Io e Andrea. Capitolo cinque.
di
Trozzai Gotusva
genere
trans
Io e Andrea. Capitolo cinque
Il ritorno alla quotidianità sembrò per certi versi facilitato dopo quel fine settimana pieno di emozioni. Riuscivo a prendere tutto a cuor leggero e sentivo di possedere energie nuove nel fronteggiare le innumerevoli traversie nell’esercizio della professione. C’erano però momenti dove arrivavo a vivere attimi di “indecisione e astinenza” che mi gettavano nel panico. La sicurezza di avere Andrea per come mi si era data, avrebbe dovuto garantire serenità nella tempesta emozionale che imperversava in me dal momento in cui l’avevo incontrata.
Nel lungo periodo del limbo d’attesa antecedente il primo incontro, di cui mi sono limitato nello scrivere, ho continuato a mantenere le abituali relazioni con i miei contatti maschili e femminili. Abitudini quindi, relazioni con scopa amiche/i che garantivano con serenità la soddisfazione dei bisogni sessuali delle parti, in una rete relazionale fortemente privilegiata. Era sufficiente una telefonata mossa dall’amica/o che presentava il bisogno per trovare tempo e modo di incontrarci. Lo stesso facevo io. A volte anche al lavoro, prima di un impegno stressante per contenuti o difficoltà tecniche piuttosto che complessità scientifiche. Un giro di telefonate mi garantiva un rinforzo sicuro con un pompino magistrale o una sveltina corroborante senza se e senza ma.
Ecco, mentre attendevo il messaggio di Andrea, a giorni aumentavo le prestazioni per cercare di addormentare il desiderio e la frustrazione per il probabile rifiuto, o addirittura diventavo misantropo e non rispondevo al telefono negandomi. Fra le amiche/i serpeggiava il sentore che qualcosa stesse bollendo in pentola. Alcune/i di loro speravano di poter entrare nelle mie grazie con una relazione stabile; ho sempre chiarito il tipo di rapporto e questo rendeva trasparente ogni azione. Ma tornando all’argomento dello scritto, in questo inizio settimana a metà mattina ricevetti il messaggio di un’amica che chiedeva una scopata da lei nella pausa pranzo.
Mi accorsi che continuavo a lavorare con una parte frazionata del cervello, quella degli automatismi, mentre la creatività correva nella ricerca di come e quando avrei potuto sentire o vedere Andrea ben prima del fine settimana. Non rispondevo all’amica che era abituata a vedere la risposta positiva ed entusiasta nel giro di una decina di minuti con Sms perché spesso internet non funzionava nelle strutture schermate. Alla fine le scrissi che non era possibile per una endurance di incontri anche nella pausa pranzo. Ero entrato nella posizione automatica. Il frigolio che partiva dalla mutanda e arrivava sotto il cuoio capelluto, rimandava ad una sola immagine dal nome “Andrea”!
Non mi riconoscevo ma quella era la mia nuova realtà. Sentivo il suo profumo, il calore. La totale dedizione nell’amplesso era stata così realisticamente palpabile nella sua veridicità che il semplice ricordo era sufficiente per riportarmi indietro nel tempo a rivivere le emozioni fortissime dei singoli fotogrammi rievocati dalla mente. A volte addirittura mi fermavo per riviverne qualcuno rimembrandone le sensazioni, tanto risultava reale. Mi era balenata l’idea di andare a trovarla durante la pausa pranzo. I 120 chilometri che mi dividevano da lei, rendevano impossibile l’incontro.
Così optai per una telefonata, sperando che anche lei percepisse un desiderio analogo e non mi vivesse come un fuori di testa. Ci vollero pochi secondi per capire che eravamo già legati a doppio filo. Al primo squillo Andrea rispose. Ti stavo chiamando io disse! Avevo una voglia matta di sentire dalla tua voce qualsiasi cosa ti fosse passata per la mente in merito al nostro primo fine settimana. Anch’io, risposi, stessa idea. Era bello ascoltarla, mi stavo già rilassando e deviando la discussione su banalità, avevo dimenticato tutta l’ansia di pochi attimi prima. Che sensazione rendermi conto che risultavamo ancora insieme, anche se appesi al cavo telefonico.
