Freddo 2
di
Margie
genere
sadomaso
Freddo, decisamente freddo. Le gambe, il tronco, le orecchie, le braccia, le mani. Ho proprio freddo. Mi tocco il naso, senza capire se sia più ghiacciata la punta o se siano le dita a trasmettere il freddo alla mia proboscide. Eh, sì, sono nuda. È buio. Ma dove sono? C'è la neve? Ecco, sì, forse sono immersa nella neve, sommersa da una coltre bianca. No. Non posso essere sotto la neve: sono asciutta. Riconosco la mia pelle, sento le mie mani che cercano di procurarmi ristoro termico. Ho fredda anche la passera. “se vuoi sentire il calore della Valle della Morte, toccale la figa. A parte il fatto che ce l'ha sempre bagnata mentre la Valle della Morte è secca”. Quante volte me l'hanno detto? Del resto è vero: mi bagno facilmente e se una mano mi passa lì sotto reagisco sempre in modo entusiasticamente positivo. Mica per nulla riconosco di essere una troia e mi piace anche che me lo dicano quando mi scopano.
No, non c'è neve attorno. Un soffio d'aria, ancora più freddo, me lo conferma. Non è il respiro di una persona. Sarebbe caldo, sarebbe umido. Questo invece sembra piuttosto una stilettata di ghiaccio, una serie di aghi tenuti nel frigorifero. Compare una stanza attorno a me. La luce e le pareti sono azzurre, non come il cielo, ma come il ghiaccio. Sento ancora più freddo. Si può dire che è corrosivo? Spifferi. Da dove provengono? Mi guardo attorno: è tutto uniforme. Se non fosse per le dimensioni, per gli spifferi, per la gelida luce uniforme, potrei pensare d'essere in una scatola. E quelle pareti... Sono di mattoni, anch'essi color ghiaccio. Morirò di freddo? Un sibilo: che cosa sarà? Tremo. Tremo anche di paura, adesso. Mi guardo attorno. Scruto l'ambiente attorno a me: non c'è un dettaglio che possa fungere da punto di riferimento. L'ambiente è circolare. Scorro cogli occhi e posso percorrerlo per procedere all'infinito in una qualsivoglia direzione. È sempre più gelido, questo luogo. Ma come ci sono entrata? Non vedo porte, né finestre, né riesco a trovare un elemento che possa rappresentare un'idea di via d'uscita o d'accesso. Il mio scrutare è vano e rafforza la percezione del gelo. Batto i denti; ne sento il rumore ritmico che infrange questo assoluto silenzio. Forse sono in una segreta di una piramide? Ma dove? Le piramidi sono in Egitto, in America. Dovrei essere a casa. Provo a toccarmi: gelide dita toccano un gelido clitoride. Mi uscirà ghiaccio dalla passera, allora? Il battito dei denti è più inesorabile di quello del cuore, ma, in questo silenzio, è più fragoroso di un martello pneumatico. Tocco i miei piercing e li sento ancor più freddi del mio corpo, dell'ambiente stesso.
“Hai freddo, tesoro?” Una voce di donna alle mie spalle mi fa girare. Voce beffarda, sarcastica, irridente, come la sua risatina idiota. Se mi mettessi a sudare per la paura, mi coprirei di una coltre di ghiaccio? Ma da dov'è potuta entrare? Credo che il mio tremare si trasmetta anche al mondo circostante. Riuscirò a rispondere? Le mie mandibole non sono controllabili. La donna è bianca, bianchissima nei punti in cui emerge da un mantello blu intenso. Sembra un cadavere, ma si muove flessuosa e sensuale. Ride. Ripete la sua domanda. La mia mitragliatrice dentale mi lascia rispondere qualcosa che vorrebbe essere un sì. Capirà? S'avvicina, mi sfiora. Riesce a provocarmi un brivido, anche se non capisco se le sue dita siano calde o più fredde di me. Muove i miei piercing, lentamente, uno dopo l'altro, tutti e sette. La sua voce dai suoni glaciali mi dice che sì, forse ho bisogno di scaldarmi, mi promette di tornare in breve tempo. Buio e silenzio, improvvisi. Percepisco nel gelo la mia rinnovata solitudine. Provo di nuovo a toccarmi, come per sentire vita attorno a me. Un lampo è breve, mentre il bagliore che mi accieca è persistente. La donna ora indossa stivali che le arrivano sopra il ginocchio, con un tacco che la rende più alta di me. Il vestito è mio, l'ho fatto io, l'indossavo ieri, quand'è giunto mio marito. Volevo mi saltasse addosso e così è stato. In quei momenti avevo caldo, tanto. È una canottiera, il vestito, con le spalline sottili, molto scollata, cortissima. Sotto le ascelle è completamente aperta, soltanto una piccola cucitura riesce a creare l'asola attraverso cui passano le braccia. A lei copre bene l'inguine, a me no. Basta un soffio d'aria per sollevare uno dei due lembi e mostrare la propria nudità. La donna ora è abbronzata, sembra quasi una mulatta. Afferra come dal nulla un oggetto di metallo, una specie di sbarra. All'estremità opposta all'impugnatura lignea una luce quasi bianca, rovente, terrorizzante. Un presagio atroce trova subito conferma. La donna mi dice che il marchio a fuoco che sta per impormi mi scalderà per bene. Poi ride sarcastica. "È il marchio delle puttane." Così imparo a scoparmi il suo uomo. Urlo terrorizzata. Tendo le braccia nel vuoto in un gesto di estrema difesa... La voce di mio marito mi chiede spaventata che cosa mi stia accadendo. Sto ansimando, senza fiato. Dove sono? Distesa, mi sollevo e mi siedo. Intanto la luce si accende. Vedo il piumone accasciato sul pavimento. Non è poi così freddo come nel sogno, però coperta starò sicuramente meglio. Lui mi abbraccia. Il suo calore si diffonde su di me, dentro di me; mi scioglie il corpo e la mente. Le prospettive sono mutate, drasticamente.
