Io e Andrea. Capitolo otto.’

di
genere
trans

Io e Andrea. Capitolo otto.’
Gli anni scorrevano veloci, quasi non ci accorgevamo come i compleanni e le feste comandate (cose che Andrea detestava come la peste), si avvicendassero. Anche se l’età fisica sembrava non apportare cambiamenti sui nostri corpi, la consapevolezza del tempo che trascorreva mi portava a fare alcune considerazioni per prendere decisioni sul nostro futuro. Lei sembrava sorda a qualsiasi ragionamento al proposito. Non si poteva parlare di convivenza ne tantomeno abitare più vicini. Unica novità, il cambio di atteggiamento di sua madre.
Dopo qualche anno mi accettò in casa e, anche se non ricevetti mai un invitò a mangiare un piatto di minestra alla sua tavola, ci lasciava soli in salotto o nello studio di Andrea. In entrambi i locali un comodo divano ci permise di mettere in pensione (almeno per la stagione invernale) la station. Fare l’amore quando nell’altra stanza sua madre sapeva perfettamente cosa stessimo facendo chiusi dentro, le prime volte mi metteva fortemente a disagio. Dopo qualche settimana però ci feci l’abitudine. Sua madre quando uscivamo ed Andrea mi accompagnava in auto, si limitava a salutarmi con il minimo sindacale di cortesia. Dopo qualche mese iniziò a chiedermi quali fossero le mie intenzioni e, alla risposta che rimettevo tutto nella decisioni della figlia (che aveva difficoltà a decidere), scrollando il capo sottolineava come fosse sempre così con Andrea se doveva prendere una decisione importante.
Mi confidava pure che da quando ci frequentavamo, la vedeva assumere comportamenti positivi anche nei suoi confronti. Me ne sentii lusingato, ma non risolveva il problema dello stallo nel nostro rapporto privo di qualsiasi progettualità nel futuro. La bella stagione continuavamo i nostri convegni amorosi nell’aia della casa in campagna. Quando si andava in canoa sul grande fiume le visite alla chiesetta sconsacrata erano costanti così come il nostro alberghetto che ci portava al perfezionamento dell’abbronzatura integrale a Paradise Beach. Tutto procedeva per il meglio e vi assicuro che mai e poi mai mi sentii demotivato o giù di tono. Ogni volta che la vedevo scattava la scintilla e mi incendiavo, non ero mai sazio dei suoi baci e del sesso con lei, qualsiasi fosse la sua disponibilità. Era una dipendenza fisica e psicologica.
Se mi faceva arrabbiare per la sua intransigenza in merito alla volontà di mantenimento dello “Status quo” bastava le arrivassi vicino, vedessi quel suo volto da bella androgina gli occhi e capelli neri come il carbone e al primo bacio avevo già capitolato. Lei lo sapeva e qualche volta mi prendeva in giro per questa debolezza. Moltissimi atteggiamenti con il tempo li aveva cambiati. Facevamo sempre più sport assieme e le sue prestazioni in canoa piuttosto che in mountain bike erano di tutto rispetto. Andavamo anche al velodromo con i pattini in linea, dove primeggiava nello stile e nei tempi. Riuscimmo a convivere da me per qualche mese durante un autunno piuttosto piovoso, quell’anno risultava difficile fare qualsiasi cosa che non fosse un giro in bicicletta devastati dalla pioggia e dal fango fino al ritorno a casa.
Il lungo tragitto per recarsi al lavoro fece naufragare quell’esperienza e tutto tornò come prima. L’estate che vi racconto, decidemmo di frequentare una delle tante spiagge naturiste della Croazia. Dopo un paio di fine settimana trascorsi nella parte meridionale della penisola istriana, partimmo per visitare con un mordi e fuggi a bordo del mio coupé, due isole del Quarnaro, Krk e Cres. Nella seconda, all’altezza della cittadina di Osor, una stradina tortuosa portava ad una riserva naturale che ci affascinò: Punta Kriza. Prenotammo una ventina di giorni dall’ultima settimana di luglio ed il resto in agosto. Volevamo stare in riva al mare e l’unica possibilità per farlo era quella di noleggiare una roulotte e piazzarla in uno spazio scelto fra quelli disponibili. La fortuna ci venne incontro e trovammo un mezzo di classe, doppio asse sette metri con una parte estensibile ed un bellissimo terrazzo che si apriva in una piccola insenatura protetta dal vento.