Andrea tagliò corto dicendo semplicemente: in realtà ti avrei chiamato per dirti che ho voglia di te. Vorrei vederti al più presto, non ce la faccio a resistere fino a venerdì senza stringerti. Se potessi guidare, stasera verrei da te anche solo per un abbraccio ed un bacio. Anch’io, replicai e adesso che sento quanto siamo in sintonia, farò il possibile perché ci si veda. Mi riempì di mille parole dolci intervallate da baci lanciati attraverso il microfono del telefono, percepivo i rumori e mi sembrava di sentire il calore delle labbra su di me. La voce le si rompeva per l’emozione e la cosa mi colpì profondamente. Rassicurandola che appena mi fossi organizzato le avrei dato l’appuntamento a brevissimo, concludemmo la telefonata.
Rimediai un paio di sveltine con due scopamiche, durante la pausa pranzo di martedì e mercoledì. Angela e Denise rimasero fortemente contrariate dal modo prepotente con cui le trattai. A me sembrava di essere quello di sempre dissi giustificandomi; ma ad una rapida analisi trovai avessero ragione, anzi, non solo potevo risultare così, a tratti credo di avere utilizzato anche un po’ di violenza. Quasi a rimproverarle di non essere come Andrea, non avere il suo profumo, la sua forza nel darsi con determinazione nei vari momenti del coito. Mi sarebbe venuta la voglia quasi di confessare questa inadeguatezza che stavo scoprendo in loro. Per fortuna stetti zitto ed attesi che arrivasse la sera del mercoledì.
Lasciai lo studio di corsa, fornendo ai collaboratori quel minimo di informazioni necessarie alla conclusione delle attività della giornata e all’avvio per quelle dell’indomani. Luigia, lavorava con me da molti anni e accompagnandomi alla porta dall’alto dei suoi quasi sessant’anni mi chiese cosa stesse succedendo che dal mattino di quel lunedì stavo mettendo in crisi un po’ tutti? Me ne rendevo conto le dissi; l’indomani avrei giustificato il mio comportamento scusandomi. La ringraziai per avermelo fatto notare. Adesso andavo di fretta ma si trattava di un problema personale che mi stava influenzando. La donna ringraziò e tornò indietro visibilmente sollevata.
Sedetti sul mio coupé senza preoccuparmi minimamente di cosa avremo potuto fare o dove saremmo andati una volta insieme. Coprii troppo velocemente i chilometri che mi separavano da lei. Andai a prenderla direttamente a casa, uscì accompagnata dalla madre che mi guardò malissimo e indirizzandomi a malapena un cenno di saluto, fece alla figlia una sfilza interminabile di raccomandazioni, di cui rimarcò in modo particolare quella di non rimanere in giro fino a tardi. Andrea scivolò sul sedile inondando il piccolo abitacolo col suo profumo inebriante. Parti, disse mentre si allacciava la cintura e subito fece un cenno di saluto attraverso il finestrino, alla madre che continuava a guardare nella nostra direzione.
Appena usciti dall’isolato ci fermammo al primo spiazzo lato strada per stringerci in un abbraccio e fondere il nostro respiro in un lunghissimo bacio che scatenò un’erezione pazzesca, tale da tendere allo stremo la patta. Andrea andò subito a controllare accarezzando il pacco da fuori, ma rimandiamo tutto a dopo dissi io. Andrea non avrebbe nemmeno voluto cenare per stare assieme tutto il tempo, ma insistetti per una cenetta leggera, magari un apericena in uno dei tanti locali del centro storico, e così dopo cinque minuti eravamo seduti ad un tavolo con il nostro aperitivo ed un vassoio pieno di ogni ben di dio.
Ci guardavamo mentre attingevamo le monoporzioni appetitose disposte magistralmente nei vassoi: ma affogati negli sguardi, pregustavamo i sapori dei nostri corpi già idealmente uniti. Era una serata con un cielo pieno di stelle e stare all’aperto, soprattutto poco vestiti risultava difficile. Io avevo la mia giacca e Andrea sfoggiava un copri spalle che esaltava il suo fascino. Facciamo due passi? Azzardai la proposta proprio per non far trasparire il desiderio che mi bruciava. Ma ci pensò lei rispondendo: direi di no, appartiamoci dove dico io e non perdiamo tempo. Aderii con entusiasmo alla proposta; rientrammo in auto e uscimmo dal centro storico, spostandoci verso la campagna.
