Io e Andrea. Capitolo sette.
di
Trozzai Gotusva
genere
trans
Io e Andrea. Capitolo sette
Con il protrarsi dell’autunno e l’arrivo dell’inverno le gite in canoa lasciarono il posto a qualche giornata sulla neve che però Andrea non apprezzava, detestava il freddo anche se amava molto rimanere in alta quota ad ammirare il paesaggio da dietro una finestra, meglio se molto grande, qualsiasi cosa il meteo offrisse. Usciva solo per esporsi al sole quando il suo irraggiamento forniva sufficiente calore. Io sciavo e mi prendevo tre ore della mattinata per questa passione, il resto del tempo lo trascorrevamo a chiacchierare, guardare il paesaggio sempre da dietro la finestra o con frequenti giri esplorativi in auto. Ma soprattutto facendo l’amore in ogni angolo della stanza d’albergo alla ricerca di tutte le emozioni possibili.
Questo suo disamore per la montagna d’inverno ci portò fisiologicamente a scegliere altri modi per trascorrere assieme i fine settimana. Scoprimmo così le città d’arte. Iniziammo con Roma. Poi Firenze, Assisi. E tante altre. Un intero weekend assieme con full immersion nei musei, tra i monumenti e le frequenti mostre. Con la formula del tutto prenotato trascorrevamo dei momenti di puro piacere per il corpo e per lo spirito. Ovviamente ci baciavamo come due adolescenti ovunque, spesso additati da qualche benpensante nonostante sembrassimo una delle tante coppie con lui più attempato di lei; (quasi vent’anni di differenza anche se io dimostravo dieci anni meno di quello che sentenziava l’anagrafe).
Eravamo come due eterni adolescenti. Almeno così amavo definire la tensione che mi spingeva verso Andrea preferendola sempre più esclusivamente a tutte le mie scopamiche e totalmente agli scopamici che nel giro di un paio di mesi scomparvero dalla mia quotidianità. Mia madre si limitò a dirmi che mi sarei pentito di tanta dedizione, tutte le cose procedono verso un apice, e poi scendono. Ricordati, quanto più in alto porterai la tua relazione, quando più male ti farà quando cadrai nel vuoto della sua risoluzione. Mia mamma era sempre catastrofica, pensai, completamente immerso nella mia estasi.
Con Andrea ogni tanto parlavamo di questa nostra smania che ci prendeva e sembrava non avere mai fine. Lei la trovava un punto di arrivo che realizzava uno dei suoi sogni, anche se le faceva tanta paura il futuro. Per esempio, cosa avrebbe detto mia madre nel momento in cui avesse scoperto che si trattava di una trans e non avremmo potuto sposarci in chiesa ed avere dei figli? Quel fine settimana eravamo in Trentino, ma non uscii a sciare per stare vicini a metabolizzare questo pensiero che aveva esternato e sicuramente per lei rappresentava qualcosa di enorme, impossibile da affrontare e superare.
Fu in quei giorni che, dopo aver fatto l’amore con la nostra solita passione, Andrea mi parlò di un sogno ricorrrente nel periodo del ginnasio. Ancora vestiva quasi sempre da maschio anche se seguiva un programma terapeutico ormonale per la crescita del seno. In casa e tra amici soprattutto quando andava fuori città, aveva iniziato ad abbigliarsi come le era congeniale. Attirare gli sguardi dei ragazzi e soprattutto di qualche adulto, rappresentava una conferma che non lasciava dubbi sulla sua reale identità sessuale. In tutti gli anni del liceo e poi dell’università, nonostante moltissimi dei suoi compagni conoscessero la sua condizione, non trovò mai il coraggio di esternare questo sogno. Soprattutto perché non si era mai sentita amata come con me. Fui molto lusingato dell’affermazione.
Incalzai Andrea per conoscere questo suo sogno. Ci vollero parecchi giri di parole, coccole e una certa tenace insistenza per farle superare la reticenza che ancora, nonostante la dichiarazione fatta, le consentisse di esprimerlo nella sua interezza. Il sogno rimasto sempre vivo era quello di passeggiare mano nella mano o a braccetto con un compagno vestita da maschietto. Quando lo espose, mi sembrò una cosa normalissima per un adolescente che vuole essere accettato per quello che è e cerca conferme a quel suo modo di percepirsi.