L’acqua per molti metri era bassa e avremmo potuto lasciarvi le canoe e stenderci al sole su un materasso gonfiabile ancorato a riva. Non vedevamo l’ora di iniziare la nostra vacanza. Sin dai primissimi giorni eravamo ubriachi di noi. Facevamo l’amore almeno due volte al giorno, la prima volta in spiaggia. C’erano molte piccole insenature e le raggiungevamo in canoa da una a tre ore di vogata dalla nostra base. Alcune avevano la ghiaia bianca e finissima sul fondale e favorivano un’abbronzatura incredibile per il riflesso del sole che se ne godeva. L’avventura più incredibile la vivemmo il giorno che decidemmo di recarsi nell’isola con il monastero. E per arrivarci servirono tre ore di vogata.
Le attività fisiche erano necessarie per stimolare l’appetito. Andrea ci teneva moltissimo alla linea ed era pure una buona forchetta quindi le due cose andavano in perfetta armonia. Arrivati alla spiaggia scelta per trascorrervi la giornata, quasi sempre facevamo l’amore appena arrivati. Eravamo gli unici o al massimo c’erano altre imbarcazioni che però gettavano l’ancora in mezzo alla baia senza scendere in spiaggia. Portavamo qualcosa per pranzare con frutta, qualche sandwich e abbondante acqua per essere sempre ben idratati. Tornavamo per metà/tardo pomeriggio, secondo i programmi della serata.
La sera si cenava al ristorante e Andrea fece amicizia con una coppia Gay lui/lui che ci prese in gran simpatia. Entrambi si erano invaghiti di me e lei ne andava orgogliosa. Le avevano chiesto di condividere le nostre esperienze quando aveva confessato di essere un trans. Siamo stati molte sere allo stesso tavolo chiacchierando fino a tardi ma non ebbero mai il coraggio di pronunciarsi ed io me ne guardai bene dal dar loro la possibilità di farlo. Andrea da parte sua si divertiva molto di quella situazione.
Al rientro, ci mettevamo nella veranda dove non ci sentiva ne ci vedeva nessuno, tanto eravamo defilati. Al chiaro di luna, sempre nudi, facevamo l’amore seduti sulle sedie, sul pavimento di legno, sul grande tavolo o in piedi. Spesso, in tutti questi posti. Ci baciavamo e succhiavamo senza posa, fino allo sfinimento. Giocavamo con il dildo e si offriva a tutti giochi pensabili ed impensabili ed ogni volta saltava fuori qualcosa di mai fatto prima. Fu così che presi l’abitudine all’apice dell’eccitazione, quando la penetrazione era riuscita oramai a spanare lo sfintere al punto che bisognava entrassi fino all’ultimo e spingessi per sentirmi il membro immerso nella carne, che iniziai a succhiarle l’alluce dei piedi come se fosse un piccolo cazzo e lei godeva gemendo e stringendosi con le mani al massimo col bacino contro il pube.
Fare l’amore avvinghiati e sudare fino a sembrare di stare sotto la doccia e leccarsi, continuando a darsi e prendersi come se non fosse più possibile farlo ancora, quasi con la disperazione di due amanti che lo stanno facendo per l’ultima volta, senza un domani. Ma allo stesso tempo con l’entusiasmo di chi scopre ogni volta nuove emozioni e straordinarie sensazioni. Quando la sentivo affermare: si amore, prendimi così. Sento il palo del castigo che merito per non essermi data come dovrei, prendi tutto di me, non lasciare nulla di inesplorato. Oppure: sai che sei tanto ma sei mio, voglio farti godere come nessuna mai, voglio rubarti fino all’ultima goccia della tua potenza di maschio. Frasi del genere mi lasciavano allibito. Andrea aveva una buona esperienza di vita, un’ottima formazione e posizione professionale ed era a mio parere un’ottima amante. Frasi del genere mi sembravano abbastanza estreme.