Percorremmo non più di cinque sei chilometri e Andrea mi indirizzò su una strada bianca che si addentrava tra i campi coltivati. Dopo un paio di curve entrammo in un cortile ampio, attorniato da alberi di alto fusto. Qui saremo al sicuro disse. È la casa che fu dei miei nonni, ora disabitata. Le chiavi le custodisce mia madre e non sono mai riuscita a sottrargliele, nessuno ci disturberà. Abbracciarci e baciarci fu facile, ed entrambi volevamo di più anche se nessuno dei due pensava di prendere una stanza a ore. Provammo ad uscire per darci di più, ma il fresco della sera soprattutto dopo mangiato, si fece subito sentire come poco piacevole.
Sperimentammo così quanto ogni angolo di mondo potesse essere un regno quando lo si condivide con chi occupa anche i tuoi sogni. Andrea abbassò facendolo arretrare al massimo il sedile del passeggero invitandomi ad inginocchiarmi sul pavimento dell’auto, davanti a lei. Con qualche acrobazia ci liberammo dai vestiti depositandoli in un feroce disordine dal lato autista. Eravamo già nudi ed abbracciati pronti ad offrirci tutto il nostro amore. Il perizoma continuava a mantenere prigioniera la proboscide e non voleva liberarla per il momento, ma in quella posizione, al primo vigoroso struscio, me la trovai che frizionava la muscolatura degli addominali e Andrea se ne scusò.
Le baciavo la bocca, il volto ed il collo riuscendo a scendere fino ai piccoli seni dai capezzoli turgidi, lei mi accarezzava il cazzo e lo scroto a piene mani salendo sino al volto per attirarmi a se e fare il gioco del mordi succhia e lecca con la mia bocca. Riuscì non so come, ad alzare le gambe ed aprile poggiando i piedi sopra il cruscotto, orientando il mio cazzo dall’erezione prepotente sul buchetto già ben lubrificato. Non muoverti finché non te lo dirò io propose: in questa posizione il cannone che hai tra le gambe, potrebbe farmi tanto male. Eseguii gli ordini con dedizione e vidi come agilmente, roteando il bacino si stesse impossessando di quel palo impaziente di carne. Sei tanto amore, ma devi essere solo mio, continuò.
Da non credere come la manovra di adattamento si protraesse nel tempo mandandomi letteralmente in visibilio. Ero in balia di mille sensazioni piacevoli. L’eccitazione erotica nel vedere quello spettacolo mi teneva inginocchiato davanti a lei. Silenziosa e concentrata, spingeva il bacino imperniato sul mio uccello, facendolo salire lentamente ma inesorabilmente dentro quel corpo ospitale nonostante la magrezza. Io indietreggiavo nello spazio angusto, sino ad essere impossibilitato ad andare oltre perché appoggiato al cruscotto. Andrea continuava a muoversi e mancava poco ormai alla completa introduzione. La presi per i glutei con le mani a coppa adagiandola più in alto sul sedile e lei riprese le sue manovre sino a spingermi nuovamente all’immobilità.
A quel punto, fu lei ad arretrare ed a stimolarmi al movimento, con le gambe sulle mie spalle, mi artigliò i glutei attirandomi a se ed iniziai a limarle il culo con un andirivieni di impagabile libidine. Tenendola sollevata, riuscivo a farle scivolare il cazzo dentro e mi pareva di vedere come la stessi scavando. Sentivo al progredire dell’asta, come si allargasse il canale del piacere, il tutto accompagnato dalla colonna sonora dei suoi sospiri, dal vocabolario di appellativi che mi rivolgeva incitandomi a continuare in quel misurato assalto che, oramai stavo imparando a scoprirlo, preparava il terreno ad altre schermaglie amorose.
Mi chinavo a baciarla allentando la presa sui glutei per accarezzarla, ma subito tornavamo ad assalirci sul possesso dettato dalla penetrazione. Si tolse per girarsi accovacciata sul sedile in posizione fetale mettendomi davanti il posteriore pulsante, la coprii strappandole una serie di grida ad ogni progresso del membro nelle viscere. Non sapevo se scusarmi per l’irruenza, non avevo esperienze simili, ma Andrea pur sottolineando come le dimensioni la mettessero in imbarazzo, ribadiva il piacere che il nostro darci, procurava senza limiti.
