La ragazza troppo bella - Parte 6
di
Judicael Ouango
genere
dominazione
Eravamo in una piccola cabina. Probabilmente quella dell'equipaggio. Elena aveva le labbra tumefatte ed era piena di lividi ovunque. Io no avevo qualcuno, ma non si erano accaniti su di me. Non avevamo avuto ancora modo di parlare. Quando ci avevamo provato nel furgone un paio di ceffi ad entrambe ci aveva ammutolite. L'uomo che ci sorvegliava era uscito sulla plancia. "Elena, che ci faranno" le chiesi. Ero terrorizzata. Al limite psicologicamente, vivevo una storia incredibile, un avventura che mai credevo mi sarebbe capitato. Rapita. Nel mio mondo succedeva solo a quelle ragazze che "appartenevano". Le vedevamo molto di rado, specialmente nelle feste "erotiche". Party organizzati in discrete location dove ci si receva in maschera e succedevano cose indicibili. Molte di queste cose indicibili di cui vere e proprie torture subite per lo "show". In un modo o nell'altro erano costrette, e soffrivano. Chi mi avrebbe cercata? mi chiesi. I miei genitori con cui non mi parlavo più? Mio fratello di Roma che oltre ad approfittarsi di me mi disprezzava nemmeno troppo apertamente? Il mio portiere? Il ragazzo di cui non ricordavo il nome che mi aggiustò lo specchio? Ero affianco. Amante occasionale. Orecchio attento. Motivo di vanto per gli uomini. Ma ero sola. Qualcuno si sarebbe dispiaciuto della mia sparizione, forse cercata, ma nessuno avrebbe mosso cielo e terra per ritrovarmi. Elena era un disastro in viso. Le lacrime non cessavano di colare scavalcando quelle asciutte e facendole sembrare delle righe sul viso tumefatto. Guardarla mi faceva stare malissimo. Gli uomini che l'avevano picchiata ce l'avevano particolarmente nei suoi confronti. Urlavano in russo mentre la picchiavano. Era evidente che volevano farle pagare qualcosa. Mi chiesi se si trattasse solo della fuga, se la mia amica non mi avesse mentito, se non avesse rubato che ne so, soldi, brillanti. Mi vennero mille dubbi, ma ad un certo punto la porta si apri bruscamente ed entrarono tre uomini. Il terzo era nuovo. Ben vestito, barba tagliata, cappelli in ordine. Ci guardava e sorrideva. Eravamo topi presi all'angolo, e lui si leccava i baffi. Ci parlò in russo. Elena grugni. Non riusciva a parlare. Il piede dell'uomo le colpi bruscamente il viso mandandola a sbattere contro la parete della piccola cabina. Cominciai ad urlare prima che l'uomo guardandomi fisso si mettesse in dito sulla bocca. Capi subito e mi rintanai cercando di farmi piu piccola che potessi. L'uomo si rivolse a me in russo ma risposi con la testa che non capivo. "Italiano?" mi chiese. Risposi di si. "Come ti chiami?" mi chiese. "Monica" dissi a voce bassa. "Bene Monica, noi ora divertire" disse con un pronunciato accento russo. Poi disse qualcosa ai due uomini che erano con lui e risero tutti. Uno di loro andò a chiudere la porta. L'altro invece cominciò a togliersi la cinta dei pantaloni. Quello che aveva chiuso la porta fece immediatamente lo stesso mentre il terzo uomo guardava con un occhio maligno. Senza molti riguardi, uno di loro prese Elena per i cappelli e trattandola come una bambola gonfiabile la mise in posizione a carponi. Poi, prese il suo membro in mano e cominciò a masturbarsi. In pochissimo tempo, fu eretto. Aveva il cazzo piccolo. Guardavo orrendamente ipnotizzata, mentre entrava in Elena che ebbe un movimento di riflesso tentando di sfilarsi. L'uomo le diede un calcio nel sedere che la mandò a cozzare violentemente con la testa contro la parete che si ammacco. L'uomo poi la riprese per i cappelli mentre il sangue gocciolava sul suo viso e la rimise nella medesima posizione. Il secondo uomo divertito dalla scena mi guardò e mi fece segno di girarmi. Cominciai a piangere ma non ebbi il tempo di portare le mani agli occhi che un schiaffo mi fece volare dall'altra parte. Caddi su Elena provocando le ira dell'uomo che la stava stuprando e mi beccai un altro calcio nel torace. Ero stordita, dolorante, sentivo le voci