La accarezzai con tenerezza e trovai spontaneo dirle che si trattava di una cosa facilissima da farsi. Ci vuole una città moderna, dove la cultura trasudi da ogni colonna dei portici e cresca anche tra le pietre dei marciapiedi. Pensavo di andare all’estero disse di rimando, magari faremo un fine settimana a Londra o a Parigi oppure…… la interruppi proponendo Bologna. Una città che conosco molto bene e che permette serenamente di fare la nostra passeggiata, magari alla ricerca dei fiumi sotterranei che la attraversano, e che si possono sentire e vedere solo in determinati posti, dotandosi delle apposite mappe.
Lo faresti? Chiese elettrizzata. Certamente risposi. Organizzeremo tutto nel prossimo fine settimana. Così eravamo già alla fine dell’inverno e le giornate di sole illuminavano la città dando l’impressione di una primavera incipiente. Nonostante il calore dovuto all’irraggiamento fosse godibile quando si era esposti, l’aria risultava ancora tagliente soprattutto nei tratti ombreggiati, e sotto qualche portico il freddo pizzicava la pelle scoperta. Io avevo scelto un abito scuro con camicia bianca e papillon blu. Sopra portavo un cappotto in cachemir nero con largo collo a scialle, cappello nero a larghe tese, guanti e scarpe in pelle nera.
Andrea un jeans aderente con scarpe e guanti in pelle nera, un cappello Borsalino nero ed un chiodo nero. Era chiaramente donna anche se non truccata. Il viso femminile mi sembrava risaltare in modo inequivocabile, ma lei si vedeva vestita da uomo. Abbiamo fatto tante prove per vedere di farla camminare come un uomo ma le riusciva solo per pochi passi poi tornava ad essere se stessa, comunque passeggiando piano riusciva a raggiungere un buon compromesso. Dovetti costringerla a sostituire il perizoma con uno slip per far uscire dal nascondiglio fra le gambe gli attributi maschili, indispensabili a riempire la patta a completamento della commedia.
La nostra avventura ebbe inizio a pochi passi da S. Petronio. Usciti dall’albergo mi si aggrappò al braccio ed era inequivocabile come fosse la passeggiata di una coppia innamorata. Ogni tanto si allungava per invitarmi a baciarla e dopo qualche bacetto sulla guancia ce ne concedemmo anche qualcuno sulla bocca. Pochissimi tra le persone che incrociavamo si voltavano, perlopiù incuriositi, la maggior parte però faceva finta di nulla. Un attempato signore incrociato sul nostro stesso marciapiede, ci fissava da lontano e arrivato per essere sentito con un sorrisetto complice mi disse: Ti piacciono giovani vero? Passando oltre senza attendere risposta. Nessuno disse di più e Andrea ne rimase impressionata.
Al ristorante era chiaro come fossimo una coppia. Tolto il chiodo, Andrea esibiva una camicetta in seta aperta sul torace implume e il piccolo seno fasciato ad arte lasciava alla vista un toracino esile da adolescente segaiolo. Avrebbe potuto sembrare mio figlio se non fosse per le occhiate e le carezze alle mani sopra il tavolo. Anche li, i camerieri ci lanciavano qualche sorrisetto complice ma nessuna forma di intolleranza. Era esaltata dall’esperienza. Le chiesi: “Se avessi potuto sperimentarla prima, avresti evitato di vestirti da donna?” No rispose di getto, mi sento bene vestita da donna, sono me stessa e forse un giorno deciderò di perdere anche l’attributo.
Era molto coinvolta e dovetti fermarla in più di un’occasione per evitare di salire troppo di tono nelle effusioni. L’eccitazione però galoppava e così le frasi di incitamento a tornare in albergo per fare l’amore, fruivano con cadenze ravvicinate. A metà pomeriggio proposi la visita ad una mostra di pittura, esponeva una mia amica assieme a dei colleghi. Ci volle tutta la mia pazienza per convincere quel terribile impunito ragazzino a rinviare ancora un poco il rientro. Io stavo prendendoci gusto agli sguardi compiaciuti che ci rivolgevano i maschi, (soprattutto cinquantenni o ancora più in là con gli anni).