Si staccò lentamente e mi chiese di prendere il suo posto; scendemmo dall’auto e mi sedetti mentre lei infilando le gambe ai lati del sedile, si impalò esibendosi in una danza che mi portò più volte al limite dell’orgasmo, e quando glielo dicevo, si fermava! Dedicavamo qualche minuto a baciarci, poi tornava a sbattersi sul pezzo che oramai agognava esplodere tutta la sborra accumulata eruttando il piacere in qualunque modo lo volesse apprezzare. Andrea sembrava non pensarci al momento, visto come si infilava tutta l’asta facendomi apprezzare la punta sull’addome. Secondo l’angolazione adottata quando ci si sedeva sopra con tutto il suo peso, sentivo la tensione dei visceri sulla cappella.
Accarezzavo e baciavo tutte le parti di quel corpo che mi venivano a tiro secondo i suoi movimenti, ma era chiaro come fosse lei a decidere cosa e come fare. Era attrice principale e regista di quell’amplesso agognato. Non avrei mai voluto concludere e desideravo rallentare, al limite evitavo pure di sborrare per non iniziare a sentirne nuovamente il desiderio e pensare a quando succederà la prossima volta. Continuò pur diminuendo il ritmo, alternando ogni sessione di battute misurate, a baci e carezze. Era incredibilmente sudata e ciononostante non accennava a smettere, le proposi di farci una sborrata e ricominciare, ero eccitatissimo e terribilmente coinvolto.
Sembrò pensarci un attimo ma rispose che non ce l’avrebbe fatta a continuare ancora per molto; sei insaziabile e non ti accontenti mai. Sembrava stizzita. La accarezzai invitandola a fermarsi qualche secondo. Arrestò la danza mantenendosi saldamente impalata sul mio povero cazzo (che peraltro godeva oltremodo per quel trattamento). Io resisto perché voglio arrivare dove mi puoi portare tu le risposi. Decidi quando e per me andrà bene. Queste sono le mie regole. Quando vuoi posso donarti il mio piacere che il tuo è già apprezzato sin dal primo sospiro. Andrea mi baciò e scivolando all’indietro si liberò dal dominio del membro.
Aprì la porta ed il fresco della sera ci venne in soccorso, nonostante avessi aperto uno spiraglio di aria abbassando i vetri delle portiere, il piccolo abitacolo era oramai saturo di odori e umori, nonché del calore emesso dai nostri corpi. Prese il tappetino sottopiede e appoggiandolo sull’erba, si inginocchiò mettendosi comodamente a succhiarmi l’uccello. Strusciava le tettine sulla coscia destra e vedevo chiaramente il salsicciotto ballonzolare rimbalzando talvolta sul battitacco della portiera. Adesso dammi tutta la sborra che puoi mi disse, voglio farne una scorpacciata.
Vedevo che di tanto in tanto dava una smanettata anche al suo pistolotto. Avrei voluto partecipare ma mi sembrava di rompere una sorta di equilibrio. Andrea continuava imperterrita la sua operazione di succhiamento e quando lo toglieva dalla bocca ricevevo una sequenza di colpi da sega che erano chiaramente orientati a far eruttare anche l’uccello più frigido. La sequenza di colpi veniva accompagnata da leccate lascive del glande e quando la avvisai di essere in dirittura d’arrivo, prese il suo in una mano e l’altra sul mio; non mollò nessuno dei due finché non svuotò sull’erba i suoi schizzi, mentre dei miei non v’era traccia all’aperto, neanche quando dopo averne succhiato anche l’ultimo spermatozoo la attirai per baciarla. Nemmeno il sapore acidulo ne era rimasto. Andrea aveva ingoiato tutto.
Uscii dall’auto e nudi, avvolti dal buio della notte, protetti dall’ombra dei grandi alberi in quell’aia abbandonata illuminata dalla luna, rimanemmo per qualche minuto abbracciati. I nostri corpi sudati si erano asciugati ed iniziavamo a patire il fresco della notte. Ci rivestimmo e tornammo in auto. Seduti l’uno vicino all’altra, ci sentivamo beati delle gioie che l’amore ci aveva regalato, ma tristi perché avremmo dovuto tornare ognuno alle proprie case. Il fine settimana era ancora lontano ed avevamo già fame l’uno dell’altra, seppur la carne avesse già ricevuto la giusta prova. Avviai il motore e la riportai a casa dove si vedeva la sagoma di sua madre spiare dietro le persiane. Amore, già mi manchi le sussurrai e lei di rimando: anche tu! Un bacetto e la promessa che ci saremmo sentiti stasera.