di qualcuno che diceva qualcosa ma non capivo da dove arrivasse. Mi senti tirare dai cappelli e mi ritrovai affianco ad Elena nella stessa posizione. Il mio corpo doleva cosi tanto che non mi resi nemmeno conto che l'uomo dietro di me era entrato in me. Me ne resi conto dai suoi colpi violenti, il torace mi bruciava, anche la vagina, ma in confronto al resto del corpo era irrilevante. I due uomini non c visero tanto a venire. Pochi minuti ed uno dopo l'altro rantolando godettero dentro di noi. Elena non piangeva più. Aveva un espressione spenta. Come quella di una bambina rassegnata alla punizione. L'uomo piu elegante dei tre, quello che non aveva partecipato disse qualcosa ad Elena e ridendo uscirono tutti e tre. Poi, dopo un paio di ore, uno di loro tornò e ci accompagnò a turno a fare i nostri bisogni ed a lavarci. Poi, ci rinchiusero di nuovo e ci violentarono ancora. Elena era completamente passiva. Non aveva più aperto bocca. Fece tutto quello che gli uomini le chiesero. Feci lo stesso. Ero sotto shock. Ci portarono da mangiare la sera e ci dissero che avremo salpato il giorno di dopo per la Russia. In quel momento, gli occhi di Elena per un momento sembrano tornare vivi. Ma solo per un momento.
La mattina presto, faceva ancora buio quando fumo svegliate dal rumore in plancia. Sentimmo la catena che stavano tirando ed il motore acceso. Poi, successe tutto in un attimo. Esplosioni, raffiche di arma da fuoco, grida ovunque, poi un intensa luce in faccia e la parola che mani ci saremmo aspettate di sentire: Polizia.
"E quindi Luigi vedendovi ha capito che qualcosa non andava. Si è messo in macchina ed ha seguito il furgone fino al porto di Genova. Ha visto quando vi hanno fatte salve sulla nave ed ha contattato la polizia raccontandogli la storia. Nel frattempo io vi avevo mandato un messaggio per sapere come state ma non ho avuto risposta e mi sono allarmato. E quindi sono passato. Non trovandovi sono salito e mi sono fatto aprire dal portiere. Dal casino che abbiamo rinvenuto, ho capito che eravate nei guai ed ho fatto diramare subito un allerta interna ed alle frontiere. Ragion per cui Luigi quando ha fatto la denuncia è stato facile ricollegare con l'allerta fatta dapprima e quindi hanno deciso di agire a prima mattina. Abbiamo arrestato sette uomini. C'è stato un confronto armato ma nessuno ci ha rimesso la pelle. Saranno processati e giudicati per rapimento, tortura, e parecchi altri capi di imputazione.". Era Alberto che raccontava come ci avessero trovate. Luigi era il ragazzo di cui non ricordavo il nome e che mi aveva aggiustato lo specchio. Ricordavo di averlo incrociato uscendo dall'ascensore. Elena non aveva ancora parlato. Era rimasta muta, silenziosa. Mangiava ed ascoltava guardando nel vuoto. Le tenevo la mano. Una psicologa della polizia aveva provato a risvegliarla dal suo torpore, ma le aveva riposto un unica cosa: "lasci stare, non puo e non potrà mai capire".
In ospedale avevano insistito per tenerci in osservazione. Ma dopo quel che avevo passato, pur con parecchie costole incrinate, lividi ovunque, non volevo stare in un posto teatro, chiuso. Sentivo di rinascere, di aver perso una vita e di dover ricominciare daccapo. Volevo vivere, essendo stata cosi vicino alla morte. In giornata tornammo a Roma. Entrai a casa con un senso di disagio. Avevo paura. Elena tornò a casa sua. Provai a chiamarla in serata ma non rispose. Non rispose mai più. Se ne andò via il giorno dopo. Non disse mai a nessuno dove andò, e non la rividi mai più. Elena aveva paura. Era cosciente che i suoi ex gioia non si sarebbero fermati. Anzi, le avrebbero addossato la colpa di questo smacco, gli anni di prigione, la barca persa. L'avrebbero tagliata a pezzi e mandato un pezzo ad ogni suo conoscente. Lei lo sapeva. La cosa migliore da fare era sparir di nuovo. E lo fece. Non le serbo rancore. Sparire dalle bestie che ci avevano catturato era davvero la cosa migliore. E dire che avevo passato meno di quarantotto ore con loro...
