Yuko scrive, mio marito legge, io subisco
di
Margie
genere
dominazione
21/5/2022
L'abitudine ci sveglia presto, anche nel fine settimana, in questo albergo straniero. Il liquido ricordo di ieri sera cambia il colore delle lenzuola che ci avvolgono. Abbiamo tutto il fine settimana davanti. Fuori dalla finestra si vede una striscia di bosco, al di là del quale luccica il mare. È ancora presto per la colazione. Intanto aspettiamo. Mio marito prende il tablet e apre ER: “Autori”. Scrive “Yuko”. Evidentemente ci dev'essere un nuovo racconto. Lui mi guarda; sorride perfido. L'ibrido perfetto di minaccia e promessa. Clicca. Mi viene la pelle d'oca al nome di Yuko: quella persona è abilissima a stravolgere i sensi, ad accalappiare la mente. Sento inumidirsi subito la passera. Sì, è vero che m'inumidisco facilmente, ma in casi come questo... Mi accorgo di avere i capezzoli tesi. Mi sembra vogliano uscire dalla finestra per sentire meglio la brezza che rinfresca queste bollenti giornate di maggio. Non che anche solo una di queste spontanee reazioni d'apprezzamento mi disturbi. Soprattutto gli sviluppi successivi saranno particolarmente pregevoli. Comincia a leggere, a mezza voce. Seguo le parole del racconto come dita che mi solcano dolcemente la pelle. Sospiro. Yuko è un divino castigo divino (la ripetizione è voluta, n.d.a.), non posso evitare di allargare un po' le cosce. Vedo barzotto il cazzo di lui. “Sei tu, sai?” Scorro con gli occhi sul suo corpo, arrivo al viso. Capisco che ha già letto il racconto “Danae, la mia amante”. Lo capisco da come gioca con la voce: sembra un attore consumato, che ora si trastulla con me. Mi sfiora i piercing dei capezzoli. Sospiro a fondo. Lui si ferma. Oggi sarà una lunga giornata, è vero, ma perché una sosta? Stavo per passargli una mano sull'uccello, ma lui si ferma e s'allontana. No, non si fa così. Torna subito. Pronuncia chiara la sua sentenza. Mi si contraggono gli addominali. Ho un crampo dentro. Un crampo liquido. Lui sogghigna. Quando fa così lo detesto. Questo suo atteggiamento è una condanna; è la condanna all'esasperazione delle mie voglie. Perché farmi attendere? Perché aspettare che la mia delusione prenda il sopravvento sulle mie aspettative? Saprei bene il perché, ma in questi momenti l'unica cosa che so con certezza è che vorrei essere usata allo sfinimento. Il resto... non c'è nient'altro. Intanto lui legge qualche altra frase. Non capisco più di chi sono preda. Delle mie voglie? Di lui? Del racconto con la sua sensualità, del continuo superarsi di sensualità e sesso? Riprende a leggere sfiorandomi, picchiettando sul piercing del clitoride. Lo cerco, cerco la sua bocca, cerco un suo bacio. Mi agito, mi scrollo. Mi dice che non capisco nulla. Mi lega, cosce e braccia aperte. Mi sembra che la mia figa protenda le labbra come braccia per impossessarsi di lui, per ricevere il suo cazzo. Il capezzolo di Danae, declama lui... i miei capezzoli, percepisco io... le cosce dischiuse di lei, contrapposte alle mie spalancate. Zeus la seduce. Lui mi strema. Le sue dita mi percorrono, sfruttano i miei piercing per creare sussulti fra le mie sensazioni, fra le mie vertigini, fra le mie emozioni, per trasformare in esigenze le mie voglie, per portare al limite di rottura queste corde che bloccandomi tendono allo spasimo il mio desiderio. Le parole di Yuko si susseguono. La loro sensualità riempie la stanza e mi fa ansimare. La sua descrizione di Danae mi coinvolge di per sé, tantissimo. Ma ci sono anche le dita di lui, come quelle di Zeus, che divinamente mi trasformano in piacere liquido, in lavica lascivia, in fondente lussuria. La mia mente è confusa, il mio corpo è una supplica. Riconosco le parole di Yuko, mi massacrano