Il ritorno alla quotidianità sembrò per certi versi facilitato dopo quel fine settimana pieno di emozioni. Riuscivo a prendere tutto a cuor leggero e sentivo di possedere energie nuove nel fronteggiare le innumerevoli traversie nell’esercizio della professione. C’erano però momenti dove arrivavo a vivere attimi di “indecisione e astinenza” che mi gettavano nel panico. La sicurezza di avere Andrea per come mi si era data, avrebbe dovuto garantire serenità nella tempesta emozionale che imperversava in me dal momento in cui l’avevo incontrata.
Nel lungo periodo del limbo d’attesa antecedente il primo incontro, di cui mi sono limitato nello scrivere, ho continuato a mantenere le abituali relazioni con i miei contatti maschili e femminili. Abitudini quindi, relazioni con scopa amiche/i che garantivano con serenità la soddisfazione dei bisogni sessuali delle parti, in una rete relazionale fortemente privilegiata. Era sufficiente una telefonata mossa dall’amica/o che presentava il bisogno per trovare tempo e modo di incontrarci. Lo stesso facevo io. A volte anche al lavoro, prima di un impegno stressante per contenuti o difficoltà tecniche piuttosto che complessità scientifiche. Un giro di telefonate mi garantiva un rinforzo sicuro con un pompino magistrale o una sveltina corroborante senza se e senza ma.
Ecco, mentre attendevo il messaggio di Andrea, a giorni aumentavo le prestazioni per cercare di addormentare il desiderio e la frustrazione per il probabile rifiuto, o addirittura diventavo misantropo e non rispondevo al telefono negandomi. Fra le amiche/i serpeggiava il sentore che qualcosa stesse bollendo in pentola. Alcune/i di loro speravano di poter entrare nelle mie grazie con una relazione stabile; ho sempre chiarito il tipo di rapporto e questo rendeva trasparente ogni azione. Ma tornando all’argomento dello scritto, in questo inizio settimana a metà mattina ricevetti il messaggio di un’amica che chiedeva una scopata da lei nella pausa pranzo.
Mi accorsi che continuavo a lavorare con una parte frazionata del cervello, quella degli automatismi, mentre la creatività correva nella ricerca di come e quando avrei potuto sentire o vedere Andrea ben prima del fine settimana. Non rispondevo all’amica che era abituata a vedere la risposta positiva ed entusiasta nel giro di una decina di minuti con Sms perché spesso internet non funzionava nelle strutture schermate. Alla fine le scrissi che non era possibile per una endurance di incontri anche nella pausa pranzo. Ero entrato nella posizione automatica. Il frigolio che partiva dalla mutanda e arrivava sotto il cuoio capelluto, rimandava ad una sola immagine dal nome “Andrea”!
Non mi riconoscevo ma quella era la mia nuova realtà. Sentivo il suo profumo, il calore. La totale dedizione nell’amplesso era stata così realisticamente palpabile nella sua veridicità che il semplice ricordo era sufficiente per riportarmi indietro nel tempo a rivivere le emozioni fortissime dei singoli fotogrammi rievocati dalla mente. A volte addirittura mi fermavo per riviverne qualcuno rimembrandone le sensazioni, tanto risultava reale. Mi era balenata l’idea di andare a trovarla durante la pausa pranzo. I 120 chilometri che mi dividevano da lei, rendevano impossibile l’incontro.
Così optai per una telefonata, sperando che anche lei percepisse un desiderio analogo e non mi vivesse come un fuori di testa. Ci vollero pochi secondi per capire che eravamo già legati a doppio filo. Al primo squillo Andrea rispose. Ti stavo chiamando io disse! Avevo una voglia matta di sentire dalla tua voce qualsiasi cosa ti fosse passata per la mente in merito al nostro primo fine settimana. Anch’io, risposi, stessa idea. Era bello ascoltarla, mi stavo già rilassando e deviando la discussione su banalità, avevo dimenticato tutta l’ansia di pochi attimi prima. Che sensazione rendermi conto che risultavamo ancora insieme, anche se appesi al cavo telefonico.
