En Vau
di
Yuko
genere
saffico
E' pomeriggio inoltrato quando riprendo il largo con nostalgia dai turchesi della baia di En Vau, solitaria sulla mia canoa.
I turisti a piedi se ne sono andati già da un pezzo e ho gioito nel rimanere da sola in questo fiordo dai colori degli zaffiri e delle acquamarine più preziose.
Mi aspetta una lunga pagaiata fino a Port Miou dove prenderò il sentiero.
Do forza alle braccia nel movimento ripetitivo che, con decisione, mi spinge in mezzo alle pareti calcaree. Il mare trasparente scorre sotto di me in sfumature imprevedibili, quando, al largo, schizzi di spuma bianca attirano la mia attenzione.
Sembra che un branco di pesci si diverta a saltare fuori dall'acqua, ma più mi avvicino e più noto che il ribollire delle schiume è localizzato in una posizione ben precisa e lo spumeggiare è limitato e circoscritto.
Come se un solo grosso pesce si stesse divertendo a giocare nel sottile strato tra acqua e cielo.
La cosa mi incuriosisce e mi avvicino con la canoa, senza che questo fenomeno si interrompa, senza provocare l'attesa fuga dell'essere marino.
Ogni tanto sembra addirittura di vedere la grossa coda brillare tra gli schizzi d'acqua, impreziosita da riflessi argentei e, avanzando, i dettagli si rendono più concreti.
Ma di colpo mi si presenta distintamente il contorno di una ragazza che si dibatte nell'acqua.
Altro che un pesce che gioca, maledetta miopia, quegli schizzi provengono da una ragazza che si dimena nelle acque profonde!
Il pensiero di come diavolo sia finita lì al largo mi sfiora soltanto perchè improvvisamente il mio incedere in canoa assume un ritmo impetuoso.
Quella ragazza ha bisogno!
Ne distinguo i capelli biondi tra gli schizzi, quando riesco finalmente ad avvicinarmi.
La giovane è a petto nudo, anche ben formosa, ma quando incentivo i miei sforzi con la pagaia il suo corpo scompare di nuovo sotto il livello dell'acqua per far posto nuovamente alla grossa coda di un pesce.
Mi sgomento realizzando che la ragazza sta lottando contro un pesce che cerca di trascinarla sott'acqua. “Che cosa posso fare di fronte a tanta forza?” penso mentre, senza soluzioni in mente, istintivamente tiro fuori un coltellino e do gli ultimi violenti e affannosi colpi di remo.
Il volto della ragazza riemerge un attimo riuscendo a prendere ancora aria, un agitato movimento delle braccia e, ormai sulla scena, mi butto in acqua col coltello cercando una disperata e insensata soluzione alla lotta che si sta svolgendo sotto i miei occhi.
Provo a distinguere qualcosa nei vortici di spuma in cui vengo avvolta appena cerco di capire cosa stia succedendo sott'acqua; vorrei tirare qualche coltellata allo squalo che mi immagino stia soffocando la ragazza, ma non riesco a vedere veramente nulla e non vorrei ferire la vittima dell'assalto. Quando non ce la faccio più a trattenere il fiato riemergo e mi ritrovo sola sulla superficie del mare.
“Porca miseria!” Impreco senza neanche realizzare che in una simile lotta non avrei potuto fare veramente nulla di utile.
Sono arrivata troppo tardi e lo squalo si è trascinato la giovane sott'acqua, ormai perduta.
Mi volto in giro a cercare aiuto, ma mi ritrovo da sola, in acque che, ora me ne accorgo, sono limpide e senza la benché minima traccia anche di una sola goccia di sangue.
Ma che cavolo è successo? Mi ritrovo a pensare mentre il ritmo del respiro si normalizza.
Possibile che abbia avuto un'allucinazione? Che abbia visto una ragazza in cerca di aiuto dove solo qualche grosso pesce stava giocando nell'acqua?
Mi giro in cerca della canoa quando all'improvviso vengo afferrata alle spalle e trascinata sotto la superficie del mare.