Andrea sembrava non accorgersi più di nulla, a tratti sembrava proprio aggrapparsi al mio braccio e con la testa appoggiata alla spalla elemosinava una moina o un bacio senza nessun ritegno. Solo in un caso un signore dall’aspetto un po’ trasandato nell’incrociarci vicinissimo (dalla mia parte), sul marciapiede, appena più avanti lo sentii digrignare tra i denti la frase “Sporchi culattoni pieni di soldi”. Come se i poveri non avessero pulsioni sessuali diverse dalla primogenitura di Adamo ed Eva. Andrea stava facendo le fusa e non si accorse di nulla. Arrivammo alla mostra e la mia amica gli fece un sacco di complimenti chiedendogli anche di fargli un ritratto con quel cappello. Le promisi che la avremmo raggiunta nel suo studio sul lago di Garda l’estate prossima.
Ci fermammo quasi un’ora, il tempo di farci descrivere i pezzi forti della mostra. Per finire, una visita al famoso Roxy bar giusto per un caffè nel cortiletto e un ultimo giro sotto i portici fino all’albergo, quando oramai stavano calando le prime ombre della sera. Non era possibile rimandare, Andrea aveva preso la direzione dell’albergo e oramai si abbandonava alla camminata che le era congeniale. Anche in questo caso, nessuno si girò o fece commenti. Arrivati in albergo non ebbi il tempo di chiudere la porta della camera che si incollò alle mie labbra e anche se sembrava difficile, vestiti come eravamo, cadde tutto, dai cappelli alle scarpe, nei tre metri poco più che separavano l’ingresso dal letto.
Ci trovammo nel letto nudi avvinghiati come l’edera all’albero. Il rituale era sempre lo stesso e sempre nuovo, ma quello che cambiava ogni volta era l’entusiasmo che faceva sembrare tutto accadere quasi per la prima volta. Stava decidendo tutto lei, faceva l’uomo potrei dire. Prendeva l’iniziativa di ogni cambio di posizione, della durata di ogni figura e del ritmo con cui la si portava avanti. Io come sempre attento a tutto, mi trovavo spettatore sbalordito per l’energia che il mio adolescente dai capelli tutti appiccicati con il gel, mi stava soddisfacendo.
Quando glielo dissi, si affrettò a nascondere il cazzo che fino a quel momento aveva lasciato libero sbandierandolo nella sua fisiologica erezione, in tutte le posizioni. Oggi sei un maschietto le ricordai. Arrossì alla mia uscita e si alzò per indossare uno dei suoi perizomi. Fu inutile la mia insistenza, solo dopo aver indossato quel cilicio tornò alla schermaglia amorosa ed ultimò la sua regia con una plateale eiaculazione in stereofonia; (plateale la mia, sul suo viso colando sul seno e giù verso il pube, e la sua sempre clandestina, sulla moquette).
Una doccia rapida e poi a cena, sempre accompagnato dall mio adolescente con lo sguardo un po’ più tirato per la recente schermaglia amorosa. Il ristorante scelto, aveva una bella vetrina che offriva una interessante visione sotto il porticato affollato dalla gente che si fermava a sorseggiare bevande o drink, chiacchierando attorno alle lampade a gas che scaldavano l’aria. A me piaceva osservare le scene delle persone che proponevano i loro personaggi. Così come sicuramente qualcuno con la mia stessa passione stava osservando il nostro quadretto; con Andrea che mi lanciava sguardi di disapprovazione quando si accorgeva che stavo guardando qualcuna.
Alla sera eravamo stanchissimi e si abbandonò a dormire abbracciata a stampo nudi, ma non reagì nemmeno quando la mia erezione le solleticò le terga. In pochi minuti, il tempo di coprirci e abbassare le luci, già aveva il respiro pesante del placido sonno. Quella situazione mi riempiva di infinta tenerezza. Sembrava proprio una bimbetta da proteggere.
La mattina dopo mi propose di entrare in un sexi shop incontrato nella nostra passeggiata il pomeriggio precedente. Compresi immediatamente cosa volesse vedere e acquistare. Prese il calco del membro di un pornodivo di dimensioni notevoli in merito al diametro, (suo desiderio già confidato). Non feci obiezioni! Stranamente il commesso ci guardava di sottecchi. L’attrezzo risultava effettivamente mostruoso in mano all’adolescente che sembrava essere Andrea negli abiti maschili. Ci fermammo in un locale per un aperipranzo, oggi ci chiuderemo in camera fino a quando mi porterai a casa, sentenziò soppesando il costoso pacchetto appena acquistato.