Andrea tagliò corto dicendo semplicemente: in realtà ti avrei chiamato per dirti che ho voglia di te. Vorrei vederti al più presto, non ce la faccio a resistere fino a venerdì senza stringerti. Se potessi guidare, stasera verrei da te anche solo per un abbraccio ed un bacio. Anch’io, replicai e adesso che sento quanto siamo in sintonia, farò il possibile perché ci si veda. Mi riempì di mille parole dolci intervallate da baci lanciati attraverso il microfono del telefono, percepivo i rumori e mi sembrava di sentire il calore delle labbra su di me. La voce le si rompeva per l’emozione e la cosa mi colpì profondamente. Rassicurandola che appena mi fossi organizzato le avrei dato l’appuntamento a brevissimo, concludemmo la telefonata.
Rimediai un paio di sveltine con due scopamiche, durante la pausa pranzo di martedì e mercoledì. Angela e Denise rimasero fortemente contrariate dal modo prepotente con cui le trattai. A me sembrava di essere quello di sempre dissi giustificandomi; ma ad una rapida analisi trovai avessero ragione, anzi, non solo potevo risultare così, a tratti credo di avere utilizzato anche un po’ di violenza. Quasi a rimproverarle di non essere come Andrea, non avere il suo profumo, la sua forza nel darsi con determinazione nei vari momenti del coito. Mi sarebbe venuta la voglia quasi di confessare questa inadeguatezza che stavo scoprendo in loro. Per fortuna stetti zitto ed attesi che arrivasse la sera del mercoledì.
Lasciai lo studio di corsa, fornendo ai collaboratori quel minimo di informazioni necessarie alla conclusione delle attività della giornata e all’avvio per quelle dell’indomani. Luigia, lavorava con me da molti anni e accompagnandomi alla porta dall’alto dei suoi quasi sessant’anni mi chiese cosa stesse succedendo che dal mattino di quel lunedì stavo mettendo in crisi un po’ tutti? Me ne rendevo conto le dissi; l’indomani avrei giustificato il mio comportamento scusandomi. La ringraziai per avermelo fatto notare. Adesso andavo di fretta ma si trattava di un problema personale che mi stava influenzando. La donna ringraziò e tornò indietro visibilmente sollevata.
Sedetti sul mio coupé senza preoccuparmi minimamente di cosa avremo potuto fare o dove saremmo andati una volta insieme. Coprii troppo velocemente i chilometri che mi separavano da lei. Andai a prenderla direttamente a casa, uscì accompagnata dalla madre che mi guardò malissimo e indirizzandomi a malapena un cenno di saluto, fece alla figlia una sfilza interminabile di raccomandazioni, di cui rimarcò in modo particolare quella di non rimanere in giro fino a tardi. Andrea scivolò sul sedile inondando il piccolo abitacolo col suo profumo inebriante. Parti, disse mentre si allacciava la cintura e subito fece un cenno di saluto attraverso il finestrino, alla madre che continuava a guardare nella nostra direzione.
Appena usciti dall’isolato ci fermammo al primo spiazzo lato strada per stringerci in un abbraccio e fondere il nostro respiro in un lunghissimo bacio che scatenò un’erezione pazzesca, tale da tendere allo stremo la patta. Andrea andò subito a controllare accarezzando il pacco da fuori, ma rimandiamo tutto a dopo dissi io. Andrea non avrebbe nemmeno voluto cenare per stare assieme tutto il tempo, ma insistetti per una cenetta leggera, magari un apericena in uno dei tanti locali del centro storico, e così dopo cinque minuti eravamo seduti ad un tavolo con il nostro aperitivo ed un vassoio pieno di ogni ben di dio.
Ci guardavamo mentre attingevamo le monoporzioni appetitose disposte magistralmente nei vassoi: ma affogati negli sguardi, pregustavamo i sapori dei nostri corpi già idealmente uniti. Era una serata con un cielo pieno di stelle e stare all’aperto, soprattutto poco vestiti risultava difficile. Io avevo la mia giacca e Andrea sfoggiava un copri spalle che esaltava il suo fascino. Facciamo due passi? Azzardai la proposta proprio per non far trasparire il desiderio che mi bruciava. Ma ci pensò lei rispondendo: direi di no, appartiamoci dove dico io e non perdiamo tempo. Aderii con entusiasmo alla proposta; rientrammo in auto e uscimmo dal centro storico, spostandoci verso la campagna.