Neanche il tempo di prendere una boccata d'acqua e già sopra di me vedo il bagliore dell'atmosfera allontanarsi avvolto da sfumature blu scure.
Cerco di dimenarmi e riguadagnare l'aria, ma una stretta al collo mi obbliga a piegarmi verso il fondo in cui vengo trascinata.
Quasi allo spasimo, senza più aria, cerco una disperata via di fuga mentre ormai mi sento soffocare.
Faccio solo in tempo a pensare che sto per annegare, senza neanche sapere cosa mi sia successo nel momento di morire, che mi ritrovo bocca a bocca con la ragazza di prima, inspiegabilmente ricomparsa nel cupo delle profondità marine.
Non ho neanche la forza di reagire, che subito sento un fiotto di aria calda entrarmi tra le guance, spingersi in gola e nei miei polmoni.
Riprendo immediatamente la piena coscienza e il flusso di pensieri, mentre una strana calma si impadronisce delle mie sensazioni.
O sono già morta, oppure qualcuno mi sta aiutando a respirare sott'acqua!
Metto a fuoco le immagini davanti ai miei occhi che bruciano, feriti dal sale marino.
Una chioma bionda scura aleggia impalpabile, dispersa nell'acqua come tentacoli di un anemone e la ragazza mi si riavvicina come per volermi baciare, insufflandomi nuova aria e nuove energie.
In che razza di situazione mi trovo? Dove è finito lo squalo di prima?
Che cosa sta succedendo?
La ragazza che mi trovo di fronte continua a indicare il fondale e quando mi convinco finalmente di essere viva e di stare respirando aria ne seguo i gesti.
Sotto il suo petto nudo lo sguardo si sposta sul suo sottile ventre, proseguendo lungo la coda ricoperta di squame argentate di un pesce di grosse dimensioni.
Prendo coscienza di trovarmi in un sogno.
O forse davvero la mia mente sta viaggiando in una dimensione ineffabile oltre i confini della morte?
Guardo verso l'alto e ritrovo, lontana, la luce dell'atmosfera al di sopra del limite delle acque.
Ecco che mi manca di nuovo l'aria. “Cazzo, devo uscire o qui annego!”
Di nuovo una mano sulla nuca mi volta il capo incontro alla bocca della sirena che mi insuffla nuova aria.
Nuova energia vitale, nuovi secondi per pensare.
Sì, questo essere che mi trattiene sott'acqua senza motivo e che mi mantiene in vita è davvero una sirena e io non sono né morta né in un sogno.
La sua mano mi strizza violentemente una tetta, come per farmi rendere conto definitivamente che sono viva e sveglia.
Ancora mi indica la metà del suo corpo a forma di pesce che ora vedo più chiaramente.
Tra la pinna e l'affusolata appendice che si trasforma nel ventre nudo della ragazza sta un groviglio di lenze e brandelli di plastica.
Di nuovo l'essere mitologico mi irrora i polmoni con il gas vitale che mi serve per vivere e che lei, invece, riesce a estrarre dall'acqua.
La bionda donna pesce riesce a farmi capire di essere imprigionata in residui di reti incastrate da qualche parte in un fondale che per me resta insondabile.
Mi mostra chiaramente che con le sue sole mani non riesce a liberarsi dalla stretta.
Finalmente ritorno completamente in me e dopo una nuova insufflazione attraverso le carnose labbra della sirena mi ricordo che nelle mani ho ancora il coltellino.
Vorrei ritornare al più presto fuori da questo sarcofago di acque blu cobalto. Non so quanto l'essere marino possa sostentarmi ancora di aria né se sia in possesso di una riserva che presto possa finire.
Con le mani seguo il contorno dei fianchi e, dalla morbida pelle del ventre, mi ritrovo a scorrere su scivolose squame argentate.
Nel punto più affusolato, prima della coda, un nodoso groppo impedisce all'essere di ritornare a nuotare liberamente.
Infilo la lama del coltello e comincio a tagliare, ma i residui di rete sembrano troppo spessi e rigidi.
La ragazza marina intuisce il mio sforzo che, in apnea, è largamente inefficace, e decide che è decisamente meglio riportarmi in superficie.