Così appena tornati in intimità, iniziammo i nostri rituali amorosi e quando eravamo oramai al culmine, mi chiese di far scendere in campo il terzo incomodo per fargli fare la sua parte. Mi prodigai con tanta curiosità e perché no, con un bel po’ di eccitazione. Il mio attrezzo aveva fatto un lavoro eccellente e l’anello era dilatato e palpitante. Aveva tenuto il dildo al caldo sul termosifone, me lo passò ed insieme provvedemmo a lubrificarlo come si deve prima di usarlo!
Approntai l’enorme cappella ed iniziai lentamente a spingere. Appariva un’impresa impossibile ma continuando a lubrificare e massaggiare i bordi dello sfintere, quel coso mostruoso stava entrando tra quei piccoli seni sodi sempre sul punto di spaccarsi per il sacrilegio di quella penetrazione. Il viso di Andrea era sudato, gli occhi chiusi ed un lungo lamento sottolineava il rapimento provato nel godimento. Iniziai a stantuffare avanti e indietro facendone entrare ogni volta qualche centimetro in più, ma mi fermò subito. Dovevo limitare l’introduzione a quel poco e dopo qualche minuto intervenne togliendo l’ingombro e riprendendo possesso del tarello di carne della mia dotazione.
Era molto soddisfatta dell’esperienza e mi descrisse come il sentirsi allargare in quel modo, sapendo che c’ero io a farlo, le avesse fatto provare uno speciale godimento. Mi chiese se la cosa mi avesse infastidito e vista la mia positiva sensazione, decidemmo che con il tempo, avremmo potuto riprovare. Eravamo appagati del nostro fine settimana a Bologna, era stato eccitante passeggiare come due amanti maschi, il ragazzino ed il suo protettore, anche se mi sentivo molto più a mio agio con lei vestita da donna.
Dopo l’amore e la doccia tornammo alla quotidianità, Andrea acconciò i capelli alla solita maniera abbandonando il gel e riprese le sembianze della splendida fanciulla. Alla reception avevo già saldato il conto e quando salutammo, il signore che stava dietro al bancone vedendoci uscire aveva uno sguardo interrogativo. Feci finta di niente, Andrea da parte sua guadagnò l’uscita ondeggiando sui tacchi con passo deciso e via in auto verso una nuova settimana di lavoro, intervallata dalle solite visite serali con le nostre esperienze amorose consumate sul comodo spazio della station wagon di sua madre.
Con il protrarsi dell’autunno e l’arrivo dell’inverno le gite in canoa lasciarono il posto a qualche giornata sulla neve che però Andrea non apprezzava, detestava il freddo anche se amava molto rimanere in alta quota ad ammirare il paesaggio da dietro una finestra, meglio se molto grande, qualsiasi cosa il meteo offrisse. Usciva solo per esporsi al sole quando il suo irraggiamento forniva sufficiente calore. Io sciavo e mi prendevo tre ore della mattinata per questa passione, il resto del tempo lo trascorrevamo a chiacchierare, guardare il paesaggio sempre da dietro la finestra o con frequenti giri esplorativi in auto. Ma soprattutto facendo l’amore in ogni angolo della stanza d’albergo alla ricerca di tutte le emozioni possibili.
Questo suo disamore per la montagna d’inverno ci portò fisiologicamente a scegliere altri modi per trascorrere assieme i fine settimana. Scoprimmo così le città d’arte. Iniziammo con Roma. Poi Firenze, Assisi. E tante altre. Un intero weekend assieme con full immersion nei musei, tra i monumenti e le frequenti mostre. Con la formula del tutto prenotato trascorrevamo dei momenti di puro piacere per il corpo e per lo spirito. Ovviamente ci baciavamo come due adolescenti ovunque, spesso additati da qualche benpensante nonostante sembrassimo una delle tante coppie con lui più attempato di lei; (quasi vent’anni di differenza anche se io dimostravo dieci anni meno di quello che sentenziava l’anagrafe).
Eravamo come due eterni adolescenti. Almeno così amavo definire la tensione che mi spingeva verso Andrea preferendola sempre più esclusivamente a tutte le mie scopamiche e totalmente agli scopamici che nel giro di un paio di mesi scomparvero dalla mia quotidianità. Mia madre si limitò a dirmi che mi sarei pentito di tanta dedizione, tutte le cose procedono verso un apice, e poi scendono. Ricordati, quanto più in alto porterai la tua relazione, quando più male ti farà quando cadrai nel vuoto della sua risoluzione. Mia mamma era sempre catastrofica, pensai, completamente immerso nella mia estasi.