Percorremmo non più di cinque sei chilometri e Andrea mi indirizzò su una strada bianca che si addentrava tra i campi coltivati. Dopo un paio di curve entrammo in un cortile ampio, attorniato da alberi di alto fusto. Qui saremo al sicuro disse. È la casa che fu dei miei nonni, ora disabitata. Le chiavi le custodisce mia madre e non sono mai riuscita a sottrargliele, nessuno ci disturberà. Abbracciarci e baciarci fu facile, ed entrambi volevamo di più anche se nessuno dei due pensava di prendere una stanza a ore. Provammo ad uscire per darci di più, ma il fresco della sera soprattutto dopo mangiato, si fece subito sentire come poco piacevole.
Sperimentammo così quanto ogni angolo di mondo potesse essere un regno quando lo si condivide con chi occupa anche i tuoi sogni. Andrea abbassò facendolo arretrare al massimo il sedile del passeggero invitandomi ad inginocchiarmi sul pavimento dell’auto, davanti a lei. Con qualche acrobazia ci liberammo dai vestiti depositandoli in un feroce disordine dal lato autista. Eravamo già nudi ed abbracciati pronti ad offrirci tutto il nostro amore. Il perizoma continuava a mantenere prigioniera la proboscide e non voleva liberarla per il momento, ma in quella posizione, al primo vigoroso struscio, me la trovai che frizionava la muscolatura degli addominali e Andrea se ne scusò.
Le baciavo la bocca, il volto ed il collo riuscendo a scendere fino ai piccoli seni dai capezzoli turgidi, lei mi accarezzava il cazzo e lo scroto a piene mani salendo sino al volto per attirarmi a se e fare il gioco del mordi succhia e lecca con la mia bocca. Riuscì non so come, ad alzare le gambe ed aprile poggiando i piedi sopra il cruscotto, orientando il mio cazzo dall’erezione prepotente sul buchetto già ben lubrificato. Non muoverti finché non te lo dirò io propose: in questa posizione il cannone che hai tra le gambe, potrebbe farmi tanto male. Eseguii gli ordini con dedizione e vidi come agilmente, roteando il bacino si stesse impossessando di quel palo impaziente di carne. Sei tanto amore, ma devi essere solo mio, continuò.
Da non credere come la manovra di adattamento si protraesse nel tempo mandandomi letteralmente in visibilio. Ero in balia di mille sensazioni piacevoli. L’eccitazione erotica nel vedere quello spettacolo mi teneva inginocchiato davanti a lei. Silenziosa e concentrata, spingeva il bacino imperniato sul mio uccello, facendolo salire lentamente ma inesorabilmente dentro quel corpo ospitale nonostante la magrezza. Io indietreggiavo nello spazio angusto, sino ad essere impossibilitato ad andare oltre perché appoggiato al cruscotto. Andrea continuava a muoversi e mancava poco ormai alla completa introduzione. La presi per i glutei con le mani a coppa adagiandola più in alto sul sedile e lei riprese le sue manovre sino a spingermi nuovamente all’immobilità.
A quel punto, fu lei ad arretrare ed a stimolarmi al movimento, con le gambe sulle mie spalle, mi artigliò i glutei attirandomi a se ed iniziai a limarle il culo con un andirivieni di impagabile libidine. Tenendola sollevata, riuscivo a farle scivolare il cazzo dentro e mi pareva di vedere come la stessi scavando. Sentivo al progredire dell’asta, come si allargasse il canale del piacere, il tutto accompagnato dalla colonna sonora dei suoi sospiri, dal vocabolario di appellativi che mi rivolgeva incitandomi a continuare in quel misurato assalto che, oramai stavo imparando a scoprirlo, preparava il terreno ad altre schermaglie amorose.
Mi chinavo a baciarla allentando la presa sui glutei per accarezzarla, ma subito tornavamo ad assalirci sul possesso dettato dalla penetrazione. Si tolse per girarsi accovacciata sul sedile in posizione fetale mettendomi davanti il posteriore pulsante, la coprii strappandole una serie di grida ad ogni progresso del membro nelle viscere. Non sapevo se scusarmi per l’irruenza, non avevo esperienze simili, ma Andrea pur sottolineando come le dimensioni la mettessero in imbarazzo, ribadiva il piacere che il nostro darci, procurava senza limiti.