Appena fuori dall'acqua tiro un infinito respiro, ma appena accenno a riposarmi dopo la lunga permanenza nella profondità del mare, la ragazza mi si getta addosso cercando di prendermi alla gola.
Stavolta, con i polmoni pieni d'aria, riesco a difendermi meglio e le pianto una mano in faccia, riesco ad arrivare alla nuca e la tiro per i capelli allontanandomela di dosso.
Quella geme e si arrabbia, ma lentamente la lascio, facendole intendere che non sto scappando.
“Sta calma, biondina, ora ti libero, basta che non mi metti le mani addosso, che mi è già bastato rischiare di annegare una volta, cazzo!”
Non se neanch'io in che lingua le sto parlando: italiano, francese, inglese o giapponese, sta di fatto che quella sente il tono della voce e percepisce che mi ha fatto inquietare un attimo.
Si calma anche lei e inizia a gemere qualche suono incomprensibile.
Un misto tra un lamento di un neonato e quei goffi suoni nasali che emettono i delfini.
Non capisco un bel niente, ovvio, ma quella ancora mi indica la coda e il nodo che la avviluppa.
“Ok, ho capito, Marina. Ora ti libero.”
Non so come mi sia venuto in mente di chiamarla così, ma quella si tranquillizza.
Cerca di sporgere la coda. La pinna riesce anche a spuntare dall'acqua, ma il nodo resta sotto, e di più lei non riesce a muoversi.
Chissà da quanto tempo è prigioniera di questi rifiuti di pescatori.
Ancora non riesco a capacitarmi di trovarmi di fronte a questo essere che continuo a percepire come irreale, non riesco a divincolarmi dalla sensazione di vivere criticamente un sogno a mente lucida, eppure mi immergo scivolando lungo il suo corpo fino a ritrovare il groppo di fili sintetici.
Lavoro di coltello, ma sott'acqua è veramente un casino. Devo continuamente sbracciarmi per rimanere sotto e mi manca l'aria.
Marina, in compenso, ha capito che non la lascerò senza aiuto e si è quietata.
Riemergo a respirare, ma ogni volta che ritorno sott'acqua riesco a fare poco. La coda è scivolosa e il nodo troppo spesso per questo misero coltellino. Ci vorrebbero delle cesoie.
“Tienimi ferma quando sono sotto se no non riesco a far forza col coltello!”
Cerco di spiegarmi a gesti e parole, ma quella, come ovvio, non capisce nulla di quanto sto cercando di comunicarle.
Mi osserva con uno sguardo di sofferta incomprensione, aggrottando la fronte.
Purtroppo anche se dotata di mani come le mie, non posso aspettarmi che sappia armeggiare il coltello e non vorrei che le tornassero strane idee aggressive nei miei riguardi.
Le prendo allora una mano, alzo un piede e le faccio capire di tenermi per i piedi quando mi immergo. Spero che non mi faccia annegare, ma credo che abbia ben compreso che se non respiro ci lascio le penne e per lei potrebbe significare la stessa sorte.
Se solo il laccio che la imprigiona fosse un poco più lungo e potessi lavorare all'aria!
Tiro qualche profondo sospiro e mi butto di nuovo al lavoro, in apnea.
Stavolta la bionda mi regge per i piedi e, sotto l'acqua, riesco a infilare la punta del coltello dipanando qualche fibra.
Taglio tutto quello che riesco e quando sento mancarmi l'aria, dimeno i piedi ottenendo di trovarmi libera di riemergere a respirare.
Sorrido alla ragazza, strizzo un occhio e le faccio il segno di “ok!”.
Quella non capisce una mazza, ma finalmente sorride anche lei.
È proprio molto carina, in effetti, e così, a busto nudo fuori dall'acqua, potrebbe sembrare una donna normale.
Se non fosse che sono ancora convinta di trovarmi in un grottesco sogno da cui non riesco a svegliarmi, neanche quando, sott'acqua, mi sento allo stremo delle forze.
