Amanda
di
Judicael Ouango
genere
dominazione
Le corde mi cingevano il corpo, ma non l’anima. C’erano candele ovunque, oltre a una luce soffusa che dava l’impressione di uno scuro crepuscolo. Avevo le braccia legate assieme, e appese sulla testa. Vedevo il mio corpo, segnato dal mio intimo di pelle. Le mie gambe spalancate, con le calze che terminavano con una sorta di guêpière e, sopra, uno slip in pizzo. Indossavo un paio di guanti che mi conferivano un non so che di nobile.
Robert mi guardò. Stava fumando una sigaretta. Le mie gambe, ciascuna legata ai montanti del letto, erano aperte, la mia vulva offerta.
Robert continuò a guardarmi, sembrava pensieroso. Lasciò cadere la cenere nel bicchiere vuoto e si avvicinò a me. Cominciò ad accarezzarmi lentamente, in modo molto delicato. Mi sentivo prigioniera, ma ero consenziente e tutto questo mi faceva sentire paradossalmente libera. Libera di godere.
Robert avvicinò la sigaretta al mio corpo. Le tenne ad un paio di centimetri, ne sentivo il calore, ma non mi bruciò. Una sensazione strana. La mano nera di Robert mi eccitava oltremisura.
Tutte le possibili sfaccettature del sesso mi intrigavano. Ero una donna indipendente, sempre alla ricerca di emozioni estreme.
Avvertii il calore della sigaretta accesa salirmi piano piano fino all’interno coscia. Arrivò quasi al pube mentre inarcavo la schiena per l’eccitazione, ma Robert non si soffermò e risalì verso i miei capezzoli. Era tensione pura, la pressione del desiderio nelle mie vene, nella mia anima. Le punte dei miei capezzoli sentirono subito un dolce calore che li avvolgeva. Pur rimanendo distante abbastanza da non bruciarmi, lambiva i miei capezzoli con la sigaretta accesa, rendendoli incandescenti. Poi, di colpo, me li baciò, inumidendoli e ci soffiò sopra. Passai da una bruciante sensazione di calore ad una deliziosa freschezza.
Robert era tra le mie cosce, le spalancò ulteriormente con le sue grandi mani e affondò la sua testa nera nel mio intimo.
La sua lingua premeva attraverso il tessuto setoso e bagnato dei miei slip. Il mio clitoride era un ascensore per il paradiso. La sua lingua era esperta e guardare le mie cosce bianche attorno a quel collo scuro mi faceva bagnare ancora di più.
La sua testa si alzava, o si piegava. Sentivo la sua lingua andare su, di lato... sposare i contorni del mio clitoride. Legata com’ero, ero arresa a lui, o meglio, al piacere che lui mi dava.
“Voglio vedere in te” disse.
Mi strappò letteralmente le mutandine facendomi emettere un gridolino di sorpresa. Non me lo aspettavo. In realtà, con Robert, avevo imparato che non dovevo mai aspettarmi niente, o meglio, che dovevo aspettarmi l’inaspettato. Ogni volta, era diverso.
Mi infilò immediatamente due dita nella fica. Subito dopo Quelle dita diventarono tre, poi quattro, poi riuscì a penetrarmi con l’intera mano. Non fu doloroso come mi sarei aspettata. Ero così bagnata che, malgrado la mole della sua mano, riusciva ad infilarla quasi completamente fin dentro le mie viscere. Mi sentivo posseduta. Presa. Fatta donna. Ogni mio spazio intimo era occupato. Non ero stata messa a tacere. Semplicemente, avevo riposto le chiavi del mio piacere nelle sue mani.
Venni così forte che risucchiai letteralmente la sua mano con i miei spasmi.
Si alzò dandomi modo di vedere la potenza del suo fisico. Sembrava una statua di uno scultore rinato dell’antica Grecia e col potere di dare vita alla pietra. La natura con lui era stata decisamente generosa. Era alto, ben proporzionato con un bellissimo culo. Non credo avrei mai potuto indovinare quanto fosse perversa la sua mente, anche perché non avevo nemmeno idea di quanto lo fosse la mia. Le esperienze trasgressive erano state più un passatempo per evitare la noia, ma Robert era una presenza incredibilmente reale. Sin dalla prima volta che lo vidi, ero stata attratta da lui. Sfortunatamente, non ero l’unica, e in quella discoteca, anche un paio delle mie amiche ci provarono.
