L'adulterio di Ludovica Bianchi - Ep.4 . Rimango

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tradimenti

Ludovica si guardava nello specchio dell'ascensore e non riusciva a riconoscersi. Simona le aveva raccolto i capelli sulla nuca lasciandole alcune ciocche libere di scendere sulla fronte. Non era abituata alla matita, e soprattutto al rimmel, ed i suoi occhi le sembravano luci blu brillanti nella notte. Il fard sulle guance era leggero ma sul suo incarnato chiaro la faceva sembrare una bambolina, una vera bambolina con le labbra rosse. Alzò una mano per sistemare una ciocca di capelli che da dietro scendeva lungo il collo fino all'attaccatura dei seni, ma poi lo lasciò lì. Il giro di perle (finte) le sottolineava il collo.
“Se fossi la donna di Luciano,” pensò, “ne avrei di vere”. Poi si vergognò di questo pensiero e arrossì. “Io non sono di nessuno” si disse distogliendo lo sguardo.
Al suo fianco, Simona sorrideva.
«Gli piacerai, Ludo. Sei una vera fica.»
A Ludo sfuggì un sorrisetto imbarazzato.
«Ma dai!» sospirò. Però si sentiva davvero una “fica”, e poi c'era la sensazione, mai provata prima, del sentirsi nuda tra le cosce, tra le autoreggenti e le mutandine. Si sentì un formicolio proprio lì in mezzo, e giusto in quel momento, mentre il tessuto delle mutandine raccoglieva una gocciolina di rugiada, la porta dell'ascensore si aprì.
Per un attimo, pensò che le gambe non l'avrebbero retta, ma poi Simona la precedette sculettando e a lei non rimase che andarle dietro.

Per lei lo smoking era roba da James Bond, non da vita reale. Quando vide Luciano in smoking (le sue spalle, i suoi fianchi, il modo in cui le maniche scendevano sui suoi polsi coprendogli a metà l'orologio luccicante) le sembrò di sognare. Non sentì il modo gioviale con cui Marino andò incontro a Simona, né nient'altro. Lui la guardava con espressione divertita e lei si bloccò, a pochi passi da lui, senza la più pallida idea di cosa dire e fare. Le andò incontro, le prese la mano tra le sue e la sollevò. Luciano si chinò impercettibilmente, le baciò le dita sporgendo appena le labbra e guardandola negli occhi. Simona capì che quella notte sarebbe stata inevitabilmente, assolutamente, completamente sua.
Da lì in poi non ci furono più Simona e Marino, né il tassista, né il maître, né il cameriere. Solo lui, solo Luciano, e i suoi occhi. Solo Luciano che le scostava la sedia per farla accomodare, solo Luciano che la chiamava per nome e le chiedeva ragguagli sulle sue preferenze culinarie. Solo le mani di Luciano che reggevano il menù scoprendo i gemelli in oro bianco mentre ordinava in francese arrotando la “r”. Solo le spalle di Luciano, solo gli occhi di Luciano, solo le labbra di Luciano. Solo il profumo di Luciano. Solo Luciano che con un gesto elegante invitava un cameriere a riempirle il calice. Solo Luciano che per un secondo le sfiorava il ginocchio con il suo, poi le chiedeva “pardon”, le sorrideva, e lei sorrideva, si sentiva sciogliere e avrebbe voluto subito le sue mani sulle sue cosce, anche lì, anche subito. Non c'era la risata squillante di Simona, non c'erano i doppi sensi di Marino, non c'era nessuno intorno a loro. C'erano solo lei e Luciano ma tutto era lei e Luciano in quel momento. I cibi squisiti, le bollicine del vino, la foto in bianco e nero di Chet Baker sulla parete di fronte a lei, la musica e tutto il resto, tutto era lei e Luciano in quel momento. Tutto era eccitazione e sollievo, trasporto e meraviglia, stordimento ed ebbrezza, vampe di fuoco sulle guance e tra le cosce.
Quando uscirono, dopo che lui aveva lasciato la sua carta di credito sul piattino d'argento, senza accorgersene si trovò in taxi sola con lui. E finalmente la sua bocca si avvicinò per dissetarla e lei ne prese quanta più poteva, le sue mani furono sul suo corpo, osarono, e lei si sciolse e bruciò, si schiuse e quasi sarebbe sbocciata, lì sul taxi, se lui non avesse mantenuto il controllo quel tanto da pagare il taxi e dirle “siamo arrivati”.