"Ciao Luigi!". Il ragazzo di cui ricordavo ora il nome che mi aveva aggiustato lo specchio e salvato la vita mi sorrise rispondendo e come sempre abbassò gli occhi. Avevo insistito per conoscerlo, per ringraziarlo. Non aveva accettato i soldi. "Il dovere non si paga" disse. Ma volli invitarlo a cena per sdebitarmi almeno in parte. Gli dovevo la vita. Vedendo una situazione strana, a lui estranea, si era messo in macchina compiendo un viaggio di ore per accertarsi che non fossimo in pericolo. Gli dovevo tanto.
Luigi entrò e richiuse la porta dietro di lui. Istintivamente, guardò lo specchio per assicurarsi che il suo lavoro avesse retto. Poi, si girò a guardare il mio appartamento come se fosse la prima volta che lo vedesse. Probabilmente, in questa ottica si. Guardiamo gli operai come operai e basta. Non condividiamo con loro il nostro spazio, al massimo un caffè. Sono ospiti non voluti gli operai. Questa volta era ben voluto Luigi, ed era cosi imbarazzato da sembrare ancor piu goffo di quanto era. Erano passate due settimane dal fattaccio e a parte qualche costola che ancora mi doleva stavo abbastanza bene. Andai a tirare il rosbif fuori dal forno e cominciai a fare i piatti mentre chiedevo a Luigi di aprire versare il vino. Mi fece ridere il modo in cui lo fece. Riempi quasi fino all'orlo i calici. Mi fece sorridere la sua semplicità. Brindammo e mangiammo parlando molto delle nostre infanzie. Luigi era buffo quando si sentiva al suo agio. Il vino lo aiutava molto a rilassarsi e dopo un ora sembrava fossimo grandi amici. Aveva preso coraggio e mi guardava negli occhi quando parlava. Diceva un sacco di aneddoti comici e rise cosi tanto da avere la gola irritata. Non ricordavo di una serata cosi da un sacco di tempo. La semplicità non faceva parte del mio mondo. È difficile frequentare due mondi opposti. Anche i legami di sangue spesso non reggono. Nessuno ti viene a prendere in un quartiere popolare con una Ferrari. Semplice, anche se cinico. Ma la semplicità ha i suoi vantaggi. Si è e basta. Senza vesti, trucchi, sotterfugi. Si è. Punto. Luigi era un uomo semplice. E questa sua semplicità era probabilmente la cura a ciò che avevo subito.
Fui io ad insistere per ballare. Abbracciandomi a lui, mi resi conto di quanto fosse potente. I muscoli erano chiaramente contornati sotto le mie dita, il suo petto era largo e possente. Senti il calore delle sue mani riscaldarmi la schiena. Senti un piacevole calore difendersi fino al basso schiena, una stretta prendermi alla pancia. Avevo gli occhi chiusi, Pino Daniele cantava per noi, stavo bene in quel momento. Non avevo calcolato assolutamente nulla. Ad essere onesta, Luigi è l'uomo che non avrei mai guardata sennonché per necessita lavorativa, ossia, che avessi bisogno dei suoi servigi. Ciò non gli rendeva giustizia, era un bell'uomo, ma era povero. Povero forse no, di sicuro, non era ricco.
Furono le mie mani in autonomia a decidere di capire meglio dell'anatomia di Luigi. Centimetro dopo centimetro, mi meravigliavo del tono della sua pelle, del disegno dei muscoli. Lui non osava accarezzarmi la schiena. Era rigido. Lo sentivo. Anche eccitato. Di tanto in tanto, volutamente, cozzavo contro il bozzolo che aveva tra le gambe. Impercettibilmente, le mani di Luigi scendevano sul mio culo. Per lui ero un sogno. Lo sentivo. Mi piaceva. Contavo. Un valore che perdevo nel mondo che frequentavo. Lui me lo dava tutto. Sei bellissima diceva. Senza aprire bocca.