Ci ritrovammo per caso una mattina al bar. Così scoprii che non abitava lontano da casa mia. Fu così che cominciammo a vederci. Erano erano passati due mesi da quella mattina ed io, ora, ero legata al letto, offerta a lui.
Robert entrò in me lentamente. Come per farmi sentire la grandezza della sua verga. Era enorme. Era alto quasi due metri e il suo cazzo era coerente con la sua statura. Lo sentii scivolare in me e lo accolsi con ardore. Col pollice, mi toccava il clitoride, mentre con una mano, mi stringeva un seno, muovendosi ritmicamente dentro di me. Era eccitatissimo, lo avvertivo dalle pulsazioni del suo pene dentro di me. Si fermava giusto sull’orlo dell’orgasmo, poi riprendeva adagio. Ero striata di nero, coperta da un nero, cullata nel piacere, senza obblighi, donata.
Subito dopo Robert mi sollevò e fece sì che salissi sopra di lui per impalarmi sul suo cazzo. Potevo muovermi e lo feci. Guardandolo negli occhi, attenta a non farlo esplodere, pur cercando egoisticamente il mio piacere. La scena mi piaceva, lo specchio che c’era di fronte, che prendeva quasi tutta la stanza, rimandava l’immagine dei nostri corpi felici.
Il suo pene andava e veniva dentro di me, mentre teneva gli occhi chiusi come per assaporare meglio le sensazioni. Con meno intensità, gli venni addosso rimanendo ferma per sentire il suo cazzo pulsare.
“Slegami”, gli dissi. Lui sorrise facendo splendere i suoi denti, mi sciolse le mani, poi i piedi. Si sdraiò sul letto accanto a me. Scivolai giù e mi infilai il suo pene in bocca. Avevo proprio voglia di sentirlo. Il piacere di un uomo ha il suo culmine proprio lì. Con il cazzo in bocca, riuscivo a percepire chiaramente il livello di desiderio di un uomo per me. Ero rea del suo piacere, lui era affidato a me, cosi come in un certo modo io lo ero stata a lui.
Spinsi più che potevo il suo membro nella mia gola. Volevo prenderlo tutto. Tentativo vano viste le sue dimensioni, ma volevo fargli sentire anche il mio desiderio, cosi come lui mi aveva posseduta prima, lo facevo io ora. Ero al timone della nave del piacere.
Lui gemeva, al limite del piacere. Ma sapevo ciò che voleva. Avevamo guardato nelle nostre intimità e ci eravamo legati, perché simili. Robert amava possedere, ed essere posseduto. Ciò che faceva a me, io lo facevo a lui. L’amore ha equilibrio, ed il sesso ne é l’arena. In quel momento sapevo bene cosa fare.
Mi alzai e presi lo strap on che era sul comodino. Mentre lo preparavo, Robert si mise carponi. Il suo culo era magnifico. Ma lo era ancor di più la vista di un uomo così bello e potente, arreso al piacere. Mi avvicinai piano. Gli toccai le natiche provocandogli un sussulto. Poi, col dito, scesi fino al buco del culo, cominciando a forzarlo delicatamente. Lo sentivo aprirsi pian piano, rilassarsi, aspettare che lo invadessi. Aiutandomi con un po’ di saliva, spinsi lo strap on nel suo sedere, strappandogli un grido rauco. Si inarcò spingendosi verso di me, mentre gli schiaffeggiavo le natiche.
Mi sentivo potente. Alla pari. Ero stata presa ed ora toccava a me. Lo facevo meticolosamente, a gran colpi e lui apprezzava. Ad un certo punto, sentii la mia vagina contrarsi, come se fossi io ad essere presa e nel contempo, Robert si portò la mano sul pene e cominciò a masturbarsi.
Venimmo assieme. In un lungo e selvaggio grido.
Crollammo sfiniti sul letto e Robert mi sussurrò:
“Amanda, mi piaci...”.