Con Andrea ogni tanto parlavamo di questa nostra smania che ci prendeva e sembrava non avere mai fine. Lei la trovava un punto di arrivo che realizzava uno dei suoi sogni, anche se le faceva tanta paura il futuro. Per esempio, cosa avrebbe detto mia madre nel momento in cui avesse scoperto che si trattava di una trans e non avremmo potuto sposarci in chiesa ed avere dei figli? Quel fine settimana eravamo in Trentino, ma non uscii a sciare per stare vicini a metabolizzare questo pensiero che aveva esternato e sicuramente per lei rappresentava qualcosa di enorme, impossibile da affrontare e superare.
Fu in quei giorni che, dopo aver fatto l’amore con la nostra solita passione, Andrea mi parlò di un sogno ricorrrente nel periodo del ginnasio. Ancora vestiva quasi sempre da maschio anche se seguiva un programma terapeutico ormonale per la crescita del seno. In casa e tra amici soprattutto quando andava fuori città, aveva iniziato ad abbigliarsi come le era congeniale. Attirare gli sguardi dei ragazzi e soprattutto di qualche adulto, rappresentava una conferma che non lasciava dubbi sulla sua reale identità sessuale. In tutti gli anni del liceo e poi dell’università, nonostante moltissimi dei suoi compagni conoscessero la sua condizione, non trovò mai il coraggio di esternare questo sogno. Soprattutto perché non si era mai sentita amata come con me. Fui molto lusingato dell’affermazione.
Incalzai Andrea per conoscere questo suo sogno. Ci vollero parecchi giri di parole, coccole e una certa tenace insistenza per farle superare la reticenza che ancora, nonostante la dichiarazione fatta, le consentisse di esprimerlo nella sua interezza. Il sogno rimasto sempre vivo era quello di passeggiare mano nella mano o a braccetto con un compagno vestita da maschietto. Quando lo espose, mi sembrò una cosa normalissima per un adolescente che vuole essere accettato per quello che è e cerca conferme a quel suo modo di percepirsi.
La accarezzai con tenerezza e trovai spontaneo dirle che si trattava di una cosa facilissima da farsi. Ci vuole una città moderna, dove la cultura trasudi da ogni colonna dei portici e cresca anche tra le pietre dei marciapiedi. Pensavo di andare all’estero disse di rimando, magari faremo un fine settimana a Londra o a Parigi oppure…… la interruppi proponendo Bologna. Una città che conosco molto bene e che permette serenamente di fare la nostra passeggiata, magari alla ricerca dei fiumi sotterranei che la attraversano, e che si possono sentire e vedere solo in determinati posti, dotandosi delle apposite mappe.
Lo faresti? Chiese elettrizzata. Certamente risposi. Organizzeremo tutto nel prossimo fine settimana. Così eravamo già alla fine dell’inverno e le giornate di sole illuminavano la città dando l’impressione di una primavera incipiente. Nonostante il calore dovuto all’irraggiamento fosse godibile quando si era esposti, l’aria risultava ancora tagliente soprattutto nei tratti ombreggiati, e sotto qualche portico il freddo pizzicava la pelle scoperta. Io avevo scelto un abito scuro con camicia bianca e papillon blu. Sopra portavo un cappotto in cachemir nero con largo collo a scialle, cappello nero a larghe tese, guanti e scarpe in pelle nera.
Andrea un jeans aderente con scarpe e guanti in pelle nera, un cappello Borsalino nero ed un chiodo nero. Era chiaramente donna anche se non truccata. Il viso femminile mi sembrava risaltare in modo inequivocabile, ma lei si vedeva vestita da uomo. Abbiamo fatto tante prove per vedere di farla camminare come un uomo ma le riusciva solo per pochi passi poi tornava ad essere se stessa, comunque passeggiando piano riusciva a raggiungere un buon compromesso. Dovetti costringerla a sostituire il perizoma con uno slip per far uscire dal nascondiglio fra le gambe gli attributi maschili, indispensabili a riempire la patta a completamento della commedia.
