La nipotina e la nonna vogliosa

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prime esperienze

la nipotina e la nonna vogliosa
Abitavo in quella via da circa due anni e la frenesia della mia quotidianità non mi aveva ancora permesso di rendermi conto del posto nel quale mi ero trovato a vivere. Uscire per conto mio, fuori dal controllo dei genitori e dei vicini che mi avevano visto nascere era stata una conquista che mi faceva camminare a qualche cm da terra. Tutte le cose progettate dopo la maturità, con l’avvento del nuovo lavoro finalmente potevo realizzarle e, a partire dal minuscolo appartamentino in città, avevo avviato una nuova fase della mia vita.
Gli studi all’università occupavano tutti i miei progetti ed il lavoro come cameriere al ristorante e come aiutante al laboratorio di pasticceria, mi costringeva ad un vero e proprio gioco ad incastri per sistemare gli impegni del giorno. Era comunque possibile trovare degli spazi vuoti che riempivo con il nuoto in piscina e qualche partita a tennis. Altri piccoli intarsi di valore erano dedicati all’attività che costituiva il sale della mia vita: il sesso in tutte le espressioni che una grande città mi consentiva di esprimere.
Le compagne di studi che mi portavano a casa gli appunti per l’inizio o la fine di qualche lezione che non ero riuscito a frequentare per motivi di lavoro, andavano pure ringraziate come meritavano, se non altro per assicurarmi che continuassero a prestarmi i loro servigi. Una eccelleva nelle materie sociologiche, sembrava saperne più del professore, l’altra di provenienza anglosassone, era preziosa per l’inglese e, a letto o sul tappeto, sul tavolo o sul divano fare sesso con loro era quotidianità. In qualche materia le ragazze erano meno forti dal punto di vista didattico, e come disdegnare gli appunti di altissimo livello forniti dai quasi compagni di banco, innamorati della mia patta sempre bella gonfia. Erano due, uno era forte in economia, l’altro in storia ma la loro passione per il mio uccello li rendeva sempre pronti ad ospitarlo nei loro pertugi.
Come avrete capito la mia era una vita molto movimentata e non tenevo tempo di guardarmi attorno; pensate che proprio per cercare di guadagnarne i miei amici mi portavano pure il pranzo o la cena take-away. Tutta questa premessa, l’ho scritta per giustificare quanto di seguito. Provenendo da un piccolo paese di periferia dove ero sotto la luce dei riflettori, e tutti sapevano tutto di tutti; le persone che frequentavo erano scannerizzate dal vicinato. Ognuno si sentiva in dovere di dire la sua su com’era vestito quel ragazzo o ragazza, che auto avesse, come fosse la pettinatura, come si muovessero, la loro forma fisica, ecc. Non ne potevo più. Qui in città, da subito le cose mi piacquero.
Non si vedeva mai nessuno fuori a criticare com’eri vestito, ne con chi ed a che ora rientravi a casa o peggio ancora se il mattino dopo uscivi con la stessa persona che ti aveva accompagnato la sera prima, mi sentivo finalmente libero. Ma avevo fatto male i conti. La viuzza dove abitavo era un “cul de sac” con sei sette ingressi e la casa in fondo, aveva un minuscolo cortiletto dove una vecchietta sedeva spesso davanti la porta di casa. Come per un automatismo, ad un certo punto iniziai a salutarla con un cenno del capo finché un giorno ci fermammo a fare due chiacchiere.
Era una vecchina ossuta e molto sveglia, con uno sguardo vivace, con orgoglio esibì i suoi ottant’anni. Mi spiegò come fosse articolata la sua famiglia; lei viveva sola. La porta successiva era l’accesso alla casa di suo figlio che aveva due figlie di diciotto e diciannove anni. Ammisi di non averle mai viste, e lei se ne meravigliò, proponendosi di presentarmele appena possibile. Tergiversava nei discorsi parlando delle ragazze, e alla fine, vedendo che ero interessato a sapere (ne ero sinceramente incuriosito), mi disse che Miriam, la più giovane, era innamorata di me. La sera stessa, poco prima dell’imbrunire, mentre mi accingevo ad entrare in casa, mi chiamò con un cenno invitandomi ad entrare in casa sua.
