L'adulterio di Ludovica Bianchi - Ep.6 . Colazione a letto.
di
Joe Cabot
genere
dominazione
Ludovica si svegliò lentamente sentendosi coccolata dalle soffici lenzuola che la accoglievano. Allungò un piede, come faceva ogni mattina, per cercare quelli di Franco. Ma il letto era vuoto e l’assenza del rassicurante marito le fece riprendere coscienza all'improvviso. Si accorse di essere completamente nuda e certi indolenzimenti qui e là le ricordarono la lunga nottata che aveva affrontato. Aprì gli occhi e li socchiuse subito per la luce che filtrava dalle tende alle finestre.
Luciano non c'era. Vide la stanza d'albergo e cominciò a ricordare. “Che ho combinato?”, si chiese.
Ludovica conosceva la risposta. Si sentì sporca per quello che aveva fatto, violata per quello che si era lasciata fare, colma di vergogna per quello che aveva fatto a Franco, suo marito, l'uomo il cui anello portava al dito. Forse le sarebbe piaciuto piangere, ma si sentiva arida, svuotata, attonita. Si lasciò andare sul cuscino e cominciò a ricordare.
Dopo la doccia, Luciano l’aveva avvolta in un morbido asciugamano, asciugata con tenerezza. Avvolta nel telo candido, l’aveva fatta sedere su uno sgabello e le aveva asciugato e spazzolato i capelli con abilità da parrucchiere consumato. Ludovica era in estasi.
Finito tutto, Luciano l’aveva fatta alzare e l’aveva presa in braccio come fosse una bambola senza peso. Dopo un bacio a fior di labbra, l’aveva riportata in camera, per posarla delicatamente sul letto e le si era steso accanto, posato di fianco, sul gomito. Aveva sciolto l’asciugamano come si toglie la carta regalo da una Saint Honoré. Guardandola negli occhi le aveva accarezzato il viso, gli zigomi, il collo. L’aveva di nuovo baciata, dolcemente, mentre la mano scendeva sul seno, sul suo ventre, sul suo pube. A lei era scappato un primo gemito, lui le aveva sorriso. I suoi sorrisi la rassicuravano. Tutto doveva andare bene, se Luciano sorrideva. Non poteva esserci nulla di sbagliato, nulla di inappropriato. Poi lui era sceso.
Mentre le dita dell'uomo si facevano largo nel suo pertugio, la sua bocca le inumidì i capezzoli, l’ombelico, strappandole gemiti che Ludovica non sapeva da dove uscissero. Alla fine si era posato proprio lì.
Luciano se l'era presa comoda. Le aveva detto che il suo sesso era perfetto, bellissimo, e lei aveva sussurrato un ‘grazie’ turbato, mentre la lingua dell’uomo aveva continuato il suo dolce tormento, mentre le dita di lui entravano e uscivano. Ludovica si era persa, persa nel piacere che venne più volte, come quando in montagna, arrivati su quella che sembra essere la cima, si scopre che esiste un’altra cima più in là: così il momento migliore pareva essere sempre oltre, un po’ più in alto. All’inizio era troppo presa per badare alle dita di lui che le carezzavano l’ano. Ed anzi la sensazione non le era dispiaciuta, come non le era dispiaciuto quando accanto alle dita, aveva sentito la sua lingua fugace. La prima falange le entrò era entrata dentro scavallando una delle cime di piacere, e lei si era sollevata a sedere, stupita e sconvolta dalla nuova sensazione. Lui, serio, si era sollevato quel tanto da baciarla, imperiale, poi l'aveva spinta di nuovo giù, con la dolcezza di un cavallerizzo che conduce la sua giumenta. Ludovica si era accorsa che la plafoniera sopra al letto aveva una parte in ottone. Si era vista riflessa, stesa a letto, oscena, a cosce aperte e le braccia abbandonate a stringere il lenzuolo, con un uomo dalla schiena forte chino sul suo sesso. Ludovica aveva allungato una mano per afferrare la nuca di Luciano, gli aveva carezzato i capelli. Lui aveva reagito aumentando i giri, lei spimgendolo ancora di più contro il suo sesso. Fu in quel momento che un secondo dito le era scivolato nell’ano. Ludovica aveva sussurrato ‘no’, ma, spingendogli ancora la faccia contro la sua fica, aveva raggiunto l’ennesima cima.
Prima di capire cosa stesse capitando, si era ritrovata a pancia in giù. Luciano le si era messo sopra con il suo grande corpo, il pene eretto contro le natiche, puntato proprio lì dove poco prima erano entrate ben tre delle sue dita. A quel punto si era fermato.
«Lo sai cosa sto per farti?» le aveva sussurrato all’orecchio.
«Sì...» aveva risposto lei.
«Sì? E cosa ti sto per fare?»
Lei aveva esistato, ancora frastornata dal piacere provato, frustrata dal fatto che si fosse fermato. Lui aveva spinto appena appena.
«Parla, Ludovica» le aveva ordinato. «Dimmi cosa sto per farti.»
«Me lo stai per… me lo stai per mettere nel culo» aveva ansimato.
«Brava la mia puttanella» non l’aveva mai chiamata così, ma ora era così che si sentiva. Si sentiva la sua puttanella, la sua zoccoletta, la sua troia. Voleva solo dargli tutto.
«E tu lo vuoi?» aveva continuato lui, sadico.
«N-no…» aveva sospirato lei, ipocrita, guardandolo di sfuggita, mettendogli una specie di broncio.
«Dimmi che lo vuoi o me ne vado..»
«No!» quasi gridò. Poi come in un soffio «va bene, lo voglio.»
«Cosa vuoi?»