La nostra avventura ebbe inizio a pochi passi da S. Petronio. Usciti dall’albergo mi si aggrappò al braccio ed era inequivocabile come fosse la passeggiata di una coppia innamorata. Ogni tanto si allungava per invitarmi a baciarla e dopo qualche bacetto sulla guancia ce ne concedemmo anche qualcuno sulla bocca. Pochissimi tra le persone che incrociavamo si voltavano, perlopiù incuriositi, la maggior parte però faceva finta di nulla. Un attempato signore incrociato sul nostro stesso marciapiede, ci fissava da lontano e arrivato per essere sentito con un sorrisetto complice mi disse: Ti piacciono giovani vero? Passando oltre senza attendere risposta. Nessuno disse di più e Andrea ne rimase impressionata.
Al ristorante era chiaro come fossimo una coppia. Tolto il chiodo, Andrea esibiva una camicetta in seta aperta sul torace implume e il piccolo seno fasciato ad arte lasciava alla vista un toracino esile da adolescente segaiolo. Avrebbe potuto sembrare mio figlio se non fosse per le occhiate e le carezze alle mani sopra il tavolo. Anche li, i camerieri ci lanciavano qualche sorrisetto complice ma nessuna forma di intolleranza. Era esaltata dall’esperienza. Le chiesi: “Se avessi potuto sperimentarla prima, avresti evitato di vestirti da donna?” No rispose di getto, mi sento bene vestita da donna, sono me stessa e forse un giorno deciderò di perdere anche l’attributo.
Era molto coinvolta e dovetti fermarla in più di un’occasione per evitare di salire troppo di tono nelle effusioni. L’eccitazione però galoppava e così le frasi di incitamento a tornare in albergo per fare l’amore, fruivano con cadenze ravvicinate. A metà pomeriggio proposi la visita ad una mostra di pittura, esponeva una mia amica assieme a dei colleghi. Ci volle tutta la mia pazienza per convincere quel terribile impunito ragazzino a rinviare ancora un poco il rientro. Io stavo prendendoci gusto agli sguardi compiaciuti che ci rivolgevano i maschi, (soprattutto cinquantenni o ancora più in là con gli anni).
Andrea sembrava non accorgersi più di nulla, a tratti sembrava proprio aggrapparsi al mio braccio e con la testa appoggiata alla spalla elemosinava una moina o un bacio senza nessun ritegno. Solo in un caso un signore dall’aspetto un po’ trasandato nell’incrociarci vicinissimo (dalla mia parte), sul marciapiede, appena più avanti lo sentii digrignare tra i denti la frase “Sporchi culattoni pieni di soldi”. Come se i poveri non avessero pulsioni sessuali diverse dalla primogenitura di Adamo ed Eva. Andrea stava facendo le fusa e non si accorse di nulla. Arrivammo alla mostra e la mia amica gli fece un sacco di complimenti chiedendogli anche di fargli un ritratto con quel cappello. Le promisi che la avremmo raggiunta nel suo studio sul lago di Garda l’estate prossima.
Ci fermammo quasi un’ora, il tempo di farci descrivere i pezzi forti della mostra. Per finire, una visita al famoso Roxy bar giusto per un caffè nel cortiletto e un ultimo giro sotto i portici fino all’albergo, quando oramai stavano calando le prime ombre della sera. Non era possibile rimandare, Andrea aveva preso la direzione dell’albergo e oramai si abbandonava alla camminata che le era congeniale. Anche in questo caso, nessuno si girò o fece commenti. Arrivati in albergo non ebbi il tempo di chiudere la porta della camera che si incollò alle mie labbra e anche se sembrava difficile, vestiti come eravamo, cadde tutto, dai cappelli alle scarpe, nei tre metri poco più che separavano l’ingresso dal letto.
Ci trovammo nel letto nudi avvinghiati come l’edera all’albero. Il rituale era sempre lo stesso e sempre nuovo, ma quello che cambiava ogni volta era l’entusiasmo che faceva sembrare tutto accadere quasi per la prima volta. Stava decidendo tutto lei, faceva l’uomo potrei dire. Prendeva l’iniziativa di ogni cambio di posizione, della durata di ogni figura e del ritmo con cui la si portava avanti. Io come sempre attento a tutto, mi trovavo spettatore sbalordito per l’energia che il mio adolescente dai capelli tutti appiccicati con il gel, mi stava soddisfacendo.
Quando glielo dissi, si affrettò a nascondere il cazzo che fino a quel momento aveva lasciato libero sbandierandolo nella sua fisiologica erezione, in tutte le posizioni. Oggi sei un maschietto le ricordai. Arrossì alla mia uscita e si alzò per indossare uno dei suoi perizomi. Fu inutile la mia insistenza, solo dopo aver indossato quel cilicio tornò alla schermaglia amorosa ed ultimò la sua regia con una plateale eiaculazione in stereofonia; (plateale la mia, sul suo viso colando sul seno e giù verso il pube, e la sua sempre clandestina, sulla moquette).