Ritorno sotto a lavorare e il pesce mi blocca per le ginocchia.
Mi accorgo che è già la seconda volta che mi ritrovo in questo particolare “69” con la ragazza e non posso evitare una certa eccitazione.
Se Marina mi sollevasse per le ginocchia e me la leccasse potrebbe diventare davvero difficile concentrarsi nel lavoro subacqueo, ma per fortuna l'essere che sto cercando di liberare è una donna-pesce, ben differente dalla donna-maiala che sono io.
L'aria è poca e mi concentro sul lavoro in apnea. Riesco ancora a infilare il coltello nel varco che ho creato poco fa e di nuovo taglio qualcosa.
Ancora poco lavoro e finalmente la sirena è completamente libera dal laccio che la vincolava imprigionandola in un posto, così vicina alla riva e alla vista degli umani, in cui probabilmente le è proibito rimanere.
O almeno questo è quanto penso io, ormai rassegnata al fatto che questo animale sia reale e che per qualche ragione non debba incontrare assolutamente gli esseri umani.
Eppure necessariamente qualcosa deve aver alimentato le leggende. Forse un barlume di vero, un precedente contatto deve esserci stato con il nostro genere.
Questo ho pensato, lasciando libera la mente di vagare, mentre sott'acqua liberavo il pesce donna.
Appena Marina sente la coda libera, esulta con un urlo che non avrei mai immaginato potesse emettere. Questi esseri devono avere un apparato vocale non troppo dissimile dal nostro, come, allo stesso modo, la parte superiore del loro corpo è davvero molto simile al mio. Costume a parte.
Il pesce si inabissa e riemerge saltando un buon metro al di sopra della superficie dell'acqua.
Scompare di nuovo per ritornare in superficie con più entusiasmo, in un nuovo salto che mi sembra esagerato, due o tre metri, forse.
Ogni volta l'animale ricade in acqua con schizzi e schiuma, in una festa che esprime concretamente l'entusiasmo per aver recuperato una libertà che forse pareva ormai irraggiungibile.
Io sorrido e mentre gli schizzi si allontanano, cerco in giro la mia canoa. Devo ritornare alla vita dei comuni mortali.
Il natante, però, sembra scomparso. Bel casino. Chissà dove l'avranno portato le correnti, e ora mi tocca farmi una nuotata parecchio lunga per poi trovarmi a percorrere un lungo sentiero a piedi nudi per tornare al campeggio.
E mi prenderanno per una turista deficiente. Se poi dovessi spiegare come mi sono trovata in questa situazione, sarei immediatamente trasportata nel reparto neuro-deliri dell'ospedale di Marsiglia.
Sorrido ancora al pensiero di questo sogno a occhi aperti, cercando di concentrarmi sui problemi del mio futuro più prossimo, quando senza schizzi o schiamazzi, Marina riemerge concreta e viva davanti ai miei occhi.
Con quella sua pinna, le basta qualche piccolo movimento per sollevarsi fino al seno e sovrastarmi di un paio di spanne. I capelli biondi le si appiccicano al capo e alla schiena e il seno le galleggia, formoso e ben proporzionato.
La mia mente scientifica si perde in considerazioni tassonomiche.
Quello che ho di fronte è un pesce, non c'è dubbio, eppure sicuramente allatta i figli, se no che ci stanno a fare le due belle pere su questo petto giovanile, che ora mi si ostentano davanti, con un'invitante carica di erotismo che sento lavorare a livello del pezzo di sotto del bikini.
Sorrido alla giovane. Sì, vista così è esattamente come una ragazza, se non fosse, forse, per quella fila di dentini affilati e aguzzi. Si vede che deve cacciare delle prede e che se le mangia senza usare le posate. D'altronde mi sembra del tutto normale.
Per un attimo la mia mente inizia a fantasticare, forse inizio anche a parlare, ma subito mi ridesto e sorrido imbarazzata di fronte a questo volto che riesce a esprimermi la sua gratitudine per la libertà ottenuta.
In qualche modo le spiego che devo andare, ritornare io al mio mondo e lei al suo. Peccato che questa bellissima ragazza sia per metà un pesce. Un paio di pensieri me li sono fatti.