di desideri. Basterebbero di per sè, anzi, già prevaricano le sue frasi. E lui ne amplifica, ne esaspera l'effetto. Vedo gli abbracci, li vorrei vivere. Invece sono qui immobile, legata, offerta, accarezzata, pizzicata, mordicchiata, leccata. Mi sento come una propaggine del mio clitoride, della mia passera. Non capisco se, non capisco come, non capisco dove, non capisco perché. È svanito nel nulla il quando, quel quando che vorrei sempre, che sembra voler imporre una negazione, che sembra costituire un mai. E Zeus continua nella sua azione con Danae che si bea di quei contatti. Ecco quella beatitudine vorrei, ora. Ne ho bisogno, ma non posso, io, legata, carne disfatta dal dolore del desiderio, dal piacere dell'attesa, non posso raggiungere il dio che mi perseguita e mi sublima. È mio marito che mi possiede? No, è ancora Zeus che fa sorridere di voluttà la fanciulla imprigionata: quel perfetto sorriso che soltanto l'amore può disegnare. Il sorriso del dopo l'amore. Io invece sono qui, simbolo di astinenza, breve ed eterna astinenza. Ma Zeus si allontana lasciando una felice e rilassata Danae, Yuko abbraccia la solida Danae. Io sono ancora qui a subire attenzioni di cui godrei per ore se non fosse che sono già oltre la soglia del bisogno. Ammiro quel grosso cazzo che sembra ingrossarsi ancora di più per gli effetti delle manovre su di me da parte di mio marito. Quando cederà? Quando si trasformerà in carne dentro la mia carne? Troppo tardi i miei sospiri, i miei mugolii, i miei rantoli si scioglieranno nel buio della sua presa di possesso. Troppo tardi anche se subito. Mi slega le gambe, me le piega verso l'alto, tese. È entrato lui in me o sono entrata io nel paradiso?
Siamo sui ciottoli a pochi centimetri dal bagnasciuga, adesso. Il mare con ritmo costante e tranquillo mi bagna i piedi. Ho stentato una colazione dopo aver reso orgasmo tutta la stanza.
Il sole picchia pesante su di noi, indifferente al proprio effetto. Mi sembra di vedere abbronzarsi la mia pelle di minuto in minuto. Chiudo gli occhi. A pochi metri da riva Yuko e Danae si abbracciano e si baciano sulle povere onde della brezza. Stringo la mano di mio marito. Non appartiene alla risacca il bagnato della mia passera. Mi sembra comunque un tentativo d'incremento agli effetti della pur bassa marea. C'è gente, attorno a noi: persone sole, coppie, famiglie. Che peccato! Torniamo in albergo? Oppure... proponimi qualcosa di sconcio, sudicio; molto sudicio. Non voglio la solita banale lussuria. Sei stato tu a ridurmi a un essere costituito soltanto pelle colma di libidine. E sapevi bene che basta un racconto di Yuko da solo perché io possa diventare un coacervo di brama e vizio. Hai ragione tu: non solo di Yuko. E cominci coi nomi. Carogna! Vuoi che mi masturbi qui in pubblico, qui, davanti a tutti? Forse se mi tieni una mano sulla bocca si può anche fare, mi posso liberare.
Una famigliola trova posto a pochi metri da noi: una donna bionda, piuttosto carina, un uomo dai tratti orientali, una bimba cogli occhi a mandorla. La vista di loro mi sbatte addosso l'immagine di Yuko, il suo racconto. Mi alzo, nervosissima, indosso il poco che ho e che con molta fantasia chiamo copricostume (costume che non uso) e dico a mio marito che torno in albergo. Ho la passera più bagnata del mare a pochi centimetri da noi. Se lui non vuole venire, stia pur lì. Troverò facilmente qualcuno con cui passare un po' di tempo, “così potrai sorridermi ironico quando tornerai su”. Mi guarda sogghignando. Oh, meglio lui che uno sconosciuto, sempre! Raccoglie il poco che avevamo portato con noi. Ho una forte contrazione nel bacino. È lungo il tempo della speranza, ma è eterno quello del bisogno. Che cosa succederà in ascensore?
