sia un peccato che io stia scendendo, mentre galantemente mi aiuta. Un altro lo guarda con biasimo. Vuoi usarmi? Sono pronta, anzi bisognosa. Intanto m'allontano con un “grazie” che profuma più d'invito che di riconoscenza. Non sono riuscita a trattenermi. Calzo i sandali alti. Sono ultra eccitata. Mi dirigo verso le scale: lei mi aspetta nella biglietteria. Mentre cammino veloce comincio a bruciare. Sembra che tutti stiano tentando di sciogliere un po' i muscoli del collo, vedendo le teste degli uomini girarsi più o meno sfacciatamente per guardarmi. C'è parecchio da vedere. Se ci fosse qualcosa di visibile in più, la polizia troverebbe che non sia proprio il caso, per nulla. Così invece mi direbbero che non sarebbe il caso, che sarebbe pericoloso, che... i miei pensieri procedono come una bicicletta su un acciottolato sconnesso. Si gira anche qualche donna. Biasimo o attrazione? Non m'importa: sono qui per lei, non per loro. Sono fradicia, fra le gambe, e non la vedo. Mi sento inutilmente fradicia. Eccola! Tailleur grigio scuro, elegante, seria... accelero il passo sui tacchi alti. Mi avvicino sorridendo. Lei mi guarda interrogativa, mi respinge. Crollo. Tutta questa preparazione per umiliarmi così? La sua voce, tanto diversa da quella dei messaggi vocali, il suo accento marcatamente tedesco, disprezzo velato di gentilezza. No, non è lei! Mi scuso e procedo, continuo cercarla fra la gente nell'atrio. Mi coglie lo sconforto: mi ha dato buca. Se non mi venisse da piangere per la rabbia e la delusione abborderei qualcuno e mi farei sbattere nei cessi. Qualcosa di brutale, forte, privo di scrupoli. Guardo la gente: decido di cercarmi uno. Ne ho bisogno, tanto, troppo. Mi aspetto che mi si chieda quanto voglio: risponderò che voglio solo essere chiavata a morte. Mi fotterei anche con un cactus.
Non vedo la donna che corre nel piazzale verso la stazione. Sento però la sua voce, mi giro. È lei, stavolta è lei: tailleur grigio non così scuro, tacchi alti. Ci abbracciamo e ci baciamo sulle guance. Dalla scollatura della giacca compaiono le tette, libere. Vorrei addentarle, ma riesco a trattenermi; a fatica, ma ci riesco. Mi aspetto che controlli se ho davvero i piercing intimi. Mi mostra le mani sporche, mi dice che ha forato una gomma e ha perso tempo. Allora sono io a prendere una sua mano e a portarmela sulla figa. Sono io a mostrargliela lucida per i miei succhi. Mi sorride col viso e cogli occhi. Leggo la sua voglia, mi sembra incontenibile, si allea con la mia. Mi esalto. Mi sussurra che mi salterebbe addosso lì in mezzo alla gente. Daremmo uno spettacolo notevole. Le chiedo di andarcene subito. Insiste che si deve lavare le mani. Le dico che così sarà ancora meglio. Mi accarezza una tetta con la mano bagnata lasciandomi un segno sulla canotta, scuro e umido. I capezzoli mi si tendono fino al dolore. Mi si piegano le ginocchia. Devo dominare la mia respirazione. Andiamo alla sua macchina, scappiamo verso l'intimità. Mentre procediamo abbracciate mi chiede di camminare qualche passo davanti a lei. Vuole vedermi nell'insieme da dietro. Si ferma, io vado avanti. Muovo i fianchi come neppure una battona farebbe. Questa certezza estende la mia eccitazione, nutre la mia esigenza. La sento avvicinarsi di nuovo; mi passa un braccio dietro la schiena e mi sussurra che sto sculettando proprio come una puttana da strada. Ho una contrazione all'inguine e sento alcune gocce scivolar fuori e scorrere lente lungo la coscia. Finalmente la macchina: saliamo. Mi spiega che il cambio automatico è una comodità. Capisco perfettamente il concetto: la sua mano destra fra le mie cosce non viene interrotta da esigenze di guida. Mi gira la testa, ho un piccolo orgasmo. Devo tenere a mente la questione del cambio: lo dirò a mio marito quando sostituiremo l'auto. Allargo le cosce per agevolare la sua azione, ma lei toglie la mano. Preme il pulsante di un telecomando. Il cancello davanti a cui ci siamo fermate si apre. Garage. Lei si toglie la giacca e mi fa sfilare la gonnellina. La canotta non mi copre l'inguine, ma non serve. Non serve neppure tutto il poco che ancora indossiamo. Finalmente siamo nude, insieme. Limoniamo come due ossesse. Ci dimentichiamo di tutto. Le mani accarezzano anche le fantasie. Esauriamo i preliminari salendo le scale. Entrambe siamo bagnate, di noi stesse, l'una dell'altra. Le ho lavato le mani coi miei succhi. Lasciamo spazio alla libidine, alla lussuria, alla perversione. Ci sfiniamo, ci addormentiamo, ci svegliamo.
Doveva essere una serata, ma poi ci sono state due notti e il giorno in mezzo.
Quella volta mio marito non mi ha guardata come di solito fa quando torno da un'avventura. Non mi ha toccata per tre giorni, poi... ma questa è un'altra storia. Soprattutto il finale.
di
scritto il
2021-12-10
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