(continua)
I turisti a piedi se ne sono andati già da un pezzo e ho gioito nel rimanere da sola in questo fiordo dai colori degli zaffiri e delle acquamarine più preziose.
Mi aspetta una lunga pagaiata fino a Port Miou dove prenderò il sentiero.
Do forza alle braccia nel movimento ripetitivo che, con decisione, mi spinge in mezzo alle pareti calcaree. Il mare trasparente scorre sotto di me in sfumature imprevedibili, quando, al largo, schizzi di spuma bianca attirano la mia attenzione.
Sembra che un branco di pesci si diverta a saltare fuori dall'acqua, ma più mi avvicino e più noto che il ribollire delle schiume è localizzato in una posizione ben precisa e lo spumeggiare è limitato e circoscritto.
Come se un solo grosso pesce si stesse divertendo a giocare nel sottile strato tra acqua e cielo.
La cosa mi incuriosisce e mi avvicino con la canoa, senza che questo fenomeno si interrompa, senza provocare l'attesa fuga dell'essere marino.
Ogni tanto sembra addirittura di vedere la grossa coda brillare tra gli schizzi d'acqua, impreziosita da riflessi argentei e, avanzando, i dettagli si rendono più concreti.
Ma di colpo mi si presenta distintamente il contorno di una ragazza che si dibatte nell'acqua.
Altro che un pesce che gioca, maledetta miopia, quegli schizzi provengono da una ragazza che si dimena nelle acque profonde!
Il pensiero di come diavolo sia finita lì al largo mi sfiora soltanto perchè improvvisamente il mio incedere in canoa assume un ritmo impetuoso.
Quella ragazza ha bisogno!
Ne distinguo i capelli biondi tra gli schizzi, quando riesco finalmente ad avvicinarmi.
La giovane è a petto nudo, anche ben formosa, ma quando incentivo i miei sforzi con la pagaia il suo corpo scompare di nuovo sotto il livello dell'acqua per far posto nuovamente alla grossa coda di un pesce.
Mi sgomento realizzando che la ragazza sta lottando contro un pesce che cerca di trascinarla sott'acqua. “Che cosa posso fare di fronte a tanta forza?” penso mentre, senza soluzioni in mente, istintivamente tiro fuori un coltellino e do gli ultimi violenti e affannosi colpi di remo.
Il volto della ragazza riemerge un attimo riuscendo a prendere ancora aria, un agitato movimento delle braccia e, ormai sulla scena, mi butto in acqua col coltello cercando una disperata e insensata soluzione alla lotta che si sta svolgendo sotto i miei occhi.
Provo a distinguere qualcosa nei vortici di spuma in cui vengo avvolta appena cerco di capire cosa stia succedendo sott'acqua; vorrei tirare qualche coltellata allo squalo che mi immagino stia soffocando la ragazza, ma non riesco a vedere veramente nulla e non vorrei ferire la vittima dell'assalto. Quando non ce la faccio più a trattenere il fiato riemergo e mi ritrovo sola sulla superficie del mare.
“Porca miseria!” Impreco senza neanche realizzare che in una simile lotta non avrei potuto fare veramente nulla di utile.
Sono arrivata troppo tardi e lo squalo si è trascinato la giovane sott'acqua, ormai perduta.
Mi volto in giro a cercare aiuto, ma mi ritrovo da sola, in acque che, ora me ne accorgo, sono limpide e senza la benché minima traccia anche di una sola goccia di sangue.
Ma che cavolo è successo? Mi ritrovo a pensare mentre il ritmo del respiro si normalizza.
Possibile che abbia avuto un'allucinazione? Che abbia visto una ragazza in cerca di aiuto dove solo qualche grosso pesce stava giocando nell'acqua?
Mi giro in cerca della canoa quando all'improvviso vengo afferrata alle spalle e trascinata sotto la superficie del mare.
Neanche il tempo di prendere una boccata d'acqua e già sopra di me vedo il bagliore dell'atmosfera allontanarsi avvolto da sfumature blu scure.