L'abitudine ci sveglia presto, anche nel fine settimana, in questo albergo straniero. Il liquido ricordo di ieri sera cambia il colore delle lenzuola che ci avvolgono. Abbiamo tutto il fine settimana davanti. Fuori dalla finestra si vede una striscia di bosco, al di là del quale luccica il mare. È ancora presto per la colazione. Intanto aspettiamo. Mio marito prende il tablet e apre ER: “Autori”. Scrive “Yuko”. Evidentemente ci dev'essere un nuovo racconto. Lui mi guarda; sorride perfido. L'ibrido perfetto di minaccia e promessa. Clicca. Mi viene la pelle d'oca al nome di Yuko: quella persona è abilissima a stravolgere i sensi, ad accalappiare la mente. Sento inumidirsi subito la passera. Sì, è vero che m'inumidisco facilmente, ma in casi come questo... Mi accorgo di avere i capezzoli tesi. Mi sembra vogliano uscire dalla finestra per sentire meglio la brezza che rinfresca queste bollenti giornate di maggio. Non che anche solo una di queste spontanee reazioni d'apprezzamento mi disturbi. Soprattutto gli sviluppi successivi saranno particolarmente pregevoli. Comincia a leggere, a mezza voce. Seguo le parole del racconto come dita che mi solcano dolcemente la pelle. Sospiro. Yuko è un divino castigo divino (la ripetizione è voluta, n.d.a.), non posso evitare di allargare un po' le cosce. Vedo barzotto il cazzo di lui. “Sei tu, sai?” Scorro con gli occhi sul suo corpo, arrivo al viso. Capisco che ha già letto il racconto “Danae, la mia amante”. Lo capisco da come gioca con la voce: sembra un attore consumato, che ora si trastulla con me. Mi sfiora i piercing dei capezzoli. Sospiro a fondo. Lui si ferma. Oggi sarà una lunga giornata, è vero, ma perché una sosta? Stavo per passargli una mano sull'uccello, ma lui si ferma e s'allontana. No, non si fa così. Torna subito. Pronuncia chiara la sua sentenza. Mi si contraggono gli addominali. Ho un crampo dentro. Un crampo liquido. Lui sogghigna. Quando fa così lo detesto. Questo suo atteggiamento è una condanna; è la condanna all'esasperazione delle mie voglie. Perché farmi attendere? Perché aspettare che la mia delusione prenda il sopravvento sulle mie aspettative? Saprei bene il perché, ma in questi momenti l'unica cosa che so con certezza è che vorrei essere usata allo sfinimento. Il resto... non c'è nient'altro. Intanto lui legge qualche altra frase. Non capisco più di chi sono preda. Delle mie voglie? Di lui? Del racconto con la sua sensualità, del continuo superarsi di sensualità e sesso? Riprende a leggere sfiorandomi, picchiettando sul piercing del clitoride. Lo cerco, cerco la sua bocca, cerco un suo bacio. Mi agito, mi scrollo. Mi dice che non capisco nulla. Mi lega, cosce e braccia aperte. Mi sembra che la mia figa protenda le labbra come braccia per impossessarsi di lui, per ricevere il suo cazzo. Il capezzolo di Danae, declama lui... i miei capezzoli, percepisco io... le cosce dischiuse di lei, contrapposte alle mie spalancate. Zeus la seduce. Lui mi strema. Le sue dita mi percorrono, sfruttano i miei piercing per creare sussulti fra le mie sensazioni, fra le mie vertigini, fra le mie emozioni, per trasformare in esigenze le mie voglie, per portare al limite di rottura queste corde che bloccandomi tendono allo spasimo il mio desiderio. Le parole di Yuko si susseguono. La loro sensualità riempie la stanza e mi fa ansimare. La sua descrizione di Danae mi coinvolge di per sé, tantissimo. Ma ci sono anche le dita di lui, come quelle di Zeus, che divinamente mi trasformano in piacere liquido, in lavica lascivia, in fondente lussuria. La mia mente è confusa, il mio corpo è una supplica. Riconosco le parole di Yuko, mi massacrano di desideri. Basterebbero di per sè, anzi, già prevaricano le sue