Lo lasciai li ed andai verso il letto. Mi spogliai dalla tonaca elegante che avevo e rimasi nuda ai piedi del letto. "Vieni" gli dissi. Era cosi emozionato ed impacciato che dovetti aiutarlo a svestirsi. Poi, lo tirai sul letto, e facemmo dolcemente l'amore.
La mia avventura mi aveva cambiata, ero diventata cinica. Ma quel momento mi servi a comprendere che ancora c'era del bene, delle emozioni, delle sensazioni positive. Rividi Luigi poche volte dopo.
La mattina presto, faceva ancora buio quando fumo svegliate dal rumore in plancia. Sentimmo la catena che stavano tirando ed il motore acceso. Poi, successe tutto in un attimo. Esplosioni, raffiche di arma da fuoco, grida ovunque, poi un intensa luce in faccia e la parola che mani ci saremmo aspettate di sentire: Polizia.
"E quindi Luigi vedendovi ha capito che qualcosa non andava. Si è messo in macchina ed ha seguito il furgone fino al porto di Genova. Ha visto quando vi hanno fatte salve sulla nave ed ha contattato la polizia raccontandogli la storia. Nel frattempo io vi avevo mandato un messaggio per sapere come state ma non ho avuto risposta e mi sono allarmato. E quindi sono passato. Non trovandovi sono salito e mi sono fatto aprire dal portiere. Dal casino che abbiamo rinvenuto, ho capito che eravate nei guai ed ho fatto diramare subito un allerta interna ed alle frontiere. Ragion per cui Luigi quando ha fatto la denuncia è stato facile ricollegare con l'allerta fatta dapprima e quindi hanno deciso di agire a prima mattina. Abbiamo arrestato sette uomini. C'è stato un confronto armato ma nessuno ci ha rimesso la pelle. Saranno processati e giudicati per rapimento, tortura, e parecchi altri capi di imputazione.". Era Alberto che raccontava come ci avessero trovate. Luigi era il ragazzo di cui non ricordavo il nome e che mi aveva aggiustato lo specchio. Ricordavo di averlo incrociato uscendo dall'ascensore. Elena non aveva ancora parlato. Era rimasta muta, silenziosa. Mangiava ed ascoltava guardando nel vuoto. Le tenevo la mano. Una psicologa della polizia aveva provato a risvegliarla dal suo torpore, ma le aveva riposto un unica cosa: "lasci stare, non puo e non potrà mai capire".
In ospedale avevano insistito per tenerci in osservazione. Ma dopo quel che avevo passato, pur con parecchie costole incrinate, lividi ovunque, non volevo stare in un posto teatro, chiuso. Sentivo di rinascere, di aver perso una vita e di dover ricominciare daccapo. Volevo vivere, essendo stata cosi vicino alla morte. In giornata tornammo a Roma. Entrai a casa con un senso di disagio. Avevo paura. Elena tornò a casa sua. Provai a chiamarla in serata ma non rispose. Non rispose mai più. Se ne andò via il giorno dopo. Non disse mai a nessuno dove andò, e non la rividi mai più. Elena aveva paura. Era cosciente che i suoi ex gioia non si sarebbero fermati. Anzi, le avrebbero addossato la colpa di questo smacco, gli anni di prigione, la barca persa. L'avrebbero tagliata a pezzi e mandato un pezzo ad ogni suo conoscente. Lei lo sapeva. La cosa migliore da fare era sparir di nuovo. E lo fece. Non le serbo rancore. Sparire dalle bestie che ci avevano catturato era davvero la cosa migliore. E dire che avevo passato meno di quarantotto ore con loro...