Lei l'aveva guardato di nuovo, sottomessa, e lo sguardo di lui non ammetteva repliche. Allora si era voltata, nascondendo lo sguardo tra le lenzuola stropicciate, odoranti di sesso.
«Voglio il tuo cazzo nel culo».
-
I commenti sono oltremodo graditi.
Joe Cabot vi aspetta per altre puntate di questa saga e altre storie, corredate da foto delle muse ispiratrici, all’indirizzo: https://raccontiviola.wordpress.com/
Luciano non c'era. Vide la stanza d'albergo e cominciò a ricordare. “Che ho combinato?”, si chiese.
Ludovica conosceva la risposta. Si sentì sporca per quello che aveva fatto, violata per quello che si era lasciata fare, colma di vergogna per quello che aveva fatto a Franco, suo marito, l'uomo il cui anello portava al dito. Forse le sarebbe piaciuto piangere, ma si sentiva arida, svuotata, attonita. Si lasciò andare sul cuscino e cominciò a ricordare.
Dopo la doccia, Luciano l’aveva avvolta in un morbido asciugamano, asciugata con tenerezza. Avvolta nel telo candido, l’aveva fatta sedere su uno sgabello e le aveva asciugato e spazzolato i capelli con abilità da parrucchiere consumato. Ludovica era in estasi.
Finito tutto, Luciano l’aveva fatta alzare e l’aveva presa in braccio come fosse una bambola senza peso. Dopo un bacio a fior di labbra, l’aveva riportata in camera, per posarla delicatamente sul letto e le si era steso accanto, posato di fianco, sul gomito. Aveva sciolto l’asciugamano come si toglie la carta regalo da una Saint Honoré. Guardandola negli occhi le aveva accarezzato il viso, gli zigomi, il collo. L’aveva di nuovo baciata, dolcemente, mentre la mano scendeva sul seno, sul suo ventre, sul suo pube. A lei era scappato un primo gemito, lui le aveva sorriso. I suoi sorrisi la rassicuravano. Tutto doveva andare bene, se Luciano sorrideva. Non poteva esserci nulla di sbagliato, nulla di inappropriato. Poi lui era sceso.
Mentre le dita dell'uomo si facevano largo nel suo pertugio, la sua bocca le inumidì i capezzoli, l’ombelico, strappandole gemiti che Ludovica non sapeva da dove uscissero. Alla fine si era posato proprio lì.
Luciano se l'era presa comoda. Le aveva detto che il suo sesso era perfetto, bellissimo, e lei aveva sussurrato un ‘grazie’ turbato, mentre la lingua dell’uomo aveva continuato il suo dolce tormento, mentre le dita di lui entravano e uscivano. Ludovica si era persa, persa nel piacere che venne più volte, come quando in montagna, arrivati su quella che sembra essere la cima, si scopre che esiste un’altra cima più in là: così il momento migliore pareva essere sempre oltre, un po’ più in alto. All’inizio era troppo presa per badare alle dita di lui che le carezzavano l’ano. Ed anzi la sensazione non le era dispiaciuta, come non le era dispiaciuto quando accanto alle dita, aveva sentito la sua lingua fugace. La prima falange le entrò era entrata dentro scavallando una delle cime di piacere, e lei si era sollevata a sedere, stupita e sconvolta dalla nuova sensazione. Lui, serio, si era sollevato quel tanto da baciarla, imperiale, poi l'aveva spinta di nuovo giù, con la dolcezza di un cavallerizzo che conduce la sua giumenta. Ludovica si era accorsa che la plafoniera sopra al letto aveva una parte in ottone. Si era vista riflessa, stesa a letto, oscena, a cosce aperte e le braccia abbandonate a stringere il lenzuolo, con un uomo dalla schiena forte chino sul suo sesso. Ludovica aveva allungato una mano per afferrare la nuca di Luciano, gli aveva carezzato i capelli. Lui aveva reagito aumentando i giri, lei spimgendolo ancora di più contro il suo sesso. Fu in quel momento che un secondo dito le era scivolato nell’ano. Ludovica aveva sussurrato ‘no’, ma, spingendogli ancora la faccia contro la sua fica, aveva raggiunto l’ennesima cima.
Prima di capire cosa stesse capitando, si era ritrovata a pancia in giù. Luciano le si era messo sopra con il suo grande corpo, il pene eretto contro le natiche, puntato proprio lì dove poco prima erano entrate ben tre delle sue dita. A quel punto si era fermato.
«Lo sai cosa sto per farti?» le aveva sussurrato all’orecchio.
«Sì...» aveva risposto lei.
«Sì? E cosa ti sto per fare?»
Lei aveva esistato, ancora frastornata dal piacere provato, frustrata dal fatto che si fosse fermato. Lui aveva spinto appena appena.
«Parla, Ludovica» le aveva ordinato. «Dimmi cosa sto per farti.»
«Me lo stai per… me lo stai per mettere nel culo» aveva ansimato.
«Brava la mia puttanella» non l’aveva mai chiamata così, ma ora era così che si sentiva. Si sentiva la sua puttanella, la sua zoccoletta, la sua troia. Voleva solo dargli tutto.
«E tu lo vuoi?» aveva continuato lui, sadico.
«N-no…» aveva sospirato lei, ipocrita, guardandolo di sfuggita, mettendogli una specie di broncio.
«Dimmi che lo vuoi o me ne vado..»
«No!» quasi gridò. Poi come in un soffio «va bene, lo voglio.»
«Cosa vuoi?»
Lei l'aveva guardato di nuovo, sottomessa, e lo sguardo di lui non ammetteva repliche. Allora si era voltata, nascondendo lo sguardo tra le lenzuola stropicciate, odoranti di sesso.
«Voglio il tuo cazzo nel culo».
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