No, non c'è neve attorno. Un soffio d'aria, ancora più freddo, me lo conferma. Non è il respiro di una persona. Sarebbe caldo, sarebbe umido. Questo invece sembra piuttosto una stilettata di ghiaccio, una serie di aghi tenuti nel frigorifero. Compare una stanza attorno a me. La luce e le pareti sono azzurre, non come il cielo, ma come il ghiaccio. Sento ancora più freddo. Si può dire che è corrosivo? Spifferi. Da dove provengono? Mi guardo attorno: è tutto uniforme. Se non fosse per le dimensioni, per gli spifferi, per la gelida luce uniforme, potrei pensare d'essere in una scatola. E quelle pareti... Sono di mattoni, anch'essi color ghiaccio. Morirò di freddo? Un sibilo: che cosa sarà? Tremo. Tremo anche di paura, adesso. Mi guardo attorno. Scruto l'ambiente attorno a me: non c'è un dettaglio che possa fungere da punto di riferimento. L'ambiente è circolare. Scorro cogli occhi e posso percorrerlo per procedere all'infinito in una qualsivoglia direzione. È sempre più gelido, questo luogo. Ma come ci sono entrata? Non vedo porte, né finestre, né riesco a trovare un elemento che possa rappresentare un'idea di via d'uscita o d'accesso. Il mio scrutare è vano e rafforza la percezione del gelo. Batto i denti; ne sento il rumore ritmico che infrange questo assoluto silenzio. Forse sono in una segreta di una piramide? Ma dove? Le piramidi sono in Egitto, in America. Dovrei essere a casa. Provo a toccarmi: gelide dita toccano un gelido clitoride. Mi uscirà ghiaccio dalla passera, allora? Il battito dei denti è più inesorabile di quello del cuore, ma, in questo silenzio, è più fragoroso di un martello pneumatico. Tocco i miei piercing e li sento ancor più freddi del mio corpo, dell'ambiente stesso.
“Hai freddo, tesoro?” Una voce di donna alle mie spalle mi fa girare. Voce beffarda, sarcastica, irridente, come la sua risatina idiota. Se mi mettessi a sudare per la paura, mi coprirei di una coltre di ghiaccio? Ma da dov'è potuta entrare? Credo che il mio tremare si trasmetta anche al mondo circostante. Riuscirò a rispondere? Le mie mandibole non sono controllabili. La donna è bianca, bianchissima nei punti in cui emerge da un mantello blu intenso. Sembra un cadavere, ma si muove flessuosa e sensuale. Ride. Ripete la sua domanda. La mia mitragliatrice dentale mi lascia rispondere qualcosa che vorrebbe essere un sì. Capirà? S'avvicina, mi sfiora. Riesce a provocarmi un brivido, anche se non capisco se le sue dita siano calde o più fredde di me. Muove i miei piercing, lentamente, uno dopo l'altro, tutti e sette. La sua voce dai suoni glaciali mi dice che sì, forse ho bisogno di scaldarmi, mi promette di tornare in breve tempo. Buio e silenzio, improvvisi. Percepisco nel gelo la mia rinnovata solitudine. Provo di nuovo a toccarmi, come per sentire vita attorno a me. Un lampo è breve, mentre il bagliore che mi accieca è persistente. La donna ora indossa stivali che le arrivano sopra il ginocchio, con un tacco che la rende più alta di me. Il vestito è mio, l'ho fatto io, l'indossavo ieri, quand'è giunto mio marito. Volevo mi saltasse addosso e così è stato. In quei momenti avevo caldo, tanto. È una canottiera, il vestito, con le spalline sottili, molto scollata, cortissima. Sotto le ascelle è completamente aperta, soltanto una piccola cucitura riesce a creare l'asola attraverso cui passano le braccia. A lei copre bene l'inguine, a me no. Basta un soffio d'aria per sollevare uno dei due lembi e mostrare la propria nudità. La donna ora è abbronzata, sembra quasi una mulatta. Afferra come dal nulla un oggetto di metallo, una specie di sbarra. All'estremità opposta all'impugnatura lignea una luce quasi bianca, rovente, terrorizzante. Un presagio atroce trova subito conferma. La donna mi dice che il marchio a fuoco che sta per impormi mi scalderà per bene. Poi ride sarcastica. "È il marchio delle puttane." Così imparo a scoparmi il suo uomo. Urlo terrorizzata. Tendo le braccia nel vuoto in un gesto di estrema difesa... La voce di mio marito mi chiede spaventata che cosa mi stia accadendo. Sto ansimando, senza fiato. Dove sono? Distesa, mi sollevo e mi siedo. Intanto la luce si accende. Vedo il piumone accasciato sul pavimento. Non è poi così freddo come nel sogno, però coperta starò sicuramente meglio. Lui mi abbraccia. Il suo calore si diffonde su di me, dentro di me; mi scioglie il corpo e la mente. Le prospettive sono mutate, drasticamente.
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