Tuttavia, ammetto che mi lusingavano, forse era quella vacanza in mezzo alla natura che la stimolava fino a quel punto. Un’altra cosa di Andrea che conoscevo ma non immaginavo poter spingersi fino a tanto, era il suo rapporto con gli animali. Quando transitavamo davanti ad una recinzione con all’interno un cane, di qualsiasi razza, non abbaiava come aveva fatto con chi ci precedeva e lei, poteva tranquillamente accarezzarlo; la bestia era sempre accondiscendente. Così nel parco, una notte, avevamo appena fatto l’amore e percepimmo dei lievi rumori di foglie smosse. Andrea mi si accostò all’orecchio per dirmi: i daini si sono spinti fin qui!
Confessò di averli incontrati e accarezzati nelle baie della zona protetta i due giorni precedenti ma che arrivassero fino al villaggio non poteva crederci. Li attirò fino alla roulotte. Mi avvicinai lentamente ed in un baleno scomparvero. La notte successiva tornarono e Andrea mi fece preparare dei pomodoro che tagliai a piccole fette passandoglieli. Mangiavano dalle sue mani percependo però anche il mio odore. La notte dopo e così tutte le notti tornarono in cinque e dopo una settimana riuscii ad avvicinarli anch’io per dare pezzetti di pomodoro o mela. Nel villaggio tutti Parlavano di questi avvistamenti ma nessuno riusciva ad avvicinarli. Non svelammo mai il segreto di Andrea. Lei era un animale selvatico come loro, potevo accarezzarla e darle il mio corpo, impossibile catturarla; questa l’idea che mi ero fatto
Il fascino di questa particolarità mi attizzava ulteriormente e quando se ne andavano gli animali, la volevo ancora, cercavo di possedere quel corpo, coacervo di mille emozioni e sensazioni da favola. Solo una notte riuscii ancora ad averla per la terza volta nelle ventiquattr’ore. Ci rotolammo sulla moquette del salotto concedendoci le nostre ultime forze. Non riuscii ad ottenere la penetrazione, disse che non sarebbe riuscita, provava ancora dolore. Mi stupii molto di quell’affermazione, non immaginavo che tutte le nostre battaglie accompagnate dalla colonna sonora delle affermazioni di piacere, potessero contemplare anche sintomi come il dolore. Quella terza schermaglia ce la giocammo tutta a baci e succhiotti.
Il pompino era una specialità tutta sua, quando si dedicava alla pratica, Andrea riusciva a raggiungere dei ritmi incredibili nel pompaggio ed il membro veniva lisciato con la bocca e lappato con la lingua, in un sincronismo che faceva ingrossare all’inverosimile il glande e rendeva marmorea l’erezione. La manovra veniva sospesa solo quando, supina, mi stringeva il cazzo tra le cosce, come per farsi scopare a missionario e giocavamo con la lingua in una sequenza di baci per prolungare piacere ed eccitazione, tornando poi al lungo pompino. Pensavo non finisse mai, sentiva quando ero prossimo ad eiaculare e riprendeva nella posizione supina per giocare al ti succhio la lingua. Quando arrivò la sborrata fu abbondante e quasi dolorosa.
Eravamo stanchissimi per la vogata del giorno prima e per la battaglia amorosa appena terminata. Niente doccia, ci trascinammo sopra il nostro lettone ed abbracciati come due adolescenti che si stanno giurando eterno amore, ci addormentammo senza chiudere nemmeno un oscurante. Aprii gli occhi accecato dal sole di metà mattina. Eravamo ancora abbracciati come ci eravamo addormentati, lei non si mosse ed il salsicciotto le usciva barzotto dall’immancabile perizoma. Mi alzai e silenziosamente abbassai gli oscuranti. Avrò dormito si e no cinque ore. Le tornai vicino aspettando che si svegliasse. Era fantastico quello che stavamo vivendo, ora però mi stavo rendendo conto che sua madre aveva ragione; lei non stava decidendo nulla circa il nostro futuro. Dovevo provare a forzare la mano ed ottenere soluzioni al proposito, il tempo era maturo!


scritto il
2022-04-30
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