frasi. E lui ne amplifica, ne esaspera l'effetto. Vedo gli abbracci, li vorrei vivere. Invece sono qui immobile, legata, offerta, accarezzata, pizzicata, mordicchiata, leccata. Mi sento come una propaggine del mio clitoride, della mia passera. Non capisco se, non capisco come, non capisco dove, non capisco perché. È svanito nel nulla il quando, quel quando che vorrei sempre, che sembra voler imporre una negazione, che sembra costituire un mai. E Zeus continua nella sua azione con Danae che si bea di quei contatti. Ecco quella beatitudine vorrei, ora. Ne ho bisogno, ma non posso, io, legata, carne disfatta dal dolore del desiderio, dal piacere dell'attesa, non posso raggiungere il dio che mi perseguita e mi sublima. È mio marito che mi possiede? No, è ancora Zeus che fa sorridere di voluttà la fanciulla imprigionata: quel perfetto sorriso che soltanto l'amore può disegnare. Il sorriso del dopo l'amore. Io invece sono qui, simbolo di astinenza, breve ed eterna astinenza. Ma Zeus si allontana lasciando una felice e rilassata Danae, Yuko abbraccia la solida Danae. Io sono ancora qui a subire attenzioni di cui godrei per ore se non fosse che sono già oltre la soglia del bisogno. Ammiro quel grosso cazzo che sembra ingrossarsi ancora di più per gli effetti delle manovre su di me da parte di mio marito. Quando cederà? Quando si trasformerà in carne dentro la mia carne? Troppo tardi i miei sospiri, i miei mugolii, i miei rantoli si scioglieranno nel buio della sua presa di possesso. Troppo tardi anche se subito. Mi slega le gambe, me le piega verso l'alto, tese. È entrato lui in me o sono entrata io nel paradiso?
Siamo sui ciottoli a pochi centimetri dal bagnasciuga, adesso. Il mare con ritmo costante e tranquillo mi bagna i piedi. Ho stentato una colazione dopo aver reso orgasmo tutta la stanza.
Il sole picchia pesante su di noi, indifferente al proprio effetto. Mi sembra di vedere abbronzarsi la mia pelle di minuto in minuto. Chiudo gli occhi. A pochi metri da riva Yuko e Danae si abbracciano e si baciano sulle povere onde della brezza. Stringo la mano di mio marito. Non appartiene alla risacca il bagnato della mia passera. Mi sembra comunque un tentativo d'incremento agli effetti della pur bassa marea. C'è gente, attorno a noi: persone sole, coppie, famiglie. Che peccato! Torniamo in albergo? Oppure... proponimi qualcosa di sconcio, sudicio; molto sudicio. Non voglio la solita banale lussuria. Sei stato tu a ridurmi a un essere costituito soltanto pelle colma di libidine. E sapevi bene che basta un racconto di Yuko da solo perché io possa diventare un coacervo di brama e vizio. Hai ragione tu: non solo di Yuko. E cominci coi nomi. Carogna! Vuoi che mi masturbi qui in pubblico, qui, davanti a tutti? Forse se mi tieni una mano sulla bocca si può anche fare, mi posso liberare.
Una famigliola trova posto a pochi metri da noi: una donna bionda, piuttosto carina, un uomo dai tratti orientali, una bimba cogli occhi a mandorla. La vista di loro mi sbatte addosso l'immagine di Yuko, il suo racconto. Mi alzo, nervosissima, indosso il poco che ho e che con molta fantasia chiamo copricostume (costume che non uso) e dico a mio marito che torno in albergo. Ho la passera più bagnata del mare a pochi centimetri da noi. Se lui non vuole venire, stia pur lì. Troverò facilmente qualcuno con cui passare un po' di tempo, “così potrai sorridermi ironico quando tornerai su”. Mi guarda sogghignando. Oh, meglio lui che uno sconosciuto, sempre! Raccoglie il poco che avevamo portato con noi. Ho una forte contrazione nel bacino. È lungo il tempo della speranza, ma è eterno quello del bisogno. Che cosa succederà in ascensore?
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