Cerco di dimenarmi e riguadagnare l'aria, ma una stretta al collo mi obbliga a piegarmi verso il fondo in cui vengo trascinata.
Quasi allo spasimo, senza più aria, cerco una disperata via di fuga mentre ormai mi sento soffocare.
Faccio solo in tempo a pensare che sto per annegare, senza neanche sapere cosa mi sia successo nel momento di morire, che mi ritrovo bocca a bocca con la ragazza di prima, inspiegabilmente ricomparsa nel cupo delle profondità marine.
Non ho neanche la forza di reagire, che subito sento un fiotto di aria calda entrarmi tra le guance, spingersi in gola e nei miei polmoni.
Riprendo immediatamente la piena coscienza e il flusso di pensieri, mentre una strana calma si impadronisce delle mie sensazioni.
O sono già morta, oppure qualcuno mi sta aiutando a respirare sott'acqua!
Metto a fuoco le immagini davanti ai miei occhi che bruciano, feriti dal sale marino.
Una chioma bionda scura aleggia impalpabile, dispersa nell'acqua come tentacoli di un anemone e la ragazza mi si riavvicina come per volermi baciare, insufflandomi nuova aria e nuove energie.
In che razza di situazione mi trovo? Dove è finito lo squalo di prima?
Che cosa sta succedendo?
La ragazza che mi trovo di fronte continua a indicare il fondale e quando mi convinco finalmente di essere viva e di stare respirando aria ne seguo i gesti.
Sotto il suo petto nudo lo sguardo si sposta sul suo sottile ventre, proseguendo lungo la coda ricoperta di squame argentate di un pesce di grosse dimensioni.
Prendo coscienza di trovarmi in un sogno.
O forse davvero la mia mente sta viaggiando in una dimensione ineffabile oltre i confini della morte?
Guardo verso l'alto e ritrovo, lontana, la luce dell'atmosfera al di sopra del limite delle acque.
Ecco che mi manca di nuovo l'aria. “Cazzo, devo uscire o qui annego!”
Di nuovo una mano sulla nuca mi volta il capo incontro alla bocca della sirena che mi insuffla nuova aria.
Nuova energia vitale, nuovi secondi per pensare.
Sì, questo essere che mi trattiene sott'acqua senza motivo e che mi mantiene in vita è davvero una sirena e io non sono né morta né in un sogno.
La sua mano mi strizza violentemente una tetta, come per farmi rendere conto definitivamente che sono viva e sveglia.
Ancora mi indica la metà del suo corpo a forma di pesce che ora vedo più chiaramente.
Tra la pinna e l'affusolata appendice che si trasforma nel ventre nudo della ragazza sta un groviglio di lenze e brandelli di plastica.
Di nuovo l'essere mitologico mi irrora i polmoni con il gas vitale che mi serve per vivere e che lei, invece, riesce a estrarre dall'acqua.
La bionda donna pesce riesce a farmi capire di essere imprigionata in residui di reti incastrate da qualche parte in un fondale che per me resta insondabile.
Mi mostra chiaramente che con le sue sole mani non riesce a liberarsi dalla stretta.
Finalmente ritorno completamente in me e dopo una nuova insufflazione attraverso le carnose labbra della sirena mi ricordo che nelle mani ho ancora il coltellino.
Vorrei ritornare al più presto fuori da questo sarcofago di acque blu cobalto. Non so quanto l'essere marino possa sostentarmi ancora di aria né se sia in possesso di una riserva che presto possa finire.
Con le mani seguo il contorno dei fianchi e, dalla morbida pelle del ventre, mi ritrovo a scorrere su scivolose squame argentate.
Nel punto più affusolato, prima della coda, un nodoso groppo impedisce all'essere di ritornare a nuotare liberamente.
Infilo la lama del coltello e comincio a tagliare, ma i residui di rete sembrano troppo spessi e rigidi.
La ragazza marina intuisce il mio sforzo che, in apnea, è largamente inefficace, e decide che è decisamente meglio riportarmi in superficie.