Se prima di allora Ludovica aveva dato qualche importanza alla dicotomia tra fare l'amore e fare sesso, di certo non se ne curò quella notte. Ludovica si sentì piuttosto scavare dentro. Si sentì un labirinto profanato nei suoi meandri più reconditi da un uomo alla ricerca non del proprio piacere, né del suo. Quello che lui cercò, possedendola e rivoltandola, era la sua anima. Tutto ciò che era lei al di là di quello che lei era in superficie.
In ascensore, mentre salivano a quello che poteva essere un suo appartamento o un qualunque altro posto, lei gli si gettò tra le braccia come un'assetata in un'oasi, ma lui la allontanò tendendo una mano davanti a sé, limitandosi a fissarla con desiderio dalla punta dei tacchi a spillo al fermaglio che le tratteneva i capelli sulla nuca. Lei si rese conto di non riuscire a calmarsi, a dare al proprio respiro una cadenza non affannata. Quando furono in quello che pareva un salotto o la camera di un hotel di lusso, lui la prese finalmente tra le braccia e lei gli si abbandonò contro, priva di spina dorsale ma tutta labbra, seni, ventre e cosce. Lui la tenne un po' così, conoscendone la bocca con la propria, poi la fece voltare e lei si trovò di fronte la propria immagine allo specchio.
«Guardati» ordinò lui con la voce bassa, gutturale. «Guarda quanto sei donna.»
Lei si vide allo specchio. Ebbra, eccitata, arrapante. E si sentì anche porcella. Una porcellina arrapata e pronta a tutto.
Lui le stava dietro. Alto e bello da morire, da sciogliersi. Vide le sue mani salire dai suoi fianchi e impossessarsi dei suoi seni. Le sue dita trovarono i capezzoli e li sfiorarono appena, ma tanto bastò per farla gemere. Poi si abbassarono, lente, lungo il suo ventre, fino al suo sesso. Luciano era lento, lentissimo. Lei avrebbe voluto farsi strappare i vestiti, essere straziata, riempita fino all'orlo, ma a straziarla era la lentezza, l'assoluta calma delle sue mani che scendevano a sollevarle la gonna oltre il bordo delle autoreggenti.
“Sono io?” si chiese Ludovica quando le mani dell'uomo scoprirono del tutto le sue belle gambe fasciate nelle autoreggenti, svelarono le sue mutandine di pizzo nero. “È la mia fica? Sono le sue mani?” si ripeté incredula mentre le dita di lui si infilavano dentro l'elastico delle mutandine, carezzavano il vello nero ed infine, finalmente, trovavano il suo sesso già fradicio. Le sue labbra le si posarono sul collo, l'altra mano afferrò un suo seno, e nella sua fica le dita di lui iniziarono a muoversi. Lei perse la testa. Venne quasi subito, in modo incontrollato, senza ritegno. Ma era solo l'inizio.
Senza neanche accorgersene si ritrovò chinata in avanti, con le mutandine calate a metà coscia. Si afferrò allo specchio e supplicò Luciano di fare di lei ciò che voleva. Lui trovò le sue labbra intime con il cazzo che lei non aveva ancora visto. La penetrò. Lei, piegata contro lo specchio, con il viso schiacciato contro la sua immagine riflessa, avrebbe voluto essere sbattuta con forza, scopata, arata come un campo. Come sentì che lui le entrava dentro, gli si fece incontro, iniziò a muoversi avanti e indietro. Lui le rifilò uno schiaffone sul sedere. Forte. Non quegli schiaffetti che si danno per gioco, ma un vero sculaccione a piena mano. Da padrone. Prima ancora che lei si riprendesse dallo shock, lui le afferrò i capelli da dietro, costringendola ad alzare la testa per guardarlo in faccia.
«Stai ferma!» ordinò.
Poi inizio a spingere. Lento. Lo schiaffone ancora bruciava, la sua presa sui capelli era decisa e un po' dolorosa e anche la posizione in cui la costringeva era scomoda, ma tutte queste sensazioni erano niente rispetto a quell'affare duro che le entrava dentro e poi usciva andando a toccare con pazienza ogni lembo della sua vagina. Si sentì crescere dentro un altro tipo di piacere. Meno furioso e immediato di quello a cui era abituata, ma più profondo, intimo. Lui non accennava ad accelerare ma lei ormai non opponeva più resistenza. Persino il ricordo dello schiaffone pareva sempre più un dolore piacevole. Si abbandonò a lui del tutto e, quando di nuovo si sentì presa dalla voglia di cavalcare a briglia sciolta, un altro sonoro sculaccione la rimise al trotto senza pietà, amplificando il desiderio e la voglia negandole sia questo che quella. Quando fu finalmente un tutt'uno con il lento movimento di lui, un terzo schiaffo sul sedere le diede una sferzata tale che le sfuggì un urletto che dovette eccitare l'uomo, visto che per la prima volta parve perdere il controllo. Il ritmo iniziò a crescere al pari delle grida di lei, e arrivarono altre sculacciate, una delle quali la fece venire con un grido lancinante. Lui prese a scoparla con più vigoria, sempre più vigoria, finché lei non sentì altro che il cazzo di lui e iniziò a desiderare il suo sperma. Voleva sentirlo dentro, voleva essere sua, voleva essere riempita. Iniziò ad urlarglielo e se lui la colpiva lei lo ricambiava con gemiti più forti. Alla fine lui venne schiacciandola contro lo specchio, e quasi sollevandola da terra con il suo cazzo. Lei, dopo aver goduto con un'intensità che non aveva mai nemmeno immaginato si potesse raggiungere, si sentì d'improvviso piena, euforica.
Sentiva il corpo di Luciano che ansimava dietro di lei. Sentiva il suo cazzo che scivolava fuori dalla sua vagina, e già le mancava, mentre lasciava colare lungo le sue cosce il suo sperma.
«Ludovica» sussurrò lui. «Tu sei mia. La tua fica è mia. La tua bocca è mia. Il tuo culo è mio. Ti insegnerò tutto. Ti insegnerò a trarre piacere dal tuo corpo e ad offrirlo. Ma tu dovrai obbedirmi. Dovrai dire di sì a tutto quello che ti chiederò. D'accordo?»
Ludovica si riprese un attimo, turbata. Cercò di voltarsi ma lui le gravava addosso con il capo contro la sua nuca. Si rassegnò a rispondere a se stessa riflessa allo specchio.
«E se non volessi?»
«Queste sono le condizioni per restare, altrimenti quella è la porta.»
Lei rimase interdetta e comprese che la paura di quello che avrebbe potuto chiederle o farle era nulla rispetto al terrore che ormai aveva di perderlo.
«Vuoi andartene o rimani?» chiese lui.
Lei rispose con un sussurro, appannando un po' lo specchio in prossimità della sue labbra.

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[I commenti sono oltremodo graditi.
Joe Cabot vi aspetta per altre puntate di questa saga e altre storie, corredate da foto delle muse ispiratrici, all’indirizzo: https://raccontiviola.wordpress.com/]
scritto il
2022-06-22
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