Non mi chiamo Amanda. Ma in quel momento, devo dire che non me ne fregava assolutamente niente. In estasi com’ero, poteva anche chiamarmi mamma. Tuttavia, mi girai verso di lui guardandolo…
“Mi hai chiamato Amanda…ora me la paghi….”. Mi alzai e presi le manette, la frustra, ed il vibratore piu grande che c’era in stanza.
Robert mi guardò. Stava fumando una sigaretta. Le mie gambe, ciascuna legata ai montanti del letto, erano aperte, la mia vulva offerta.
Robert continuò a guardarmi, sembrava pensieroso. Lasciò cadere la cenere nel bicchiere vuoto e si avvicinò a me. Cominciò ad accarezzarmi lentamente, in modo molto delicato. Mi sentivo prigioniera, ma ero consenziente e tutto questo mi faceva sentire paradossalmente libera. Libera di godere.
Robert avvicinò la sigaretta al mio corpo. Le tenne ad un paio di centimetri, ne sentivo il calore, ma non mi bruciò. Una sensazione strana. La mano nera di Robert mi eccitava oltremisura.
Tutte le possibili sfaccettature del sesso mi intrigavano. Ero una donna indipendente, sempre alla ricerca di emozioni estreme.
Avvertii il calore della sigaretta accesa salirmi piano piano fino all’interno coscia. Arrivò quasi al pube mentre inarcavo la schiena per l’eccitazione, ma Robert non si soffermò e risalì verso i miei capezzoli. Era tensione pura, la pressione del desiderio nelle mie vene, nella mia anima. Le punte dei miei capezzoli sentirono subito un dolce calore che li avvolgeva. Pur rimanendo distante abbastanza da non bruciarmi, lambiva i miei capezzoli con la sigaretta accesa, rendendoli incandescenti. Poi, di colpo, me li baciò, inumidendoli e ci soffiò sopra. Passai da una bruciante sensazione di calore ad una deliziosa freschezza.
Robert era tra le mie cosce, le spalancò ulteriormente con le sue grandi mani e affondò la sua testa nera nel mio intimo.
La sua lingua premeva attraverso il tessuto setoso e bagnato dei miei slip. Il mio clitoride era un ascensore per il paradiso. La sua lingua era esperta e guardare le mie cosce bianche attorno a quel collo scuro mi faceva bagnare ancora di più.
La sua testa si alzava, o si piegava. Sentivo la sua lingua andare su, di lato... sposare i contorni del mio clitoride. Legata com’ero, ero arresa a lui, o meglio, al piacere che lui mi dava.
“Voglio vedere in te” disse.
Mi strappò letteralmente le mutandine facendomi emettere un gridolino di sorpresa. Non me lo aspettavo. In realtà, con Robert, avevo imparato che non dovevo mai aspettarmi niente, o meglio, che dovevo aspettarmi l’inaspettato. Ogni volta, era diverso.
Mi infilò immediatamente due dita nella fica. Subito dopo Quelle dita diventarono tre, poi quattro, poi riuscì a penetrarmi con l’intera mano. Non fu doloroso come mi sarei aspettata. Ero così bagnata che, malgrado la mole della sua mano, riusciva ad infilarla quasi completamente fin dentro le mie viscere. Mi sentivo posseduta. Presa. Fatta donna. Ogni mio spazio intimo era occupato. Non ero stata messa a tacere. Semplicemente, avevo riposto le chiavi del mio piacere nelle sue mani.
Venni così forte che risucchiai letteralmente la sua mano con i miei spasmi.
Si alzò dandomi modo di vedere la potenza del suo fisico. Sembrava una statua di uno scultore rinato dell’antica Grecia e col potere di dare vita alla pietra. La natura con lui era stata decisamente generosa. Era alto, ben proporzionato con un bellissimo culo. Non credo avrei mai potuto indovinare quanto fosse perversa la sua mente, anche perché non avevo nemmeno idea di quanto lo fosse la mia. Le esperienze trasgressive erano state più un passatempo per evitare la noia, ma Robert era una presenza incredibilmente reale. Sin dalla prima volta che lo vidi, ero stata attratta da lui. Sfortunatamente, non ero l’unica, e in quella discoteca, anche un paio delle mie amiche ci provarono.