Appena fuori dall'acqua tiro un infinito respiro, ma appena accenno a riposarmi dopo la lunga permanenza nella profondità del mare, la ragazza mi si getta addosso cercando di prendermi alla gola.
Stavolta, con i polmoni pieni d'aria, riesco a difendermi meglio e le pianto una mano in faccia, riesco ad arrivare alla nuca e la tiro per i capelli allontanandomela di dosso.
Quella geme e si arrabbia, ma lentamente la lascio, facendole intendere che non sto scappando.
“Sta calma, biondina, ora ti libero, basta che non mi metti le mani addosso, che mi è già bastato rischiare di annegare una volta, cazzo!”
Non se neanch'io in che lingua le sto parlando: italiano, francese, inglese o giapponese, sta di fatto che quella sente il tono della voce e percepisce che mi ha fatto inquietare un attimo.
Si calma anche lei e inizia a gemere qualche suono incomprensibile.
Un misto tra un lamento di un neonato e quei goffi suoni nasali che emettono i delfini.
Non capisco un bel niente, ovvio, ma quella ancora mi indica la coda e il nodo che la avviluppa.
“Ok, ho capito, Marina. Ora ti libero.”
Non so come mi sia venuto in mente di chiamarla così, ma quella si tranquillizza.
Cerca di sporgere la coda. La pinna riesce anche a spuntare dall'acqua, ma il nodo resta sotto, e di più lei non riesce a muoversi.
Chissà da quanto tempo è prigioniera di questi rifiuti di pescatori.
Ancora non riesco a capacitarmi di trovarmi di fronte a questo essere che continuo a percepire come irreale, non riesco a divincolarmi dalla sensazione di vivere criticamente un sogno a mente lucida, eppure mi immergo scivolando lungo il suo corpo fino a ritrovare il groppo di fili sintetici.
Lavoro di coltello, ma sott'acqua è veramente un casino. Devo continuamente sbracciarmi per rimanere sotto e mi manca l'aria.
Marina, in compenso, ha capito che non la lascerò senza aiuto e si è quietata.
Riemergo a respirare, ma ogni volta che ritorno sott'acqua riesco a fare poco. La coda è scivolosa e il nodo troppo spesso per questo misero coltellino. Ci vorrebbero delle cesoie.
“Tienimi ferma quando sono sotto se no non riesco a far forza col coltello!”
Cerco di spiegarmi a gesti e parole, ma quella, come ovvio, non capisce nulla di quanto sto cercando di comunicarle.
Mi osserva con uno sguardo di sofferta incomprensione, aggrottando la fronte.
Purtroppo anche se dotata di mani come le mie, non posso aspettarmi che sappia armeggiare il coltello e non vorrei che le tornassero strane idee aggressive nei miei riguardi.
Le prendo allora una mano, alzo un piede e le faccio capire di tenermi per i piedi quando mi immergo. Spero che non mi faccia annegare, ma credo che abbia ben compreso che se non respiro ci lascio le penne e per lei potrebbe significare la stessa sorte.
Se solo il laccio che la imprigiona fosse un poco più lungo e potessi lavorare all'aria!
Tiro qualche profondo sospiro e mi butto di nuovo al lavoro, in apnea.
Stavolta la bionda mi regge per i piedi e, sotto l'acqua, riesco a infilare la punta del coltello dipanando qualche fibra.
Taglio tutto quello che riesco e quando sento mancarmi l'aria, dimeno i piedi ottenendo di trovarmi libera di riemergere a respirare.
Sorrido alla ragazza, strizzo un occhio e le faccio il segno di “ok!”.
Quella non capisce una mazza, ma finalmente sorride anche lei.
È proprio molto carina, in effetti, e così, a busto nudo fuori dall'acqua, potrebbe sembrare una donna normale.
Se non fosse che sono ancora convinta di trovarmi in un grottesco sogno da cui non riesco a svegliarmi, neanche quando, sott'acqua, mi sento allo stremo delle forze.
Ritorno sotto a lavorare e il pesce mi blocca per le ginocchia.