"Ciao Luigi!". Il ragazzo di cui ricordavo ora il nome che mi aveva aggiustato lo specchio e salvato la vita mi sorrise rispondendo e come sempre abbassò gli occhi. Avevo insistito per conoscerlo, per ringraziarlo. Non aveva accettato i soldi. "Il dovere non si paga" disse. Ma volli invitarlo a cena per sdebitarmi almeno in parte. Gli dovevo la vita. Vedendo una situazione strana, a lui estranea, si era messo in macchina compiendo un viaggio di ore per accertarsi che non fossimo in pericolo. Gli dovevo tanto.
Luigi entrò e richiuse la porta dietro di lui. Istintivamente, guardò lo specchio per assicurarsi che il suo lavoro avesse retto. Poi, si girò a guardare il mio appartamento come se fosse la prima volta che lo vedesse. Probabilmente, in questa ottica si. Guardiamo gli operai come operai e basta. Non condividiamo con loro il nostro spazio, al massimo un caffè. Sono ospiti non voluti gli operai. Questa volta era ben voluto Luigi, ed era cosi imbarazzato da sembrare ancor piu goffo di quanto era. Erano passate due settimane dal fattaccio e a parte qualche costola che ancora mi doleva stavo abbastanza bene. Andai a tirare il rosbif fuori dal forno e cominciai a fare i piatti mentre chiedevo a Luigi di aprire versare il vino. Mi fece ridere il modo in cui lo fece. Riempi quasi fino all'orlo i calici. Mi fece sorridere la sua semplicità. Brindammo e mangiammo parlando molto delle nostre infanzie. Luigi era buffo quando si sentiva al suo agio. Il vino lo aiutava molto a rilassarsi e dopo un ora sembrava fossimo grandi amici. Aveva preso coraggio e mi guardava negli occhi quando parlava. Diceva un sacco di aneddoti comici e rise cosi tanto da avere la gola irritata. Non ricordavo di una serata cosi da un sacco di tempo. La semplicità non faceva parte del mio mondo. È difficile frequentare due mondi opposti. Anche i legami di sangue spesso non reggono. Nessuno ti viene a prendere in un quartiere popolare con una Ferrari. Semplice, anche se cinico. Ma la semplicità ha i suoi vantaggi. Si è e basta. Senza vesti, trucchi, sotterfugi. Si è. Punto. Luigi era un uomo semplice. E questa sua semplicità era probabilmente la cura a ciò che avevo subito.
Fui io ad insistere per ballare. Abbracciandomi a lui, mi resi conto di quanto fosse potente. I muscoli erano chiaramente contornati sotto le mie dita, il suo petto era largo e possente. Senti il calore delle sue mani riscaldarmi la schiena. Senti un piacevole calore difendersi fino al basso schiena, una stretta prendermi alla pancia. Avevo gli occhi chiusi, Pino Daniele cantava per noi, stavo bene in quel momento. Non avevo calcolato assolutamente nulla. Ad essere onesta, Luigi è l'uomo che non avrei mai guardata sennonché per necessita lavorativa, ossia, che avessi bisogno dei suoi servigi. Ciò non gli rendeva giustizia, era un bell'uomo, ma era povero. Povero forse no, di sicuro, non era ricco.
Furono le mie mani in autonomia a decidere di capire meglio dell'anatomia di Luigi. Centimetro dopo centimetro, mi meravigliavo del tono della sua pelle, del disegno dei muscoli. Lui non osava accarezzarmi la schiena. Era rigido. Lo sentivo. Anche eccitato. Di tanto in tanto, volutamente, cozzavo contro il bozzolo che aveva tra le gambe. Impercettibilmente, le mani di Luigi scendevano sul mio culo. Per lui ero un sogno. Lo sentivo. Mi piaceva. Contavo. Un valore che perdevo nel mondo che frequentavo. Lui me lo dava tutto. Sei bellissima diceva. Senza aprire bocca.
Lo lasciai li ed andai verso il letto. Mi spogliai dalla tonaca elegante che avevo e rimasi nuda ai piedi del letto. "Vieni" gli dissi. Era cosi emozionato ed impacciato che dovetti aiutarlo a svestirsi. Poi, lo tirai sul letto, e facemmo dolcemente l'amore.
La mia avventura mi aveva cambiata, ero diventata cinica. Ma quel momento mi servi a comprendere che ancora c'era del bene, delle emozioni, delle sensazioni positive. Rividi Luigi poche volte dopo.
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