Il monolocale era pulito ed arredato in maniera essenziale con vecchi mobili, su una poltrona Frau piuttosto sdrucita, era seduta Miriam. Al richiamo della nonna si alzò e mi venne incontro, sembrava un bellissimo adolescente androgino. Capelli cortissimi come un maschietto, vestita con Tshirt e pantaloni stretti bianchi che sottolineavano il fisico slim, piallato come quello di un giovane, un minimo accenno di seno, addome piatto quasi scavato, braccia e gambe muscolose ma asciutte e due glutei dirompenti nella loro guizzante rotondità.
Che altro dire, si caratterizzava come femminile per il modo di portare orecchini piccolissimi e scarpette piane quasi da ballerina e per la patta completamente piatta del pantalone, priva della convenzionale abbottonatura e rigonfiamento tipico dei maschi. Mi strinse la mano con una certa vivacità e senza alcun timore mi disse: ciao, mi piaci molto e vorrei stare un po’ con te appena possibile. Dichiarai la mia disponibilità, la nonna disse subito che se lo desideravamo lei avrebbe anche fatto un giro lasciandoci casa libera, ma la piccola Miriam rimandò il nostro incontro al giorno dopo, appena fossi rientrato dal lavoro. Mi avrebbe aspettato e sarebbe arrivata alla porta in tempo.
Non mi attizzava più di tanto quel ragazzino mancato, chissà cosa avrebbe avuto da dirmi. Volli accertarmi che fosse maggiorenne, sembrava proprio un ragazzino che da poco avesse ultimato le medie. Il giorno dopo me la trovai davanti casa ed entrò appena aprii la porta. Mi abbracciò ed iniziò a baciarmi infilandomi la lingua in bocca. Si strusciava sulla mia povera patta come se avesse voluto estirparla e mi ritrovai con una erezione che emetteva liquido precoitale come una fontanella, desideravo liberare l’uccello per farlo sfogare. Niente da fare, Miriam non mollava.
Continuava a baciarmi con una foga incredibile, limonava come un’ossessa, non sapevo che dire o che fare, non mollava un minuto. Mi facevano male le mandibole per la forza e la durata di quel bacio, ma la piccola non demordeva. Mi massaggiava la patta disegnando i contorni del cazzo tra pollice e indice, premendo particolarmente la cappella turgida. Continuava a baciarmi senza accettare la mia proposta di liberare il cazzo o di abbassare i pantaloni o farmi toccare o leccare la fighetta che immaginavo stupenda. Stimolato a quel modo mi imposi di sborrare per sbloccare la situazione e capii che era quello che voleva.
Si guardò la mano umida e rise osservando la macchia bagnata sui jeans. Disse semplicemente “grazie, tornerò appena possibile” e sgusciò fuori. Questa scena, pressoché immutata si ripeté almeno per un paio di giorni la settimana nei dieci mesi che abitai in quell’appartamento. Spesso quando uscivo o rientravo incrociavo lo sguardo della nonna che mi regalava un sorrisetto complice, ed un pomeriggio che Miriam non era pronta ad attendermi per la sua limonata con schiumata nella mutanda, la nonna mi fece cenno di avvicinarmi. Giunto all’uscio si fece avanti per farmi entrare. Ruppe ogni indugio iniziando a raccontarmi come Miriam le confidasse la grande eccitazione che provava ed i continui orgasmi che la squassavano semplicemente baciandomi e toccandomi.
Mi raccontò di come talvolta le avesse portato da succhiare la mano ancora umida del mio sperma preso attraverso lo slip e di quanto la cosa le avesse eccitate entrambe. Mentre l’attempata signora mi portava testimonianza di tanta attenzione, che mi piacesse o no, il cazzo era cresciuto e pulsava rendendone evidenza agli occhi della donna che allungava lo sguardo e additava con la mano. Perché privarla del piacere, mi avvicinai alla sedia appoggiando i glutei al tavolo e la Iole estrasse il cazzo; ingoiandolo avidamente si esibì in un pompino adentulo degno di essere decantato con lodi letterarie.