Mi accorgo che è già la seconda volta che mi ritrovo in questo particolare “69” con la ragazza e non posso evitare una certa eccitazione.
Se Marina mi sollevasse per le ginocchia e me la leccasse potrebbe diventare davvero difficile concentrarsi nel lavoro subacqueo, ma per fortuna l'essere che sto cercando di liberare è una donna-pesce, ben differente dalla donna-maiala che sono io.
L'aria è poca e mi concentro sul lavoro in apnea. Riesco ancora a infilare il coltello nel varco che ho creato poco fa e di nuovo taglio qualcosa.
Ancora poco lavoro e finalmente la sirena è completamente libera dal laccio che la vincolava imprigionandola in un posto, così vicina alla riva e alla vista degli umani, in cui probabilmente le è proibito rimanere.
O almeno questo è quanto penso io, ormai rassegnata al fatto che questo animale sia reale e che per qualche ragione non debba incontrare assolutamente gli esseri umani.
Eppure necessariamente qualcosa deve aver alimentato le leggende. Forse un barlume di vero, un precedente contatto deve esserci stato con il nostro genere.
Questo ho pensato, lasciando libera la mente di vagare, mentre sott'acqua liberavo il pesce donna.
Appena Marina sente la coda libera, esulta con un urlo che non avrei mai immaginato potesse emettere. Questi esseri devono avere un apparato vocale non troppo dissimile dal nostro, come, allo stesso modo, la parte superiore del loro corpo è davvero molto simile al mio. Costume a parte.
Il pesce si inabissa e riemerge saltando un buon metro al di sopra della superficie dell'acqua.
Scompare di nuovo per ritornare in superficie con più entusiasmo, in un nuovo salto che mi sembra esagerato, due o tre metri, forse.
Ogni volta l'animale ricade in acqua con schizzi e schiuma, in una festa che esprime concretamente l'entusiasmo per aver recuperato una libertà che forse pareva ormai irraggiungibile.
Io sorrido e mentre gli schizzi si allontanano, cerco in giro la mia canoa. Devo ritornare alla vita dei comuni mortali.
Il natante, però, sembra scomparso. Bel casino. Chissà dove l'avranno portato le correnti, e ora mi tocca farmi una nuotata parecchio lunga per poi trovarmi a percorrere un lungo sentiero a piedi nudi per tornare al campeggio.
E mi prenderanno per una turista deficiente. Se poi dovessi spiegare come mi sono trovata in questa situazione, sarei immediatamente trasportata nel reparto neuro-deliri dell'ospedale di Marsiglia.
Sorrido ancora al pensiero di questo sogno a occhi aperti, cercando di concentrarmi sui problemi del mio futuro più prossimo, quando senza schizzi o schiamazzi, Marina riemerge concreta e viva davanti ai miei occhi.
Con quella sua pinna, le basta qualche piccolo movimento per sollevarsi fino al seno e sovrastarmi di un paio di spanne. I capelli biondi le si appiccicano al capo e alla schiena e il seno le galleggia, formoso e ben proporzionato.
La mia mente scientifica si perde in considerazioni tassonomiche.
Quello che ho di fronte è un pesce, non c'è dubbio, eppure sicuramente allatta i figli, se no che ci stanno a fare le due belle pere su questo petto giovanile, che ora mi si ostentano davanti, con un'invitante carica di erotismo che sento lavorare a livello del pezzo di sotto del bikini.
Sorrido alla giovane. Sì, vista così è esattamente come una ragazza, se non fosse, forse, per quella fila di dentini affilati e aguzzi. Si vede che deve cacciare delle prede e che se le mangia senza usare le posate. D'altronde mi sembra del tutto normale.
Per un attimo la mia mente inizia a fantasticare, forse inizio anche a parlare, ma subito mi ridesto e sorrido imbarazzata di fronte a questo volto che riesce a esprimermi la sua gratitudine per la libertà ottenuta.
In qualche modo le spiego che devo andare, ritornare io al mio mondo e lei al suo. Peccato che questa bellissima ragazza sia per metà un pesce. Un paio di pensieri me li sono fatti.
(continua)
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