Una doccia rapida e poi a cena, sempre accompagnato dall mio adolescente con lo sguardo un po’ più tirato per la recente schermaglia amorosa. Il ristorante scelto, aveva una bella vetrina che offriva una interessante visione sotto il porticato affollato dalla gente che si fermava a sorseggiare bevande o drink, chiacchierando attorno alle lampade a gas che scaldavano l’aria. A me piaceva osservare le scene delle persone che proponevano i loro personaggi. Così come sicuramente qualcuno con la mia stessa passione stava osservando il nostro quadretto; con Andrea che mi lanciava sguardi di disapprovazione quando si accorgeva che stavo guardando qualcuna.
Alla sera eravamo stanchissimi e si abbandonò a dormire abbracciata a stampo nudi, ma non reagì nemmeno quando la mia erezione le solleticò le terga. In pochi minuti, il tempo di coprirci e abbassare le luci, già aveva il respiro pesante del placido sonno. Quella situazione mi riempiva di infinta tenerezza. Sembrava proprio una bimbetta da proteggere.
La mattina dopo mi propose di entrare in un sexi shop incontrato nella nostra passeggiata il pomeriggio precedente. Compresi immediatamente cosa volesse vedere e acquistare. Prese il calco del membro di un pornodivo di dimensioni notevoli in merito al diametro, (suo desiderio già confidato). Non feci obiezioni! Stranamente il commesso ci guardava di sottecchi. L’attrezzo risultava effettivamente mostruoso in mano all’adolescente che sembrava essere Andrea negli abiti maschili. Ci fermammo in un locale per un aperipranzo, oggi ci chiuderemo in camera fino a quando mi porterai a casa, sentenziò soppesando il costoso pacchetto appena acquistato.
Così appena tornati in intimità, iniziammo i nostri rituali amorosi e quando eravamo oramai al culmine, mi chiese di far scendere in campo il terzo incomodo per fargli fare la sua parte. Mi prodigai con tanta curiosità e perché no, con un bel po’ di eccitazione. Il mio attrezzo aveva fatto un lavoro eccellente e l’anello era dilatato e palpitante. Aveva tenuto il dildo al caldo sul termosifone, me lo passò ed insieme provvedemmo a lubrificarlo come si deve prima di usarlo!
Approntai l’enorme cappella ed iniziai lentamente a spingere. Appariva un’impresa impossibile ma continuando a lubrificare e massaggiare i bordi dello sfintere, quel coso mostruoso stava entrando tra quei piccoli seni sodi sempre sul punto di spaccarsi per il sacrilegio di quella penetrazione. Il viso di Andrea era sudato, gli occhi chiusi ed un lungo lamento sottolineava il rapimento provato nel godimento. Iniziai a stantuffare avanti e indietro facendone entrare ogni volta qualche centimetro in più, ma mi fermò subito. Dovevo limitare l’introduzione a quel poco e dopo qualche minuto intervenne togliendo l’ingombro e riprendendo possesso del tarello di carne della mia dotazione.
Era molto soddisfatta dell’esperienza e mi descrisse come il sentirsi allargare in quel modo, sapendo che c’ero io a farlo, le avesse fatto provare uno speciale godimento. Mi chiese se la cosa mi avesse infastidito e vista la mia positiva sensazione, decidemmo che con il tempo, avremmo potuto riprovare. Eravamo appagati del nostro fine settimana a Bologna, era stato eccitante passeggiare come due amanti maschi, il ragazzino ed il suo protettore, anche se mi sentivo molto più a mio agio con lei vestita da donna.
Dopo l’amore e la doccia tornammo alla quotidianità, Andrea acconciò i capelli alla solita maniera abbandonando il gel e riprese le sembianze della splendida fanciulla. Alla reception avevo già saldato il conto e quando salutammo, il signore che stava dietro al bancone vedendoci uscire aveva uno sguardo interrogativo. Feci finta di niente, Andrea da parte sua guadagnò l’uscita ondeggiando sui tacchi con passo deciso e via in auto verso una nuova settimana di lavoro, intervallata dalle solite visite serali con le nostre esperienze amorose consumate sul comodo spazio della station wagon di sua madre.
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