Ci ritrovammo per caso una mattina al bar. Così scoprii che non abitava lontano da casa mia. Fu così che cominciammo a vederci. Erano erano passati due mesi da quella mattina ed io, ora, ero legata al letto, offerta a lui.
Robert entrò in me lentamente. Come per farmi sentire la grandezza della sua verga. Era enorme. Era alto quasi due metri e il suo cazzo era coerente con la sua statura. Lo sentii scivolare in me e lo accolsi con ardore. Col pollice, mi toccava il clitoride, mentre con una mano, mi stringeva un seno, muovendosi ritmicamente dentro di me. Era eccitatissimo, lo avvertivo dalle pulsazioni del suo pene dentro di me. Si fermava giusto sull’orlo dell’orgasmo, poi riprendeva adagio. Ero striata di nero, coperta da un nero, cullata nel piacere, senza obblighi, donata.
Subito dopo Robert mi sollevò e fece sì che salissi sopra di lui per impalarmi sul suo cazzo. Potevo muovermi e lo feci. Guardandolo negli occhi, attenta a non farlo esplodere, pur cercando egoisticamente il mio piacere. La scena mi piaceva, lo specchio che c’era di fronte, che prendeva quasi tutta la stanza, rimandava l’immagine dei nostri corpi felici.
Il suo pene andava e veniva dentro di me, mentre teneva gli occhi chiusi come per assaporare meglio le sensazioni. Con meno intensità, gli venni addosso rimanendo ferma per sentire il suo cazzo pulsare.
“Slegami”, gli dissi. Lui sorrise facendo splendere i suoi denti, mi sciolse le mani, poi i piedi. Si sdraiò sul letto accanto a me. Scivolai giù e mi infilai il suo pene in bocca. Avevo proprio voglia di sentirlo. Il piacere di un uomo ha il suo culmine proprio lì. Con il cazzo in bocca, riuscivo a percepire chiaramente il livello di desiderio di un uomo per me. Ero rea del suo piacere, lui era affidato a me, cosi come in un certo modo io lo ero stata a lui.
Spinsi più che potevo il suo membro nella mia gola. Volevo prenderlo tutto. Tentativo vano viste le sue dimensioni, ma volevo fargli sentire anche il mio desiderio, cosi come lui mi aveva posseduta prima, lo facevo io ora. Ero al timone della nave del piacere.
Lui gemeva, al limite del piacere. Ma sapevo ciò che voleva. Avevamo guardato nelle nostre intimità e ci eravamo legati, perché simili. Robert amava possedere, ed essere posseduto. Ciò che faceva a me, io lo facevo a lui. L’amore ha equilibrio, ed il sesso ne é l’arena. In quel momento sapevo bene cosa fare.
Mi alzai e presi lo strap on che era sul comodino. Mentre lo preparavo, Robert si mise carponi. Il suo culo era magnifico. Ma lo era ancor di più la vista di un uomo così bello e potente, arreso al piacere. Mi avvicinai piano. Gli toccai le natiche provocandogli un sussulto. Poi, col dito, scesi fino al buco del culo, cominciando a forzarlo delicatamente. Lo sentivo aprirsi pian piano, rilassarsi, aspettare che lo invadessi. Aiutandomi con un po’ di saliva, spinsi lo strap on nel suo sedere, strappandogli un grido rauco. Si inarcò spingendosi verso di me, mentre gli schiaffeggiavo le natiche.
Mi sentivo potente. Alla pari. Ero stata presa ed ora toccava a me. Lo facevo meticolosamente, a gran colpi e lui apprezzava. Ad un certo punto, sentii la mia vagina contrarsi, come se fossi io ad essere presa e nel contempo, Robert si portò la mano sul pene e cominciò a masturbarsi.
Venimmo assieme. In un lungo e selvaggio grido.
Crollammo sfiniti sul letto e Robert mi sussurrò:
“Amanda, mi piaci...”.
Non mi chiamo Amanda. Ma in quel momento, devo dire che non me ne fregava assolutamente niente. In estasi com’ero, poteva anche chiamarmi mamma. Tuttavia, mi girai verso di lui guardandolo…
“Mi hai chiamato Amanda…ora me la paghi….”. Mi alzai e presi le manette, la frustra, ed il vibratore piu grande che c’era in stanza.
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