Si staccò lentamente e mi chiese di prendere il suo posto; scendemmo dall’auto e mi sedetti mentre lei infilando le gambe ai lati del sedile, si impalò esibendosi in una danza che mi portò più volte al limite dell’orgasmo, e quando glielo dicevo, si fermava! Dedicavamo qualche minuto a baciarci, poi tornava a sbattersi sul pezzo che oramai agognava esplodere tutta la sborra accumulata eruttando il piacere in qualunque modo lo volesse apprezzare. Andrea sembrava non pensarci al momento, visto come si infilava tutta l’asta facendomi apprezzare la punta sull’addome. Secondo l’angolazione adottata quando ci si sedeva sopra con tutto il suo peso, sentivo la tensione dei visceri sulla cappella.
Accarezzavo e baciavo tutte le parti di quel corpo che mi venivano a tiro secondo i suoi movimenti, ma era chiaro come fosse lei a decidere cosa e come fare. Era attrice principale e regista di quell’amplesso agognato. Non avrei mai voluto concludere e desideravo rallentare, al limite evitavo pure di sborrare per non iniziare a sentirne nuovamente il desiderio e pensare a quando succederà la prossima volta. Continuò pur diminuendo il ritmo, alternando ogni sessione di battute misurate, a baci e carezze. Era incredibilmente sudata e ciononostante non accennava a smettere, le proposi di farci una sborrata e ricominciare, ero eccitatissimo e terribilmente coinvolto.
Sembrò pensarci un attimo ma rispose che non ce l’avrebbe fatta a continuare ancora per molto; sei insaziabile e non ti accontenti mai. Sembrava stizzita. La accarezzai invitandola a fermarsi qualche secondo. Arrestò la danza mantenendosi saldamente impalata sul mio povero cazzo (che peraltro godeva oltremodo per quel trattamento). Io resisto perché voglio arrivare dove mi puoi portare tu le risposi. Decidi quando e per me andrà bene. Queste sono le mie regole. Quando vuoi posso donarti il mio piacere che il tuo è già apprezzato sin dal primo sospiro. Andrea mi baciò e scivolando all’indietro si liberò dal dominio del membro.
Aprì la porta ed il fresco della sera ci venne in soccorso, nonostante avessi aperto uno spiraglio di aria abbassando i vetri delle portiere, il piccolo abitacolo era oramai saturo di odori e umori, nonché del calore emesso dai nostri corpi. Prese il tappetino sottopiede e appoggiandolo sull’erba, si inginocchiò mettendosi comodamente a succhiarmi l’uccello. Strusciava le tettine sulla coscia destra e vedevo chiaramente il salsicciotto ballonzolare rimbalzando talvolta sul battitacco della portiera. Adesso dammi tutta la sborra che puoi mi disse, voglio farne una scorpacciata.
Vedevo che di tanto in tanto dava una smanettata anche al suo pistolotto. Avrei voluto partecipare ma mi sembrava di rompere una sorta di equilibrio. Andrea continuava imperterrita la sua operazione di succhiamento e quando lo toglieva dalla bocca ricevevo una sequenza di colpi da sega che erano chiaramente orientati a far eruttare anche l’uccello più frigido. La sequenza di colpi veniva accompagnata da leccate lascive del glande e quando la avvisai di essere in dirittura d’arrivo, prese il suo in una mano e l’altra sul mio; non mollò nessuno dei due finché non svuotò sull’erba i suoi schizzi, mentre dei miei non v’era traccia all’aperto, neanche quando dopo averne succhiato anche l’ultimo spermatozoo la attirai per baciarla. Nemmeno il sapore acidulo ne era rimasto. Andrea aveva ingoiato tutto.
Uscii dall’auto e nudi, avvolti dal buio della notte, protetti dall’ombra dei grandi alberi in quell’aia abbandonata illuminata dalla luna, rimanemmo per qualche minuto abbracciati. I nostri corpi sudati si erano asciugati ed iniziavamo a patire il fresco della notte. Ci rivestimmo e tornammo in auto. Seduti l’uno vicino all’altra, ci sentivamo beati delle gioie che l’amore ci aveva regalato, ma tristi perché avremmo dovuto tornare ognuno alle proprie case. Il fine settimana era ancora lontano ed avevamo già fame l’uno dell’altra, seppur la carne avesse già ricevuto la giusta prova. Avviai il motore e la riportai a casa dove si vedeva la sagoma di sua madre spiare dietro le persiane. Amore, già mi manchi le sussurrai e lei di rimando: anche tu! Un bacetto e la promessa che ci saremmo sentiti stasera.
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