Lo succhiava senza estrarlo mai completamente dalla bocca e non so come facesse, ma lo sentivo contemporaneamente succhiato e leccato senza sosta. Accarezzava l’asta con le mani ossute strapazzando le palle nello scroto come se si trattasse di uova che devono montare a maionese. Chiusi gli occhi per abbandonarmi al sentire più che al vedere e l’eccitazione pervase ogni fibra dell’organismo anche se l’attenzione era confinata ai genitali esterni e non si azzardava ad allargarsi, lo faceva con tanta maestria che pareva tutto l’organismo si concentrasse in quel distretto. Iole aveva talmente lappato l’organo che pareva non riuscire a tenerlo fermo da come sgusciava tra le mani, pur rimanendole saldamente infilato in bocca.
Lo lavorò per una buona mezz’ora poi lo tolse dalla bocca continuando a coccolarlo tra le mani, solo per dirmi che voleva la mia sborra appena possibile e che accompagnassi con frasi oscene nei suoi confronti il momento della sborrata. Non me lo feci ripetere. Abbassai lo sguardo sulla scena di quel pompino pazzesco. Iole era letteralmente avvinghiata ai miei genitali e riprese a succhiare e leccare. Si vedeva chiaramente la lingua uscire dalle labbra che accerchiavano il membro un buon centimetro sotto la cappella, leccava l’asta e rientrava ad insidiare il glande compresso tra il cavo orale e la gola e la giostra continuava il suo giro,
All’esplosione della sborrata Iole si superò. Segava l’asta con la giusta fermezza, perché la sborrata non perdesse slancio, mentre non fece uscire nemmeno l’umidità dello sperma dalla sua vorace bocca adentula. Ingoiò tutto con dedizione lodandone quantità e sapore, gradì molto l’unica frase che mi uscì di bocca al momento culminante, la classica “bevi troia e godi”. Mi resi conto che una mano era se l’era portata tra le cosce per una rapida ripassata sulla figa, si stava lisciando con la saliva che abbondava dal pompino condito che stava per finire. Non portava le mutande e non so se la manovra l’avesse ripetuta anche prima, quando tenevo chiusi gli occhi.
La cosa ebbe un seguito ed i pompini di Iole mi lasciavano molto soddisfatto, mi piaceva rendermi conto che davo una nota di vita ad una persona che si sentiva sola ed a capolinea. Era come se si rimettesse in gioco. La complicità con la nipotina era bella, Miriam sapeva dei pompini della nonna e si limitò a dirmi che la sua bocca sarebbe stata capace solo di morderlo. Anche se la rassicurai che avrei voluto godere dei suoi morsi, la fanciulla non lo prese mai in bocca ed accettò solo in un paio di occasioni che le lappassi la fighetta. Una vera patatina depilata che riuscivo a contenere tutta a bocca spalancata, lisciandone i contorni e la fessura con la lingua affamata di tanta bellezza acerba. Non mi sarei mai stancato, ma lei tremando come una foglia al vento per i ripetuti orgasmi, si ritraeva e tornava a chiedere di accontentarmi dei baci struggenti.
Le chiedevo di succhiarsi le dita bagnate di sborra e di baciarci subito dopo. Alla nonna la sborra l’avrei portata io appena possibile. Si schermiva all’argomento, non le piaceva quando dimostravo di conoscere la confidenza con la nonna. Mi diceva che avremmo potuto fare di più con il passare del tempo, magari tra un anno, e mi sono più volte riproposto di tornare a trovare la nonna e magari goderne l’ospitalità per amare la nipote; ma non l’ho più fatto. Mi è rimasto il ricordo che ho segnato in queste pagine. E stata la prima volta che ho avuto un’esperienza del genere.
scritto il
2022-01-29
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